lunedì 19 maggio 2014

Partiti no-Euro e lobbismo pro-cambiavalute.


La campagna elettorale per le elezioni europee volge al termine. Cosa rimane da dire? Proponiamo una possibile sintesi dell'intera questione. Il 25 maggio gli elettori hanno cinque possibilità di voto. Prima di elencarli diamo uno sguardo alla campagna elettorale in atto, tenendo conto dell’esistenza di un nemico subdolo e tipicamente italiano che ne sta inficiando la correttezza. Si tratta del provincialismo italiano che ha contagiato tutti producendo un modo scorretto di fare politica europea. Ci riferiamo alla incapacità dei partiti italiani di parlare correttamente di politica europea nelle elezioni europee, evitando di miscelare, con fuorvianti commistioni, fattori eterogenei di politica interna che con le elezioni europee non hanno nulla a che vedere. Insomma, non è corretto fare campagna elettorale per il parlamento europeo parlando solo di «80 euro si - 80 euro no» e/o di soglie di percentuali di voto che se non saranno superate questo o quel leader ha vinto o ha perso le elezioni. Queste sono cose veramente fuorvianti, sintomo di una immaturità politica che li fa etichettare come pensiero rimasto al paleolitico della politica. Diciamo subito che le cose non stanno affatto così. E’ noto che le volpi fanno di tutto per ingannare gli agnelli e spesso con gli sprovveduti elettori italiani ci riescono e anche bene. Ma mentre farsi imbrogliare dalle volpi è giustificabile, farsi imbrogliare dalle astuzie dei Bertoldo - siano essi comici, padani o fratelli di lupa - è grave. Per non essere considerati degli sprovveduti è necessario conoscere come stanno effettivamente le cose.
Queste elezioni hanno il solo scopo di eleggere in Italia 73 parlamentati fra i partiti che supereranno lo sbarramento del 4%, per inviarli al Parlamento di Strasburgo in rappresentanza del nostro paese e dare indicazioni quantitative per individuare il nome del prossimo Presidente della Commissione Europea in sostituzione dell’attuale Presidente uscente Barroso. Il resto della Commissione sarà nominato dai Governi degli Stati membri con un difficile esercizio di acrobazia da “manuale Cencelli” all’europea. Punto e basta. Con questa premessa i cinque candidati, che rappresentano altrettante aree politiche omogenee presenti nei 28 paesi, sono i seguenti. 1) Il (PSE) col suo candidato tedesco e socialista Martin Schulz sostenuto in Italia dal PD di Renzi; 2) il (PPE) con il conservatore lussemburghese Jean Claude Juncker sostenuto dal centrodestra padronale di Forza Italia di Berlusconi; 3) l’area liberale (ALDE) con il suo candidato belga Guy Verhofstadt sostenuto da moderati di centro di Scelta Civica di Monti; 4) l’estrema sinistra (L'altra Europa) con il suo candidato greco Alexis Tsipras sostenuta da SEL di Niki Vendola; 5) infine i (Verdi) con la candidata tedesca Ska Keller sostenuta da Bonelli.
In verità, esiste una sesta area, molto frastagliata e disomogenea dello scontento dei cittadini europei, rappresentata da una miriade di partiti e partitini nazionali che sono tutti No-Euro (in Italia ci sono Grillo del M5S, Salvini della Lega Nord e Meloni di Fratelli d’Italia) e No-Europa perché vogliono addirittura l’uscita dei loro paesi dall’Unione Europea ma che non hanno un loro candidato alla Presidenza della Commissione. La nazionalista e non certo tollerante Marine Le Pen è per esempio la rappresentante di uno di questi partiti. Ecco il nostro giudizio con un voto da 1 a 10 come si fa a scuola.
-Renzi del Pd sta facendo una campagna elettorale tiepida a livello europeista e forte a livello nazionale pro-Schulz (voto 7).
-Berlusconi del PPE sta facendo una campagna elettorale bifronte, ambigua e contraddittoria. Si dichiara favorevole all’euro ma pronto a mollarlo per convenienza di politica nazionale (futuro accordo con la Lega Nord e Alfano) e soprattutto perché pretende dai suoi dedizione ai suoi interessi padronali (voto 4).
-Monti di Scelta Civica è europeista convinto ed è insieme al Pd colui che sta facendo una vera campagna elettorale europeistica pro Verhofstadt (voto 8).
-I Verdi stanno facendo una buona campagna ma non sono coesi con i loro colleghi europei (voto 5).
-L’estrema sinistra di SEL e dei centri sociali sono fortemente critici verso la politica di questa Europa. Sebbene parlino di europeismo vi è il ragionevole pericolo di una deriva massimalista pericolosa. Evidentemente non hanno da parte nostra alcuna fiducia e costituiscono dei terminali sconsigliabili per l’UE (voto 4).
-Infine, Grillo, Salvini e tutta la galassia contraria all’UE sono i veri populisti che insieme alla destra sociale-fascista-nazista e xenofoba sono i veri nemici dell’europeismo (voto 2).
- Ci sarebbero poi anche gli antieuropeisti dichiarati come l’inglese Nigel Farrage leader dell’UKIP che vuole l’uscita dall’UE della Gran Bretagna (voto 1).
Al di là di tutto c'è da rimarcare il grande successo di democrazia di queste elezioni europee, giustificato dal fatto che per la prima volta sono stati messi a disposizione di 500 milioni di europei cinque nomi precisi su cui concentrare il voto e dal quale uscirà il nome del vincitore alla Presidenza della Commissione. Motivo di orgoglio è poi l'altro straordinario successo in cui i cinque candidati si sono confrontati tra di loro per ben due volte in televisione, intervistati sul loro programma politico da alcuni giornalisti. Alla faccia dei detrattori dell'Unione Europea che sanno solo dire menzogne e minacciare distruzioni. In tutti i movimenti antieuro sono presenti, a nostro parere, pericolosi risvolti di politica strumentale, sostenuta dalla lobby internazionale e massone delle società finanziarie facenti capo ai cambia valuta (i famigerati ladri patentati chiamati Exchange) in quanto avrebbero di che lucrare nell’eliminare l’euro e reintrodurre il cambio tra le monete nazionali. Ve li ricordate per loro i “bei tempi” in cui facevano denari a scrocco quando per cambiare cinquantamila lire del tempo si prendevano dal 5 al 10% e davano un controvalore di 45000 lire? Ebbene l’euro li ha spazzati via dalla speculazione europea e li ha azzoppati. Questo genere di vampiri possono ritornare con gravissime conseguenze se in Italia vinceranno i Grillo e i Salvini. Pensiamoci due volte prima di votarli e viceversa preoccupiamoci di ridurne il loro peso elettorale. Le loro “sono solo canzonette” dice un vecchio verso di un motivetto azzeccato di qualche anno fa.
P.S. Dimenticavo di dirvi non per chi votare ma come votare, per non cadere nei tranelli dei furbetti dei partiti. Pretendete dal candidato almeno due qualità: integrità e competenza da una parte e conoscenza perfetta di almeno due lingue, di cui una è l’inglese perchè è indispensabile. In mancanza di quanto sopra, non votatelo. Attenzione, se intendete votare un candidato famoso che svolge un'attività professionale altrettanto famosa non votatelo, perché una volta eletto continuerà a interessarsi del suo lavoro e niente di Europa. Non votate poi, mai e poi mai, un candidato indagato o peggio condannato. Infine, non lasciate scegliere ai partiti. Si è visto con quanta disinvoltura hanno nominato nel governo degli indagati. Scegliete voi con la preferenza e non lasciate scegliere i nomi da loro.

domenica 4 maggio 2014

Il declino della romanità.


Tutti i quotidiani di tutto il mondo hanno al loro interno una sezione dedicata alle lettere dei cittadini che scrivono sui problemi della città in cui si pubblica il giornale. Sono lettere variegate che trattano lamentele, pareri, proposte e ringraziamenti in genere riferiti ai servizi offerti dalla città e/o alle persone che in essa operano, in modo da esprimere gradimenti o delusioni. Queste rubriche sono importanti perché danno il polso della situazione relativamente al tipo di vita che si conduce nella città. Ebbene, ogni mattina, quando leggiamo il giornale, proviamo sempre un po’ di ansia nel momento in cui voltando pagina arriviamo a questa rubrica. Puntualmente troviamo rari apprezzamenti e moltissime proteste. Per chi non l’avesse capito stiamo parlando della capitale, cioè di quell’incredibile ammasso di case e di persone che vanno sotto il nome della città di Roma. Con questa chiave di lettura, e con altri indicatori, ci siamo resi conto che la capitale sta vivendo da molti lustri non solo un tragico momento di decadenza socio-economica ma un autentico regresso morale ed etico sotto il profilo della vita relazionale e comunicativa dei suoi abitanti. Vogliamo parlarne perché riteniamo che ciò che ci è caduto sulla testa non è un castigo divino ma un segno della inettitudine e della incapacità della cittadinanza a eleggere rappresentanti adeguati e produrre una vita retta, piena di senso. Non vogliamo stancare il lettore costringendolo a leggere elenchi di promesse non mantenute e liste di prescrizioni per imporre il cambiamento. Non ci compete e non lo vogliamo fare. A noi piace piuttosto segnalare alcune delle cause di questo fenomeno che stanno uccidendo la vita della città. Certo la crisi economica morde pesantemente tutti ma non è solo questo. Sarebbe auspicabile che la città e i suoi abitanti collaborassero fortemente a un progetto di rinascita che invece manca del tutto, una specie di Rinascimento che non dovrebbe riguardare solo la vita politica e l’etica dei cittadini e della classe politica che li governa ma dovrebbe interessare anche altri fattori, anch’essi pieni di senso ma apparentemente senza alcun riscontro. Adesso ne parleremo, però prima proponiamo una nostra idea relativa alla necessità di rendere obbligatorio per tutti gli amministratori (sindaco, presidenti dei municipi e in genere tutte quelle autorità amministrative e politiche che esercitano il loro lavoro nell’ambito delle decisioni che intervengono sulla vita dei cittadini) la lettura delle “rubriche dei giornali”. Dovrebbe cioè essere resa obbligatoria la lettura delle critiche e non solo quella delle lodi perché, com’è noto, si progredisce per mezzo delle critiche e non per mezzo delle adulazioni. Questa lettura dovrebbe avere come corollario l’obbligo per gli amministratori di mettere in discussione nei loro consigli comunali e municipali le idee generali più gettonate di protesta o di soddisfazione proposte dai cittadini per permettere pienamente la realizzazione della democrazia, cioè delle idee che vengano anche dal basso della società e non solo dall’alto. In breve, dovrebbero essere rese obbligatorie per legge non solo la discussione franca di alcune lettere “modello” ma soprattutto di creare le premesse giuridiche per prendere dei provvedimenti disciplinari contro gli amministratori responsabili ed evitare ciò che attualmente costituiscono i due scandali più gravi a Roma: l'inerzia e l'impunità. E cioè di impedire, tanto per fare un esempio palese, di licenziare l’intero Consiglio di amministrazione dell’Acea, nonostante che da anni piovano nei giornali migliaia di lettere di proteste contro l’arroganza e l’inefficienza di questa odiosa municipalizzata che nasconde i propri limiti e le proprie incapacità nascondendosi dietro l’«appartenenza» alla comunità locale, dietro l'idea di romanità che spesso è fonte di interessi tribali e di nepotismo dannoso per l’intera comunità cittadina. A questo proposito facciamo notare che l’eccessivo uso del dialetto romanesco nella vita sociale della città è in molti casi uno strumento funzionale a coprire gli egoismi di gruppi di potere locale. Per carità, nessuno qui desidera limitare l’uso del dialetto, sia chiaro. La richiesta è che un conto è l’uso, un altro è l’abuso, soprattutto in contesti in cui il dialetto dovrebbe essere evitato. Ci riferiamo alla comunicazione delle autorità, nelle attività scolastiche ordinarie, nella pubblica amministrazione che si rapporta con i cittadini, nei canali televisivi e radiofonici, etc. Tra le tante cose non si dimentichi che la città di Roma non è una città qualsiasi in Italia. Mentre in una piccola comunità locale l’intera vita sociale, con i suoi registri localistici specifici, si sviluppa in maniera totalizzante nella parlata dialettale che tutela fattori di identità e di comunanza di gruppo, in modo autoreferenziale, la città di Roma è la capitale della Repubblica che per vari motivi obbliga molti italiani non romani a vivere in interdipendenza con gli indigeni. E non è piacevole, oltre il minimo consentito, vedere dilagare una comunicazione basata quasi sempre, come dicono alcuni linguisti, su una fonetica fastidiosa del tipo: «a scecilia», «a ggente» e altre generiche espressioni romanesche di tipo esortativo e di giudizi non proprio piacevoli. Ci riferiamo a minacce e a insulti nonché ad apprezzamenti ed espressioni a sfondo sessuale che trovano nel dialetto romanesco adeguata rappresentazione dei peggiori istinti. Uno di questi è, caso unico al mondo, di prendersela con i morti degli altri. Ripetiamo che piace a tutti sentire qualche volta espressioni dialettali romanesche. Le grandi figure culturali della tradizione dialettale romanesca sono tali per l’efficacia comunicativa e la bellezza del dialetto romanesco: Giuseppe Gioachino Belli, Trilussa, Cesare Pascarella, Aldo Fabrizi & Altri sono stati maestri nell’insegnare il piacere dell’ascolto della parlata romanesca. Ma l’esagerazione non va bene. Il fatto è che la crisi perdurante, la mancanza di lavoro, e quindi di reddito, porta inevitabilmente a scivolare e a perdere il senso della misura di tutti. Ne stanno facendo le spese i soggetti più deboli che con l'avvento della modernità e la conseguente perdita di senso della società post-industriale dal punto di vista etico permette a gruppi più o meno numerosi di soggetti aggressivi e facinorosi l’uso della violenza verbale come strumento che spaccia pseudo-diritti degli indigeni maneschi nel voler vivere da veri e propri “bravi” di manzoniana memoria. Complici pericolosi di questa deriva della città di Roma alla violenza sono da un lato la continua perdita del senso dell’etica nei comportamenti della vita sociale e dall’altra l’assenza totale di controlli delle pubbliche autorità (polizia municipale in primo luogo) che producono ciò che ironicamente viene definito come epiteto per il bullo del quartiere l’espressione colorita ma efficace di «a ‘mpunito», segno del progressivo e inarrestabile affermarsi di una deriva della società romana che ha perduto il senso dei principi morali.

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