sabato 21 ottobre 2017

Il vero problema dell'integrazione


Il marocchino che incendia la casa in cui abita e uccide tre dei suoi quattro figli come esempio più recente è l'ennesima tragedia di un immigrato arabo che non possiede gli strumenti culturali occidentali per accettare la sua nuova realtà.
Il vero problema dell'integrazione è l'accettazione degli aspetti valoriali della persona che abbiamo noi in casa nostra. Questi aspetti che attengono alla sfera dei principi legislativi non si interiorizzano dalla sera alla mattina ma hanno la necessità di essere prima insegnati ai migranti e poi applicati da loro concretamente.
Il processo di crescita educativa richiede tempo, impegno e risorse. Ci vogliono dei centri didattici che si occupino di formare alla cultura occidentale i migranti tutti (espuntando dal loro pensiero di base la cultura della vendetta e valorizzare la cultura dei diritti e dei doveri, insegnare la lingua italiana, la Costituzione e le linee principali del diritto italiano, etc.).
Care Autorità politiche (governo, parlamento, partiti, organizzazioni no profit) se non capirete questo semplice assunto sbaglierete sempre.

lunedì 2 ottobre 2017

Quando è troppo è troppo: basta con il deficit etico delle Commissioni d’esame.


Ho provato irritazione quando i giornali hanno scritto recentemente articoli relativi alla questione degli arresti di docenti per avere truccato i risultati di alcuni concorsi nelle università. Fin da giovane, da quando ho frequentato le prime lezioni all’università, ho sentito spesso parlare di piccoli scandali relativi ai favoritismi che certi baroni universitari producevano in virtù del loro potere baronale per offrire a parenti e amici posti di insegnamento nelle università. Uno di questi scandali per esempio ha riguardato il fatto che per trovare posto a un figlio di un barone è stata creata ad hoc una cattedra nella Facoltà di Lettere di una università siciliana, il cui insegnamento ha preso il nome di “Psicologia dell’automobilista”.
Oltre questi antipatici fatti che comunque sono da stigmatizzare e da estirpare non c’è mai stato nulla di eclatante che permettesse l’arresto di alcuni di questi notabili.
Da studente non mi occupavo di politica attiva, anche se ero perfettamente consapevole che vivevo un periodo importante di cambiamenti della società italiana. Erano gli anni dal 1965 al 1969. Io ho vissuto il cosiddetto ’68 in prima persona, comprese le contestazioni e in alcuni casi la violenza degli studenti più ideologizzati che hanno bloccato più volte la didattica e gli esami. Come studente fuori sede mi preoccupavo di seguire le lezioni e di studiare. Non frequentavo pertanto alcun movimento di contestazione. Anzi, nel 1968 ho subito direttamente le conseguenze di quella follia perché più di una volta ho dichiarato che non accettavo la violenza fisica e psicologica nelle aule dell’università. In più ho perduto la possibilità di dare un esame nella sessione di febbraio del 1969 perché la mia facoltà rimase bloccata per occupazione dei collettivi studenteschi.
Le notizie degli arresti dei 7 titolari di cattedra, di cui alcuni addirittura di Diritto tributario, e dei 22 procedimenti di arresti domiciliari di altri docenti di Firenze e dintorni mi hanno indotto a rompere le righe di un insopportabile silenzio e dire la mia su questa squallida vicenda. In particolare mi soffermerò sulla dichiarazione del Presidente dell’Autorità anticorruzione, il magistrato Raffaele Cantone, il quale ha testualmente detto che: «negli atenei c’è un deficit etico, per cui è necessario cambiare le commissioni nei concorsi dei docenti».
Dunque, se non ho capito male, i media e la magistratura anticorruzione sono convinti che c’è un problema di aeticità nel nostro sistema di reclutamento scolastico tanto da far dichiarare senza mezzi termini che le commissioni d’esame fino a quelle dell’abilitazione sono inaffidabili.
Dico subito che c’era da aspettarselo ed è grave che le autorità di controllo universitario abbiano abbassato la guardia fino a giungere al limite della connivenza. A questo proposito affermo che se responsabilità c’è stata, essa è tutta contenuta nella nomina dei componenti delle Commissioni che hanno il delicato compito di valutare e giudicare i candidati. Il cancro sta tutto in questo limbo delle nomine delle Commissioni, perché come si dice in questi casi “sono andati nei posti giusti i vincitori sbagliati”.
Sono testimone oculare nonchè responsabile in prima persona di un fatto increscioso accadutomi nei primi anni ’80 che adesso racconterò per dimostrare come si possano evitare intrecci e garbugli simili a quelli commessi dagli arrestati se si è seri nei processi di svolgimento concorsuali.
Come docente di ruolo di scuola media superiore sono stato in quegli anni nominato dal Ministero della PI a Venezia componente di una commissione di esami di concorso a cattedre per docenti. La commissione era composta da tre elementi: il Presidente, che era un preside di Milano, un docente di ruolo di Brescia e il sottoscritto. Appena prima della prova scritta i due non si sono presentati perché hanno rifiutato l’incarico. La Sovrintendente Scolastica dell’Ufficio Interregionale per il Veneto e il Trentino-Alto Adige, preoccupata del loro ritiro, la sera prima della prova scritta mi convoca alla Sovrintendenza scolastica del Veneto in Cannaregio 6099 e mi informa che alla prova scritta avrei dovuto sostituirli e cavarmela da solo.
L’indomani, durante una fredda e innevata mattinata di metà dicembre, mi presento nella sede di esame con largo anticipo per iniziare le operazioni preparatorie e firmare un migliaio di fogli di carta protocollo già timbrati da consegnare ai candidati per la prova scritta, nonché completare tutte le operazioni di verbalizzazione della prova. Alle ore 9.00 in punto, con la collaborazione di decine di docenti di sorveglianza distribuiti su due turni, consegno ai 161 candidati dislocati nelle classi dell’Istituto dell’ITIS “Zuccante” di Venezia-Mestre il testo della prova e leggo a tutti le condizioni di esclusione dal concorso. Tra queste condizioni ne cito una sola a causa del fatto che essa manifesterà in tutta la sua importanza il motivo della eticità o meno durante lo svolgimento dello scritto. Sarebbero stati esclusi dalla prova scritta della durata di 8 ore "tutti coloro che sorpresi da un membro della commissione a copiare avessero commesso l’illegalità del plagio".
Alla fine del primo turno di sorveglianza vengo raggiunto nei locali della Presidenza della scuola da una anziana docente sorvegliante che a fine turno mi informa di avere visto che alcuni candidati copiavano brani da libri e fotocopie e che i colleghi destinati al controllo nelle aule invece di controllare i candidati controllavano me che non venissi all’improvviso nelle classi. Irritato e amareggiato da questa situazione che denotava una doppia immoralità, relativa non solo al fatto che io avevo avvertito tutti delle condizioni di esclusione ma che il solo controllato tra i presenti ero io e non i candidati, agisco in fretta. Con uno stratagemma colgo di sorpresa in alcune aule candidati e sorveglianti contestando a tre candidati le irregolarità e criticando l’operato del personale di sorveglianza. In poche parole riporto a verbale quanto successo, né più né meno, allegando le fotocopie sequestrate e i numeri delle pagine del manuale copiato. Dopo aver letto loro gli addebiti di contestazione da me verbalizzati e aver fatto firmare il verbale ai tre candidati li ho espulsi. Fu una giornata molto faticosa perché la prova e le relative operazioni di chiusura dei plichi mi fecero stare al lavoro fino a tarda sera senza mangiare e con un solo cappuccino servito in un bicchiere di plastica.
Durante le successive festività natalizie ricevetti la telefonata di una signora che voleva convincermi a firmare una dichiarazione con la quale smentivo me stesso per le cose scritte nel verbale di contestazione degli addebiti. La signora era la madre di un candidato espulso che aveva fatto ricorso al Ministero della PI per invalidare la mia decisione di espellere il figlio. Tuttavia le fu detto che le considerazioni presenti nel verbale e l’elenco delle prove esposte dal sottoscritto, formalmente ineccepibili, erano schiaccianti tanto che l’ispettore tecnico preposto fu ascoltato dal dirigente superiore della Direzione Generale del Personale e degli Affari Generali che si convinse a rigettare il ricorso. La conclusione dolorosa fu che i tre espulsi non ottennero l’annullamento del mio provvedimento e perdettero la possibilità di continuare le successive due prove pratica e orale. In riferimento poi all’esclusione dei tre candidati la commissione, durante le operazioni di valutazione degli elaborati, procedette all’annullamento di ben 8 elaborati perché individuò sicure e comprovate prove di plagio.
La morale della favola di questa storia vera e provabile, risalente a più di tre decine di anni fa che non avevo mai raccontato prima è semplice, e cioè che i timori dell’Autorità anticorruzione sono tangibili e maledettamente concreti ma che è possibile porre un argine alla voracità degli immorali mediante nomine di commissari onesti e consapevoli, in grado di giocare un ruolo di salvaguardia dei criteri di equità, giustizia e merito dei candidati.
Se il Ministero della PI lo avesse voluto e avesse continuato a volerlo, con il suo corpo ispettivo, avrebbe potuto intervenire sempre e in ogni luogo per evitare questi sconci e squallidi commerci.
Non per polemizzare ma per chiarire bene come stanno le cose desidereremmo conoscere dal Ministero della PI la statistica di quanti candidati sono stati esclusi per espulsione dalla data del concorso sopra esposto indetto agli inizi degli anni ‘80.

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