martedì 12 agosto 2003

Il mio ottavo viaggio nelle capitali dell'UE: Lisbona


Lisboa (7 Agosto - 11 Agosto 2003)


L'ottavo viaggio nei paesi dell'Unione Europea mi vede protagonista della visita alla bella città di Olisipo, nome greco antico della capitale portoghese Lisboa, in italiano Lisbona. La capitale lusitana ha avuto altri nomi prima dell'era moderna. Dai romani fu chiamata Felicitas Julia. Con i visigoti prese il nome di Ulishbona, mentre gli arabi gli modificarono leggermente il nome visigoto in al-ʾIšbūnah (in arabo الأشبونة). Lisboa è l'unica capitale dell'UE che si trova alla foce di un fiume, il Tago, in portoghese Rio Tejo, tanto grande da sembrare a prima vista, sempre alla foce, un oceano, il suo oceano, l'Oceano Atlantico.

Premessa. Questo viaggio e il relativo Diário de viagem em Lisboa che qui di seguito riporto completano il primo ciclo del progetto che mi sono imposto di realizzare visitando tutte le capitali dell'UE. Questa fase iniziale del programma si riferisce alla visita di quasi tutte le capitali fondatrici dell'Unione Europea, cioè Roma, Amsterdam, Londra, Parigi, Vienna, Berlino, Madrid e Lisbona. Mi mancano soltanto Bruxelles e Città del Lussemburgo che sono programmate alla fine del progetto, per ragioni che spiegherò in seguito.

Dalla prossima capitale si "volta pagina" e inizierò una nuova serie di visite nell'UE che riguardano le belle capitali dell'Europa dell'est. Quali? Eccole in ordine di programmazione di viaggio: Budapest, Praga, Varsavia, Bratislava, Lubiana, Sofia e Bucarest. La ex DDR, dopo l'unificazione tedesca, non esiste più, come non esiste più la ex Jugoslavjia. Il folto gruppo di capitali dei paesi dell'"Oltre-cortina" costituiscono a tutti gli effetti l'obiettivo dell'europeismo più recente. Esse sono le benvenute perchè mi porteranno a studiarle in profondità a motivo del loro interessante passato storico-politico e, soprattutto, per i rilevanti aspetti storico-culturali che li caratterizzano. Avremo modo di parlarne a tempo debito. Per adesso, con la visita alla bella Lisboa, si chiude la fase iniziale della scoperta e dello studio delle capitali europee. Mi rimane una domanda alla quale rispondere, e cioè se ha ancora senso parlare di capitali delle nazioni fondatrici e dei loro ruoli che possano fare da traino per la realizzazione degli ideali di unificazione politica del continente, ancora non conclusi. Per esempio, l'attuale nascita della moneta comune, l'euro, produce qualche conseguenza positiva per conseguire l'obiettivo della creazione degli Stati Uniti d'Europa? Personalmente sono sicuro di si. Ma ci sono anche gli euroscettici che dicono no. In ogni caso mi sento di poter dire che la fase pionieristica della nascita dell'UE federale sta proseguendo bene e possiamo sperare in un futuro non lontano di "mettere mano" alla successiva fase di completamento e di normalizzazione dell'Unione Europea, in cui ciascuna nazione non sia considerata meno delle altre e la complementarità sia il vero valore e motore dell'Unione medesima. Se tutti gli sforzi saranno fatti nella logica dell'unità e del reciproco rispetto non vedo perchè non possiamo non aspettarci miglioramenti di vita concreti e visibili per tutti i cittadini dell'UE. L'alternativa sarà quella di dover trovare soluzioni sicuramente meno facili.

Andare a Lisbona per visitarla in un'ottica di viaggio europeista, come sto facendo io, senza aver visto il film LISBON STORY, in portoghese Viagem Lisboa, si perde qualcosa di prezioso per capire le motivazioni del mio viaggio. Il film è stato prodotto esattamente dieci anni fa da Wim Wenders. Uno dei primi fotogrammi della pellicola è la prima pagina del giornale tedesco Wochenpost con la foto di Federico Fellini dal titolo "Ciao Federico!" La stessa esclamazione la si può vedere alla fine del film, nell'ultimo fotogramma. Una specie di omaggio di Wenders al grande regista italiano che, scomparso l'anno precedente, è riuscito a superare i confini geografici e le barriere linguistiche dei popoli con il suo modo originale e universale di fare cinematografia. Il film vede come co-interprete la famosa cantante portoghese Teresa Salgueiro, voce solista indiscussa del gruppo musicale Madredeus. La bella e brava cantante riesce a proporre in modo impeccabile alcune sue bellissime canzoni, una delle quali è "Ainda". L'inizio del film visto in una prospettiva europea è molto interessante. Si tratta di un insieme visivo-radiofonico del viaggio da Berlino a Lisbona che il protagonista fa in chiave non solo esemplare ma addirittura pedagogica. Si tratta di alcune scene che riprendono il parabrezza di una macchina che corre su un lungo tratto di autostrade che attraversano alcuni paesi europei (Germania, Francia, Spagna e Portogallo) e la voce di sottofondo che afferma: "Europe has not border". E subito dopo "The barriers have been lifted and anyone can cross over. I realise that Europe is becoming a single nation... the languages change, the music changes, the news is different, but...the landscape speaks the same language and tells stories of an old continent filled with war and peace". Sono parole importanti per chi ha sempre creduto negli ideali dell'Unione Europea. Ecco la traduzione: «Niente più frontiere in Europa. Tutte le porte sono aperte e chiunque può attraversarle a suo piacimento. Sembra che l'Europa si sia fatta davvero molto piccola. Cambiano le lingue, la musica, le notizie sono diverse, ma i panorami parlano lo stesso linguaggio. Raccontano tutte le stesse storie; di un vecchio continente pieno delle sue guerre e delle sue tregue». E conclude dicendo che "Here, I feel at home. This is my homeland". «Questa è la mia terra. Mein eine Land. Ma Patrie. La mia Patria. My home country». Straordinario film e bellissima immagine di unità del nostro continente che apre le porte al messaggio dell'Unione Europea che è riuscita a eliminare muri e barriere fra tutti i popoli europei e introdurre più di mezzo secolo di pace. Wenders mostra di essere un vero cittadino d’Europa, l’unico cineasta veramente Europeo. Parto da questo richiamo cinematografico europeo per descrivere nel migliore dei modi il mio viaggio nelle capitali dell'UE. Torniamo a Lisbona, anzi Lisboa, e al mio ottavo viaggio. Lisboa è un'icona dell'immaginario che propone la bella capitale del Portugal come un luogo appassionante e ricco di emozioni e di prospettive turistiche. Pensare a Lisboa significa avere la certezza di trovare in essa luoghi e virtù tipiche dell'intero Portugal. Tram, elevadores e funicolari della città; gastronomia portoghese con il suo piatto forte di "bacalhau" di cui, si dice, esistono ben 365 ricette differenti, una per ogni giorno dell'anno; tazzine di caffè e "fado" come via maestra all'autentica tradizione lusitana; colori marcati dei tetti delle case in certi quartieri caratteristici della Lisboa antica; architettura di monumenti e di porte della città che più splendide di come sono state costruite non è possibile immaginare; e tante altre centinaia di cose e luoghi comuni che da secoli individuano i lisboetas (lisbonesi) come gente ospitale, simpatica e alla mano. Una passeggiata nella Lisboa del Lungotago non produce meno sensazioni di quelle che si producono percorrendo le salite sulle piazzette dei "sette colli" di Lisboa. Sette colli come a Roma. Mi domando se tra le due capitali ci possono essere analogie e similitudini. Lo vedremo in seguito durante lo svolgimento della visita alla bella e luminosa capitale portogues. Intanto mi preme ricordare che cosa fu il Portogallo nei secoli passati. Com'è noto tra il Quattrocento e il Seicento il Portogallo fu il paese europeo leader nelle esplorazioni degli europei fuori dall'Europa, perchè realizzò conquiste di enorme importanza in molti campi del sapere umano oltre quelle geografiche. Lo si può leggere nel bel libro «Lisbona Oltre le mura», pubblicato da Frassinelli Editore, 1994 che consiglio di leggere per avere un quadro di riferimento storico attendibile.

Primo giorno Giovedì 7 Agosto. Iniziamo dal viaggio aereo che mi conduce da Roma a Lisboa con un volo diretto dell'Alitalia. Partenza in treno alle ore 8.45 dalla stazione ferroviaria di Roma Ostiense, vicino a Piramide, per Roma Fiumicino. Dopo trentacinque minuti circa di viaggio ferroviario arrivo all'aeroporto Leonardo da Vinci di Roma. Al Terminal B, gate5, mi aspetta un aereo dell'Alitalia delle 11.30 per Lisboa Portela. Il biglietto all'andata ha il codice AZ 20. Il ritorno avverrà l'11 agosto da Lisboa (LIS) per Roma (FCO), codice di volo AZ 21 delle 18.25, gate 17 posto 09F. Rapide formalità al check-in e piacevole sensazione al gate di imbarco di trascorrere l'attesa passeggiando tra le varie sezioni del padiglione delle partenze. Trascorro tutto il tempo a passeggiare e a muovere i muscoli delle gambe nella prospettiva di un volo che si preannuncia lungo almeno tre ore. Limiterò così al minimo la costrizione di rimanere seduto per tutto il tempo del volo. In aereo, come al solito, sono un po' in ansia al solo immaginarmi sospeso al di sopra delle nuvole, a quasi diecimila metri di altezza, solo dalla forza prodotta dal basso verso l'alto dalla differenza di pressione del flusso d'aria che arriva alle ali. Trascorro tutto il tempo di volo guardando, nei piccoli monitor ancorati sotto i portelli del bagaglio a mano, i soliti ma sempre piacevoli programmi televisivi "candid camera" che mettono il buon umore. In alternativa, ho da ripassare il manuale di viaggio della Mondadori sulla "città della luce", porta dell'Atlantico. L'arrivo è in orario. L'aeroporto di Portela Lisboa è vicino alla città. La distanza tra aeroporto e centro città è di appena 7-8 km, un vero record di breve distanza. L'aeroporto è collegato con il centro da diversi autobus. Non esiste alcuna fermata della metropolitana.

C'è il bus 91, che è chiamato Aerobus, che fa meno fermate di un autobus normale che compie lo stesso tragitto e in più risulta essere il collegamento più veloce, oltre che più confortevole, con il centro. Io ho preferito prendere uno degli autobus locali, il n.44, che collega direttamente l'aeroporto con la centralissima piazza, chiamata Plaça do Marquês de Pombal, detta anche Rotunda, con la sua enorme rotonda dove, a circa cento metri di distanza sul lato sinistro di Avenida de Libertade, scendendo verso il porto, si trova il mio albergo. Il percorso è quello tipico di un autobus di città con tratti veloci e altri molto lenti. Gli arredi interni del mio autobus sono un po' vecchi, i sedili di plastica consumati dal tempo e i posti a sedere pochi. Rispetto all'Aerobus 91 si impiega più tempo e si viaggia meno comodi ma si osserva di più. Ci sono voluti più di trenta minuti per arrivare a Marquês de Pombal. Ma non importa. Ho volutamente preso questo autobus, accuratamente evitato dai turisti esigenti, perchè mi piace viaggiare tra la popolazione meno abbiente della città e a diretto contatto con poveri, anziani e bambini. Mi hanno sempre interessato l'umanità e i comportamenti più genuini della gente variegata del popolo che non è ricca ma che è in grado di dare senso alle caratteristiche più positive e generose dei cittadini della bella Repubblica do Portugal. L'autobus inizia a muoversi senza accelerazioni e stancamente. Mi seggo nell'unico posto libero presente nella parte anteriore sulla sinistra, lato finestrino, perchè voglio verificare il percorso in tempo reale guardando le strade e la mia mappa. Vicino a me c'è un giovane che mi guarda con curiosità, forse a causa della mia valigia che manifesta la mia veste di turista e, dunque, di straniero che viene dall'estero. Anch'io da bambino quando vedevo un turista straniero mi coglieva un senso di curiosità al solo immaginare che parlava una lingua straniera e che aveva tradizioni e abitudini differenti. Accanto all'interesse mi prendeva un moto spontaneo di altruismo col quale avrei voluto aiutarlo nelle difficoltà di rapporto con la città nella quale abitavo. Intanto, osservo le strade per cercare di trovare agli angoli delle vie un nome conosciuto presente nella mia mappa. La prima strada che riconosco è Avenida do Brasil che lascio alle mie spalle quasi subito, perchè il bus imbocca una strada laterale che nella mappa non è indicata chiaramente. Nel frattempo ho modo di vedere le case che si susseguono una dopo l'altra e che non sono certamente di lusso ma molto modeste e malridotte. Il giovane che mi osserva diventa sempre più curioso. Non mi toglie gli occhi di dosso. Immagino che dovrò esaudire il suo desiderio di conoscenza. Il bus adesso imbocca una strada ampia che è Avenida Estados Unidos da America. L'andatura è più veloce di prima. Il giovane vicino a me non riuscendo a contenere la sua curiosità mi chiede in portoghese dove voglio scendere perchè lui è disposto ad aiutarmi a individuare la posizione del bus sulla mia cartina. Gli dico che devo scendere a Plaça do Marquês de Pombal. Tutto contento mi risponde dicendo che mancano poche fermate. Ormai ha rotto gli indugi e si mette in piedi vicino a me per osservare con maggiore attenzione la mia cartina della città. Io con discrezione collaboro e lo "aiuto" segnando la posizione dell'autobus col dito sulla mappa. Nel frattempo siamo arrivati in Avenida da Republica. Il ragazzo mi dice che sto per arrivare a destinazione e mi sorride con i suoi denti bianchi e il viso illuminato con un misto di riguardo e di soddisfazione. Lo ringrazio e scendo dall'autobus con la mia valigia. La plaça è molto ampia e devo osservare con attenzione la parte della rotonda che si rivolge giù verso il porto per individuare la direzione del mio albergo. Ci arrivo quasi subito, un po' stanco e desideroso di rinfrescarmi. L'albergo si chiama Presidente Hotel e si trova in Rua Alexandre Herculano,13. Presento il mio vaucher e il passaporto alla reception con la dicitura One Single Room Bath, in 07 out 11 Aug 03 (4 NTS in BB). Al banco della reception l'impiegato ricorda la mia lettera che avevo inviato una settimana prima all'hotel nella quale chiedevo di ottenere una camera che avesse un letto con un materasso duro. Ecco il testo: Prezado Senhor, mim desculpas para meu feito português. Sou o senhor Calabro de Roma. Eu escrevo este email curto a fim confirmar a reservation em seu bonito hotel relativo ao período 7 agôsto-11 agôsto 2003, de um quarto para uma pessoa. Eu espero chegar a Lisbona 7 agôsto com um vôo de Alitalia às horas 16.00 aproximadamente nohotel. Eu peço à cortesia de dar a mim um quarto que tem uma cama com um mattress duro, pois que tehno dores da parte traseira. Fico agradecidos pela atenção dispensada à presente. Ed ecco la risposta: Exmo Senhor, Com efeito está tudon OK com sua reserva, tratou-se dum mal entendido apenas. Tudo faremos para corresponder à suas necessidades e não defraudar suas expectativas. Dep Reservas Hotel Presidente Lisboa. Dopo alcuni minuti sono in camera a rinfrescarmi con una doccia e ad appendere camicie e pantaloni alle grucce dell'armadio. Una mezzoretta dopo sono in strada a respirare l'aria alla più bassa longitudine della mia vita. I numeri? Eccoli: 38° 43' 24" latitudine nord e 9° 8' 50" longitudine ovest. In coordinate decimali : +38,72359 e -9,14741 con arrotondamento alla quinta cifra decimale. Come si vede i -9° circa della longitudine testimoniano la posizione della capitale più a occidente di qualsiasi altra capitale dell'Europa comunitaria. In questo caso specifico mi viene da pensare che orientandomi verso nord, grosso modo verso Plaça do Marquês de Pombal, per rivolgermi verso i paesi dell'UE dovrei guardare a est per individuare l'Italia e dunque Roma dove abito e risiedo. Viceversa guardando verso ovest oltre la foce del Rio Tejo c'è l'immensità dell'Oceano Atlantico, cioè l'America. In verità, in Europa, più ad ovest di Lisboa ci sarebbe Reykjavík, in Ísland (Islanda), che è a 64° circa di latitudine nord e addirittura a quasi 22° di longitudine ovest, cioè molto più spostata verso il continente americano rispetto a Lisboa di ben 13° di longitudine. Con questo quadro geografico davanti ai miei occhi mi avvio a fare la mia prima passeggiata lisbonense, partendo da Avenida da Libertade. Come destinazione mi propongo una dopo l'altra le mete di Plaça dos Restauradores con il suo imponente obelisco ottocentesco che commemora la liberazione del paese dalla Spagna; Plaça da Figueira, con al centro la statua del re João I; il Rossio, ovvero Plaça de Dom Pedro IV con al centro la statua dell'omonimo Dom Pedro, una specie di Piazza Navona romana, pavimentata con mosaici dai disegni ondulati; Plaça do Commercio tra il Rio Tejo e la Baixa con al centro l'ennesima bella statua equestre del re José I; e dulcis in fundo visto che c'è da commentare una iscrizione latina, il monumentale, bellissimo e imponente Arco da Rua Augusta (una specie di Arco del Trionfo parigino) che immette in Rua Augusta all'uscita della Baxia, per me che mi sto muovendo sulla direttrice nord-sud. In cima all'arco campeggia la scritta latina VIRTVTIBVS MAIORVM Vt. sit. omnibVs. docVmento. P. P. D. (le tre lettere significano Pecunia Publica Dicatum) che tradotto significa «in virtù del maggiore per soddisfare ogni insegnamento. Dedicato a spese pubbliche». Probabilmente è la passeggiata più famosa e significativa del centro città in cui si possono vedere peculiarità tipiche della capitale e dei suoi abitanti e trarre le prime deduzioni. Finora nella topografia della capitale ho incontrato una «Rua», una «Avenida» e una «Plaça». Mi chiedo se non ci siano altri nomi e sinonimi che dovrei conoscere per evitare abbagli nella ricerca di posizioni in città. In verità ci sono anche una «Travessa», un «Largo», una «Estrada», una «Doca», un «Beco», un «Cais», una «Costa», una «Calçada» e persino una «Calçadinha». Bene a sapersi. Dalla toponomastica rilevo che qui a Lisboa c'è molto interesse e simpatia per Roma. Infatti c'è una fermata della metro Roma; una avenida Roma, una rua Roma, un Cafè Roma e un hotel Roma. C'è caldo e la passeggiata la effettuo cercando di seguire tracciati all'ombra, lato marciapiede, anche se è difficile trovare continuità tra un breve percorso e il successivo. Cammino lentamente perchè si suda facilmente. L'entrata nelle quattro piazze è spettacolare perchè le piazze sono ampie e belle. L'armonia delle forme è gradevole e mi fa pensare a quanto ozio è stato prodotto in questi capolavori di architettura per ammirarle con calma e per molto tempo. Infatti la loro visione invoglia a sedersi da qualche parte e a rimanere ore e ore in silenzio a guardare tutto ciò che c'è tutt'intorno. Manca solo un sombrero e possiamo dire che una delle virtù messicane della siesta sarebbe qui realizzata concretamente. Per parte mia non ho premura. D'altronde sono qui per questo. Il pomeriggio inizia bene.

Vengo preso da intense emozioni e mi viene in mente un elemento storico religioso che mi lega indissolubilmente alla città. Si tratta del fatto che dopo aver scacciato i Mori dal Portogallo, verso la metà dell'anno 1100, il primo re del Portogallo fece costruire una nuova cattedrale nella quale furono portati i resti di São Vicente, cioè di San Vincenzo, santo patrono di Lisboa giustiziato a Valenza nel 304. In particolare São Vicente è il protettore dei poveri e il suo un nome proviene dal latino Vincens, cioè vittorioso, che significa "colui che vince il male". C'è da dire ancora che lo stemma della città raffigura la nave che trasportò i resti mortali di São Vicente, dall'Algarve a Lisboa, nella quale a poppa e a prua si vedono due corvi, che vegliano sulle reliquie del santo. E siccome io mi chiamo Vincenzo capirete subito che il legame che mi unisce alla città non può non risentire positivamente di questo elemento affettivo. Il motivo della presenza dei due corvi nello stemma è dovuto al fatto che il governatore di Roma Daciano, per sbarazzarsi del cadavere di Vincenzo, decise di gettarlo in pasto alle bestie selvatiche. Si racconta che il suo corpo venne difeso in modo infaticabile da un corvo. Gettato successivamente in un fiume e legato in un sacco insieme ad un grosso macigno, il suo corpo galleggerà e tornerà a riva, dove finalmente i cristiani lo potranno seppellire degnamente.
Ricordo che l'Algarve è una striscia di terra al confine sud con la Spagna. Il nome è chiaramente di derivazione araba. Furono infatti i Mori che chiamarono Al Gharb (الغرب occidente) la parte più occidentale del loro emirato. L'obiettivo della visita è anche quello di scoprire alcuni dettagli che fanno parte dell'osservazione di un viaggiatore interessato a conoscere anche i particolari. Dunque girovago un tantino per le strade che conducono al porto e la città mi sembra affascinante. Le strade sono piene di gente che in un certo senso e con linguaggio colorito mi porta a dire che ozia in qualunque luogo e che si trova li perchè non avrebbe potuto essere altrove. Da una prima e sommaria impressione deduco che il tenore di vita degli indigeni non è dei migliori. Le mie, per carità, sono impressioni fugaci e superficiali che possono essere ingannevoli. Tuttavia le strade sono piene di lustrascarpe, di barboni che chiedono l'elemosina e che nel peggiore dei casi spulciano i cassonetti dell'immondizia per trovare qualcosa. Lisboa è una città ricca di contraddizioni. In realtà, tranne i barboni, la gente mostra molta dignità. Vi sono molti uomini e donne di colore, sicuramente africani di area portoghese, ma nell'aria vi è molta serenità e questo si avverte in ogni luogo e a tutte le ore. La città è veramente bella. Certo è diversa dalle città italiane del centro-nord. Diciamo che mi ricorda moltissimo le città meridionali, magari le più grandi e con maggiori attrattive. Ripeto, le mie sono le prime impressioni di viaggio, maturate più che altro nelle poche ore di visita nella parte antica della città. Il sole è ancora padrone del cielo quando superata a piedi Plaça do Commercio mi inoltro sul lungotago (non lungolago, anche se viste le dimensioni del Rio Tejo potrebbe sembrare così) alla ricerca di un bar per bere un bicchiere di birra fresca. In lontananza, verso est, riesco a vedere benissimo la lunga sagoma del Ponte 25 de Abril in ferro che collega le due sponde del fiume. Io mi avvio dalla parte opposta, verso il Parque das Naçóes, lungo l'Avenida Infante Dom Henrique che costeggia il Rio Tejo. A meno di cento metri dall'estremità di Plaça do Commercio vedo una struttura approssimativa di stabilimento balneare, un po' isolata, con la presenza di un bar all'interno, vicino al fiume. Il posto si trova in Jardim Do Tabaco. Mi avvicino ai tavoli e vedo un piccolo chiosco gestito da un giovane al quale, dopo i saluti di rito "boa tarde senhor", chiedo sempre in portoghese se posso avere una "serveja a copo, faz favor". Con un sorriso e tanta simpatia l'empregado (il cameriere) mi invita a sedermi a un tavolino di legno, sotto un ombrellone rivolto verso il Rio Tejo a non più di una decina di metri. Sembra di nuovo che davanti a me ci sia il mare, pardon il fiume (ma siamo sicuri che è un fiume?). Agli altri tavoli non c'è nessuno. In pratica sono il solo avventore che ha a disposizione l'intera struttura. Mezz'ora dopo arrivano un ragazzo e una ragazza che bevono una coca cola e quasi subito vanno via. Mi sento immergere in una sensazione piacevolissima di dolce non far niente, come quando da ragazzo in Sicilia andavo al mare a Marinello e trascorrevo le ore mattutine sulla riva. Penso che questa vacanza mi farà ringiovanire di almeno un mese. Continuo a provare forti emozioni anche per ciò che si osserva sul Tejo. La grandezza del fiume sia in larghezza che profondità, con il suo odore forte e intenso di mare mi crea uno stato di benessere piacevole. Davanti a me uno spettacolo: gabbiani in volo per beccare qualche pesciolino, un aliscafo moderno trasporta turisti nel mentre una leggera brezza rinfresca tutto intorno. Ho modo di vedere il sole calare all'orizzonte dove il Rio Tejo confluisce nell'Oceano Atlantico. Il quadretto sarebbe da immortalare con una foto, ma io non ho portato nessuna macchina fotografica e me ne pento. Rimango seduto ad ammirare il tramonto, con stupore misto a nostalgia per i forti ricordi che in questi casi vengono in mente a chiunque nel vedere questo straordinario paesaggio del sole calante all'orizzonte sul mare. Prima che la luce vespertina diminuisca troppo in intensità lascio la bellezza del panorama e mi avvio a piedi, sempre lungo l'Avenida Infante Dom Henrique, verso un ristorante suggerito dalla mia guida. Si chiama Restaurante Jardim Do Marisco - Jardim Do tabaco e si trova in Avenida Infante Dom Henrique Pavilhão. E' un ristorante vicino al mare. Si mangia all'aperto sotto una tettoia e la specialità della casa è la tipica cucina portoghese a base di pesce e crostacei. Arrivo in questo locale quando è già buio. Mi seggo e chiedo il menù. C'è da aspettare un po'. I tavoli sono quadrati con lo stesso tipo di tovaglia a quadretti bianchi e blu come quelli di una trattoria romana. Il menù è scritto solo in portoghese e spero di avere ordinato giusto. Tra Camarões, Gambas, Açorda de Gambas, Arroz de cherne à Jardim do Marisco, Esparguete Exótico com Frutos do Mar, Feijoada do Mar, O nosso Caril de Gambas, credetemi, c'è di che confondersi. Alla fine "un piatto vale l'altro", mi dico. Dopo la piacevole sorpresa di avere mangiato pesce fresco, gustoso ed economico a Madrid qui mi aspetto di meglio perchè siamo non "a due" passi dal mare ma "sul" mare. Ho ordinato un piatto di marisco de gambas o qualcosa del genere, cioè gamberetti e del vinho verde, che non è vino color verde ma una tipica specialità di vino bianco portoghese. Non l'avessi mai fatto. Il cameriere mi porta un piatto di gamberetti sgusciati e crudi da mangiarli intingendoli in salsine variegate, una delle quali puzzava di aglio e senape. Osservo gli altri commensali per vedere se hanno ordinato il mio stesso piatto ma nessuno mostra una pietanza composta da gamberetti crudi. Costretto dalle evenienze ceno con questa "crudità di pesce" che ricorderò per sempre. L'unica cosa hot della serata è il conto. Esco dal ristorante un po' tardi per i miei orari di turista giudizioso. Guardo la mappa delle fermate della metro per Marquês de Pombal. Devo prendere una decisione. E, cioè, se ritornare indietro a piedi fino a Plaça do Commercio camminando lungo l'Avenida Infante Dom Henrique, da dove peraltro sono arrivato, oppure andare in senso opposto, allontanandomi dal centro, verso la Estação de Comboios, cioè in direzione della Stazione ferroviaria di Santa Apolonia, vicino alla quale dovrebbe esserci una fermata della metro come indica la cartina della mia guida. Ricordandomi del "principio di minima azione" e visto che questa seconda alternativa è più breve della precedente opto per l'ignoto ed esplorare un tratto di strada sconosciuto.

Convinto dell'esistenza di questa fermata, chiamata Santa Apolonia (è in basso a destra) e con un po' di apprensione dovuta all'ora tarda per le mie abitudini - sono oltrepassate le dieci di sera - mi dirigo verso la Estação. "Mal me ne incolse", perchè nella piazzetta antistante la stazione ferroviaria di Lisboa Santa Apolonia non trovo alcun segnale di fermata della metro. A vista vedo insegne con tutte le lettere meno quella della «M». Guardo in tutte le direzioni, nella piazza e nel perimetro esterno della stazione ma niente. Non c'è nessun logo della metro. Entro all'interno della stazione e chiedo allo sportello della biglietteria dove si trovi questa benedetta fermata. Lo sguardo di meraviglia dell'impiegato e la sua successiva spiegazione mi fanno capire che la mia guida Mondadori pubblicizza una cartina (ristampa della prima edizione: marzo 2002) che prevede la fermata di capolinea di Santa Apolonia della metro che sarà inaugurata il prossimo anno! Sbalordito della risposta ed essendoci una fermata dell'autobus nella piazza antistante la stazione cerco di capire quale bus debbo prendere a quell'ora per arrivare alla Rotunda o in alternativa in Avenida da Libertade. L'unico autobus che prevede di dirigersi nella direzione del mio albergo è il bus n.12, che parte da Santa Apolonia ed attraversa le stradine del vecchio quartiere di pescatori dell'Alfama e/o della Graça. Non mi è chiaro quale sarà il percorso. Aspetto il bus per quasi mezzora. L'attesa è decisamente antipatica. Guardo ripetutamente l'orologio con insistenza. L'unica cosa che non mi impensierisce è il biglietto.

Meno male che in aeroporto, oggi pomeriggio, all'uscita ho comprato l'abbonamento settimanale (bilhete de sete dias) che mi consente di non avere problemi con i controllori. All'arrivo del bus alla fermata, che è capolinea, salto su per prendere il posto più vicino all'autista e gli chiedo con impazienza se è prevista una fermata vicino alla Avenida da Libertade. Al cenno positivo della testa del mio interlocutore mi rassicuro e mi seggo al primo posto. L'autobus finalmente parte e si inoltra in un dedalo di viuzze strette e sconnesse a velocità sostenuta. In più, sul mezzo, c'è un ubriaco che parla ad alta voce e aumenta la confusione e la mia preoccupazione. "Andiamo bene" mi dico. Per un po' con molta difficoltà cerco di seguire "alla buona" il percorso sulla cartina. Ci muoviamo lungo un quartiere popolare che non so se sia Alfama o Graça. Qui di notte è tutto uguale. Non riesco a trovare nulla di scritto per individuare i nomi delle fermate. Sento qualcuno parlare di Martim Moniz ma non so dove si trovi. Addirittura sento un Largo Portas Sol che mi ricorda il viaggio predente che ho fatto a Madrid, dove c'è la famosa Porta del Sol, ma sono costretto a rinunciare a vedere la mia guida perchè la luce dentro il bus è scarsa, il rumore del motore fastidioso e i continui sobbalzi prodotti dalla allegra guida dell'autista - che sembra stia partecipando più a una gara di velocità di un Gran Premio che a una normale corsa di bus cittadino - mi impediscono di raccapezzarmi. Non mi rimane altro che stimare la distanza di percorrenza alla buona e richiamare "di quando in quando" l'attenzione dell'autista per indicarmi la fermata di destinazione. La sola cosa certa che so è che la prima stradina imboccata alla partenza nella piazzetta della stazione è Calçada do Fonte. Poi è tutto un susseguirsi di curve, dossi, cunette, viuzze, piazzette alberate, strade malridotte con improvvise scalinate che si aprono ai bordi dove batte sicuramente il cuore della Lisboa popolare che mi ricordano il quartiere Trastevere a Roma. Non voglio soffermarmi sul concetto di regole perchè altrimenti dovrei andare sul pesante e dire che l'autista ha un'idea personale e bizzarra, tutta sua, degli obblighi di fermata e di precedenza degli autoveicoli agli incroci. A me è sembrato che il guidatore considerasse il codice della strada più un optional che un complesso di norme prescrittive. In conclusione, un viaggio da incubo. E la prospettiva di essere lasciato in un posto lontano, solitario e al buio mi preoccupa non poco per un rientro in hotel che, ne sono certo, a questo punto non sarà sereno. La scelta di andare a Santa Apolonia per prendere questa fantomatica metro è stata infelice. E' l'unica considerazione possibile che mi sento di fare a causa del difficile equilibrio che devo mantenere sul bus sconquassato dalle forze apparenti prodotte dalla guida frizzante e indomita del conducente della Companhia de Carris de Ferro di Lisboa, che è poi l'azienda dei trasporti della città. A un certo punto l'autista si ferma e improvvisamente con fare risoluto mi fa segno di scendere. Mi devo fidare e dopo una ansiosa ma per fortuna breve camminata notturna a passo veloce trovo la Rotunda, tirando un grosso sospiro di sollievo. Sono salvo. Devo riconoscere che il conducente del bus è stato di parola. Un po' scorbutico ma fidato. Il rientro in camera mi produce un senso di liberazione considerevole. A questo punto un sonno ristoratore in camera è quello che più desidero fare, col tacito consenso "tra me e me" che non commetterò più leggerezze del genere.

Secondo giorno Venerdì 8 agosto. Faccio colazione nel ristorante dell'albergo ed ho modo di provare i gustosissimi Pastéis de Belém. Tutti ne parlano come il vero sapore della tradizione. Non lo metto in dubbio, soprattutto dopo averne mangiato alcuni. Domani mattina li sostituirò alle anonime e monotone fette di pane imburrate con marmellata della specie più commericale. Solo pastéis e nient'altro. Dicono che ci sia una antigua receta secreta originaria del Mosteiro dos Jerónimos, il convento dove sono stati prodotti per la prima volta. Si tratta di deliziosi dolcini di pasta sfoglia ripieni di crema all'uovo, serviti tiepidi e spolverizzati di zucchero a velo e cannella. Insomma, per farla breve decido che in questi giorni ne mangerò molti. Esco dall'albergo con l'idea precisa di tuffarmi adesso nella "Lisboa letteraria". Cercherò di far finta di essere una specie di Sherlock Holmes che vuole scoprire un po' di identità culturale della città. Naturalmente, viaggiando da solo, non è presente con me nessun dottor Watson. Pertanto la famosa considerazione holmesiana: "elementare, Watson!" non potrò dirla. Decido, dunque, di fare una passeggiata attraverso il quartiere storico del Chiado che è una parte del Bairro Alto, posto sull'omonima collina, che è famoso per la presenza di caffè letterari e di statue di personaggi famosi nel mondo della letteratura portoghese, come Fernando Pessoa. Aquilino Ribeiro e José Saramago invece non hanno avuto questa fortuna. Per arrivare in questo posto caratteristico decido di prendere l'Elevador de Santa Justa, il famoso ascensore verticale in stile neogotico, e qui non posso non ricordarlo visto che sono stato a Paris, costruito da un ingegnere francese studente del più famoso Gustave Eiffel. Ricordo che a Lisboa esistono altri tre elevadores: da Bica, da Glória e do Lavra. L'Elevador è veramente caratteristico e prenderlo in salita mi fa sentire un vero lisboeta. A Roma non ne esiste esempio alcuno. Dal basso sembra una specie di fungo sottile alto 30 metri circa e più grosso nella parte finale alla sommità. Visto dalla parte bassa sembra che da un momento all'altro stia per cadere. Ebbene, cose da non credere, non posso usarlo perchè è rotto. Mi ricorda per certi versi il viaggio a Berlino quando arrivato all'imbocco della Unter den Linden vedo la Brandenburg Tor completamente foderato da una impalcatura per restauro. Anche lì grande delusione. Ho dovuto pertanto fare il percorso a piedi salendo da una ripida scalinata. C'è un bar alla sommità dell'ascensore, ma è chiuso anche quello. E poi io sono preso dall'idea di passeggiare subito per le rue del quartiere. La prima cosa che vedo è la Igreja do Carmo. Anzi, mi correggo, dei resti di quella che fu la Chiesa del Carmo. Ciò che vedo è lo scheletro degli archi di questa bella chiesa ridotta in questo stato dal terremoto di quasi centocinquanta anni fa. Doveva essere bellissima e provo amarezza nel vederla ridotta così. Le strutture rimaste sono bellissime. La passeggiata continua per le diverse rue fino ad arrivare in Rua Garrett che è il centro del Chiado, dove ho "un appuntamento": devo andare a prendere un caffè "con Pessoa", nel famoso Cafè «A Brasileira». Com'è noto, davanti al Cafè, c'è la statua di bronzo a grandezza naturale di Fernando Pessoa, seduto su una sedia con la gamba sinistra a cavallo. Pessoa fu un cliente abituale di questo Cafè nonostante la sua casa fosse un po' distante. Abitava a Campo de Ourique appena sopra i due cimiteri di Dos Prazeres e degli Inglês. Qui molti turisti fanno a gara per farsi ritrarre in fotografie a ripetizione, sedendosi accanto alla statua. In verità a cinquanta metri da qui c'è Praça Luis de Camões la cui statua al centro è dedicata a un'altra grande figura della cultura letteraria lisboetas che è il poeta nazionale Luis de Camões. Avremo modo di parlarne successivamente. In realtà Garrett è il solo cognome dello scrittore e poeta João Baptista da Silva Leitão de Almeida Garrett. In quest'area ci sono musei, librerie e teatri. Una sosta al Café "A Brasileira" sulle orme di Pessoa e degli intellettuali portoghesi è dunque d'obbligo. L'interno del Cafè "A Brasileira" è grandioso. L'arredamento è in stile Art Déco, con un ingresso dai colori verde e rosso della bandiera nazionale. Il bar poi è in legno pregiato lunghissimo. Mi seggo a un tavolo per bere un caffè accompagnato da un pasticcino di Belém. Mi chiedo che cosa avrebbe osservato Sherlock Holmes se fosse seduto qui al mio posto guardando tutto ciò che c'è da vedere in giro. I camerieri più o meno cortesi, l'arredo degli interni, i tavolini, il pavimento, il soffitto, i lampadari, gli orologi, il logo del caffè, la forma delle tazzine e la gente, tanta gente e tanti turisti di tutte le parti del mondo.

Qui, diciamo la verità, ci si sente liberi e si sta bene. Riesco a provare addirittura una piacevole sensazione dimenticata da tempo che mi ricorda quando ero bambino e mio padre mi portava nel bar centrale del paesino alle falde dell'Etna nel quale vivevo. Ebbene, quel bar era di riguardo, di grande interesse, frequentato da persone importanti del paese. Gli avventori si sedevano ai tavoli, molto simili a questo nel quale sono seduto io e bevevano il caffè, fumando sigarette. Io ero attratto dal lusso dell'arredo, dagli ottoni lucidi e, soprattutto, dalla pasticceria. In particolare mi piaceva la «pesca» all'alchermes rosso, il famoso dolce la cui forma è particolare e ricorda tale e quale una grossa pesca, divisa in due parti, con all'interno pan di Spagna e crema pasticcera. Il sapore dell'infanzia non si scorda mai. "Il binomio di Newton è bello come la Venere di Milo. Il fatto è che pochi se ne accorgono". E' un aforisma di Pessoa che posso qui applicare al caso dei due dolci, quello siciliano (la pesca) e quello lisbonese (i pastéis), che hanno molto in comune pur non essendo identici. Ovviamente entrambi sono belli (e gustosi) come la Venere di Milo. Senza ombra di dubbio il ricordo della presenza di Pessoa e di altri grandi scrittori portoghesi in questo quartiere è ricercato da turisti, media e gente comune. Ricordo che Fernando Pessoa, decine di anni addietro, scrisse un bellissimo libro che è da considerare un vero e proprio manuale di guida turistica della città, dal titolo «Lisbona. Quello che il turista deve sapere, Passigli Editore». Si è fatto tardi ed è ora di rientrare nel quartiere Baixa per pranzare in un ristorante caratteristico per le ricette del baccalà. Naturalmente non posso prendere l'Elevador. Poche centinaia di metri a piedi e mi ritrovo nella bianchissima e abbagliante Plaça da Figueira sotto un sole altrettanto accecante. In uno dei lati della piazza c'è Rua dos Correeiros nella quale trovo una "tasca", João do Grão, una piccola osteria che propone molte varietà di bacalhau. Qui si gusta il merluzzo essiccato cucinato in molti modi. A proposito di pietanze e quindi di cucina, dico subito che la mia infanzia è stata caratterizzata da moltissimi pranzi a base di piscistoccu. «Piscistoccu a ghiotta», «'nsarata di piscistoccu», «baccararu frittu» e «baccararu bugliuru» sono quattro pietanze che hanno origine tutte nell'essiccamento del merluzzo. Pulito e salato, all'aria aperta, secca e fredda dei paesi scandinavi, questi pasti hanno caratterizzato un periodo importante e delicato della mia infanzia e adolescenza. Come tali mi sono rimasti nel profono del mio immaginario culinario. Non temo smentite se affermo che il pescestocco (da "pesce" e "stock" o meglio da "stockfish", oppure stoccafisso) è un fatto culturale, una filosofia, un paradigma della cucina regionale italiana che non si inventa oggi, in qualche anno di frequentazione di corsi di cucina o di ristoranti. Mangiare questa pietanza qui nel cuore del magico Portugal, è una cosa seria. Il cameriere mi suggerisce di prenderlo all'aglio, insistendo con molta sfrontatezza. Mi dice che è irrorato di una frittura di aglio in olio che dà alla pietanza un gusto sapido e profondo. Per contorno del purè di patate o un misto di vegetali bolliti. Sebbene perplesso per una proposta fuori dalla norma (il baccalà così cucinato mi ricorda l'italico piatto degli spaghetti "aglio olio e peperoncino", che non è una pietanza da mangiare spesso ma è una ricetta originale per rari momenti e, tuttavia, accetto. Nell'attesa di questa scommessa dal gusto a dir poco "alla carrettiere" sono sorpreso di come i portoghesi possano aver inventato tante ricette inusuali, strane e tuttavia originali. In Italia sono pochi i piatti di baccalà che hanno radici e tradizioni culinarie regionali e utilizzate anche in sede nazionale. Quello "alla vicentina", per esempio, è il più famoso e accettato da tutti i veneti, ma con riserva dagli avventori del resto del Bel Paese. Escludo che un ristoratore in Italia possa presentare ai clienti del baccalà all'aglio fritto. Non avrebbe più clienti e dovrebbe chiudere. Eppure a me dopo averlo gustato con attenzione è piaciuto. Nel messinese i palati per questo pesce, importato principalmente dalla Norvegia ma che qui è prodotto ed essiccato anche in loco, sono molto più sensibili del resto dell'Italia. E' il pesce più consumato di tutti. Qui esiste una forte tradizione con il piatto famoso del "pisci stoccu a' ghiotta", una forma di stoccafisso, cucinato in casseruola, con pomodoro, capperi, olive e patate tagliati a tocchetti. Meglio se viene aggiunta della ventresca, che è più morbida e gustosa dei pezzi di baccalà e aggiunge valore al gusto. E' un piatto unico e non prevede secondi. Per i neofiti, aggiungo una piccola spiegazione, della differenza tra le due qualità di questa pietanza: il pesce stocco (o stoccafisso) è il merluzzo essiccato, mentre il baccalà è il merluzzo conservato sotto sale. Da Plaça da Figueira a Plaça Dom Pedro IV per poi raggiungere Plaça dos Restauradores il percorso che si snoda tra le tre piazze è il mio preferito. Nel Rossio noto la presenza di molti engraxadores, ovvero lustrascarpe, che mi colpiscono per l'insolita attività di pulizia delle scarpe ormai scomparsa in Italia.

In una piazza non affollata, con zone sconnesse nella pavimentazione che avrebbero bisogno di qualche intervento di ristrutturazione, i lustrascarpe sono sparsi uniformemente lungo il marciapiedi vicino alla facciata in cui c'è l'ombra del sole. A giudicare dalle sedie vuote dei clienti non sembrano avere molto lavoro, almeno in queste ore pomeridiane. Immagino che per la sera, con il passeggio nella zona pedonale e dello shopping che si estende verso l'Arco da Rua Augusta e Plaça do Commercio, ci saranno molte richieste. Pensandoci bene mi viene voglia di farmi spazzolare le scarpe ma la premura di rientrare in albergo e riposarmi dopo l'impegnativa mattina sempre in movimento spegne in me qualunque velleità di eleganza. Il pomeriggio lo dedico a visitare la parte sud della città, vicino al Rio Tejo che mi attira per la sua acqua dolce che scorre placidamente nel suo enorme alveo tanto da sembrare un golfo marino. La cattedrale del Sé de Lisboa è particolarmente bella ancorché poco curata. Sembra più una fortezza che una chiesa. Si trova nel quartiere Alfama ed è la chiesa più antica di Lisboa. Ha due torri campanarie ai lati che la fanno sembrare un antico castello merlato di tipo medievale. E' stata costruita sui resti di una antica moschea. Già questo le dà una caratteristica storica di un certo rilievo. In effetti anche se si parla poco di storia antica portoghese la dominazione araba fu presente non solo in Spagna ma anche qui e in tutto il Portogallo. La cattedrale è semplice nella sua architettura. Presenta un orologio solo sulla parte destra ed espone un magnifico rosone al centro. Il tutto si presenta come una immagine di equilibrio e di armonia così bella da "costringermi" ad ammirarla a lungo. Salgo i pochi scalini del sagrato e subito dopo quelli del portone della cattedrale. L'entrata ha due porticine frontali. L'interno è a forma di croce, con tre navate e cappelle radiali. Costruita con una specie di travertino bianco, che la fa sembrare più bella, è circondata da una strada che si biforca davanti all'entrata principale in modo tale che i binari del tram, chiamati qui carros eléctricos, la costeggiano nella parte sinistra della sua facciata esterna. Non c'è nulla di straordinario e forse ciò che è più sorprendente è proprio la semplicità con la quale si presenta al visitatore. Camminando per la Lisboa antica vedo molti negozi di piccolissima superficie. E poi ci sono tante salite e discese che stancano enormemente. I rintocchi della campana di una chiesa che scandisce lentamente le ore mi ricorda la chiesetta del mio paese. L'architettura verticale della case interne nella parte vecchia del paese è simile a quella di molti paesi del meridione d'Italia. I costumi delle anziane signore, che trascorrono ore nelle viuzze interne della parte vecchia del paese, sono identici a quelli siciliani. Il sapore poi di un rametto di liquirizia non fa altro che aprire i miei lontani ricordi come quando si apre un vecchio baule dimenticato in soffitta. Quanti pensieri e quanti lontani ricordi della memoria si sovrappongono nella mia mente. Trovo un internet cafè e devo fare una lunga fila prima di potere sedermi a una postazione. Ci sono solo dodici postazioni, di cui due fora serviço. Per complicare le cose la tastiera manca dei tasti degli apostrofi e delle vocali accentate. Una vera e propria fatica per scrivere degli appunti di viaggio. A cena mangio di nuovo nello stesso ristorantino del giorno prima. Assaggio di nuovo il bacalhau ma questa volta lo scelgo con i ceci. Ottimo. Da bere prendo una piccola bottiglia di vinho tinto suggeritami dal cameriere. Sull'etichetta vi è scritta la seguente frase: Seja responsavel, beba com moderaçao, cioè sia responsabile, beva con moderazione . Mi chiedo: anche volendo, come avrei potuto ubriacarmi con una bottiglietta di appena 33 cl? A proposito. Attenzione alla marca del vinho porto, perchè ci sono ben cinque tipologie di questo gustoso vinho quante sono le qualità del tenore zuccherino e di altre qualità organolettiche presenti in esso. Abbiamo il "tawny" con gusto leggermente zuccherino, il "crusted" che è un vino giovane, il "red" anch'esso giovane ma dolce, il "ruby", forse il più conosciuto perchè invecchiato di pochi anni e, infine, il "vintage" di qualità eccezionale per palati esigenti.

Terzo giorno Sabato 9 agosto.Il giorno seguente, dopo una scorpacciata di pastéis de Belém a colazione, parto per visitare la parte sud-est della città che si affaccia sul Tejo, a Belém. Non ho le idee chiare ma so che in questo tratto esistono alcuni luoghi e monumenti importanti da dover essere visti a tutti i costi. Li elenco: Monumento alle scoperte, Torre di Belém, Museo delle Carrozze, Monastero di Jerónimos, Giardini di Alfonso de Albuquerque e di Vasco da Gama, Fabrica de Pastéis de Belém, Museo dell'elettricità, Porticciolo di Belém Marina, Centro Culturale di Belém e altro ancora. Secondo me c'è troppa carne sul fuoco. Sarò costretto a fare delle scelte e sacrificare qualche obiettivo. Non mi piace fare troppe visite veloci e superficiali, del tipo "mordi e fuggi", scappando di qua e di là, in fretta, con l'ansia di vedere tutto. Io ho bisogno di tempo, di vedere con calma, riflettere, fare confronti, individuare il periodo storico, richiamare alla memoria pezzi di storia della scienza e della letteratura , individuare personaggi famosi che hanno legato il proprio nome a quel luogo o a quell'evento o a quel monumento. In poche parole, mi piace "dare senso" alle visite. Niente di più, ma neanche niente di meno. E poi sono sempre alla ricerca di emozioni che luoghi importanti sotto il profilo culturale possano essere in grado di produrre in me passioni e sentimento. Colpiscono tanti aspetti caratteristici di questo quartiere. Intanto il Ponte, quello costruito per primo lo si vede a sinistra e non più a destra come ero abituato a vederlo dalla Baxia. Il Rio Tejo ha colori azzurri e per l'ennesima volta lo ripeto non sembra un fiume ma un golfo con all'interno il mare. Dico subito che il luogo dove è ancorato il Ponte del 25 de Abril si chiama Alcântara e si trova a fianco a Santo Amaro dove c'è il Centro de Congressos. Il nome ha chiaramente origini arabe. Deriva da Al Qantara (القنطرة). E sappiamo anche che di "alcantare" è piena l'Europa mediterranea del profondo sud. In Sicilia, per esempio, c'è un fiume chiamato proprio Alcàntara. Nasce nei Nebrodi e dopo un breve passaggio alle falde dell'Etna si immette a Giardini Naxos nel mar Ionio fluendo debolmente sotto le campate del ponte di origine islamica Al Qantara (il ponte ad arco), dal quale derivò il nome. Fin da bambino quando viaggiavo per andare a Catania, sulla statale 116, dovevo attraversare obbligatoriamente un ponte costruito su questo fiume e il nome del corso d'acqua veniva ripetutamente richiamato con enfasi da chi guidava l'auto durante il passaggio sul fiume. Dunque, il nome della località vicino al ponte mi colpisce perchè familiare. D'altronde Al-Qantara non è la sola parola di derivazione araba presente nella lingua portoghese. Per esempio le "azulejos", cioè le famose piastrelle moresche di ceramica smaltata di colore preminentemente azzurro, hanno una etimologia araba che vuol dire "tessera di un mosaico" e la relativa arte decorativa fu introdotta proprio dagli arabi. Col tram 15, il famoso e vecchissimo tram n.15, arrivo comodamente a Belém. Prima però racconto una scena che ho visto con i miei occhi. Il conducente del tram è una guidatrice, una bella donna biondissima che fa volare il veichulo. A una fermata sale un signore anziano di colore con dei denti bianchissimi che si mette vicino a lei in attesa della partenza. Nel frattempo la conducente apre il finestrino laterale. La corrente d'aria colpisce in pieno il poveretto, tanto che aveva difficoltà a tenere il cappello con le mani mentre lei con aria severa non lo degna di alcun riguardo. Improvvisamente al poveretto vola via il cappello. Lei frena il tram apre la porta e attende che il signore scenda a recuperare il prezioso copricapo e ritornare nel mezzo per poi ripartire. Una scena di altri tempi. La prima cosa che voglio vedere è il Padrão dos Descobrimentos. Cosa dire di questo capolavoro? Intanto si trova di fronte al Monastero dos Jerónimos altro capolavoro di architettura manuelina. Poi celebra l'era delle scoperte realizzate dai navigatori portoghesi fra il '400 e il '500. A seguire, sulla prua della caravella è rappresentato Enrico il Navigatore (in portoghese Infante Dom Henrique) con una caravella in mano. Dire che è bellissimo è riduttivo. Lo trovo emozionante, in grado di entusiasmare. Infine, il materiale utilizzato rassomiglia molto al travertino romano. Mi ricorda molti monumenti di Roma e vedo nelle forme di questo capolavoro di scultura molti motivi che si trovano all'EUR, vicino al Palazzo della Civiltà italiana, l'edificio a forma di parallelepipedo ricoperto di travertino bianco senza finestre con tanti archi su ogni facciata, in cui c'è la famosa scritta: «VN POPOLO DI POETI DI ARTISTI DI EROI DI SANTI DI PENSATORI DI SCIENZIATI DI NAVIGATORI DI TRASMIGRATORI». In più, la scelta di mettere a prua, tutti in fila, gli eroi portoghesi di molti campi della cultura, compreso il poeta Camões e il pittore Gonçalve, è tipica di chi crede nei valori della cultura in generale e della scienza, dell'arte e della letteratura in particolare, vere fucine di creatività dei popoli. Su Luis Vaz de Camões ci sarebbe da parlare molto in un resoconto di viaggio che riguarda Lisboa. Intanto Camões nacque a Lisboa. Dunque è lisboeta. Poi è l'autore della celeberrima opera "Os Lusiadas", leggendaria opera epica che riguarda i Lusiadi, mitici antenati dei portoghesi. Successivamente perchè Camões sta ai lusitani come Cervantes sta agli spagnoli e Dante Alighieri sta agli italiani. Vi pare poco? Da notare che l'opera principale Os Lusiadas è, a detta di Alois Weimer e Britta Langer autori di una breve ma incisiva mini guida di Lisboa, un "poema epico nazionale portoghese che ripercorre i momenti di gloria della nazione portoghese il cui nucleo fondante è la narrazione del viaggio di Vasco da Gama, colui che avviò la grandiosa epopea delle scoperte geografiche". Come dire l'esempio più significativo della portoghesità che inerisce all'essenza stessa dello spirito della nazione. Non dimentichiamo che se gli spagnoli si definiscono conquistadores, i portoghesi si definiscono descombridores mentre gli italiani trasmigratori (ma questo è un altro discorso). E il Padrão dos Descobrimentos ne è un esempio illuminante. Per inciso la figura di Camões si trova sul lato orientale della caravella, quella rivolta ad est tanto per intenderci, ed è la dodicesima statua a partire dalla prima raffigurante come ho detto sopra Enrico il Navigatore. Questo "Monumento alle Scoperte" per me è bellissimo. Ci rimarrei qui tutta la mattinata a guardarlo. E poi il paesaggio e la pavimentazione con la sua gigantesca rosa dei venti sono assolutamente da vedere. A sinistra il Ponte 25 de Abril e Cristo Rei. Alle spalle il Monastero dos Jerónimos, di fronte l'Almada e l'altra parte della riva del Tejo e a destra l'Oceano Atlantico. Tra le tante cose il Rio Tejo mi ricorda lo Stretto di Messina, fra Calabria e Sicilia, con la sua enorme porta di entrata nella città di Messina dal mare. Cosa volete di più? Un vero e proprio gruppo di gioielli artistici non solo simbolici ma effettivamente meraviglie indimenticabili di panorami che lasciano senza fiato. Lisboa mi piace decisamente. Mi sposto adesso al Planetario. Il Planetário Calouste Gulbenkian - Centro Ciência Viva in Praca do Imperio si trova a Belém, di fronte al Centro Culturale di Belém. La cupola del Planetario ha 25 metri di diametro. La visita consiste nel mostrare il cielo stellato di Belém e il solito viaggio immaginario attraverso le stelle, il sistema solare e la Luna. Per completare il percorso di visite lato mare mi sposto di un chilometro verso la Torre di Belém, luogo storico e simbolico che rappresenta il punto di partenza di Vasco de Gama quando salpò per le Indie. Il posto è molto bello. La torre è un gioiello di architettura manuelina. Sembra finta, tanto è perfetta. A vederla davanti a me sembra una specie di "veliero" con la prua nel mare e la poppa (alta quattro piani di decorazioni e merlature sublimi) ancorata alla terraferma in procinto di salpare. La torre è stata costruita con lo scopo di essere contemporaneamente faro, torre di avvistamento e fortezza a guardia del porto di Restelo. All'interno la sensazione di trovarsi in una fortezza è confermata da tutta una serie di elementi tipici della difesa militare di un fortino. Cannoni, feritoie, merli, archi costruiti per produrre una "macchina da difesa e combattimento" compatta ed efficiente. Non mancano torrioni e finestroni in cima, in grado di fare scena su eventuali attacchi dal mare. In più le pareti dell'edificio sono state scolpite ad opera d'arte, la cui perfezione avrebbe sicuramente impressionato i nemici e scoraggiato invasioni belliche. La successiva tappa è la visita alla Igreja Dos Jerónimos che fa parte del meraviglioso Monastero dos Jerónimos costruito anch'esso in stile manuelino. "Manuelino" è un aggettivo che deriva dal nome del re Emanuele I che durante la Sigla de Oro, ovvero l'epoca di splendore portoghese degli inizi del '500, decise la costruzione di questo capolavoro unico di architettura. Ricordo che oltre allo stile manuelino a Lisboa esistono uno stile moresco (Alfama), uno stile pombalino (Baixa) e uno stile contemporaneo (Parque das Naçóes), senza dimenticare la presenza delle famose piastrelle azulejos che introducono uno stile tutto indigeno. A osservarlo con attenzione si rimane senza fiato per la maestria degli ornamenti e la bellezza delle facciate. Bellissimo è anche il magnifico portale meridionale della chiesa nonché del chiostro interno e della cappella nella quale riposano le spoglie di Fernando Pessoa. Nella chiesa poi si può trovare la salma di Vasco da Gama. Le preziosità di questo edificio sono costate moltissimo. Furono le ricchezze provenienti dalle Indie a consentirne la costruzione e le successive rifiniture. La chiesa poi è bellissima. Le colonne di pietra la rendono affascinante e antica quanto basta per poterne apprezzare di più gli interni soprattutto del soffitto, nel contrasto con le decorazione dell'altare e le bellissime vetrate da cui filtrano colori di luci splendidi. Il chiostro interno poi è un esempio di perfezione stilistica e architetturale con le pareti dei muri intarsiate di sculture di pietra. Tappa successiva al Museu Nacional dos Coches de Belém, ovvero al Museo nazionale delle carrozze. Si, una specie di museo delle vetture dei secoli passati. Si trova nell'antico Palazzo di Belèm, oggi residenza della Presidenza della Repubblica Portoghese. Ce ne sono di tutti i colori. Sono sessanta. Piccole ed enormi, reali e per ambasciate, dipinte d'oro e intarsiate in mille maniere, a forma di cocchio o di carrozzella, adibite agli usi più diversi come viaggi, sfilate, passeggio e via discorrendo. E' incredibile la quantità e qualità delle forme e delle dimensioni di queste carrozze. Ci sono anche carrozze per ambasciatori enormi e rifinite così bene che è uno scandalo immaginare quante risorse sono state sottratte al popolo. Una carrozza spicca in modo particolare ed ha a che vedere con il Vaticano. E' stata costruita a Roma. Non si finisce mai di stupirsi. Insomma, una vera e propria settima meraviglia del mondo. La sensazione che si prova a vedere questo lusso sfrenato e inutile che i regnanti dei secoli passati mostravano ai propri cittadini è sconvolgente. Quante energie e quante risorse sprecate per il solo motivo di esibire la propria ricchezza . Le varie didascalie presenti vicino a ogni carrozza informano che alcune di queste sono state regalate ad alcuni Papi, a Clemente XII in particolare, due carrozze enormi, grandi quasi quanto un voluminoso TIR. E poi da notare i decori barocchi, il lusso, i damaschi e i velluti interni. Un vero e proprio furto alla società del tempo ai danni dei meno abbienti. Provo disgusto a pensare quante fatiche e quanti ladrocini sono costati alla povera gente del tempo questi mezzucci dei regnanti portoghesi per ingraziarsi il Papa. Una vero e propria iattura che emerge tutte le volte che si tenta di vedere come funzionava il mondo dei secoli passati nel quale ha sempre regnato l'ingiustizia. Avverto l'esigenza di uscire e di mangiare qualcosa di gustoso. Forse un pasticcino potrebbe essere una soluzione. Avete capito che non posso non fare una piccola sosta all'Antiga Confeitaria Pasteleria de Belém che si trova vicino al monastero. Sto parlando della Fabrica de pastéis de Belém che si trova in Rua de Belem, ed è l’unica pasticceria al mondo dove è possibile acquistare gli autentici pasteis de Belém. E' inutile dirlo ma questo locale è meta di un vero e proprio pellegrinaggio, chiaramente non di tipo religioso.

Quarto giorno Domenica 10 agosto.Oggi è il giorno che precede la partenza. Per la prima volta da quando sono arrivato in terra lusitana sono costretto a pensare al rientro a Roma e, dunque, alla partenza da questa bellissima città. Finora ho vissuto le giornate pienamente, senza pensieri, senza essere schiavo di orari e di preoccupazioni per il ritorno in Italia. Cercherò di vivere questa giornata non facendomi prendere dall'ansia del viaggio di rientro e completare nel migliore dei modi il mio percorso di viaggiatore innamorato della bella capitale portoghese. Oggi è domenica ed è giorno festivo. Mi aspetto pertanto che la vita della città sia diversa dal resto della settimana. Ho un paio di obiettivi da conseguire: per primo visitare il Pavilhao dos Oceanos, ovvero l'Oceanário. Successivamente continuare l'esplorazione di alcune parti della città e, infine, concludere la giornata con una cena in un ristorante del Chiado a base di bacalhau e fado nel cuore della Lisboa musicale. Iniziamo dalla mattina. L'Oceanário si trova sulla riva destra del Rio Tejo, a nord-est del centro cittadino e all'interno del Parque das Naçóes. Per raggiungerlo prendo la metro, linea rossa Alameda-Oriente, che mi porta al capolinea, fermata Oriente. All'uscita dalla stazione una giovane donna, grassa, di pelle scura ma non nera, cade rovinosamente sul selciato facendosi male a un piede. Poveretta deve farle molto male perchè grida qualcosa che non capisco. Tento di sollevarla da terra ma non solo non ci riesco ma è peggio perchè grida sempre di più. Finalmente sopraggiunge un'altra signora che l'aiuta a parlare e a intendersi. Io vado via senza capire assolutamente nulla di ciò che grida la poveretta. Maledette lingue. Sempre loro. Penso che la maledizione peggiore che è stata data all'uomo è proprio l'invenzione delle lingue, una vera maledizione. In un solo colpo sperimento l'impotenza e la caducità della vita: se fossi caduto io a quest'ora chissà cosa sarebbe successo. Com'è fragile la vita. Il quartiere dove si trova l'Oceanário è moderno ed è stato costruito in occasione dell'Expo 1998. Tra le tante cose qui c'è il Centro commerciale "Vasco da Gama" costruito a forma di veliero che vorrei vedere. Esco dalla metro e a piedi mi dirigo in una piazza enorme e bianca dalla presenza di blocchi di travertino in tutti i posti, chiamata Esplanada Dom Carlos I che mi ricorda ancora una volta l'EUR a Roma. Mi muovo quindi verso l'edificio dove si trova questo famoso Pavilhao dos Oceanos. L'Oceanário è effettivamente enorme, interessante e significativo sotto il profilo della fauna marina che riesce a proporre. Questo "museo" del mare, che si trova all'interno di una enorme vasca piena d'acqua, è il più grande acquario d'Europa e, se non sbaglio, il secondo al mondo. L'idea base dell'acquario lisbonense è che si possono riprodurre in modo significativo tutti gli ambienti oceanici del mondo. Dunque, mi aspetto ambienti acquatici non solo dell'oceano atlantico ma anche di quelli che furono mete di Vasco da Gama per intenderci. La curiosità è grande. L'edificio si trova come dicevo prima al centro di un laghetto artificiale e sembra una moderna costruzione posta su palafitte per isolarsi dal resto come un tempio religioso. All'interno ci sono gigantesche pareti piena d'acqua trattenuta da una superficie trasparente che fa vedere pesci e squali di tutti i tipi e di tutte le dimensioni ad altezze inverosimili dal pavimento. Ci sono anche tartarughe marine e centinaia di specie diverse di vegetazione marina. Sostanzialmente la visita consiste nell'attraversare i diversi habitat naturali tipici dei vari oceani del pianeta. Vedo razze e anguille gigantesche e pesci sconosciuti più o meno enormi, tozzi e brutti più di una maschera per terrorizzare. Mi chiedo quanti altri tipi sconosciuti di pesci esistono negli oceani che non sono mai stati visti. Ma la considerazione più delicata la faccio pensando all'eventuale rottura del vetro della parete dell'acquario. In pochi secondi verrebbero giù centinaia di tonnellate d'acqua da far rabbrividire anche il più famoso regista di film sulla fine del mondo. Forse è meglio che mi sbrighi nella visita e vedere il minimo possibile. Penso che la cosa migliore sia di visitare subito il Centro commerciale "Vasco da Gama". Senza ombra di dubbio il supermercato di questo gigantesco centro commerciale è enorme. Ci sono tante cose da vedere. Girando nei vari reparti sono colpito dalla vastità di frutta tropicale. Ci sono frutti tropicali di tutte le specie che in Italia normalmente non si vedono. Noto con sorpresa delle confezioni sottovuoto di tremoço. Incuriosito le guardo con attenzione. Sembrano sacchetti sottovuoto di lupini. Ne compro uno col proposito di assaggiarli e confrontare il loro gusto con quello italiano. Lo farò appena sarò arrivato in albergo. Finora non avevo mai visto alcuna confezione di lupini in nessun'altra capitale d'Europa, tranne Roma naturalmente. Nel reparto salumi vedo delle confezioni di prosciutto o meglio di coppe, una delle quali mi incuriosisce perchè viene chiamata touchinho. Con difficoltà scopro che è del lardo. In Italia abbiamo il lardo di Colonnata e il lardo di Arnad, mentre qui c'è il touchinho do céu, cioè il "lardo del cielo". Però. Vedo che i portoghesi se ne intendono di cucina. Trovo in un'edicola il quotidiano il Corriere della Sera e in un bar sorseggio una bica. All'ora di pranzo entro in uno dei self service per mangiare qualcosa di leggero e rinfrescante. Una insalatina mista e della macedonia di frutta tropicale mi permetterà di fronteggiare il caldo del pomeriggio. All'uscita, lungo un lato del centro commerciale vicino al Parque das Nações, vedo chiaramente sul Rio Tejo il lunghissimo "Ponte Vasco da Gama" (più di una decina di chilometri) in grado di collegare le due sponde del fiume. Il ponte, di spettacolare ha la lunghezza e la sola prima parte, che si trova tra due enormi e alti tralicci di cemento, che lo rendono spettacolare. Per il resto è sostenuto da una serie di piccoli piloni molto ravvicinati e non molto alti dalla superficie dell'acqua che non deve essere profonda. Lungo la linea del bagnasciuga del Rio Tejo vedo una teleferica in orizzontale, con due file di cabine che si muovono in versi contrari. Capisco che collegano le estremità del parco per permettere a coloro che lo desiderano di osservare lo spettacolo del Rio Tejo attraversato dal Ponte Vasca da Gama. Lascio il quartiere convinto sempre più che come Roma la capitale portoghese ha molti punti in comune. Lo stesso Parque das Nações alla buona mi ricorda il quartiere EUR della capitale italiana. Certo ci sono molte diversità ma l'accostamento non credo sia sbagliato. Nel tardo pomeriggio mi sposto al Chiado. Devo di nuovo "fare visita a Pessoa" e gustare un aperitivo. Mi seggo di nuovo al Cafè "A Brasileira" nel quale sorseggio del buon Porto con delle olive dolci. Il caldo si fa sentire. Questa volta nel quartiere letterario ci rimarrò di più perchè intendo cenare, come ho anticipato prima, in un ristorante tipico che contemporaneamente mi proponga per la terza volta una pietanza di bacalhau e il fado con la sua dolce musica. E' appena il tramonto quando dopo una lunga passeggiata nelle stradine del quartiere entro nel Restaurante Típico 'O Faia, nella cosiddetta Casa de Fados, il ristorante situato in Rua da Barroca, 56 nel Bairro Alto. Il locale non è certamente un cinque stelle. I tavoli sono molto vicini tra di loro e i coperti non sono all'altezza di un ristorante di buon livello. Mi seggo a un tavolo da due posti. Non c'è molta gente anche perchè sono in anticipo sugli orari dei clienti abituali. Ma io voglio sbrigarmi, cenare subito tra i primi clienti in modo tale da rientrare subito in hotel e preparare la valigia per il viaggio di rientro di domani. Non ho assolutamente intenzione di fare tardi e, soprattutto, non voglio scherzi come la prima sera. Dunque, c'è ancora luce quando ordino al cameriere un piatto di baccalà al pomodoro e del vinho Mateus Rosè. Per farmi comprendere lo chiamo bacalhau com tomate, o qualcosa del genere, e spero che sia del baccalà cucinato in casseruola, con pomodoro, cipolla, patate ed olive. Niente crudità anche se alcune volte l'ho mangiato crudo a insalata perchè condito con olio e limone e una manciata di prezzemolo. In Sicilia, come ho detto in precedenza, si chiama pesce stocco "a ghiotta". Al mio paese il pesce stocco “a ghiotta” si mangia come piatto unico, accompagnato da pane casereccio raffermo adagiato sul fondo del piatto sul quale si versa il merluzzo cucinato. Alla mia sinistra, vicino alla parete, c'è una pedana di legno sulla quale appare subito dopo una cantante fadista, abbastanza corpulenta, non più giovane, vestita di nero e accompagnata da due aitanti chitarristi. Inizia a cantare il fado nel momento in cui il cameriere mi porta la pietanza ordinata, tra suoni melodiosi e struggenti che mi ricordano la vecchia canzone napoletana rivisitata in salsa portoghese. Siamo in pochi e tutti turisti. Quando sono a metà pasto un signore e due donne si seggono davanti a me a un tavolo vicino da quattro posti. Non presto loro attenzione perchè sono impegnato a gustare il piatto e studiare la ricetta. Mi ricorda un po' la stessa pietanza che cucinava mio padre in inverno quando io ero bambino, i cui ingredienti erano: olio extravergine d'oliva, cipolle, capperi, sedano, olive verdi in salamoia, patate tagliate a tocchetti, pomodori o salsa di pomodoro, pepe nero macinato, un po' di peperoncino piccante, sale q.b. e pezzi di baccalà ammollato prevalentemente della parte superiore vicino alla testa. Qui però non ci sono i capperi (che, insieme al sedano caratterizzano la sicilianità e l'unicità della ricetta), le olive sono nere e manca anche il peperoncino piccante. Faccio presente che con gli stessi ingredienti e la stessa procedura è possibile cucinare il pesce spada, tagliato a pezzetti o arrotolato in involtini. Orbene, mentre ero alle prese con la piacevole pietanza sento una delle signore seduta al di là del mio tavolo dire in dialetto siciliano: "bedda matri, ma 'ca si po' manciari u piscistoccu a ghiotta"? Non ci crederete ma nei restanti minuti in cui sono rimasto al tavolo ho dovuto sorbirmi le considerazioni non proprio lusinghiere dei tre avventori sulla cucina portoghese. Vi risparmio poi i luoghi comuni sui portoghesi non esattamente di riguardo verso gli indigeni e avrete un'idea di come non ci si dovrebbe comportare all'estero.

Quinto giorno Lunedì 11 agosto. "La fine di un viaggio è solo l'inizio di un altro". Lo dice il grande scrittore e poeta portoghese José Saramago nel suo bel libro Viagem a Portugal. E aggiunge: "Devo vedere ciò che non ho finora visto. Devo vedere di nuovo ciò che ho visto in primavera per vedere com'è in estate. Devo vedere di giorno per vedere quello che ho visto di notte, con il sole dove è caduta la pioggia [...] Devo iniziare il viaggio. Sempre". Straordinario. Sono d'accordo al 100%. Un luogo da visitare dovrebbe essere visto due volte. Una prima volta per vedere com'è e una seconda volta per capire se è come è stato. Visitare un luogo piacevole in estate e in inverno ha il sapore della profondità della visita. Purtroppo nei miei viaggi non posso mettere in pratica il suggerimento di Saramago. Parto da questa struggente città con tristezza mista a nostalgia. Sono sicuro che la ricorderò sempre. Di seguito propongo le coordinate di cinque guide in lingua italiana oltre alle altre di questa meravigliosa città che possono essere utili a chi desidera scoprirla e gustarla meglio di me. 1) Matthew Hancock, Lisbona, Vallardi Viaggi, 1999; 2) Laura Cipriani, Lisbona. Città dell'inquietudine, Unicopli, 2003; 3) Marco Moretti, Lisbona, Clupguide, 2002; 4) Luciana Savelli, Lisbona e dintorni, Bonechi, 2000; 5) E.Ferreira-J.Cabello, Lisbona, Bonechi, 1997. Arrivederci al prossimo viaggio a Budapest.


Elenco dei report di viaggio delle capitali europee già pubblicati.

INTRODUZIONE ALLA SEZIONE VIAGGI
AMSTERDAM Nederland
LONDRA Great Britain
PARIGI France
VIENNA Österreich
MADRID España
LISBONA Portugal
BERLINO Deutschland
PRAGAČeské Republika
DUBLINO Ireland Dublin
ATENE Ελλάς Αθήνα
STOCCOLMA Sverige
HELSINKI Suomi
LUBIANA Slovenija Ljubljana
NICOSIA Cyprus Lefkosia
LA VALLETTA Malta
SOFIA Бългaри София
BUCAREST Romania Bucureşti
BRATISLAVA Slovensko
BRUXELLES Belgio
BELGRADO Srbija Београд
OSLO Norge
ZAGABRIA Hrvatsk
TIRANA Shqipëri
MOSCAРоссийская Федерация
BIBLIOGRAFIA LETTERATURA DI VIAGGIO


Manuali e guide di viaggio adoperate.











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