martedì 9 dicembre 2014

Mondo de che”? Era tutto prevedibile e denunciabile.


Vergogna per i recenti misfatti della capitale. Dovrebbero tutti vergognarsi. Noi l’avevamo previsto e lo abbiamo sempre denunciato. Ma andiamo per ordine. Scrive ieri l'altro Galli della Loggia sul CdS : "Non è più Tangentopoli, ormai. È Mahagonny, la città immaginata dalla fantasia di Brecht e Weill dove è legge l’assenza di legge […]. Non è più, insomma, la collusione dell’epoca di Mani pulite tra industriali senza scrupoli e politici pronti a vendere e a vendersi. Ormai è l’intreccio sempre più organico tra politica, amministrazione e malavita. È - si direbbe - la fase immediatamente precedente la conquista del potere direttamente da parte del crimine”. Parole terribili e spaventosamente vere. Inizia così - e termina peggio - l'articolo di Galli della Loggia, dal titolo "Mafia capitale e le chiacchiere degli smaliziati". Consigliamo ai molti strabici e disattenti presuntuosi della politica, che risultano spesso anche smemorati, di leggere attentamente l’articolo - che ha preso spunto dall’opera musicale teatrale scritta nel 1930 da Bertoldt Brecht - perché ci sono interessanti considerazioni cui fare riferimento circa l’ipocrisia di tutti coloro che hanno sempre affermato che era irrispettoso parlare male di Roma e dei romani, come abbiamo fatto noi per più di un decennio su questo blog. A chiare lettere abbiamo sempre denunciato che era eticamente discutibile e moralmente riprovevole il modo in cui i politici romani “cucinavano” i cittadini a fuoco lento, saccheggiando il loro diritto ai servizi. Noi, inascoltati, lo avevamo previsto, almeno dal 2003 quando nacque questo blog, mettendo “nero su bianco”, con prove scritte inoppugnabili. E adesso, che cosa dovremmo dire a proposito di Lor Signori, a proposito cioè del fatto che dal nostro blog - da più di undici anni - abbiamo sempre denunciato l’immoralità di una città e della sua classe dirigente politica, imprenditoriale e dirigenziale che era là davanti agli occhi di tutti mentre nessuno, colpevolmente, vedeva nulla? Basterebbe leggere alcune decine di nostri post, perfettamente rintracciabili nell’indice e si avrebbe la diretta conferma che la nostra critica ai romani e a Roma era veritiera. In questo blog l'intestazione dice tutto. In essa abbiamo scritto ciò che potete leggere direttamente con i vostri occhi. E’ sufficiente che alziate gli occhi sulla parte alta dello schermo e troverete il "programma" del blog. Tra l’altro abbiamo scelto queste parole perché sono la sintesi della disonestà romana della capitale. Quando affermiamo che questo blog assicura nelle sue pagine "il disprezzo per i disonesti “ e che è “molto forte anche il desiderio di fustigare i costumi degli italiani e di censurarne i comportamenti incivili e delinquenziali" diciamo che in questa immensa cloaca che è la città di Roma avevamo intuito tutto fin dall’inizio e che ”i mondi di sopra, di mezzo e di sotto” non sono altro ciò che noi denunciavamo! Aggiungiamo che avevamo le idee così chiare circa il modo in cui si comportava l’intero establishment di Roma (i cui elementi per inciso hanno sempre fatto finta “de gnente”) che abbiamo dato a due gruppi di post (etichette) i nomi di "malcostume" e di "romani". Andate a leggervi alcuni di questi post e troverete l’oggetto delle nostre critiche. Adesso però tutti gli inquisiti (politici, rettori, comandanti dei vigili, geometri, funzionari comunali, manager di Ama, Atac, Eur Spa,etc.) hanno “sorprendentemente” fatto cadere dalle nuvole Lor Signori , facendo dichiarare loro che era impossibile immaginare la gravità dei fatti scoperti dalla magistratura. Tutti questi post parlano di Roma e dei maneggioni romani, con le loro corti di parenti, che hanno confermato il degrado e l’immoralità dei politici e dei loro sodali dirigenti delle municipalizzate che noi abbiamo giudicato per quello che erano: un colossale sistema di profittatori e parassiti che rubavano alla collettività i soldi pubblici con i quali si sarebbe potuto risolvere il deficit di servizi a Roma che noi lamentavamo. Ecco un piccolo esempio del campionario di post pubblicati : 27nov2008 / 30dic2008 / 25mar2009. Adesso tutti sono diventati dei Robespierre. Adesso, non prima. Improvvisamente i romani hanno scoperto l’etica. A nostro parere ne dimenticheranno il significato appena i media caleranno il sipario su questa squallida storia. Purtroppo.

sabato 6 dicembre 2014

Incognite e cortocircuito della Roma fascio-mafiosa.


Tutti i giornali hanno pubblicato notizie rilevanti circa l’incredibile organizzazione criminale mafiosa con tinte fasciste scoperta a Roma dalla magistratura. Molti giornalisti hanno parlato del sistema delle tangenti e degli affari criminali in funzione più dei desiderata dei loro editori che in modo superpartes. Per esempio, molte notizie hanno riguardato più il cercare di incastrare il Pd e l'attuale sindaco Marino o l’ex sindaco Alemanno piuttosto che proporre un’analisi scientifica di tipo socio-antropologico circa il come mai si è verificato questo grave fenomeno a Roma senza che nessuno avesse avvertito nulla. Orbene, quasi nessun giornalista ha messo a fuoco due temi che a nostro parere potrebbero condizionare l’evoluzione dell’inchiesta. Vediamo di proporli noi visto che “chi dovrebbe” non lo fa. Chiameremo i due temi con i nomi “campagna mediatica” il primo e “condizionamento ambientale” l’altro. Di che si tratta? Cominciamo col dire che il primo tema consiste nel fatto che molto probabilmente sta per iniziare una campagna mediatica a sostegno e in difesa di arrestati e indagati con lo scopo di mettere in difficoltà il lavoro dei magistrati. Aggiungiamo anche una eventuale campagna di stampa fatta di articoli pro-indagati. Si può andare dal capo di imputazione ritenuto irregolare al diritto dei coinvolti circa la presunzione di innocenza; dalla richiesta della libertà provvisoria alla derubricazione dei reati; dalla pubblicizzazione di prove a favore degli imputati alla insussistenza dell’aggravante della matrice mafiosa; e via discorrendo inserendo anche la prospettiva della prescrizione. L’obiettivo è calmare le acque. Poi si vedrà. Il secondo tema riguarda un doppio cortocircuito che coinvolge i cittadini della capitale per mettere in evidenza ciò che pensano veramente della vicenda. Roma conta tre milioni di abitanti, molti dei quali immersi nella peggiore specie di romanità che si alimenta nel mondo paludoso dell’omertà, del tifo violento del calcio, delle radio locali estremiste e del neofascismo nel quale sguazzano bene molti sostenitori delle ragioni degli indagati. Anche a Roma come in Sicilia si dice spesso che la colpa è dello Stato e quasi mai dei protagonisti. A dare conferma a questa ipotesi c’è da dire che finora non si è levata nessuna forma di contestazione e riprovazione concreta e rumorosa contro gli indagati. Mentre per una semplice discarica o per un semplice campo rom si mobilitano migliaia di sostenitori anti-discarica e anti-rom, con manifestazioni violente non solo nei toni e nella misura, per i gravissimi fatti malavitosi prodotti dalla fascio-mafia romana la cittadinanza è rimasta finora muta come un pesce e probabilmente rimarrà tale, apparentemente distratta da altri doveri. Ma il fatto più grave è che si cominciano a sentire in giro frasi di solidarietà più o meno velate nei confronti degli inquisiti. Non è difficile iniziare a sentire espressioni che minimizzano il fatto, ridimensionando gli episodi e dando responsabilità al contesto. In alcuni casi si notano comportamenti di molti indigeni sintonizzati su una linea di omertà sfrontatamente sconcertante volti a dare una parvenza di giustificazione dei fatti. Ma che cosa avranno mai fatto di tanto grave questi arrestati e indagati? Mica hanno ucciso qualcuno! Si, hanno fatto un po’ di soldi in modo poco corretto ma chi non fa soldi in modo poco chiare a Roma, da sempre? E via di questo passo. Noi temiamo che i due cortocircuiti cominciano a stringere come una tenaglia l’informazione per dare alibi e argomenti alle ragioni “de noantri”. Non per niente abbiamo chiamato ciò cortocircuito che, com’è noto, produce il buio totale, qui non di assenza di onde elettromagnetiche luminose ma di valori e di etica.

mercoledì 3 dicembre 2014

Roma città aperta … alla malavita.


Siamo perplessi, molto perplessi. La gigantesca operazione della magistratura che ha portato in carcere 37 arrestati e più di 100 indagati non ci convince. Probabilmente si tratta solo di una colossale operazione di immagine per ridare agli organi istituzionali dello Stato (magistratura, polizia, Ministero degli Interni, ecc..) una parvenza di efficacia e di serietà che ultimamente hanno perduto. Non ci convince altresì che in questa enorme operazione siano stati dati in pasto all’opinione pubblica sia la perquisizione effettuata nella casa dell’ex Sindaco di Roma Gianni Alemanno, sia che abbiano pubblicizzato troppo il fatto che egli è tra gli indagati. Forte è poi in noi la sensazione che la magistratura abbia voluto prendere due piccioni con una fava: 1)enorme e prolungata pubblicità su tutte le televisioni dell’operazione e 2)persecuzione di un politico specchiato di centrodestra come Gianni Alemanno, che tanto ha fatto per la città di Roma e per molti cittadini romani nella passata amministrazione capitolina. La cosa che più rende discutibile questa operazione, chiamata “mondo di mezzo”, è poi l’immediata eco avuta su tutti i giornali della definizione affibbiata agli arrestati di essere “fascio-mafiosi”, mischiando scorrettamente l’aspetto criminale con quello politico ai danni della sola destra e minimizzando le informazioni circa il coinvolgimento di politici della sinistra. Ma quello che ci fa nutrire più forti dubbi è il tentativo di coinvolgere la romanità di molti cittadini in chiave prima di filo-fascismo e poi di criminalità vera e propria, inserendo d’ufficio nella categoria dei responsabili solo esponenti della destra romana che com’è noto sono gentiluomini di integrità morale e di onestà esemplare. Ci chiediamo poi se era veramente necessario mischiare nell’attività investigativa aspetti politici cosiddetti “fascio-mafiosi “ ed ex condannati della “banda della Magliana” che con i politici del centro destra non hanno mai avuto nulla a che fare. Il fatto è che Roma nel quinquennio 2008-2013 è stata governata dal centrodestra ed è risultata essere una città aperta, tollerante, sicura, pulita e con servizi perfettamente funzionanti mentre il vero sacco di Roma è stato quello realizzato in pochi mesi dall’attuale sindaco Ignazio Marino, politico di sinistra, che con il posteggio della sua panda rossa in zona vietata ha violato la sacralità della morale politica che è basata sulla mancanza di trasgressioni e sul possesso di un’etica perfetta come solo tutti i politici di centro destra della capitale sanno avere. Ci chiediamo come sia possibile mettere sullo stesso piano, a mo’ di “romanzo criminale”, la storia romanzata e bujarda del fatto che con Alemanno sindaco si siano verificati episodi di nepotismo nelle partecipate romane dell’Atac, dell’Acea, dell’Ama e via discorrendo, mentre con Marino non si procede allo stesso modo dopo avere verificato che la sua panda rossa era in sosta vietata. Mai e poi mai noi cittadini romani crederemo a questa idea falsa e proposta con pregiudizio nei confronti dei politici di centrodestra che con forza hanno sempre difeso i posti di lavoro di vigili urbani, impiegati e dirigenti “onesti e professionalmente corretti” che si rompono dalla mattina alla sera la schiena lavorando indefessamente durante tutto il giorno. Piuttosto, sarebbe più corretto chiedere le dimissioni dell’attuale Sindaco Ignazio Marino che come ormai è appurato ha parcheggiato la sua auto in divieto di sosta e, fatto ancora più grave, si è permesso addirittura di pagare la multa. Il fatto poi che le partecipate romane, durante i cinque anni della giunta Alemanno, abbiano accumulato debiti per centinaia di milioni di euro è dovuto al fatto che sono stati prodotti migliaia di posti di lavoro per i romani. Che poi l’assunzione è stata “a chiamata diretta”, senza aver preteso alcun concorso è solo una cattiveria della sinistra. E’ così … o stiamo prendendo un abbaglio?

mercoledì 26 novembre 2014

Ebraismo e islam: si vuole continuare a far finta di niente?


Non se ne può più. A cicli temporali sempre più brevi la contrapposizione violenta tra i due popoli, l'ebraico e il palestinese, continua inesorabilmente a crescere. Non si contano più i fatti che creano nell'opinione mondiale sconcerto, angosce e preoccupazioni. Il livello dello scontro tra i due popoli ha raggiunto picchi di inaudita violenza e urge correre ai ripari. La comunità mondiale finora non ha mai voluto aiutare i due rivali, veri e propri nemici, a risolvere il problema. Per ragioni più o meno legate a interessi politici, strategici, militari, economici e di potere lo scontro non solo non è diminuito ma addirittura è aumentato. Ne sono testimoni gli ultimi fatti relativi sia al lancio di centinaia di missili terra-terra da parte di Hamas e sia il tentativo dell’attuale premier israeliano Netanyahu di sfruttare, per ragioni elettorali, nientemeno che il cambiamento della Costituzione israeliana nel punto che dovrebbe togliere la parità di diritti ai cittadini non ebrei. Che vogliamo fare noi europei far finta di niente e continuare nella politica ottusa dello struzzo? Lasciamo stare gli USA che non hanno mai voluto risolvere il problema, soprattutto nei decenni passati quando avevano il monopolio mondiale della politica dopo la caduta del muro di Berlino, lasciamo stare anche la proposta, la meno sbilanciata di tutte, della monarchia dell’Arabia Saudita, ma l’Europa, la famosa Unione Europea come mai è stata latitante e continua a latitare? Cerchiamo di fare chiarezza. Partiamo come premessa dall’idea che il problema è veramente di difficile soluzione per la evidente ragione che ci sono di mezzo due religioni, di quelle che non scherzano in fatto di ideologia e di fanatismo, che sono l’ebraica e la musulmana. In periodi molto lontani anche quella cattolica è da considerare fra queste. Si sa che quando ci sono conflitti teologici la ragione smette di essere presente nelle menti anche di persone veramente equilibrate. Dunque, il vero problema sta qui. Se si vuole iniziare veramente a risolvere il problema si deve cercare di trovare una proposta prescrittiva al di fuori della religione da imporre ai due contendenti, basata su due Stati, due Popoli e una sola Pace che deve essere fatta propria dalle organizzazioni internazionali, in primo luogo dalle Nazioni Unite e a seguire da tutte le altre. Noi siamo del parere che se USA, Cina, UE, Russia, Leghe e Organizzazioni variegate di tutti i continenti, si mettessero d’accordo su una soluzione equilibrata che partisse dall’idea che la contrapposizione è dannosa per il mondo intero e che entrambi devono (non dovrebbero) cedere qualcosa e “pagare pegno” abbandonando convincentemente alcuni valori a loro parere “non negoziabili”, la soluzione è a portata di mano e tutto cambierebbe. Dunque, qui ci sono responsabilità precise di tutti gli Stati che non vogliono risolvere il problema. In questo caso, per favore, si assumano le loro responsabilità. Noi speriamo che l’UE attraverso il suo Alto rappresentante per la politica estera se c’è” batta un colpo” e si dia da fare per introdurre la questione e far imporre, ripetiamo, imporre ai due soggetti riottosi, ottusi, ostinati, litigiosi, nemici della pace mondiale, la Risoluzione che l’ONU dovrebbe imporre. Sia chiaro: noi non siamo né a favore del governo palestinese, né a favore del governo israeliano. Anzi, siamo contro entrambi perchè la loro semiticità invece di essere un valore è purtroppo un ostacolo. Noi riteniamo che i due governi, con i loro "capi e capetti" politici, siano responsabili della continuazione di una guerra che fa male a tutti, anche a noi stessi che scriviamo queste poche righe. E’ da anni che desideriamo andare per turismo a visitare il loro bel paese, a portare loro la nostra simpatia e la nostra amicizia per le loro belle tradizioni che si riferiscono alle loro lingue, alla loro laboriosità, alla loro musica, alla loro arte, alla loro narrativa, alla loro cucina, alla loro gastronomia e a tutto ciò che entrambi hanno fatto e potrebbero fare benissimo in più nel mondo della cultura, delle lettere, delle scienze, proponendo una quantità enorme di conoscenze e di prodotti di cui noi europei e dell’intero pianeta siamo affamati. Invece che fanno? Ci propinano sempre più violenza, cieca contrapposizione, brutalità, maltrattamenti di tutti i tipi e fanno vincere i peggiori istinti fatti propri nei loro paesi dagli estremismi che tengono in ostaggio il mondo. Ma possibile che gli organismi internazionali e la nostra UE siano così ciechi? Noi siamo a favore di due popoli, due Stati e una sola pace, una pace vera non da furbetti. Al rifiuto dei due duellanti di accettare l’imposizione internazionale della pace si facciano seguire sanzioni terribili ai due popoli, non a uno solo, isolandoli entrambi dal contesto mondiale. Provare per credere.

lunedì 24 novembre 2014

L’imbroglio dell’informazione italiana.


Eccoli là pronti all'imbroglio mediatico. Sono i media italiani, ovvero Lor Signori del giornalismo nostrano che, all'indomani della vittoria del Pd alle elezioni regionali di ieri, si stanno scatenando su una presunta sconfitta del partito di Renzi accusato di non avere vinto se non con una forte astensione dei cittadini. Dunque, se non abbiamo capito male, il Pd è riuscito ad eleggere, con maggioranze bulgare, i due governatori delle due regioni col pieno dei voti ma secondo Lor Signori ha perso. Strano modo di fare informazione questo. Molti i commentatori politici - a nostro giudizio da strapazzo - affermano in coro che la clamorosa astensione "mette in sottordine la presunta vittoria dei candidati del Pd. […]Nessuno può nascondere il dato incontrovertibile da vero e proprio buco nero che risucchierà tutte le altre considerazioni “ (La Repubblica"). “Regionali: gli italiani stanno a casa ma Renzi fa finta di nulla e gongola” (Il Giornale). Se non è disinformazione questa diteci per favore quando è che un giornale disinforma. Noi abbiamo sempre ripetuto che Renzi non ci convince. Improvvisa e cambia idea velocemente e frequentemente. Ma noi al contrario di Eugenio Scalfari, ormai non più lucido come quando faceva il giornalista, riconosciamo che il premier colma il vuoto più assoluto di personalità politiche che mai l’Italia abbia avuto dalla seconda guerra mondiale ad oggi. Così facendo gli organi di disinformazione mettono sullo stesso piano il vincitore Renzi, gli sconfitti Grillo e Berlusconi con l’altro vincitore di minoranza Salvini. Ma che modo è questo di commentare la vittoria del Pd? Dov'è l'onestà e la obiettività dei direttori di giornale? La verità è che tutti, ma proprio tutti, non hanno capito che gli italiani vogliono essere governati da qualcuno che non ruba, che se ne infischiano delle ideologie e badano alla velocità con la quale vengono fatte le riforme. Bene. Avanti così, cara disinformazione giornalistica italiana. Ci ricordi gli astrologi, che indovinano sempre l'oroscopo anche quando prevedono una giornata di pioggia ma esce il sole da tintarella. Così imbrogliate i lettori cari sfrontati.

giovedì 20 novembre 2014

Sospetti di «minoranza vincitrice» in Vaticano.


Abbiamo più volte manifestato il nostro entusiasmo per papa Francesco. Non ci sono dubbi che finora è stato un grande Papa e, forse, lo confermerà in futuro. Tutto nasce dalla dichiarazione sui gay quando disse testualmente: “ chi sono io che posso giudicare un gay”? Tuttavia anche i grandi papi hanno le loro imperfezioni e le loro inadeguatezze. Fino a qualche mese fa, nonostante i nostri sforzi, non siamo stati in grado di trovare alcunché da ridire su di lui. Nelle ultime settimane però papa Francesco è ritornato ad essere un terrestre mostrando, in due casi precisi di attualità, aspetti del suo pensiero sui quali sta recuperando la tradizionale normalità di un papato tradizionalista. Se ce la mette tutta e continua su questa strada è possibile che diventi un papa normale come i suoi predecessori. Ancora non si trova in queste condizioni ma forse, per necessità, sta mutando pelle. In breve ecco i due fatti che ci hanno profondamente deluso. Primo fatto: l’obiezione di coscienza in tema di interruzione di gravidanza e di fecondazione assistita. Papa Francesco ha definito coraggiosi i medici obiettori di coscienza. Ricordiamo per dovere di cronaca che la percentuale di obiettori sfiora l’80% del totale dei medici. Si possono chiamare coraggiosi degli operatori che in così tal numero disattendono clamorosamente una legge dello Stato? Non sarebbe più giusto chiamarli quanto meno “irrispettosi” se non addirittura “arroganti”? Secondo fatto: l’ergastolo è una condanna a morte nascosta. Capiamo che un papa si schieri contro la pena di morte ma schierarsi così incautamente a favore di criminali crudeli che commettono reati efferati, magari contro bambini, donne e anziani indifesi, che senso ha? Ricordiamo poi che in Italia il carcere è ormai diventato un optional e che con le leggi permissive che ci sono ormai nessuno fa più di pochi anni di galera. Che la minoranza ruiniana all’interno del Vaticano stia cominciando ad ottenere risultati concreti esattamente come sta facendo la minoranza bersaniana di sinistra all’interno del Pd ormai è sotto gli occhi di tutti. Ma cambiare di 180° come ha fatto il premier Renzi non è troppo? Chi vivrà, vedrà.

lunedì 17 novembre 2014

Fra l’incudine e il martello all’italiana.


“Quando niente e quando troppo”. La protesta? Alcune volte non c'è, altre volte è troppa. E’ il male della politica italiana e dei suoi sostenitori, sempre orientati a servire non la comunità ma solo gli interessi del proprio orticello. Due fatti che ora commenteremo. Il primo a Treviso: calci e pugni all'autista di un autobus pubblico che aveva chiesto il biglietto ad alcuni ragazzi. L'articolo si conclude in modo pilatesco e insopportabile : "un'auto della polizia ha accompagnato all'ospedale l'autista". Una vicenda che meriterebbe tanta attenzione sulle ricadute sociali, psicologiche ed educative dell’intera comunità trevigiana ma anche nazionale che viene liquidata con una conclusione che lascia l’amaro in bocca, sinonimo di incapacità a saper reagire nei casi preoccupanti che minano la sopravvivenza ordinata della società. Niente riflessioni sul perché e soprattutto nulla su come evitare in futuro simili e vergognosi incidenti con provvedimenti esemplari che possano fungere da esempio. Ciò che si nota è la solita incapacità delle autorità a intervenire per stroncare il fenomeno. Un vero e proprio fallimento di una società che è diventata incapace di difendere il minimo diritto degli onesti al lavoro. Nonostante i roboanti propositi del Codice Penale della famosa Scienza del Diritto che prevedono pene gravi per "interruzione di pubblico servizio, oltraggio e lesioni personali gravi a un lavoratore di pubblico servizio, minacce, turbativa dell’ordine pubblico, aggravanti di varia natura e percosse al conducente" nulla ci dice che tutto non finirà come al solito, facendo finta di nulla. Ma i magistrati cosa fanno e perché permettono il ripetersi incontrollato di atteggiamenti incivili che i media fra qualche giorno dimenticheranno? Il secondo a Roma: come conseguenza di errori fatti dalle autorità nella gestione dei flussi migratori e della successiva sistemazione dei profughi, degli immigrati e dei rom che hanno titolo a rimanere sul suolo nazionale la reazione è debordante. Dopo i fatti clamorosi di Tor Sapienza alla periferia di Roma avvenuti per la totale assenza di politiche a favore delle periferie il blocco politico della destra romana attacca il Sindaco chiedendone le dimissioni. Slogan come «Vattene», «Clandestino», «C’è da spostare una macchina» dimostrano che il vero obiettivo non è risolvere il problema del degrado delle periferie romane. No, altrimenti lo avrebbe già fatto il Sindaco precedente di destra Alemanno che invece è uno dei principali responsabili del degrado. Il fatto grave è che viene sfruttato, per motivi poco nobili, il fenomeno e le sue conseguenze per motivi di consenso elettorale. Certo il Sindaco Marino con la sua gestione impazzita delle emergenze della capitale e per la sua politica fortemente strabica dei veri problemi di Roma - che non sono né il riconoscimento dei matrimoni gay, né la pedonalizzazione del Colosseo ma i servizi per il cittadino - non facilita il compito, anzi li aggrava. Il fenomeno avrebbe dovuto essere risolto dal Consiglio Comunale con la collaborazione di tutti i Consiglieri, per il bene collettivo e nell’interesse generale. Invece, la bassa politica di sinistra e di destra che i cosiddetti Consiglieri comunali romani hanno sempre fatto e la preminenza delle ideologie (in questo caso relative alla emergenza profughi) di destra e di sinistra non fanno altro che aggravare il fenomeno lasciando all’intolleranza della piazza che, per sua natura, è sempre estremista di complicare maledettamente la gestione di questa emergenza. Come giudicare i due fatti? C’è una sola lettura: stampa e politica sono fuori controllo, perché non informano con oggettività e non propongono con equilibrio ma esaltano le passioni politiche e le intolleranze, di destra e di sinistra.

venerdì 14 novembre 2014

Un colossale errore di pennarello di Renzi.


Renzi è nei guai. Comunque vada a finire questa storia dell’uso perverso del pennarello correttivo (qualcuno lo chiama sbianchettamento) col quale ha modificato la legge sul lavoro è nei guai. Dopo l’improvviso e inaspettato ritocco della norma relativa al cambiamento dell’art. 18 presente nell’ultimissima versione del Jobs Act di ieri, Renzi rischia di diventare inaffidabile. Non sappiamo perché ha preso questa decisione, ma siamo sicuri che gli costerà molto. Il problema della credibilità di un premier sta tutto nell’attesa che riesce a creare nel paese di provvedimenti di drastico cambiamento realmente eseguiti. Ma nel momento in cui a queste attese fa seguito una retromarcia clamorosa, come questa della correzione delle misure annunciate, sta creando le premesse di una colossale delusione della platea trasversale che finora ha creduto in lui e lo ha sostenuto convintamente. Il lavoro ai fianchi della “minoranza del Pd” in tandem con la CGIL della “muscolosa” Camusso lo stanno mettendo in ginocchio. Renzi aveva una sola chance per battere questa formidabile macchina da guerra creata contro di lui: procedere sprezzantemente nella sua politica di rottamazione della minoranza del partito per creare un nuovo Pd fuori dalle ideologie. L’improvviso cambiamento di questa politica ne determinerà la sua inevitabile sconfitta. Ci dispiace riconoscerlo ma sbaglia e se continuerà su questa strada sbaglierà tutto. Un vero peccato.

lunedì 10 novembre 2014

Che sta succedendo a magistrati e poliziotti?


Fatti inspiegabili. Idee confuse. Incapacità a chiarire. Complicità nascoste. Abbiamo superato ogni limite. La Repubblica Italiana da qualche decennio sembra decisamente in stato confusionale. Ha perduto la bussola e il sistema di sicurezza obbligatorio a tutela dei cittadini onesti - costituito dall’asse “polizia-magistratura” - gira a vuoto. Non si potrebbero spiegare altrimenti i ripetuti “colpi di testa” degli attori della sicurezza nazionale mostrati negli ultimi tempi da magistrati che non condannano e polizia che non reprime. Tra i moltissimi eventi oscuri e misteriosi ne estrapoliamo tre come modello dell’impazzimento generale degli organi dello Stato che non riescono a garantire ordine, giustizia e sicurezza. Primo. Un giovane viene arrestato e muore sotto la protezione delle istituzioni. Due gradi di giudizio dei tribunali assolvono tutti come se il morto non fosse mai morto. Secondo. Un altro giovane viene bloccato dalla polizia e rimane ucciso durante l’arresto. Il Tribunale condanna a pochi anni di carcere quattro poliziotti che dopo la condanna rientrano a operare nei ranghi della polizia come se nulla fosse successo prima. In più, col sapore della beffa, una sigla sindacale della polizia si permette di sostenere le ragioni dei condannati. Terzo. Più recentemente, prima una consigliera del Comune di Bologna va in un campo rom a verificare alcune spese in bilancio sostenute dal municipio e viene vergognosamente schiaffeggiata da una ragazza rom del campo. Successivamente, fatto ancor più grave e nello stesso luogo, un parlamentare della Repubblica viene aggredito da giovani cosiddetti dei Centri sociali con violenza e sopraffazione. Ci chiediamo: ma che cosa sta succedendo ai cosiddetti “servitori dello Stato”, dal semplice “tutore della legge” al questore, al prefetto e, fatto ancora più grave, al ministro dell’Interno, che dovrebbero difendere gli onesti e si ritrovano ad agevolare i carnefici invece delle vittime? Stiamo diventando tutti pazzi? Ditecelo per favore perché siamo stupefatti da atteggiamenti disorientanti e inaccettabili. Prima sapevamo che a fare male agli onesti erano solo i criminali e i delinquenti. Adesso sembra che a dare man forte a questi soggetti si stiano esercitando anche i titolari dell’azione repressiva e giudiziaria. Ma siamo impazziti? Perchè hanno cancellato dai ranghi il famoso maresciallo dei carabinieri di una volta, il quale riusciva sempre a risolvere con intelligenza e umanità casi oggi impossibili a qualunque graduato della polizia? Perchè non si incontrano più giudici inflessibili e rigorosi nel giudicare i malviventi che vengono quasi tutti graziati da attenuanti, condizionali e aspetti sempre favorevoli ai carnefici e non alle vittime? Possibile che nessun giornalista che intervista il Presidente del Consiglio Renzi non reclami spiegazioni politiche adeguate? Certo che se la stampa cosiddetta “indipendente”, i sindacati cosiddetti "progressisti" e gli "oppositori della minoranza" del Pd cosiddetti "democratici" invece di essere concentrati a combattere il Capo del governo sul fronte politico collaborassero a risolvere i veri problemi degli italiani e non le loro criptiche ideologie da strapazzo, allora nello stesso fascio entrano di diritto anche i cosiddetti "giornalisti" (in realtà molti non lo sono, come l'"agente Betulla", ma fanno finta di esserlo), i quali dovrebbero essere addidati all'opinione pubblica come responsabili aggiuntivi. E a far diventare angosciata la gente onesta sono così diventati in tre. Si, in tre, come nella canzone di Domenico Modugno “tre somari e tre briganti”.

mercoledì 5 novembre 2014

Secessione e referendum illusori.


Due premi Nobel per la pace, Desmond Mpilo Tutu e Adolfo Pérez Esquivel e una decina di star internazionali, in un manifesto rivendicano il diritto dei catalani a «poter votare sul loro futuro». Dicono che impedire ai cittadini di potersi pronunciare con un referendum sull’indipendenza della Cataluña «contraddice i principi che ispirano le società democratiche». Questa la notizia, pubblicata dal quotidiano La Repubblica; noi la vogliamo commentare perché vogliamo esprimere la nostra opinione. Una premessa. Se è vero come è vero che la Spagna non ha permesso il referendum perché la sua Costituzione lo vieta, questo per il duo Tutu-Esquivel vuol dire che gli spagnoli non sono democratici? E se non sono democratici che cosa sono? Fascisti? Comunisti? Che sono di grazia? Dunque, due premi Nobel hanno sentenziato che il referendum per staccare oggi un pezzo di Spagna e domani un pezzo di qualunque altra nazione al mondo, è possibile. Anzi è giusto ed è, addirittura, doveroso sostenerlo. Non vogliamo dire nulla su chi sono questi due Signori che un po’ di tempo fa ricevettero il premio Nobel per la Pace. Conosciamo solo superficialmente alcuni atteggiamenti del duo Tutu-Esquivel. Il primo è un arcivescovo anglicano africano che non si può definire un conservatore, mentre l'altro è un pacifista argentino che dire contestatore di sistema è poco. Questi due Signori rivendicano il diritto dei catalani a staccarsi dalla Spagna e diventare una nazione indipendente mediante una iniziativa fuorilegge definita tale dalla Corte Costituzionale spagnola. Rivendicano, a loro dire, il diritto “dei popoli” di staccarsi dalla madrepatria appena uno solo di fattori come lingua, economia e finanza siano differenti dal resto del paese. In verità predicano il “diritto” oggi della Catalogna, domani del Veneto in Italia e dopodomani di altri a staccarsi dalla madrepatria, infischiandosene del passato e delle norme costituzionali attualmente in atto in Spagna e negli altri paesi interessati. I catalani, che sono gente simpatica, stanno facendo torto alla loro intelligenza con questa ostinazione alla secessione, tra l’altro avendo ricevuto forti riconoscimenti di autonomia da parte dello Stato spagnolo che ci ricorda gli egoismi tipici delle parti più ricche di molti paesi. La coppia di premiati Nobel dice che impedire il referendum è nientepopodimenoche andare contro i principi che ispirano la democrazia. Dunque, per non andare contro "i principi che ispirano le società democratiche", secondo Lor Signori sarebbe necessario che a ogni richiesta di indipendenza il potere centrale dicesse sempre si, "ti accordo la secessione"! Più sfrontati di così i due non avrebbero potuto essere. Permettere a una minoranza di un Paese di diventare una nuova nazione indipendente è da folli. Mettiamo per ipotesi che in Italia tutti facessero così. Cosa succederebbe? Senza giri di parole si ritornerebbe alle decine di staterelli di secoli fa, con un Granducatino di qui, una Repubblichetta di là, un Regnetto di Sotto e uno di Sopra, con buona pace dei secessionisti. Poi gabelle e dogane in classico stile cinquecentesco produrrebbero la situazione tragicomica in cui si vennero a trovare i due attori Benigni e Troisi nel film Non ci resta che piangere, quando per passare da un paesino all’altro della Toscana dovettero attraversare una dogana municipale nella quale l’addetto pretendeva un fiorino ogni volta che proferivano una sola parola. A noi questo processo di balcanizzazione che da un paese (ex Jugoslavia) se ne creino sei o sette non piace. Totò a questa coppietta direbbe: ma mi faccino il piacere!

domenica 2 novembre 2014

Notizie e incomprensioni.


Forse abbiamo letto male l’ultima notizia sui giornali di oggi relativa ai nomi dei due giudici che dovrebbero essere proposti al Parlamento in seduta comune per eleggere i due giudici costituzionali. Si. Deve essere proprio così, abbiamo letto sicuramente male. Altrimenti, per l’ennesima volta, l’inciucio utilitaristico da una parte e la inaffidabilità della politica dall’altra produrrebbero l’ennesima vergogna nazionale di uno Stato i cui politici sanno solo ragionare in materia di etica e di diritti e doveri come i maiali con il bon ton a tavola. Abbiamo letto che ci sono due nuove candidate. I nomi naturalmente non ci interessano. Non ci interessa neanche che siano donne. A noi interessa solo che siano brave/i e onesti/e. Solo questo. La lettura ci ha fatto sobbalzare dalla sedia quando abbiamo letto le testuali parole riportate dal quotidiano La Repubblica : «La professoressa di Diritto del Lavoro per il Pd, e la docente di Diritto Amministrativo per Forza Italia sono i due nomi proposti per sbloccare l’eterna impasse della Consulta, scelte una in quota Forza Italia e l'altra dal Pd». Ci domandiamo: che significa essere scelti perché "in quota" Forza Italia e del Pd? Che razza di italiano è questo della quota? Vediamo cosa dice il vocabolario Treccani a questo proposito. Si legge:

quota s. f. [dal lat. quota (pars) "a quanta (parte)", femm. di quotus"quanto"]. - 1. a. [parte di una somma globale di denaro dovuta da ciascuno dei partecipanti a un'attività e sim.: q. di iscrizione] ≈ caratura, pro quota. ‖ tassa. b.[ciascuna delle parti o frazioni in cui un capitale in beni o in danaro viene diviso] ≈ parte, percentuale. c. [quantità indeterminata di denaro] […]

Non riporto altri elementi di significato che riguardano l’altezza. Qui il senso da attribuire al sostantivo è legato al denaro, ai capitali, ai beni, alle percentuali, ecc.. che lasciano supporre di avere molto in comune con la nostra preoccupazione della parzialità delle scelte e lo stabilirne l’ordine. Ma allora avevamo torto nell’affermare che non avevamo capito. Dunque, si tratta di un imbroglio! Stavamo ragionando in questi termini quando abbiamo pensato però che a scriverlo non è stato un qualsiasi quotidiano pro-Berlusconi o pro-Renzi ma un giornale anti-Berlusconi e anti-Renzi. A questo punto siamo precipitati nello sconforto. Possibile che ci troviamo in un mondo dove non c’è da avere fiducia in nessuno? E alla fine ritorniamo alla decisione iniziale e optiamo per la nostra incapacità a comprendere. In poche parole abbiamo equivocato. E’ stata colpa nostra. O no?

sabato 1 novembre 2014

La riflessione sull’Appello nel "caso Cucchi”.


Assolto! Assolti! Assolti tutti. Il fatto non sussiste! Qui “assolti tutti” non significa solo che tutti, ovvero una moltitudine di persone, sono stati assolti da una sentenza di Appello di un Tribunale. Significa anche e forse piuttosto che sono stati assolti ancora una volta, come al solito, ripetutamente. Comincia a serpeggiare l’idea che ci sia una specie di rapporto causale, di nesso deterministico, di conseguenza deduttiva, di catena logica, di rapporto consequenziale tra una sentenza di condanna fittizia ed apparente in Primo Grado, che poi viene cancellata ribaltandola, con la successiva sentenza di Secondo Grado, quasi sempre assolutoria. La Cassazione poi viene vista come percorso finale, a mo’ di gioco del Lotto: si butta una moneta in aria e il 50% dà assolto e l'altro 50% dà condannato. Questa idea come la chiamiamo: ipotesi? coincidenza? casualità? supposizione? congettura? fatalità? imprevisto? circostanza fortuita? accidente? presunzione? opinione? Fate voi. Noi crediamo che non sia né caso, né caos. Noi più che fantasia cominciamo a credere che si tratti di realtà, perché se si vanno a fare indagini statistiche sulle centinaia di casi che ultimamente si sono verificati in Italia la ricorrenza del nesso “condanna-assoluzione” supera abbondantemente la “moda” contraria. Certo possiamo sempre credere che la statistica non è assolutezza ma è piuttosto relatività e, dunque, non è un teorema. Ma è proprio così? Non è il caso di preoccuparsi? Noi assistiamo allibiti all’involuzione del sistema giudiziario in una maniera che i nostri Padri fondatori della Repubblica e della Costituzione chiamerebbero tradimento. Perché di questo si tratta. Nel caso Cucchi è stato tradito un patto: quello tra la sacralità dello Stato - che dovrebbe garantire la vita di ogni indagato arrestato - e quello dello Stato di Diritto di una società che paga profumatamente i suoi operatori statali penitenziari e della magistratura per poi dare scandalo con sentenze assolutorie ai limiti della follia come se non fosse mai successo nulla.

giovedì 30 ottobre 2014

Il vero male della politica italiana.


L'economia italiana e quindi la società italiana stanno male, molto male e sono destinati in futuro ad andare peggio. Nonostante gli sforzi inefficaci dei tre governi Monti, Letta e Renzi l'economia italiana rassomiglia sempre più a un ammalato che presenta i sintomi di un virus mortale. Come nello splendido libro Pinocchio di Collodi il “moribondo Italia” è attorniato da illustri medici incapaci e venditori di fumo (il Corvo, la Civetta e il Grillo-parlante) che non gli risolveranno il problema. La vera medicina gliela dà la fata Turchina. Si tratta di una medicina che il burattino non vuole bere perché amara. Noi non siamo economisti e dunque non abbiamo strumenti teorici per proporre terapie astratte e accademiche come fanno tutti i presuntuosi sputasentenze, profumatamente pagati dalle televisioni pubbliche e private, che si alternano un giorno si e l’altro … pure per proporre ricette sistematicamente smentite dalla realtà. Noi siamo solo osservatori, ma non stupidi, che hanno capito che i dottori intorno al letto dell'ammalato fanno i furbetti interessati, perché attendono che il “malcapitato Italia” spiri onde prendersi le sue spoglie. In poche parole sono tutti degli imbroglioni. Perché? La ragione è che il vero male da estirpare è il virus del debito pubblico che è fondamentale ridurre. Supponiamo per un momento che l'Italia, per un evento eccezionale, ottenesse da un extraterrestre un gigantesco prestito da mille e cento miliardi di euro a zero centesimi di interesse rimborsabile in 50 anni e che, improvvisamente, la sua classe politica all'unanimità decidesse di essere eticamente perfetta e si mettesse a legiferare con leggi che fossero solo nell’interesse generale, perseguendo seriamente tutto il malaffare politico e non politico. Ebbene, in una situazione del genere l'Italia prenderebbe il posto della Germania, sostituendola in tutto e per tutto nei pregi e senza difetti. Come conseguenza le aziende mondiali correrebbero tutti a investire nel nostro Paese, la giustizia sarebbe velocissima e certissima, la serietà sarebbe titolo di merito e subito ci sarebbero crescita, sviluppo, occupazione e lavoro, perché con un debito ridotto del 50 per cento gli interessi annuali scenderebbe dagli attuali 90 miliardi di euro a 45, liberando enormi risorse per investimenti e favorendo la produzione di molti posti di lavoro. Ecco dunque come stanno le cose. Con chi dovremmo prendercela per non avere evitato la corda al collo all’impiccato? Semplice. Con chi ha prodotto il debito. E chi ha prodotto il debito? Semplice una seconda volta: basta vedere negli anni passati chi sono stati i governi e quindi i politici che l'hanno aumentato mostruosamente per scopi non proprio nell’interesse di tutti. Un esempio? Permettere agli statali di andare in pensione anticipata con appena 19 anni e sei mesi nel caso peggiore e con 11 anni e sei mesi nel caso migliore dopo avere avuto il posto sicuro con una leggina estiva a misura di sindacato. E allora molti miti cadrebbero a terra come mele putrefatte. “A occhio e croce” tutti i leader passati sono stati non certo i gentiluomini senza macchia che ci hanno indebitato e costretti oggi a mendicare inutili e disonorevoli aiutini dall’UE quando nel passato hanno scialacquato alla grande. La soluzione è davanti a tutti. Buttare a mare i “dottori di Collodi” e varare un gigantesco piano di risanamento con patrimoniale altrettanto gigantesca in percentuale uguale ad ogni cittadino possessore di beni dopo aver eliminato tutti, ma proprio tutti gli sprechi. I nostri dottori alla Collodi lo faranno? Nutriamo seri dubbi che Lor Signori ancora in attività, cioè Berlusconi, Alfano, Casini, Salvini, Meloni, Bersani e altri vecchi tromboni politici lo faranno. Non ho citato Renzi e Grillo perché all'epoca della rapina (perché di questo si è trattato) il primo faceva lo scout e l'altro il comico. Per il resto nessuno racconti balle, per favore.

lunedì 27 ottobre 2014

L'antirenzismo come fattore di coagulazione della sinistra senza se e senza ma.


Si, è vero, «senza dignità dei lavoratori non ci può essere una politica di sinistra». E’ lo slogan più intelligente della piazza di S. Giovanni del comizio della CGIL dove è presente il “meglio della gioventù” di sinistra. Ebbene, una volta tanto, siamo d’accordo con lo slogan della “sinistra senza se e senza ma”. Si, ma perché questo slogan è espressivo? Perché è penetrante, in quanto dignità è uguale a lavoro, che è uguale a responsabilità, che è uguale a futuro. E' perspicace, perché il nostro futuro - che sarà poi il presente dei nostri figli e il passato dei nostri nipoti - è nelle mani degli attuali politici che stanno legifererando oggi per salvare questo futuro, si spera in maniera avveduta, in modo innovatore, senza sperperi, con equità e soprattutto colpendo i “furbetti del quartierino” sempre pronti come le iene a spolpare l’osso dell’onestà dei contribuenti. Dunque, il futuro dell’Italia è nelle mani dei politici responsabili. E qui casca l’asino. E, di grazia, chi sarebbero questi politici responsabili? A sentire la piazza di S. Giovanni sarebbero quelli della sinistra antirenziana di Fassina, i ferrerini e i turigliattiani, i rifondaroli, i comunisti duri e puri alla Paolo Flores d'Arcais, gli ex pecorariani verdi, i vendoliani e i centiani di Sel, i reduci della sinistra radicale extraparlamentare e i massimalisti sindacali pro-Camusso? E questa gente sarebbero i politici responsabili che posseggono la verità, l’”unica” verità? Sarebbero questi i politici responsabili, che pensano ancora con le categorie marxiste dell’Ottocento? Ma a questi signori, qualcuno glielo ha detto che ormai il vecchio pensiero del centralismo comunista lo hanno buttato nella differenziata persino i cinesi del "Mao Tse-tung pensiero"? Qualcuno li ha avvisati che Alibaba, colosso e gioiello cinese dell’e-commerce, è oggi quotato nella più capitalistica borsa mondiale di New York? Per favore informateli, perché è molto probabile che ancora non lo sappiano. Certo la Leopolda sconcerta, scombussola, innervosisce, disturba, infastidisce, sembra un teatrino per scout, in cui i cento tavoli appaiono addirittura come i tavolinetti di discussioni dei nuovi fucini dei gruppi universitari cattolici delle parrocchie prima delle elezioni universitarie. Sembra che tutto sia finto. Tuttavia, come sempre, nei momenti decisivi c’è da scegliere. Siamo dell'avviso che il diritto di cittadinanza consapevole passa per tre stadi: studiare, conoscere, decidere. Montanelli disse che “era necessario turarsi il naso e votare il brutto per opporsi al peggio”. Oggi direbbe di turarsi il naso e sostenere il cattivo odore del renzismo per evitare di odorare puzze più maleodoranti e pestifere che l’antirenzismo produce. L’aspetto piacevole della contrapposizione fra i leopoldini e i sangiovannini sta nel fatto che alla Leopolda i renziani sembrano avere il turbo mentre gli antirenziani sembrano possedere appena i carri medievali. Dicono che la Camusso abbia detto che nella piazza «siamo più di un milione». Ha risposto Renzi dicendo che «il governo andrà per la sua strada perché si rivolge ai rimanenti sessantamilioni di italiani che lo hanno chiesto». Te capì?

sabato 25 ottobre 2014

Tullio Regge ci ha lasciati soli.


E' morto ieri all'età di 83 anni Tullio Regge, fisico italiano e famoso professore di Relatività all'Università di Torino per essere stato sicuramente il più profondo conoscitore della Teoria della relatività in Italia. Per i non addetti ai lavori il suo è un cognome sconosciuto. In effetti Tullio Regge non fu mai uno studioso di fisica "normale", nel senso che fu tutto tranne che uno scienziato comune che potesse passare inosservato nel campo della fisica e della scienza in generale. La ragione sta nel fatto che era un uomo, come si suole dire in questi casi, "tutto di un pezzo". Severo ma anche disponibile ad affrontare discussioni impegnative e complesse, rigoroso fino all'inverosimile e alcune volte anche scostante quando gli si facevano domande ingenue o banali. Regge seppe coniugare preparazione, competenza, insegnamento, ricerca teorica, amore per la cultura e passione per il sapere. In ogni caso fu uno dei rari uomini di scienza che riuscì a insegnare all'Università e nello stesso tempo anche a divulgare, non banalizzando, la teoria della relatività di Einstein in modo esemplare e a non disdegnare di fare incursioni nel mondo letterario. Celebre fu nei primi anni Ottanta il dialogo che ebbe con Primo Levi su tematiche che superavano le due culture. Su questo libro c’è l’impronta della grandezza di entrambi gli autori:

Primo Levi-Tullio Regge, Dialogo, Torino, Einaudi, 1984. Nei primi anni ‘60 definì quello che è noto come "calcolo di Regge", una modalità matematica di formulare la relatività generale in modo semplificata, basata sull'uso della costruzione di spazi a n-dimensioni chiamata tecnicamente "simplesso n-dimensionale", cioè un politopo n-dimensionale (uno di questi è il tetraedo) col minor numero di vertici in grado di far comprendere meglio l'approssimazione della curvatura dello spazio-tempo quadridimensionale. Ho voluto citare una delle numerose scoperte di Regge perchè quando nel 1982 lessi la sua introduzione al bel libro su Einstein del grande filosofo Bertrand Russell, dal titolo

L'ABC della relatività pubblicato a Milano dalla Rizzoli nel 1982, rimasi affascinato da entrambi. Di Russell per la facilità del suo pensiero circa la teoria della relatività e di Regge per la profondità delle considerazioni non solo scientifiche ma anche umanistiche che riesce a proporre per convincere ed entusiasmare. A proposito della coppia Russell-Regge devo dire che questi due uomini sono stati per me due protagonisti della mia vita e del mio aggiornamento professionale perché, come ex insegnante di fisica nei licei, fui sempre "a contatto" con entrambi. Infatti il primo è il nome del mio ex liceo scientifico di Roma in cui ho insegnato nei miei ultimi venti anni che hanno preceduto il mio collocamento a riposo e il secondo è il personaggio che ho incontrato diverse volte in conferenze, congressi e l'ultima volta all'Accademia dei Lincei di Roma in occasione del riconoscimento alla carriera del fisico italiano Bruno Pontecorvo, lo scienziato italiano naturalizzato sovietico nell'ex URSS col nome di Bruno Maksimovič Pontekorvo (Бруно Максимович Понтекорво), rientrato in Italia in pessime condizioni di salute come ultima occasione di rivedere l'Italia prima della sua morte avvenuta nel 1993. In quell'occasione a Palazzo Corsini durante una pausa vidi in piedi Tullio Regge con difficoltà di deambulazione (in seguito fu costretto a muoversi solo su una carrozzina, lui che da giovane fu un promettente giocatore di rugby). Lo salutai e vedendolo in difficoltà gli porsi il braccio per aiutarlo a stare in equilibrio. Lui con un atteggiamento di orgoglio e di sfida mi disse "grazie ma non ne ho bisogno". Poi mi chiese cosa volessi. Era imponente, alto, rossiccio nel volto e nei capelli sparpagliati al vento, con uno sguardo fulminante, vestito con giacca senza cravatta e un portamento militaresco.
Gli dissi che avevo letto i suoi libri, in particolare quello dal titolo:

T. Regge, Spazio, tempo, relatività, Torino, Loesher, 1981 e che ero rimasto affascinato dalle sue introduzioni, le quali alcune volte entusiasmavano più del contenuto del libro stesso. In modo gelido mi rispose: "sciocchezze" e mi congedò. Nei suoi libri riusciva a coniugare rigore, formalismo matematico e idee in modo singolare e sorprendente. Lo voglio ricordare qui per l'insegnamento che diede dopo che la distrofia lo ridusse a vivere sulla carrozzella. Col tempo mitigò il suo carattere burbero e scontroso, imparò persino a sorridere. Grazie prof. Regge per avere attraversato il XX secolo e averci lasciato la sua testimonianza. C'è da essere orgogliosi del suo insegnamento e del suo modello di vita. La scienza italiana e la storia della scienza la ricorderanno sempre con grande affetto. A questo link su Youtube una sua conferenza su L'infinito nella fisica.

lunedì 20 ottobre 2014

Piazze d'Italia ed estremismi deleteri.


L'altro ieri a Milano ci sono stati due cortei di protesta. Quello della Lega Nord contro gli immigrati e quello della sinistra antagonista pro-immigrati. I primi hanno gridato slogan contro gli stranieri, mentre i secondi sono stati a favore degli stranieri. I leghisti, insieme ai neofascisti di Casapound, hanno gridato slogan non certo da chierichetti e i secondi, a ruota, a gridare lo slogan contrario non proprio in stile Cappuccetto Rosso. Ecco cosa è diventata oggi la politica italiana dei cortei: una insensata e immatura accozzaglia di slogan che propagandano violenza non solo verbale tendenti a estremizzare le idee. Si tratta della più vistosa dimostrazione di vuoto mentale finalizzato a non risolvere alcun problema politico. E' ovvio che se si radicalizzano le posizioni non si troverà mai una soluzione condivisa. Il male dell'Italia sta tutto qui. Sta cioè nella incapacità di una vasta parte della classe politica di trovare una sintesi e nella inadeguatezza della medesima di proposte e soluzioni logiche, equilibrate e assennate. Assistiamo purtroppo a comportamenti esattamente opposti, ovvero estremisti, sconsiderati, radicalizzati. In verità il problema è più complesso perché a proposito di immigrazione c’è anche molta ignoranza in giro. Attenzione qui “ignoranza” significa non conoscenza di fatti, idee e norme relative al problema dell’immigrazione. Questi individui che protestano non sanno (perchè non hanno letto e non si sono informati se non a seguito di un indottrinamento settario) che l’Unione Europea ha reso i cittadini tutti uguali, con pari diritti e doveri e che l’ONU riconosce il diritto di emigrazione in tutti i paesi del mondo a tutti coloro che fuggono dalle guerre e dalle persecuzioni razziali e religiose. Dall’altro lato ci sono partecipanti della sinistra estrema che in modo simmetrico radicalizzano lo scontro delle idee a causa delle loro ideologie violente finalizzate "a prescindere" ad abbattere il sistema della politica democratica parlamentare. Che poi questi individui non siano dei Cappuccetti Rossi lo dimostra il fatto che non vestono per niente “alla marinara". A chi indossa un casco o un passamontagna con occhiali da sole e lancia bottiglie e bombe carta non si può riconoscere alcun ruolo politico e sociale se non quello di violenti criminali. C’è però dell’altro, che è ancora più grave dell’ignoranza. C’è che molti dimostranti di entrambi i cortei sono anche bugiardi e provocatori, perché dicono cose non vere. In più la Lega utilizza il disagio dell’immigrazione come una clava perché il suo fine è quello della secessione che vuole ancora effettuare nonostante decenni di fallimenti politici. E’ grave che un partito che è stato al governo per decenni (con il suo compare alleato Berlusconi) continui nella sua politica populista e nazionalista, piena di pulsioni xenofobe antieuropee tipiche della destra neofascista. Il quadro è veramente desolante. Fortuna vuole che il sistema ancora “tiene” perchè sono minoranza. I nuovi politici, spesso acerbi e ambiziosi, stanno agitando le acque dello "stagno della politica" col fine di eliminare la melma che ha sempre frenato l’Italia. La speranza è che a vincere siano (anche se in modo confuso e disordinato) i giovani acerbi ambiziosi piuttosto che i maturi e violenti estremisti.

giovedì 16 ottobre 2014

Notai inaffidabili e romanità infangata.


Due dati numerici: 30 milioni di euro e 2 individui. A cosa si riferiscono i due numeri? Il primo è il patrimonio di Alberto Sordi che deve essere ereditato dai legittimi eredi. Il secondo rappresenta il numero di professionisti rinviati a giudizio per circonvenzione d'incapace. Non ci interessano i loro nomi ma le loro professioni. Si va da un notaio a un avvocato, oltre a casi minori di autista, badante, cuoche e giardinieri, compresi camerieri e cameriere. Che cosa hanno fatto di grave questa coppietta di "gentiluomini"? La Procura della Repubblica di Roma li ha incriminati per "circonvenzione di incapace". Notare per favore il tipo di reato come viene definito giuridicamente: "è un delitto che consiste nell'abusare dei bisogni o dello stato d'infermità o deficienza psichica di una persona al fine di procurare a sé o ad altri un profitto". Che vergogna! La pena per questo reato comprende la reclusione da 2 a 6 anni oltre a una multa. Sembra che i “magnifici due” avrebbero tratto vantaggio incassando circa il 5% dell’intero patrimonio di Alberto Sordi. La circostanza che ci induce a usare il ragionamento andreottiano che “a pensare male ci si azzecca sempre” riguarda per una seconda volta a Roma la presenza di un notaio. Vi ricordate l’altro caso di quel notaio che aveva fatto l’atto di compravendita con l’ex ministro berlusconiano Scajola in cui quest’ultimo dichiarò che gli avevano comprato la casa vicino al Colosseo a sua insaputa? Ecco, quello era un altro notaio, cioè un uomo di “Diritto romano”. A infangare la romanità oltre all’inerzia dei vari sindaci di Roma e dei vari dirigenti delle municipalizzate ci si mettono anche due uomini di Diritto. Per giunta romano. A infangare la romanità non bastavano i politici? Adesso ci si mettono anche gli operatori del Diritto? A Roma dicono: ’an famoni!

mercoledì 15 ottobre 2014

La vera riforma? La giustizia. Non ci sono dubbi.


La vera sfida al vecchio sistema ber-ber (Berlusconi-Bersani) l'ha riconosciuta perfino il Financial Times affermando che non sono il Jobs Act o le riforme costituzionali ma quella della giustizia. La vera madre di tutte le riforme in questo disastrato paese è togliere agli avvocati e ai giudici il potere di governare. Dunque, i veri nemici dell'Italia sono, duole riconoscerlo, i “tutori del Diritto”, i quali dietro il linguaggio chiuso dell'avvocatese e del giudicese nascondono il vero male italiano: la dittatura del diritto romano nella società italiana a tutti i livelli. E' l'Armata di magistrati e avvocati che si oppone al cambiamento. La ragione è che si sentono maledettamente diversi da tutte le altre categorie di lavoratori. Hanno forti interessi nel sistema attuale, condizionano con le loro sentenze l'attività economico-finanziaria, quella scolastica, quella dei trasporti, delle infrastrutture e persino quella etico-biologica decidendo alcune volte per e contro genitori e figli, mettendo becco anche in questioni in cui non dovrebbero mai entrare. Pensate che decidono per tutti ed entrano a gamba tesa in tutte le attività dei ministeri italiani, tanto che i Capi di gabinetto dei ministri sono sempre magistrati o ex magistrati, magari con doppio stipendio. La loro attività incide pesantemente su qualunque provvedimento normativo parlamentare, imponendo alla fine di un iter procedurale "il proprio". Fra Tar, Consiglio di Stato, Tribunali di 1° grado e di Appello, di Cassazione e di Corte Costituzionale i veri detentori del potere legislativo ed esecutivo, oltre a quello giudiziario di loro competenza, sono loro: la categoria iperprotetta dei giudici. Potremmo fare milioni di esempi ma crediamo che per fare comprendere la gravità della cosa il più semplice ed efficace esempio sia quello sintetizzato da una sentenza del giudice monocratico di Roma circa una lite di condominio. Il fatto. Un condominio romano ha un regolamento contrattuale chiarissimo in cui si disciplinano con precisione quasi ossessiva i casi vietati ai condòmini. Uno di questi commette un abuso edilizio infischiandosene anche delle delibere dell'assemblea. Si va in tribunale e il giudice monocratico dopo alcuni anni fornisce una sentenza che dà ragione al condòmino piantagrane, motivando che a decidere non sono l'assemblea del condominio e il regolamento contrattuale ma il parere di un soggetto chiamato CTU che sarebbe un architetto o forse un geometra, al quale si lascia il potere di contraddire pesantemente la norma del regolamento. Naturalmente, l’avete capito tutti, l'esempio è importante non per il fatto in essere ma per il principio. Il Presidente del Consiglio Renzi ha capito tutto e pertanto ha detto che vuole riformare la giustizia. E più di Renzi l'hanno capito i giudici e gli avvocati i quali sono diventati nervosi. Il nervosismo probabilmente è il vero specchio dell'anima della categoria più protetta dell’intera nostra galassia. Se Renzi riuscirà a cambiare lo status di questa categoria avrà veramente aiutato l'Italia. Se no perderemo tutti.

venerdì 10 ottobre 2014

Basta con la italianità degli stranieri.


Facciamola finita col fatto che tutte le volte in cui nel mondo si scopre una personalità premiata per le sue doti ed ha un cognome italiano ecco che da noi si inneggia più per le sue origini che per la sua bravura. L'ultimo caso, ma ce ne sono centinaia, riguarda il recente Premio Nobel per la letteratura assegnato al francese Patrick Modiano, uno scrittore francese. Sembra che sia talmente francese che non gli è mai passato per la mente di non esserlo. Wikipedia alla voce Modiano Patrick dice: "Nasce a Boulogne-Billancourt, città poco distante da Parigi, il 30 luglio 1945, figlio di Albert Modiano, un ebreo francese di origini italiane, e di Louisa Colpijn, un'attrice belga di etnia fiamminga". Dunque, il nuovo Premio Nobel è un francese nato in Francia. E' figlio di un altro francese che ha sposato una belga ed ha il nonno probabilmente italiano. Usiamo l'avverbio di dubbio perchè non si sa quasi nulla di certo del suo albero genealogico. Ma se anche il nonno fosse veramente italiano che cosa cambierebbe nella vita dello scrittore francese? Era e rimane francese. Il provincialismo italiano in questi casi rischia di farci cadere nel ridicolo. Il rivendicare a tutti i costi radici italiane è diventato da molto tempo un vero e proprio sport nazionale, come se le qualità del premiato con un pizzico di italianità diventassero immediatamente determinanti. Cerchiamo di essere seri per favore. Ci sono articoli sui giornali in cui si scrivono più parole per le sue origini pseudo italiane che per i suoi lavori. Ma si può essere più provinciali di così? Continuare a fare giornalismo in termini così limitati, arretrati e meschini è una follia. Siamo stufi di una stampa che invece di andare al sodo e spiegare il senso delle opere del nuovo Premio Nobel, mettendo a fuoco la sua personalità e le sue qualità (che sono e rimangono francesi), viceversa, cicaleggia inutili radici italiane che non spostano di "un millimetro" le qualità dell’interessato. Ha proprio ragione Ennio Flaiano quando dice che gli italiani sono "un popolo che corre sempre in soccorso ai vincitori".

martedì 7 ottobre 2014

L’ennesima vergognosa gazzarra del calcio italiano.


Eccoli là. Sono sempre gli stessi e senza distinzione di colori, di razza, di religione e di partiti politici. Sono sempre loro. Sono i pasdaran del calcio, i mujahidin della pelota, ovvero i personaggi più squallidi e peggiori che si possono immaginare. Operano trasversalmente in molti campi e si riconoscono per la sfrenata passione e la conseguente perdita della ragione che mostrano quando devono prendersela con l’arbitro. Sono così sfrontati da arrivare anche in Parlamento e creare un altro fronte di contrasto politico. Come se in questo momento delicato di crisi economica e morale ne avessimo di bisogno! Stiamo parlando dell'ennesimo e frustrante handicap che il violento calcio italiano produce nell'intera società italiana. Sono bastate tre decisioni dell’arbitro, giuste o sbagliate che siano non ci interessa, per far partire una sequela di polemiche e addirittura una serie di interrogazioni parlamentari nell’unico posto in cui non avrebbero mai dovuto arrivare: il Parlamento. Ma si può continuare ancora così? I fatti dell'altro giorno relativi alla partita Juventus - Roma sono esemplari per dare un giudizio di immaturità di tutti questi personaggi e dell'intero calcio italiano non solo per il fatto in sé ma anche per avere coinvolto addirittura il Parlamento. Il fatto grave non è la partita e il suo risultato. No. E' gravissimo che si tiri in ballo il Parlamento per questioni misere, inutili e futili. Alcuni parlamentari, tifosi litigiosi di calcio (c'erano dubbi?), hanno prodotto in Parlamento una baraonda inaccettabile. Noi cittadini normali siamo stufi di subire questo strombazzante assalto alla ragione e alla logica. Vedere in Parlamento onorevoli di sinistra e di destra che sbraitano tra di loro e che fanno interrogazioni parlamentari per vantare titoli inesistenti con i loro amici tifosi di calcio di entrambe le squadre ci indigna e ci rende consapevoli della immaturità di questi squallidi soggetti che andrebbero trattati per come meritano. La commistione “calcio-borsa” e le speculazioni più o meno economiche all'estero non hanno mai funzionato. In Italia purtroppo si fa di tutto per tirare in ballo qualunque cosa pur di poter dire all’indomani al bar sport che lor signori sono stati attenti ai “valori” del calcio e specialmente della loro squadra. Più imbroglio di così non ci può essere. E questo paese è condannato a morire perché se i rappresentanti politici in Parlamento arrivano a queste indecenze allora vuol dire che siamo fritti. Sul Cds di oggi Goffredo Buccini ricorda che Churchill sogghignava spiegando che «gli italiani vanno alla partita di calcio come a una guerra e alla guerra come a una partita di calcio». Che vergogna! Possa il futuro Parlamento post-Renzi essere indenne da queste mezze calzette della politica e del calcio.

lunedì 22 settembre 2014

Gabbie di ignoranza e di faziosità.


Ieri sera abbiamo assistito alla trasmissione televisiva “La gabbia”. Non ci interessa chi l’ha condotta, né i nomi dei quattro protagonisti dell’intervista che hanno dato i voti ad alcuni politici. Meno ancora ci interessano le idee mostrate e le loro posizioni politiche e ideologiche. Non ci interessano. Ognuno è libero di dare voti bassi o alti a chiunque purché ... segua delle regole uguali per tutti. E qui casca l’asino, perché ne abbiamo viste di cotte e di crude. Ecco i risultati. I voti attribuiti ai politici vanno dall’uno al dieci con una forbice innaturale che li rende veramente di difficile interpretazione se non dall’unico punto di vista possibile e cioè della faziosità. Se il discorso rimanesse solo fazioso non ci sarebbe comunque molto da dire. E’ chiaro che se uno è marxista fino alla cima dei capelli non ci si aspetta che dia un voto alto a Renzi o a Napolitano o a Berlusconi. Ci si aspetta però che i voti si disperdano poco da un valore medio di mediocrità-sufficienza. Mai e poi mai ci si aspetta che lo stesso potesse dare valori che non sono addirittura ammessi nella valutazione ufficiale ministeriale. E’ ovvio che ogni valutazione non ha senso se non si definiscono prima i parametri e il metodo di valutazione. E qui il conduttore non è stato all’altezza, perché avrebbe dovuto chiarire all’inizio la querelle. La superficialità della trasmissione tuttavia non sta nel fatto che il conduttore abbia negato agli spettatori l’informazione relativa alle regole ma che lo stesso non abbia avuto l’accortezza di comprendere che il terreno della docimologia è un terreno minato, soprattutto a chi non ha la più pallida conoscenza dei suoi contenuti. Quanti di voi hanno mai letto un libro di docimologia? Mentre è possibile accettare l’idea che per essere conduttori di un talk show non è obbligatorio aver fatto letture docimologiche, viceversa non è accettabile l’idea che la valutazione sia data per ragioni di faziosità. In altre parole, va bene che la trasmissione deve dare spettacolo, ma senza esagerare. Ieri sera a nostro parere c’è stato non solo uno spettacolo di ignoranza ma addirittura di sfoggio di partigianeria rozza e grossolana da parte di quasi tutti gli intervenuti. Un esempio? I voti dati sono scorretti perché le direttive ministeriali ai docenti di scuola secondaria superiore escludono che i voti possano essere diversi dalle unità. In altre parole i voti vanno da 1 a 10, con numeri esclusivamente interi naturali. Sono vietati i più (+) e i meno (-). A maggior ragione sono vietati i meno meno (=) e anche i mezzi voti (½). Alcuni intervistati hanno dato zero (0) e (1). Evidentemente non sanno che lo zero (0) è vietato dalle norme ministeriali e l’uno (1) si dà in genere solo allo studente che si rifiuta di essere valutato. In realtà la vera valutazione cognitiva parte da due (2) e arriva al massimo a dieci (10). Non esiste la lode, se non come elemento pubblicitario nei soli esami di Stato alla fine dei percorsi liceali o di istruzione tecnica e professionale. Ieri sera ne abbiamo viste di tutti i colori. Gente che giustificava un voto di mediocrità (5) perché - è stato detto testualmente - “faccio la media tra zero (0) e dieci (10), cioè si somma il valore “minimo” zero (che è vietato) con il valore massimo dieci (10) e la somma viene divisa per due (2). In realtà in modo corretto la media aritmetica tra il valore minimo due (2) e il valore massimo dieci (10) è sei (6) che è sufficienza e non cinque che è insufficienza. Addirittura è stato dato un sei con punto interrogativo (6?) che dal punto di vista docimologico non ha alcun significato. Aggiungiamo altresì che in merito ai “criteri di valutazione” esiste una sorta di difesa da Forte Apache, accanita e ostinata, da parte di alcuni giornalisti a difendere la propria libertà docimologica, considerata un requisito inappellabile della personale funzione giornalistica. I risultati sono come minimo ridicoli: c’è chi decide unilateralmente di non andare al di sotto del “quattro”, chi al di sopra del “sette”, per non parlare poi di chi mette voti alti di consuetudine, chi voti bassi per strategia. Insomma un’accozzaglia di genericità, trascuratezza e partigianeria. Dunque, intervistare un professore universitario che dà 1, due direttori di giornali che danno zero e 4½ è dare un pessimo esempio su come fare televisione perché il messaggio che viene inviato agli spettatori è che l’ignoranza dei tre soggetti su quattro, non solo è deleteria per gente che dice di “fare cultura” ma è anche diseducativa, perché giustifica una “valutazione da passione” (come quando si valutano le prestazioni dei calciatori più per tifo che per bravura). Un intervistato ha addirittura parlato di Italia come uno “sventurato paese” perché la politica dei nostri politici non è consona con la sua ideologia. Stranamente poi il quarto intervistato, di notevole mole fisica, non solo non ha dato alcuna valutazione errata come i suoi “colleghi” ma è apparso anche pragmatico fino al punto di escludere le valutazioni estreme di cui è necessario diffidare sempre. Dice bene un proverbio svedese “chi scava una fossa per gli altri spesso ci cade dentro”. E nella fossa ci sono caduti in tre, che non hanno capito che “un saggio nasconde meglio la sua erudizione che uno stolto la sua ignoranza”.

sabato 20 settembre 2014

Irresponsabilità e sceneggiata scozzese.


Irresponsabile. Ecco chi è il leader degli indipendentisti scozzesi Alex Salmond, primo ministro e leader dello Scottish National Party e bene ha fatto a dimettersi. Gli riconosciamo la correttezza del gesto, ma rimane comunque un incosciente. Naturalmente è in buona compagnia con centinaia di altri sconsiderati come lui che per puro egoismo e solamente per questo stavano mettendo in atto un processo in grado di far franare addirittura l’intero sistema politico europeo. Il referendum voluto dagli indipendentisti scozzesi stava per creare le premesse di incendi secessionisti in tutta Europa, dimenticando che i cittadini europei stanno vivendo una crisi epocale ai loro danni, che se ne infischiano dei diversi secessionismi e vogliono affrontar il peggioramento recessivo con l’impegno full time della politica interamente rivolta ai fatti del lavoro, della sicurezza sociale e della crescita e non per l’indipendenza più o meno utilitaristica di una singola regione. Se gli yes avessero vinto a quest’ora decine e decine di partiti secessionisti di tutta Europa si sarebbero gettati a capofitto nella ventata di sconsiderata eccitazione che il referendum scozzese avrebbe prodotto. Sono palesi i danni irreversibili che questa scelta avrebbe potuto generare non solo alle politiche economiche nazionali ma anche, se non soprattutto, ai processi di politica economica e finanziaria dell’UE e della BCE. In Europa sono stati censiti più di quarantacinque partiti che vogliono l’indipendenza dalla loro nazione. Ve lo immaginate il continente Europa formato da novanta Patrie? Avete idea di che genere di pollaio si sarebbe realizzato? Siete in grado di immaginare cosa avrebbe provocato in Europa un simile guazzabuglio di novanta staterelli metà azzoppati dal secessionismo e l’altra metà inadeguata a competere nei mercati mondiali della globalizzazione? La conseguenza sarebbe stata che ognuno di questi staterelli sarebbe andato per proprio conto con la certezza dell’emarginazione. Con una propria moneta, con una propria lingua, con un proprio sistema politico e con la reintroduzione di dogane, frontiere e transenne protettive avremmo avuto il più intollerabile e gigantesco sistema di intolleranza e discriminazione ai danni dei più poveri. Bene ha fatto la maggioranza degli scozzesi a votare no, thanks. Non è questo il momento di soffermarci sugli sconfitti. Diciamo solo che tra i tanti ci sono i leghisti lombardi e quelli veneti che vorrebbero separarsi dall’Italia. Ricordiamo che questa gente è la stessa che abbiamo visto in azione negli anni del berlusconismo rampante a rubare a mani basse nei rimborsi elettorali e comprare lauree in Albania per i figli, gioielli e diamanti per gli investimenti di denaro procacciati indegnamente dalla politica, mutande verdi e azioni africane per diversificare il portafogli delle diverse e innaturali leghe più o meno settentrionali. Peggio di così questi inutili tromboni - che considerano la politica non come strumento per soddisfare il bene comune dei cittadini ma come balzello per arricchire se stessi - non potevano presentarsi davanti al paese. Diciamo poi che quelli nostrani sono più rozzi e grossolani degli altri, con in più un piccolo dettaglio: sono anche ignoranti, perché sembra che abbiano confuso la capitale della Scozia Edimburgo in un primo momento con Strasburgo e successivamente con Friburgo. Rob de matt!

venerdì 19 settembre 2014

Le divergenze dopo i silenzi.


La notizia della settimana è una bomba a orologeria seminascosta. Il cardinale Scola ha criticato papa Francesco in merito alla comunione ai divorziati. In altre parole il Cardinale di Milano, ovvero colui che nell'ultimo conclave è entrato Papa ed è uscito cardinale, ha bacchettato Francesco togliendosi un sassolino dalla scarpa. Per i tempi biblici della chiesa cattolica e per le modalità relative al dissenso che in genere si manifesta più con il silenzio ripetuto che con la esplicita critica possiamo dire che se non siamo allo scontro poco ci manca. Sembra che il Cardinale Scola non sia solo. Ha altri quattro cardinali battaglieri al suo fianco e sembra altresì intenzionato a non mollare l’occasione. Scola ha fatto capire che il rifiuto della comunione ai divorziati non è una punizione ma è l’offerta di un percorso di vita in positivo con l’esplicita indicazione di un corridoio da percorrere molte volte in grado di abituare i divorziati a riavvicinarsi ai valori evangelici posti come obiettivo da conseguire durante il percorso. La nuova ditta, pardòn il nuovo gruppo si sta compattando con incontri avvenuti nelle diocesi lombarde, dove tra un risuttin alla milanés e un po’ di gurgunzöla dolce al posto della frutta l’ex docente di dottrina teologica di Silvio Berlusconi porta a cena i colleghi cardinali per decidere la strategia con la quale mettere in difficoltà papa Francesco. Il cardinale di Milano, ex referente di “Comunione e Liberazione”, non si rassegna. Con la caduta di Berlusconi si è mantenuto in forma lanciando sistematici cinguettii su twitter nei quali l’amore cristiano è posto al centro dell’interesse teologico. Naturalmente non compare mai alcuna accusa diretta contro il papa. Ci mancherebbe altro. Mica lui è sudamericano. Lui è conterraneo di Alessandro Manzoni, autore di quel romanzo milanés de "I Promessi Sposi" dove ci piace ricordare i si dice e i non si dice del padre Provinciale e le altrettante sottintese richieste del conte Zio di trasferimento di padre Cristoforo. Dobbiamo temere qualcosa? Biblicamente e con molta lentezza diciamo al nuovo ed eccezionale Papa di fare attenzione agli amici, perché dai nemici ci si può difendere mentre dagli amici assolutamente no.

lunedì 15 settembre 2014

Milano: fedeli e cani in chiesa.


E’ fatta. Un altro tassello del grande puzzle dell’animalismo è stato aggiunto. La grande lobby animalista ha colpito ancora nel segno. Il Sindaco di Milano è il Condottiero che realizzerà per primo in Italia questo disegno di grande democrazia. Dopo l’entrata in vigore della legge che permette di considerare a tutti gli effetti gli animali come componenti di diritto dei condomìni nei palazzi di tutta Italia, adesso il Sindaco Pisapia ha dichiarato che un’altra conquista di civiltà sta per aggiungersi al sistema normativo dei regolamenti comunali milanesi perché farà approvare il “Regolamento per la tutela e il benessere degli animali” che prevede ai cani di entrare nelle chiese per seguire le funzioni religiose. Siamo dell’avviso che si tratta di una conquista gigantesca e colossale sul piano dei diritti degli animali. Permettere ai cani, magari a un doberman o a un rottweiler, di diventare fedeli a tutti gli effetti nelle chiese e di seguire le S.S. Messe la domenica è effettivamente una conquista di civiltà. Ci immaginiamo la scena: su una panca di quattro posti ci saranno dei fedeli che avranno come compagno di banco un rappresentante della razza canina intento ad ascoltare la parola del sacerdote. Il problema sarà semmai dove far sedere il cane: nel posto laterale del banco o nei posti centrali? Un bel rebus. Non sarà invece un problema la paura di alcune persone per i cani perché la risposta del padrone sarà che “in chiesa il cane non morde” e tutto sarà risolto. Invece sarà un problema la questione del galateo della stretta di mano, pardon di zampa, nel momento in cui il sacerdote inviterà i fedeli a fare il gesto della pace. Continuando così non escludiamo la possibilità che la stessa lobby e gli stessi sindaci possano far entrare in chiesa in futuro anche le puzzole. E i fedeli che non sopporteranno i cattivi odori peggio per loro! Si dovranno adeguare. A proposito: per favore in chiesa niente recinti discriminanti per i cani, come i matronei delle chiese ebraiche o islamiche. Noi siamo cattolici bellezza!

sabato 23 agosto 2014

Nullità e inutilità dei politici mondiali del nostro tempo.


Una moltitudine di capi di governo dei più ricchi paesi del mondo sta attualmente dando il peggio di se stessi e sta manifestando una drammatica inadeguatezza nei loro incarichi. Attualmente il mondo è alle prese con una serie di conflitti, apparentemente locali, che manifestano la peggior follia umana mai esistita nel campo della politica mondiale in relazione ai mezzi e agli strumenti di cui dispongono. Nella Striscia di Gaza, in Siria, in Iraq, in Nigeria, in Libia e nell’Ucraina, tanto per fare alcuni esempi concreti, si sta mostrando al mondo l’incapacità della politica dell’ONU e dei più importanti Stati cosiddetti leader a imporre una pace che sia reale e tangibile. Sotto gli occhi di tutto il mondo si sta permettendo un genocidio sistematico di poveri cittadini senza che alcun capo di governo “di quelli che contano” faccia qualcosa di concreto per fermare lo sterminio di interi popoli. L’ammazzamento generale intanto prosegue nella quasi indifferenza generale delle massime potenze. I paesi sopra citati sono sotto assedio da parte di pazzi furiosi che sono la dimostrazione di come l'idea dei diritti civili e delle libertà individuali dei cittadini è sistematicamente violata dalla loro ferocia. Papa Francesco ha detto che è in atto la 3a guerra mondiale “spezzettata”. Ha perfettamente ragione. Quello che emerge da un'analisi non certo approfondita è che viviamo un periodo storico della politica mondiale in cui non esistono esempi di figure politiche di rilievo a cui fare riferimento. I cosiddetti “leader mondiali” stanno facendo la figura di zombies inutili che fanno pena. Gli Obama, i Putin, i leader cinesi, gli Holland, i Cameron, i Barroso e tutte le Merkel dei nostri stivali, tanto per essere chiari, sono personaggi squallidi e ingialliti dal loro narcisismo inservibile. La verità è che essi hanno fallito clamorosamente davanti agli assassini e ai killer di inermi perché hanno creato un ordine mondiale vano e rovinoso. Questi Piccoli Uomini che dirigono i cosiddetti Grandi Paesi, stanno mostrando la loro totale inadeguatezza di essere classe dirigente del pianeta. Dovrebbero vergognarsi per non essere stati in grado di fare politica concreta imponendo la pace a tutti i costi e salvare migliaia di vite umane. All’illustre sig. Ban Ki-moon diciamo che la sua persona è il tipico rappresentante dell’inutilità e della nullità politica mondiale nonché l'esempio più eclatante della disfatta morale dell'intera classe politica del pianeta. Il minimo che possa fare è dimettersi da Segretario generale delle Nazioni Unite per evitare l'ipocrisia che esiste un ordine mondiale. L'ONU ormai è diventata come una municipalizzata di un Comune italiano. E' utile solo per dare uno stipendio agli impiegati.

mercoledì 2 luglio 2014

Lo scandalo della compiacenza.


Dopo la condanna passata in giudicato di Silvio Berlusconi il suo rapporto con la magistratura sta cambiando. Cortesia e gentilezza sembra siano diventati i pilastri del nuovo approccio relazionale da parte del Tribunale di sorveglianza di Milano nei suoi confronti. Tuttavia il problema non finisce qui perché se è “cosa buona e giusta” quella dei nuovi giudici di trattare il condannato con prudenza e grazia, aumenta spropositatamente il disequilibrio dei loro comportamenti tra un Berlusconi da una parte e gli altri cittadini dall’altra. Tanto che siamo costretti a dichiarare che la magistratura italiana sta diventando ogni giorno di più meno seria di quanto avrebbe dovuto essere e, soprattutto, che sta invadendo terreni non suoi quando giudica. La mancanza di serietà dei magistrati del tribunale di sorveglianza di Milano è grave perché si vede in questi "piccoli fatti" come viene snaturato il diritto in questo paese e come persistono atteggiamenti discriminatori nei confronti dei più deboli. Noi siamo dell’avviso che se invece di Berlusconi si fosse trattato di un comune cittadino altro che garbo e gentilezza! Leggiamo che i giudici del tribunale di sorveglianza danno un ulteriore avviso a Berlusconi che le sue dichiarazioni contro la magistratura non potranno più essere tollerate. Ma lo avevano già detto decine di volte prima della condanna definitiva e ben due volte dopo l’assegnazione ai servizi sociali! In pratica si è verificato quanto segue: un condannato, che normalmente avrebbe dovuto essere in galera o al massimo ai domiciliari, viene gratificato con i servizi sociali. E fin qui tutto bene. Gli si chiede però delle condizioni, come quella minima di assumere comportamenti consoni al suo nuovo status di operatore dei servizi sociali e soprattutto di non calunniare la magistratura. E Berlusconi che fa? Per numerose volte consecutive, in circostanze differenti (comizio pubblico, interviste e come testimone in un processo) continua a calunniare la magistratura come se nulla fosse. Insomma ha continuato a fare come dice la canzone di Tony Dallara “come prima e più di prima”, infischiandosene degli obblighi. E i giudici che fanno? Lo graziano per la terza volta con l’aggravante questa volta di snaturare il loro ruolo di giudici con quello di natura pedagogica di docenti per giunta montessoriani che, com’è noto, educano gli studenti ribelli e discoli con l’arma del buonismo. Negli USA per un centesimo delle calunnie dette, a quest’ora Berlusconi sarebbe stato dirottato definitivamente in carcere a San Quentin in California con in più un’altra condanna per il reato di oltraggio alla magistratura. Evidentemente qui non siamo negli USA. E’ vero, ma i giudici qui non sono neanche seri.

venerdì 27 giugno 2014

Il mio trentaduesimo viaggio in Europa: Tirana.


Tiranë (23 Giugno - 26 Giugno 2014)

Sono andato a Tiranë in Shqipëri (in italiano Tirana in Albania) a visitare la "città delle aquile" nella quale scorre il piccolo fiume Lana. La ragione di questa mia visita alla capitale della Republika e Shqipërisë (Repubblica Albanese), culla della civiltà Illirica e terra dalle grandi tradizioni, è dovuta a molteplici fattori alcuni dei quali hanno a che vedere con la mia vecchia curiosità di vedere direttamente da vicino e "toccare con mano" la città che fu di Enver Hoxha, il longevo e inflessibile Primo Segretario Generale del Partito Comunista dell'Albania, definito a suo tempo come il dittatore di uno Stato comunista isolazionista, stalinista e anti-revisionista. In secondo luogo perchè l'Albania ha già presentato la domanda di ammissione nell'Unione Europea.

La Repubblica albanese è la terra dell'eroe nazionale Giorgio Castriota Skanderbeg e di Ismail Qemali, entrambi leader dell'indipendenza albanese dall'impero ottomano. E' la terra del poeta romantico Naim Frasheri e del linguista e storico Zef Schirò. E' il luogo dove nacquero la religiosa Madre Teresa di Calcutta, cattolica fondatrice dell'ordine religioso delle Missionarie della Carità e del compositore Feim Ibrahimi, nonchè dello scrittore Ismail Kadare. Sono nati in Albania anche l'artista e scultore Odhise Paskali e il premio Nobel per la medicina il biologo Ferid Murad. In questa cornice, il mio interessante ed emozionante viaggio a Tirana, il trentaduesimo nelle capitali d'Europa, è stato per me un viaggio denso di sensazioni e di piacevoli immagini.
Tirana, nell’immaginario politico e sociale di chi come me fu giovane negli anni '60 del secolo scorso, mi è rimasta sempre impressa in mente per la sistematica e martellante pubblicità radiofonica che propose alla radio, sulle onde corte, negli anni della mia giovinezza attraverso la famosa Radio Tirana che, con la voce femminile della lettrice che parlava un eccellente italiano, affermava continuamente che la vittoria finale contro l'Occidente capitalista e nemico del popolo sarebbe stata con certezza della Repubblica Popolare Albanese. Com'è noto le cose andarono in tutt'altro modo. Ed io, oggi, dopo ventinove anni dalla morte di Enver Hoxha, mi accingo a calcare il suolo che fu del più settario comunismo d'Europa. Devo dire che sono proprio curioso di osservare direttamente, anche se dopo oltre mezzo secolo da quegli anni, che cosa è rimasto da vedere di quel mondo sebbene sarà difficile trovare ancora dei simboli del comunismo di quegli anni. Naturalmente non è solo questa la motivazione che mi spinge a fare un viaggio oltre-Adriatico. Come ho già detto sopra l'Albania è uno dei paesi candidati a entrare nell'Unione Europea. E siccome io sono un profondo e convinto europeista, avverto insieme il desiderio e la necessità di conoscere direttamente con una visita il paese che speriamo tutti in pochi anni diventi il ventinovesimo paese della Comunità Europea. Questo diario di viaggio è pertanto il tentativo di evidenziare il punto di vista di un europeo su una città, la capitale, che attende con fiducia e speranza i prossimi anni nella consapevolezza di avere i requisiti attraverso i quali mostrare all'intera Europa le sue bellezze e la genuinità della sua popolazione. Gabriel Garcia Marques ebbe a dire: "la vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla". Mi auguro di ricordare bene questo viaggio per raccontarlo altrettanto bene.
Premessa. Dopo avere visitato ben trentuno differenti capitali d'Europa mai e poi mai avrei immaginato che il trentaduesimo viaggio nelle capitali d'Europa mi avrebbe ancora emozionato. In queste numerose visite ne ho viste “di tutti i colori”. Ebbene mi sono convinto che ci sono stimolanti scoperte e interessanti sorprese nel visitare la bella e piacevole capitale della giovane Repubblica non più comunista di Albania. In un certo senso, come scrive Marcel Proust, nel suo eccellente libro capolavoro Alla ricerca del tempo perduto, della Newton Compton Editori, mi sento appartenere a «quelli che si mettono in viaggio per vedere con i propri occhi una città desiderata e immaginano si possa godere nella realtà l'incanto della fantasia». Adesso l'emittente radiofonica albanese non trasmette più comunicati politici, voluti a quel tempo dal suo Segretario Generale compagno Enver Hoxha, ossessionato da una invasione straniera. Adesso Radio Tirana trasmette musica balcanica con connotati turchi ma anche statunitensi che qualche volta ascolto con molto piacere, apprezzando più le attuali trasmissioni di oggi che non quelle di ieri. Dunque ci siamo. Il giorno della partenza per Tirana è arrivato. Stranamente sono agitato. Non dovrei. Eppure sento l'ansia del viaggio che mi produce le stesse sensazioni di sempre, quelle di tentare ancora una volta la sfida di conoscere concretamente, con l'esperienza diretta, il miscuglio di cultura e tradizioni che caratterizzano i cittadini tiranesi attraverso il confronto su molti aspetti della vita. Quali? Il senso civico, il modo di comportarsi davanti a me straniero che non parla la loro lingua ma che tenta comunque di avere con la gente del luogo un approccio concreto, pragmatico e positivo, il rispetto per tutta la gente del luogo, manifestato con sguardi di riconoscenza e/o di gratitudine, di saluto e perché no di amicizia in qualunque occasione possibile della giornata. Un esempio? Sotto un sole cocente il primo giorno di visita verso mezzogiorno vedo cinque persone anziane in Sheshi Sulejman Pasha - una piazza centrale di Tirana situata a metà strada circa tra Sheshi Skenderbej e Sheshi Avni Rustemi, lungo l'asse orizzontale della città - a giocare a domino. A proposito "Sheshi" in albanese significa piazza, sarebbe opportuno ricordarlo perchè sarà una parola molto usata in questo diario di viaggio. Quattro di loro sono seduti sull’erba del prato e uno è in piedi che li guarda con attenzione. Mi avvicino lentamente e mostro di essere sorpreso da un gioco che ho imparato da bambino ma che faccio finta di non conoscere. Chiedo in italiano se posso osservarli giocare per alcuni minuti. Uno dei quattro mostra di conoscere l’italiano e mi dice che stanno giocando a domino e che posso guardare senza problemi. Mi sforzo di apparire molto interessato e con cenni della testa faccio intendere che mi sono appassionato alla sfida. Alla fine vince qualcuno di loro e io faccio i miei complimenti a tutti. In pochi minuti divento la causa della loro curiosità e dico al signore col quale avevo interloquito in precedenza che sono italiano e che mi trovo a Tirana non per lavoro ma per turismo e che mi sto trovando molto bene. C’è mancato poco che non mi invitassero a giocare con loro. Ringrazio con voce grata il signore che mi ha fatto da interprete e con alcuni movimenti delle labbra e delle guance mostro loro riconoscenza per avermi fatto partecipare, anche se indirettamente, al gioco. Grandi saluti strette di mano e attestati di stima concludono il veloce scambio di intesa sul fatto che sono riuscito a interloquire con successo nella comunicazione. A questo proposito mi viene in mente una citazione di Francis Bacon letta in Valter Baruzzi e Anna Baldoni, Le parole chiave della cittadinanza democratica, Milano, Franco Angeli, p.16, che disse: "Se un uomo è gentile con uno straniero, mostra d'essere cittadino del mondo e il cuor suo non è un'Isola, staccata dalle altre, ma il continente che li unisce". Che poi non è altro che l'impegno culturale di tutti noi che viaggiamo sul tema dell'educazione alla cittadinanza come investimento per il futuro democratico dell'Europa. Ecco cosa intendo quando parlo di “approccio concreto, pragmatico e positivo”. Dunque, dicevo che sono al mio trentaduesimo viaggio. Non dovrei essere in ansia per due buone ragioni: l'esperienza accumulata nei trentuno spostamenti precedenti, tutti rigorosamente già effettuati in Europa, e la relativa facilità della visita a una capitale di una nazione piccola, a misura d'uomo, che intende bene come nessun'altra in Europa la lingua di Dante Alighieri. Eppure sento dentro di me che questo viaggio mi segnerà, forse più di altri apparentemente più importanti. Il fatto è che proprio ieri sera ho finito di leggere un libro di un'autrice indigena che è stato una schioppettata alle mie certezze conoscitive sull'Albania e sugli albanesi. Il libro è Il paese che non muore mai, e l'autrice è Ornela Vorpsi, mentre la casa editrice che ha pubblicato il libro è Einaudi. Sapevo che la vita degli albanesi è stata dura negli anni della dittatura comunista di Enver Hoxha ma avevo dimenticato di riflettere che oltre agli uomini, nel "paese delle aquile", hanno vissuto anche le donne con tutto ciò che ne consegue nel difficile rapporto tra una società maschilista e arcaica come fu quella albanese e le donne. La lettura del libro della Vorpsi è stata un calcio sul mento tirato intenzionalmente per fare male. Ne parleremo in seguito. Per adesso mi interessa giustificare perché il viaggio a Tirana. L'Albania ha due aspetti culturali che mi legano a lei. In primo luogo come ho già anticipato prima per Radio Tirana e i suoi annunci insistenti in lingua italiana negli anni della dittatura comunista che coincidono con la mia formazione politica di giovane desideroso di capire come funzionavano a quel tempo il mondo e la politica. In secondo luogo, la macchia dell'italianità fascista durante gli anni dell'invasione militare al paese dell'eroe nazionale Skenderbej. Questa storia dell'invasione di un paese e della conseguente concezione coloniale del regime fascista è sempre stata per me una specie di vergogna personale e nazionale di essere italiano. Da sempre non ho mai potuto soffrire la lotta impari fra un energumeno e un ragazzino. Ho sempre visto l'energumeno come il cattivo e il debole come eroe. Pertanto mi porto dietro questa vergogna che provo quando vado a visitare le città e soprattutto i musei storici delle capitali che hanno avuto la sfortuna di essere stati invasi dall'esercito fascista. Ho già relazionato abbastanza su questa tematica nei miei precedenti diari di viaggio di Lubjiana, Belgrado e Zagabria. E passiamo adesso al viaggio vero e proprio.
Primo giorno Lunedì 23 Giugno. Iniziamo dalla partenza da Roma. Sono le 5.45 quando chiudo dietro di me la porta di casa e mi metto in viaggio. Osservo per la trentaduesima volta il panorama che si presenta ai miei occhi all’alba e lo trovo identico alle volte precedenti. Stessa strada, stesso numero di linea dell'autobus, stessi viali, stessi alberi, stessi gesti miei e del conducente del bus che trovo già pronto al capolinea ancora sonnecchiante. Anche l'aria sembra la stessa e persino il freddo che precede l'alba era come sempre. Sembra che tutto sia uguale da secoli. Anzi, forzando un po' la realtà delle cose sembra che anche il guidatore sia la medesima persona che ha guidato l'autobus della medesima linea tutte le altre volte che sono partito per uno dei miei viaggi. Il suo volto anonimo avrebbe potuto realmente essere la stessa persona di sempre. Appena dopo il sottopasso della ferrovia e alla stessa fermata nella via Ostiense scendo dal bus e inizio il breve tratto di strada in salita che mi porta alla stazione ferroviaria. Quante volte ho trascinato il mio trolley con animo fiducioso per questa salita e quante volte ho pensato alla bellezza dei viaggi e alle magnifiche conseguenze di conoscere luoghi e persone sempre diverse. All’entrata della stazione di Roma Ostiense anche i balordi che dormono la notte all'addiaccio sotto i portici dell’edificio in classico stile mussoliniano degli anni del fascismo, sembrano essere le medesime persone che ho visto quasi sempre nei miei precedenti viaggi. "Chissà come andrà questo trentaduesimo viaggio" mi chiedo sottovoce. Sarà lo stesso dei precedenti oppure sarà diverso? "Chi vivrà vedrà" dicevano i vecchi anziani seduti al bar del mio paese con quell’aria da conoscitori profondi dei misteri della vita. Sono le 6.28 quando timbro il biglietto da 8€ per Fiumicino Aeroporto. Sto muovendomi verso il binario 12 che è da sempre il numero di binario dove transita il solito treno per l'aeroporto. Negli scompartimenti ci sono anche qui le stesse facce di persone che fanno i pendolari. Stessa aria condizionata fredda e incontrollata all’interno delle carrozze.

Mi seggo e attendo fiducioso l’arrivo a Fiumicino Aeroporto. Sono in anticipo. Scendo dal treno e imbocco il tunnel per andare al Terminal T1. Non ho fretta. Devo percorrere tanta strada prima di arrivare alla postazione delle hostess che mi faranno espletare le formalità di rito del check in relativo alla partenza. Ho tutto il tempo di guardare il tabellone degli orari e osservare il via vai della gente nella grande sala dell'edificio. C'è una grande serenità nell'aria e questo mi mette di buon umore. Al gate H18 mi aspetta un aereo della compagnia di bandiera italiana Alitalia delle 8.50 per Tirana. Rapida procedura di assegnazione del posto al check-in e alle 9.20 sono seduto comodamente sull’aereo, lato corridoio, al posto 15C, con il mio smartphone S4 spento e un quotidiano in mano. Il biglietto di andata e ritorno è costato 209 €. Vicino a me si siede un signore anziano albanese mentre l’altro posto vicino al finestrino è occupato dal nipotino che per l’intera durata del volo non fa altro che muoversi con grande eccitazione. Siamo già in ritardo e la coda degli aerei davanti a noi nella corsia parallela a quella del decollo è un po' lunga. Alle 9.40, con venti minuti di ritardo e l'assicurazione del comandante che recupereremo in volo, l’aereo dell'Alitalia lascia Roma Fiumicino e si inoltra nel bellissimo e intenso azzurro del cielo. Dopo un'ora circa di volo con enfasi esagerata il comandante annuncia che siamo arrivati in perfetto orario all'Aeroporto internazionale Nënë Tereza di Tiranë mentre l'aereo atterra sulla pista. Dopo il controllo passaporti, in pochi minuti con il mio bagaglio a mano, un vecchio trolley blu che uso da molto tempo e con il quale ho visitato tante capitali europee, varco l'uscita ed entro nella grande sala dell'aeroporto di Tirana dove trovo un cambiavalute per rifornirmi subito di moneta locale ed essere autonomo negli spostamenti.

Cambio allo sportello della BKT una banconota da 50 euro con 6760 Lek, al cambio di 1€=136.20 Lek. L’aeroporto di Tirana è nuovo e piccolo e in poco tempo nella sala arrivi si è osservati speciali dai tassisti più o meno regolari, presenti nella sala arrivi uno dei quali mi rivolge la parola con insistenza per fornirmi un taxi. La sua sfrontatezza mi irrita e dopo avere risposto con un netto e deciso jo faleminderit (no grazie) seguo l'indicazione "autobusë dhe taksi" ed esco sul piazzale dell’aeroporto per vedere di individuare il bus navetta Rinas pubblicizzato sulla mia guida di viaggio che dovrebbe, per una tariffa di meno di 2 euro, trasportarmi nella centralissima Sheshi Skenderbej a due passi dall'albergo in cui alloggerò. Il motivo per cui non prendo il taxi è che almeno all'andata voglio viaggiare su un mezzo di trasporto pubblico a contatto con la gente comune del luogo. Sono qui proprio per questo. Considero questa fase del mio viaggio molto istruttiva e interessante perchè mi permette di osservare le persone nei loro momenti più autentici e personali. L'autobus ancora non c'è ma arriva dopo dieci minuti circa di attesa, nell'area di sosta situata nella parte sinistra dell'edificio aeroportuale. C'è un caldo afoso per cui mi metto in una zona d'ombra. Provo a limitare i danni della temperatura pensando alla rinfrescante doccia che farò quando arriverò in albergo.

Ma è tutto vano. Il caldo è caldo e a me vengono in mente le parole di Ornela Vorpsi che a questo proposito nello stesso libro di prima nell'incipit dice : «Di polvere e fango è fatto questo paese; il sole brucia a tal punto che le foglie della vigna si arrugginiscono e la ragione comincia a liquefarsi». Frase forte che ben si adatta al caldo di questi minuti relativo al carattere degli albanesi. Vicino a me sulla sinistra sono seduti due signori che parlano in continuazione. Sono così impegnati nella discussione che, sono sicuro, non avvertono il calore trasportato dai raggi del sole. Ornela Vorpsi nello stesso libro dice ancora: «Fortificati da interminabili ore passate a tavola, annaffiati dal raki, disinfettati dal peperoncino delle immancabili olive untuose, qui i corpi raggiungono una robustezza che sfida tutte le prove. La colonna vertebrale è di ferro [...] Siamo in Albania, qui non si scherza». Efficacissime parole per comprendere lo spirito di sacrificio di questo popolo che lo ha portato a superare prove di sofferenza terribili cavandosela sempre da solo. Dominati prima dagli ottomani, poi dai fascisti italiani, infine dai comunisti indigeni, forse i peggiori, hanno attraversato i secoli soffrendo molto ma al tempo stesso affrontando la vita con dignità e coraggio che meritano rispetto e ammirazione.

Mentre faccio questi pensieri l'autista dell'autobus mi chiede se scendo in centro. Avuto il mio assenso con un albanesissimo po (che al contrario di jo, significa si) mi prende il trolley e lo sistema nel bagagliaio. Non mi resta che attendere la partenza che avverrà a mezzogiorno. L'autobus navetta è infatti presente un quarto d'ora prima della partenza perchè parte dall'aeroporto per Tirana Centro in Sheshi Paris a ogni ora della giornata dalla stessa piazzola di attesa che si vede nella foto. Nel frattempo un vecchio signore si siede vicino a me e si mette a leggere il giornale prendendolo dal cruscotto dell'autobus che è evidentemente a disposizione dei passeggeri. Per l'intero viaggio non ha detto una sola parola. Ha letto e basta. Il biglietto mi costa 250 lek, meno di due euro. Lo ringrazio dicendo in albanese grazie, che si dice falemderit, e osservo la sua reazione che mi guarda e mi sorride. Non se l'aspettava ma fa finta di niente. Ha molto lavoro da svolgere perchè deve dare i biglietti a tutti i presenti, saremo circa quindici-venti persone e poi guidare per i diciassette chilometri che mancano per arrivare a Tirana centro. Durante la mezz'oretta circa di viaggio si ferma più volte in punti strategici del percorso. Vedo ai bordi della strada tanti capannoni e piccole industrie che caratterizzano senza soluzione di continuità l'intero percorso. C'è di tutto: ditte italiane di mobili, industrie tedesche di meccanica e società finanziarie francesi. Ci sono due banche pubblicizzate in modo capillare la Raiffeisen Bank e la mia banca Intesa qui chiamata Intesa SanPaolo Bank Albania oltre alla locale Tirana Bank.

L'autobus imbocca la lunga e diritta strada che porta in centro. Nella prima parte si chiama Rruga Dritan Hoxha. Poi cambia nome e diventa Rruga e Durrësit al termine della quale c'è il Museu Historik Kombëtar in Sheshi Skënderbej, destinazione del mio arrivo. L'autobus però svolta improvvisamente a sinistra in Sheshi Paris. Preoccupato che mi allontani troppo dalla meta non faccio in tempo a richiamare l'attenzione dell'autista che questi mi invita a scendere consegnandomi il trolley. Lo ringrazio caldamente e penso non solo all'efficienza dell'azione ma anche alla disponibilità e alla cortesia mostrate. Un vero gentleman. Mi incammino a piedi verso l'hotel che dista un centinaio di metri circa, facendo attenzione a percorrere il selciato dove non c'è il pavè. Arrivo in albergo eccitato dall'atmosfera che respiro soprattutto perchè è situato strategicamente nel centro città. Impiego un po' di tempo alla Reception per capire che l'incaricata è decisa a trattenere la mia carta di identità per ragioni di sicurezza. Prendo atto che il bon ton in questo albergo è sconosciuto.

Acconsento, tanto in borsa ho anche il passaporto. Salgo in camera al dodicesimo piano nella stanza n. 1214 e immediatamente mi rinfresco con una doccia salutare per essere subito in strada a causa dei morsi della fame che si fanno sentire e come! Ho però da fare molte critiche alla camera: il sistema doccia manifesta al bordo del dispositivo dove esce il getto di acqua corrente un pericoloso rivestimento di ruggine e un fastidioso blocco del suo spostamento rotatorio che impedisce di variare l'intensità del flusso d'acqua. Lo dovrò fare presente alla reception. In più lo scarico del water non funziona perchè l'acqua defluisce in continuazione senza poterla bloccare. Mi vesto, cambio biancheria e sono subito in strada. So dove andare. Seneca, a proposito di idee poco chiare, ebbe a dire che: "non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare". A parte il fatto che io so perfettamente dove andare, devo dire poi che il mio non è un vento ma un uragano. Così alle 13.30 mi metto in strada con un caldo asfissiante. Mi trovo nella spiacevole condizione di provare contemporaneamente fame, sete e, soprattutto, caldo. Fortunatamente il ristorantino che ho scelto per pranzare è vicino all’albergo. Devo svoltare subito a sinistra prima della bellissima moschea (di cui parlerò più approfonditamente quando la visiterò) in Sheshi Skënderbej e imboccare Rruga Ludovik Shllaku, avendo alla sinistra il bellissimo edificio in travertino in stile fascista della Bibloteka Kombëtare (Biblioteca Nazionale), superare i giardini di Sheshi Sulejman Pasha e trovarmi all'inizio di Rruga Luigi Gurakuqi. Dopo poche decine di metri, sulla destra, c'è Rozafa. Facile no? Sulla semplice ma efficace guida in italiano di Tirana avevo sottolineato il nome di questo piccolo ristorante albanese vicino all’hotel. Adoro andare a mangiare in piccole trattorie o posti di ristoro per niente lussuosi e ricercati. Fa parte del mio modo di vedere il viaggio quello di consumare pasti semplici e tradizionali lontano da lussi e ostentazioni. Non mi piacciono altresì i luoghi dove si trangugiano panini, self service e hamburger, tipo Mac Donald, ma anche i ristoranti di lusso che esibiscono manie di grandezza. Arrivo un po' accaldato ed entro. Mi aspetto un ambiente tradizionale, vecchio stile albanese e decisamente autoctono. Trovo invece una specie di stanzone con tavoli da pizzeria anonimi, come quelli che si vedono nei festival dell'Unità in Romagna.

Preoccupato che il menu sia troppo commerciale chiedo al cameriere se propongono pietanze tradizionali. Per tutta risposta mi dice che la trattoria serve esclusivamente piatti di pesce e fa anche le pizze. Pesce e pizza mi chiedo come possono convivere? Soffrirò di pregiudizi ma questa miscela, a mio giudizio, non è un buon biglietto da visita. Perplesso da questo accostamento un po' spregiudicato e deluso dal fatto che non posso assaggiare subito qualche pietanza tradizionale di carne della cucina albanese (come per esempio una classica chorba alla gallina e delle famose e squisite salsiccette di agnello alla griglia, che qui vengono chiamate qofte), mi vedo costretto a scegliere per primo un brodetto di pesce che si rivela essere alla fine delizioso e squisito come non avrei mai immaginato. La fame, tuttavia, non è svanita perchè è dall'alba che non metto nulla sotto i denti. Il grande scrittore spagnolo Miguel de Cervantes a proposito di gusto e di salse ebbe a dire testualmente che :"la migliore salsa del mondo è la fame". Ed io in questo momento ne ho a volontà.

Ricordando tutte le parole albanesi che ho imparato a memoria e con grandi difficoltà prima del viaggio, cioè «po, jo, falemderit, ju luten, ne fatni, mirëdita, mirëmbrëma, më falni, nuk kuptoj, mirupafshim» (cioè "si, no, grazie, per favore, mi scusi buongiorno, buonasera, mi scusi, non capisco e arrivederci") richiamo l'attenzione del cameriere con una di queste paroline nella speranza di avere collaborazione per scegliere per secondo un'altra pietanza di pesce, altrettanto gustosa della precedente. Mi suggerisce dei gamberetti alla griglia che sono, mi dico, una pietanza affidabile sul piano della freschezza e difficilmente "manipolabile". Il cameriere mi informa che ha anche dell'ottimo vino bianco italiano che rifiuto perchè il mio scopo è assaggiare cibo locale. Mica sono venuto in Albania per bere vino del mio paese! E visto che il ristorante non ha vino bianco albanese opto per un boccale di birra alla spina del luogo. Il giovane cameriere che mi serve mi porta due spiedini di gamberetti cotti alla piastra, freschi e gustosi. Per apprezzarli di più non prendo nessuna insalata. Una pietanza che è una vera e propria delizia al palato. Devo riconoscere che è veramente gustosa.

Difficilmente dimenticherò il sapore di questo piatto che tra l'altro a me piace particolarmente, per giunta con i gamberetti sgusciati nella parte centrale perchè infilzati nello spiedino di legno e, al contrario, completi di guscio solo nella parte finale della coda. Sono così esaltato che chiedo ancora una insalatina di mare per completare un pasto decisamente piacevole. Il conto è di appena 2150 lek, ovvero 15 euro circa. Mi fermo vicino alla cucina e faccio i miei complimenti al cuoco che li merita tutti interi. Esco dal ristorante convinto che ci ritornerò, sebbene ci siano altri locali che meritano la precedenza prima di fare il bis. Fuori, dall'altra parte del marciapiedi, vedo molti conducenti di taxi che attendono i clienti. Vengo osservato con attenzione ma io mi mostro disinteressato e percepisco subito di non essere più un soggetto interessante per loro. Rientro in hotel per fare un riposino ristoratore. E' da questa mattina che non mi fermo. Tra l'altro in camera c'è il wi-fi che mi permette di collegarmi in rete per vedere siti web di informazione. Questa sera userò Skype per telefonare a prezzi molto contenuti. Alla Reception mi hanno dato il codice di connessione che risulta essere 12tiranahotel12. Il 12 riguarda il piano, mentre tiranahotel è il nome dell'albergo. Ho un'idea chiara dei successivi luoghi da visitare oggi. Devo darmi da fare subito altrimenti non riuscirò a visitare tutto quello che mi sono prefisso di vedere. Tre notti volano via velocemente. Innanzitutto voglio percorrere a piedi l'intero Bulevardi Dëshmorët e Kombit da Sheshi Skenderbej fino a Sheshi Nënë Tereza e osservare tutto ciò che è possibile vedere.

A parte l’ottima guida Tirana e Albania di Benko Gjata e Francesco Vietti, della casa editrice Morellini, l’unica in italiano che in modo semplice ed essenziale permette di avere uno sguardo panoramico sulle principali informazioni relative alla capitale albanese, quattro sono i libri (tre della stessa casa editrice Einaudi e il quarto della Salento Books) che ho letto con molto interesse e che mi hanno permesso di andare più in profondità nella “psicologia” della visita alla bella capitale albanese. Il primo è un libro che ho già utilizzato in precedenza in altri miei viaggi nei Balcani. Si tratta di F.Capitani-E.Coen, A EST Il volto della nuova Europa, Einaudi che è rappresentativo di una tendenza azzeccata di mettere al centro dell’interesse del lettore curioso la psicologia dei nuovi volti dei cittadini delle capitali balcaniche, utilissimo nel comprendere che cosa sia successo in queste due ultime decadi dalla caduta del muro in questa parte dell’Europa. Il secondo e il terzo sono romanzi scritti dall’albanese Ornela Vorpsi. Il paese dove non si muore mai e l'altro, sempre della Einaudi, Bevete cacao van Houten, che sono uno straordinario caleidoscopio della realtà e della vita dell’universo tiranese che mi hanno incuriosito non poco nella visita, mentre il quarto è di Elvira Dones della Salento Books dal titolo Senza bagagli, in albanese Dashuri e huaj. Tra l’altro, nel secondo libro sono descritti in modo seminascosto alcuni luoghi della città che vedono la tredicenne protagonista tiranese del romanzo alle prese con la sbrigativa e scarsamente evoluta visione della vita degli uomini albanesi negli anni ‘80. Non è questa la sede per parlare dei libri citati ma consiglio molto a chi vuole viaggiare in questa bella e piacevole nazione dell’Europa balcanica di leggerli. Leggere libri non ha mai fatto male a nessuno. Dunque è consigliabile, volendo, anche esagerare.
Eccomi dunque pronto a fare una lunga passeggiata nel Bulevardi Dëshmorët e Kombit. Voglio percorrerlo tutto, fino in fondo, oltre il fiume Lana. C'è caldo e pertanto mi metto per quanto possibile sul lato dell'ombra dei palazzi. Sheshi Skenderbej è una bella piazza, ampia, a forma tondeggiante quasi ellittica di verde al centro nella quale spicca la statua equestre dell'eroe nazionale Skenderbej. La percorro sotto il sole spostandomi velocemente verso la parte ovest della piazza dove c'è l'ombra dei palazzi pubblici di colore giallo e ocra. A fianco c'è la moschea Xhamia e Et'hem Beut che mi interessa subito vedere. In verità c'è anche Kulla e Sahatit cioè la Torre dell'Orologio risalente come la moschea a epoca ottomana nell'800. Ma quest'ultima mi interessa meno.

Sono invece attratto come in tutti i miei viaggi a vedere i simboli religiosi delle tre religioni monoteiste con il corollario delle variegate chiese cristiane che affollano il panorama cristiano delle chiese qui a Tirana rappresentate dalle due cattedrali cattolica e ortodossa di cui parlerò in altro momento. Dunque la moschea di Tirana con i suoi affreschi interni. Trovo all'entrata un nugolo di visitatori asiatici tutti indaffarati a prepararsi ad entrare. Con fare deciso mi tolgo le scarpe che sistemo in un armadio aperto e mi avvicino al vecchio custode salutandolo in arabo: "السلام عليكم " che vuol dire "la pace sia con voi". Lui abbandona lo sguardo ai giapponesi e mi guarda incredulo con attenzione. Io continuo dicendogli sempre in arabo "كيف حالك؟", cioè "come stai?". A quel punto mi sorride e mi prende sottobraccio invitandomi ad entrare insieme a lui nella moschea. Il colpo finale per ingraziarmi la sua simpatia è stato quando gli ho ripetuto velocemente i primi quattro versetti della prima Sura del Corano, chiamata "basmala". Probabilmente sono uno dei pochi italiani che si è rivolto a lui in questo modo. Gli chiedo se posso fare alcune foto e subito mi accorda il permesso. All'interno la moschea si rivela veramente piccola con spazi inadeguati per funzioni religiose del venerdì. Tuttavia è gradevole nelle proporzioni e si presenta equilibrata nelle forme e piacevole nelle simmetrie. Ci sono diversi affreschi sulle pareti con alcune iscrizioni in lingua araba come in tutte le moschee del mondo.

Qui nella foto accanto è rappresentato un classico dei due nomi più importanti presenti nella lingua araba. Si tratta sia del nome di Allah (Dio) a destra e sia quello del suo profeta Muhammad (Maometto) alla sinistra. Da notare che la scrittura del nome del profeta Muhammad è nella forma "a castello", con la «mim» in posizione superiore, la «ha» in posizione mediana, di nuovo la «mim» questa volta in posizione inferiore, appena accennata, con la «shadda» sopra la «mim» e alla loro sinistra la «dal». Non dimentichiamo che tra mondo albanese e mondo arabo non c'è mai stato alcun rapporto diretto. La cultura mussulmana dell'Albania (Shqipëria) ha radici che affondano nella dominazione ottomana, cioè turca, che ha imposto uso, costumi, alimentazione e soprattutto religione coranica. Dicono che anche a Skopje e Sarajevo ci siano moschee identiche a quella tiranese. Poi c'è il fattore lingua che è anch'esso legato al mondo ottomano perchè le due lingue (turca e albanese) sembra che siano entrambe "agglutinanti". Ma lasciamo questi dettagli ai linguisti e fermiamoci qui. Dalla moschea all'inizio del Bulevardi Dëshmorët e Kombit ci sono poche decine di metri. Ricordando che il viale è dedicato a fatti storici diciamo che il significato della traduzione è "Viale Martiri della Nazione". Il viale è pieno di bandiere di due tipi: la bandiera nazionale con la doppia aquila nera su sfondo rosso e uno striscione bianco con la scritta I love Camëria che è la parte più meridionale dell'Albania al confine con la Grecia. I pali della luce sostengono una coppia di vasi pieni di fiori colorati che danno un tocco di sensibilità artistica al quartiere che io chiamo l'"Eur di Tirana". Vedo una bella macchia di verde sulla mia sinistra. E' il Parku Rinia una bella isola di verde, con un laghetto artificiale, piena di pensionati seduti sulle panchine, mamme e bambini che giocano allegramente.

In un angolo del parco osservo oggetti strani di difficile interpretazione. Si tratta di tre manufatti in cemento: una stele sulla destra, il tetto di un bunker sotterraneo sulla sinistra e una serie di paletti a forma di scheletro di una casetta nel centro. Si tratta di una specie di monumento alle vittime del comunismo, inaugurato recentemente e vuole essere un monito e contemporaneamente un ricordo affinché i cosiddetti "relitti del comunismo" siano messi al bando come strumenti di negazione delle libertà e dei diritti civili della popolazione. I tre manufatti sono autentici simboli riferiti alle manie ossessive del regime di Enver Hoxha. Tecnicamente dovrebbe raffigurare ciò che qui esistette durante il passato regime comunista: una specie di "Check Point Charlie" come a Berlino. Per l'esattezza si chiama Postbllok Memorial i izolimit komunist. C'è poco da vedere ma se le autorità volevano colpire l'attenzione sui simboli peggiori del comunismo sono del parere che ci sono riusciti. Quella che ho chiamato stele è un pezzo del muro di Berlino donato a Tirana dalle autorità tedesche. Mi viene il desiderio di sedermi su una panchina del parco. Vedo appoggiati sul muretto che cinge una parte del parco tanti libri in vendita da parte di librai dell'usato ma è evidente che non conoscendo la lingua albanese sarebbe inutile comprarne qualcuno. Dall'altra parte del viale ci sono la Galeria Kombëtare e Arteve, cioè la Galleria nazionale d'Arte e l'ex hotel Dajti. Subito dopo c'è Lumi i Lanes, il fiume di Tirana del quale potrei citare una frase di Giorgio Ohnet che nel romanzo Il padrone delle ferriere, Editrice Lucchi, dice: «un tenue filo d'acqua, dagli abitanti chiamato pomposamente il fiume, brillava come un nastro d'argento tra i salici inariditi, dalle foglie tremanti, che pendevano sulle rive». In italiano il fiume si chiama Lana, e più che un fiume sembra un grosso canale di deflusso di acque non proprio chiare, mitigato dalla presenza ai bordi di un manto erboso ben rasato e ben curato che circonda tanti alberelli ricchi di foglie variegate. Le due strade che precedono e seguono il fiume sono dei bulevardi, cioè dei viali, con molto traffico di auto. Si tratta del Bulevardi Zhan D'Ark e del Bulevardi Bajram Curri.

L'occhio in questa zona della città spazia piacevolmente tra prati verdi ben curati, qualche grattacielo con vetrate e bei palazzi in travertino che danno la sensazione di essere all'Eur a Roma. In mezzo a un grande prato verde spicca una specie di enorme piramide di cemento fatta costruire dal dittatore Hoxha. L'enorme costruzione è piena di graffiti, di cui uno enorme con la scritta K65. Tutto sembra essere tranne che il famoso museo che Hoxha avrebbe voluto che fosse per celebrare la grandezza del comunismo albanese. Abbandonata al suo destino di edificio inutile la piramide sembra adesso vivere nell'indifferenza dei cittadini come giusta risposta ai piani irrazionali dell'ex dittatore. Parlare adesso di errori e scelte sbagliate di Hoxha è facile. Non dovette essere facile per niente a quel tempo, viceversa, la vita dei cittadini tiranesi, soprattutto di coloro che per scelta o meno non furono ferventi comunisti. Sarebbe bastato un niente per produrre una tragedia nella vita della famiglia di colui che non si era reso conforme ai propositi del dittatore. Adesso è facile parlare, criticare, disapprovare e biasimare le scelte di Enver Hoxha. E mentre Radio Tirana diffondeva nell'etere i messaggi ortodossi del più "puro" partito marxista-leninista di tutte le "beneamate" Repubbliche comuniste del mondo e durante il tempo in cui il compagno Henver costruiva, come avrebbe detto il rag. Fantozzi, la boiata pazzesca di una piramide enorme in cemento armato per celebrare se stesso, nel frattempo il popolo moriva di fame. Bella commedia e bel teatrino è stato quel comunismo che avrebbe dovuto rendere la vita terrena un paradiso, non c'è che dire. Nel frattempo davanti a me vedo la sede del albanese. C'è un giovane che sosta davanti l'ingresso. Mi avvicino e gli chiedo se può farmi una foto con la mia macchina fotografica. Preoccupatissimo mi dice che non può perchè la telecamera di sorveglianza lo riprende e non vuole correre rischi di essere criticato dal suo superiore. Appena prima nel parco ci sono i busti marmorei di alcune personalità famose albanesi. La più importante forse è quella di Abdyl Frashëri artefice dell'autonomia dell'impero ottomano. C'è anche quella di Naim Frashëri poeta nazionale albanese. Subito dopo si incontra una bella strada, Rruga Ismail Qemali, dal chiaro nome di derivazione turca. A pochi passi il viale sbocca nella bella Piazza di madre Teresa dal piacevole nome albanese di Sheshi Nënë Tereza. Comincio a rendermi conto che Tirana è veramente bella e interessante. Non avrei mai creduto di scoprire una città così piacevole e a misura d'uomo. Sono proprio soddisfatto di avere scelto come meta di viaggio la capitale albanese. Qui tutto sembra costruito e fatto funzionare per rendere la mia passeggiata gradevole, tranquilla e amabile.

Certo vivere e lavorare in una città per un anno intero è cosa diversa dal visitarla per turismo e svago solo per alcuni giorni. Tuttavia se le sensazioni sono così piacevoli qualcosa di serio e affidabile per produrle ci deve essere. Si è fatto tardi e i miei muscoli soprattutto quelli delle gambe reclamano la loro porzione di riposo. Non mi rimane altro da fare se non prepararmi per la cena. Rientro in albergo per rinfrescarmi ed esco di nuovo per mangiare qualcosa. Al tramonto, per l'esattezza alle ore 20.20, sono in strada e sento nell’aria un sottofondo di un canto che percepisco essere l'Adhan, ovvero la preghiera della sera del rito musulmano. Non l'avevo mai sentito prima così nitidamente e melodiosamente nonostante io abbia visitato molte città in cui sono presenti delle moschee di credo mussulmano. Istanbul, Sofia e Nicosia parte turca sono alcune delle città che hanno tradizioni e patrimoni religiosi più o meno forti e vincolanti di rito musulmano. A questo proposito devo dire che per strada non ho incontrato donne col velo e alla moschea centrale di Xhamia e Et'hem Beut in Sheshi Scanderbej non ho visto file di credenti per partecipare alla preghiera dei giorni feriali. Tra l’altro la moschea è molto piccola e sarebbe impensabile fare entrare più di alcune decine di persone. Vero è che altre religioni non stanno meglio. Mi ricordo di una mia visita a Stoccolma alla cattedrale Luterana. Era una domenica e c'era la messa. A parte il vescovo che poi era una donna e altre cinque persone che hanno partecipato alla funzione religiosa non ho visto altri. Lo stesso dicasi a Londra e ad Helsinki. La melodia ascoltata tramite l'altoparlante mi accompagna per un altro po' di tempo perchè girato l'angolo in Rruga e Dibrës c'è il bar ristorante Ulqini, l'unico che nelle vicinanze è in grado di servirmi un piatto di riso. Infatti, ho chiesto ad altri due ristoranti nella stessa via se avessero nel menù del riso. La risposta è stata negativa.

Questa sera non voglio mangiare pesante e un piatto di riso potrebbe essere l'ideale per permettermi una sana digestione. Il cameriere sentite le mie richieste mi suggerisce una supe krem pule, ovvero una zuppa di pollo, del riso pilaf e delle focaccine calde (buke furre) con un krikel e vogel, cioè un piccolo boccale di birra locale alla spina. Il menù è azzeccato. Lo capisco subito dal fatto che a fine pasto mi sento lo stomaco leggero e avverto la necessità e il piacere di andare a dormire. L'unica mia preoccupazione è stata la salsina presente sulla sommità della semisfera di riso. Ne assaggio un tantino e sebbene sia gustosa, per sicurezza, la lascio. Questa notte ho bisogno di dormire profondamente e recuperare le energie. Domani sarà una giornata impegnativa sul piano dello sforzo fisico per visitare tante bellezze artistiche. Ho mangiato quasi tutto il pane. E' veramente squisito. Pago con piacere 410 Lek, cioè 3,50 euro circa e faccio i complimenti al cameriere pregandolo di ringraziare il cuoco per avermi permesso di mangiare ciò che desideravo. Le due focaccine di pane albanese poi erano così calde e squisite che sono del parere che hanno collaborato molto per migliorare il mio umore serale. Il classico faleminderit è il minimo che possa dire al cameriere.
Secondo giorno Martedì 24 Giugno. Oggi devo fare molte visite a luoghi d'arte e di cultura della città. Sono molto irritato con l'impiegata della reception perchè ieri pomeriggio, al mio rientro in camera, ho trovato che il tirante dello scarico dell'acqua del water era completamente rotto. Ho dovuto telefonarle più volte per farmi mandare in camera un uomo "tutto fare" che ha dovuto sferragliare non poco per risolvere il problema della perdita incontrollata di acqua dallo sciacquone.

Se aggiungiamo che il rubinetto della doccia da dove fuoriesce il flusso dell'acqua è arrugginito, che alla reception la stessa incaricata mi ha rifiutato una mappa di Tirana (fornita gratuitamente dalla reception di qualunque hotel d'Europa) con la scusa che in quel momento non ne avevano una a portata di mano, costringendomi ad acquistarne una copia in libreria e valutato il fatto che avevo chiesto una camera che desse su Sheshi Skenderbej e mi sono trovato viceversa con le finestre rivolte nella direzione esattamente opposta e, considerato il fatto più grave, che mi ha letteralmente sequestrato in modo sfrontato la mia carta di identità per vaghi e inaccettabili motivi di sicurezza dopo aver pagato l'intero pernottamento tutto in anticipo, penso che la direzione dell'hotel si sia assunta la responsabilità di una gestione allegra che definirei come minimo intollerabile. Comincio a pensare che dovrò protestare per questo atteggiamento che denota grave mancanza di professionalità. Chiarisco che l'eventuale protesta avrebbe carattere esclusivamente educativo, perchè desidererei che ciò che è accaduto a me non accadesse anche ad altri futuri clienti. Deciderò cosa fare nei prossimi giorni. Adesso mi preme fare mëngjes, ovvero colazione, con latte, miele, pane, burro, marmellata e caffè. A colazione non mangio molto la mattina. Inoltre ho sane abitudini alimentari che mi impongono di mangiare cibi locali naturali in grado di farmi apprezzare i prodotti della tradizione autoctona. Una tazza di qumësht ngrohtë cioè di latte caldo, un cucchiaio di mjaltë, cioè di miele, due fette di pane (bukë) casareccio imburrate leggermente in superficie e coperte da un cucchiaio di bollokim, cioè di marmellata locale e un kafe espresso macchiato finale con sheqer (zucchero) non si può chiamare una pantagruelica colazione in grado di sopravvivere a climi impossibili e/o per un'intera giornata. Il fatto è che io, come si suole dire, non mangio per saziarmi con la quantità. Sono del parere, viceversa, che è necessario mangiare per nutrirsi in qualità, con la netta consapevolezza che una vita piena e corretta considera il mangiare e il bere come fame e sete di gioia. Piuttosto che ingurgitare cibi preconfezionati e commerciali preferirei digiunare. La giornata si presenta bene, con una temperatura più decisamente accettabile di ieri. Come inizierò questa mattinata di visite? Per prima cosa voglio gustarmi con calma e attenzione Sheshi Skenderbej. Sotto la luce mattutina la piazza sembra più bella del pomeriggio di sole abbagliante di ieri.

Vedo numerose macchie di verde dislocate in posti differenti della sua superficie e durante le prime ore del mattino vedo offrirmi una piacevole zona d'ombra, proprio nel centro della piazza a ridosso del Teatro dell'Opera lungo la quale mi posiziono. Di fronte a me sulla destra vedo il Muzeo Kombëtar e tre vie importanti che convergono nella piazza. Da sinistra a destra sono: Rruga e Durrësit, Rruga e Kavajës, Rruga e Çamëria. Alcuni edifici della piazza ospitano Ministeri statali con le facciate dipinte di giallo e ocra e presentano la bandiera nazionale rosso-nera con l'aquila bicipide come stendardo riconoscibile dalla doppia aquila. C'è un intenso via vai di persone nella piazza che è interessante osservare. Svettano su tutti nella piazza le due punte del minareto e della Torre dell'Orologio sebbene alle spalle fa sentire la sua supremazia nell'altezza un grattacielo di vetro. Il profilo dei vari pilastri del Teatro dell'Opera appare in tutta la sua maestosità. La statua equestre di Gjergj Kastrioti Skënderbeu, in italiano Giorgio Castriota detto Scanderbeg, troneggia al centro del prato mostrando possente audacia e notevole fierezza. Non potrebbe essere diversamente se si pensa alle incredibili vittorie che l'eroe nazionale albanese registrò a suo tempo nei confronti dell'esercito ottomano. Gli albanesi hanno di che essere orgogliosi di questo loro grande condottiero che per tredici volte inflisse all'esercito ottomano delle sonore sconfitte, mettendo in crisi ben due sultani. Dalla mia posizione situata davanti al Bar Kafe Opera vedo un giardiniere che sta innaffiando l'erba del parco. Noi non ci pensiamo mai, ma questa categoria benedetta di lavoratori è indispensabile per rendere belle e accoglienti tutte le città del mondo. Anche Tirana non fa eccezioni e guardo con gratitudine al lavoro del giardiniere. All'entrata del teatro vedo la locandina che pubblicizza per i giorni dal 27 al 29 giugno tre serate di balletto dal titolo Coppélia. Peccato che in quelle date io non sarò più in città. Alla fine dell'edificio c'è la Libraria Adrion, cioè la libreria internazionale Adrion nella quale ieri pomeriggio ho comperato la mappa di Tiranë e all'angolo il Pallati Kultures, ovvero il Palazzo della Cultura di Tiranë. Scrivo correttamente il nome della capitale con la «ë» finale sormontata dalla dieresi per ricordare a me stesso com'è difficile scrivere questo carattere con la tastiera del computer. Tra l'altro noto che la dieresi è presente esclusivamente sulla vocale «e» e non anche sulle altre.

Non conoscendo la lingua albanese non posso andare oltre questa banale osservazione. Subito dopo il Pallati Kultures, girato l'angolo in Rruga Ludovik Shllaku, c'è la Biblioteka Kombëtare situata nell'edificio dell'Istituto di Cultura Italiano. Sono incuriosito. Salgo gli scalini ed entro nella sala centrale della Biblioteca Nazionale che si trova al primo piano. Entro per curiosare un po'. Faccio qualche ricerca bibliografica di libri italiani per tastare un po' la dotazione libraria. Alla lettera «F» trovo diversi manuali e classici di fisica in italiano e in albanese che risalgono a molti anni fa. La disposizione degli armadi e la collocazione delle schede mi ricordano in modo impressionante il periodo giovanile dei miei studi universitari, quando in locali identici a questi nella mia Università ho affrontavo approfondimenti di studio con libri impossibili da trovare nelle librerie. Tutto mi ricorda il tempo passato. Lo stesso odore delle schede ingiallite dal tempo o la scrittura a inchiostro nero con pennino sulle schede medesime mi riportano per alcuni istanti agli anni della mia giovinezza. Ricordandomi che non sono qua per ricordare il passato decido di iniziare il secondo punto del mio programma di viaggio della giornata, riguardante la visita alla parte nord del centro città. L'obiettivo è percorrere l'intero Bulevardi Zogu I fino alla stazione ferroviaria, dare uno sguardo al mercatino ortofrutticolo locale che si trova lì vicino e ritornare di nuovo al punto di partenza dove mi trovo adesso percorrendo la strada parallela a Bulevardi Zogu I in senso inverso, che si chiama Rruga e Barrikadave. Il viale intitolato a Zogu I è pieno di negozi, uffici, farmacie e locali di servizio pubblico e privato. Sembra una normale strada commerciale molto frequentata simile a qualunque città europea. A metà percorso vedo il reparto di Ginecologia di un piccolo ospedale. Pullula di giovani mamme in stato interessante. Sono molte donne col pancione ed io vedo questo gruppo di giovani "mamme in attesa" con tenerezza, simboli di fiducia nella giovane Repubblica albanese e con la speranza che il loro futuro e quello dei loro figli possa essere sempre migliore del presente. A pochi passi c'è una farmacia. Guardo l'insegna e noto che c'è scritto «farmaci». Probabilmente si sono dimenticarti di aggiungere la vocale «a» oppure in albanese si chiama proprio così, senza la «a». La domanda è lecita perchè ho visto altre farmacie in cui il nome apposto nell'insegna è proprio farmacia.

Rimango col dubbio e nel frattempo arrivo alla fine del viale. Il Bulevardi Zogu I incrocia qui Rruga Reshit Petrela, una via a grande scorrimento di auto. La zona è molto commerciale, è piena di negozietti e uffici e c'è molto movimento. Cerco di fare attenzione nell'attraversare la strada. Tento di trovare l'insegna della stazione ferroviaria e invece trovo un cartello che mi indica la direzione. Devo proseguire diritto ma io non vedo alcuna sagoma di stazione ferroviaria davanti a me. Comincio ad avere la sensazione che ci sia qualcosa che non va. Non vedo alcun profilo di stazione ferroviaria da nessuna parte guardi. Di solito l'edificio è grande e visibile. Qui invece c'è una specie di piccolo cantiere in cui ai bordi ci sono cumuli di terra e di pietre. Vedo una piccola stradina non asfaltata che scende in un piccolo avvallamento del terreno. Sulla mappa è una piccola strada secondaria chiamata Rruga Karl Gega. Mi chiedo chi fosse stato questo signore al quale è stato dato il nome della via della stazione. Vengo a sapere che in realtà fu un ingegnere viennese che ha costruito molti tratti ferroviari nei Balcani, in Transilvania e nello Stato Austro-Ungarico di allora. Dunque, ci siamo. Ma dov'è la stazione? Il dubbio viene sciolto quasi subito perchè all'inizio della zona dove si trova questo cantiere di costruzione vedo una specie di capannone abbandonato. Mi avvicino e con mia grande meraviglia scopro che è proprio ciò che rimane dell'entrata della stazione ferroviaria di Tiranë.

In pratica la stazione ferroviaria non esiste più. Lo scorso anno, nel 2013, ha cessato di esistere. Che pena. Un pezzo di storia, di cultura e di tradizione si è praticamente volatilizzata, come mezzo bicchiere di raki albanese lasciato evaporare all'aria aperta. Che delusione. Io che ho sempre visto le stazioni ferroviarie come uno dei luoghi simbolo delle città, prendere atto che di colpo si è cancellato un pezzo di memoria storica della cultura di questa città mi rende triste e malinconico. Nella mia guida, gli autori Gjata e Vietti scrivono a questo proposito delle belle parole che desidero riportare qui a futura memoria: «L'attuale stazione pare infatti essere rimasta dai tempi del socialismo piccolissima, con un'atmosfera da piccolo centro di campagna, le destinazioni e gli orari dei treni ancora scritti a mano, su grandi pannelli di legno dipinti a pennello». Avrei voluto vederli questi cartelli vergati da un pennarello e una calligrafia d'altri tempi. Ormai, purtroppo, non esiste più nulla di tutto questo. L'oblio si sta impadronendo della sua ex esistenza e fra non molto tutti avranno dimenticato la realtà di questo luogo capolinea di treni e speranza di viaggiatori. In molte occasioni della mia vita sono spesso arrivato tardi. Per esempio ho deciso di viaggiare e scoprire pezzi di Europa che non conoscevo come simboli di passate civiltà o di regimi dittatoriali tardi, ed ora arrivo in ritardo anche qui. Mogio mogio mi sposto all'entrata della stradina che porta al mercato. E' parallela a Rruga Karl Gega. Si chiama Rruga Skender Kosturi. Dunque per intenderci chiamerò questo luogo mercato Kosturi per distinguerlo dall'altro più importante, chiamato Pazari i Ri di cui parlerò successivamente. La stradina è molto stretta ed è fiancheggiata da entrambi i lati da piccolissime baracche piene di frutta, verdura, prodotti per la casa e per la cucina nonché abbigliamento povero di tutti i tipi. C'è di tutto. Percorro la stradina sia all'andata e sia al ritorno. Si trova di tutto.

Vestito con un abbigliamento comune osservo con discrezione ciò che viene proposto sulle bancarelle. Un signore sui settanta anni si avvicina e mi chiede se voglio essere aiutato per avere perduto la strada. Gli rispondo in italiano dicendogli che non mi sono perduto e che anzi sono interessato a vedere il mercato e tutto ciò che lo circonda. Aggiungo che avrei voluto vedere anche la stazione dei treni. Mi batte la mano sulla spalla e mi dice che gli italiani sono sempre simpatici e gentili. Mi informa che la stacion treni non è più attiva e sarà totalmente abbattuta. Sempre in un buon italiano mi dice che la ferrovia non riusciva più a espletare il servizio ferroviario per ragioni economiche. La municipalità ha pertanto deciso di sacrificarla per ampliare il mercato. Ci salutiamo amichevolmente con grande simpatia. Gli odori delle piantine di origano e di altre erbe aromatiche essiccate che vedo in un piccolo box sono straordinari. Le piantine sono così differenti e variegate che mi confondono. Oltre all'origano ci sono la maggiorana, la lavanda, il rosmarino e forse il timo. Il resto non lo so. E' inutile chiedere alla proprietaria tanto non parla italiano e io non capirei nulla in albanese. Tanto vale passare oltre. Scatto diverse foto. In alcuni casi chiedo il permesso che mi viene accordato. Non vorrei che si offendessero per conseguire un risultato ottenuto con poco rispetto ai danni delle persone e delle loro tradizioni.

Nonostante l'estrema modestia e inadeguatezza sotto il profilo sanitario l'intera struttura del mercato permette a molte persone di acquistare prodotti importanti e appetitosi a prezzi veramente economici. La prova mi viene data dal banchetto dove vengono cucinati alla brace salsiccette tradizionali di carne, chiamate qofte zgare, e anche i più conosciuti wurstel. Da notare che queste salsicce vengono servite in panini nei quali viene messa una salsina di yogurt con strisce di peperoni verdi. Il richiamo è fortissimo a causa dell'eccellente odore del fumo dovuto alla cottura della carne. C'è nell'aria un profumo di carne cotta alla brace da far venire l'acquolina in bocca e, se non fosse che per le mie abitudini siamo fuori orario per una colazione aggiuntiva, a quest'ora ne avrei mangiati a sazietà. Vuol dire che le assaggerò successivamente quando visiterò l'altro mercato, quello più grande e centrale, che si trova nei pressi della rotonda in Sheshi Avni Rustemi, vicino all'altra moschea Xhamia e Kokonozit. Ritorno sui miei passi attraverso la stradina di Rruga Skender Kosturi per continuare la mia visita. Prima di imboccare Rruga e Barrikadave vedo il logo italiano della Veneto Banca. Anche questa strada è piena di negozi e in molti appartamenti fervono lavori di ristrutturazione, segno questo di una ripresa economica che fa dell'Albania un paese in cui il PIL cresce a ritmi elevati. Qui non c'è recessione come in Italia ma sviluppo e occupazione. Lungo il mio giro vedo sul lato destro il liceo chiamato Gjmnazi "Sami Frasheri". Sono tentato di visitare l'atrio e la biblioteca ma il custode mi impedisce l'entrata perchè ci sono in atto gli esami. Rruga e Barrikadave si dimostra essere meno lunga di quello che pensavo. Quasi senza accorgermene mi ritrovo all'inizio di Rruga Luigj Guraquki. E visto che è quasi l'ora del pranzo non ci penso su tre volte e mi avvio per andare a visitare il mercato centrale il cui nome albanese è Pazari i Ri e pranzare in un locale caratteristico del luogo. Il mercato si dimostra tutto sommato inferiore alle attese. E' distribuito su diverse brevi stradine e una piazzetta. In pratica finisce all'inizio nella rotonda di Sheshi Rustemi. C'è molto caldo. Nella parte interna avrei voluto fare delle foto, soprattutto ai tipi di carne in vendita ma alla mia domanda se potevo scattare delle foto il macellaio di turno mi ha risposto negativamente in modo tale che non ammetteva repliche. Il fatto è che c'è una oggettiva difficoltà di raccapezzarsi dovuto al fatto che molte strade non hanno cartelli stradali. In pratica non ci sono nè nomi della vie e nè numeri all'entrata delle porte di ingresso. Sotto un sole caldissimo ho cercato per esempio di individuare dove fosse la moschea Xhamia e Kokonozit. Non mi vergogno a dirlo ma non sono riuscito a trovare l'entrata. Le case sono ammassate tra loro così vicine che praticamente diventa impossibile localizzare alcunché.

Alla fine, sudato per la calura e irritato per non aver visto la moschea e deluso per non aver potuto fare delle foto alle "stigliole" dell'agnello (specie di frattaglie dello stomaco dell'animale arrotolate con un suo budello) dal macellaio decido che è arrivata l'ora di mangiare. Il ristorantino si chiama Kernace korce zgara korkare. Mi siedo su uno sgabello di un tavolo e ordino quattro qofte zgare cotte su una griglia fumante, un piatto di salsina di gustoso yogurt bianchissimo nel quale si "nascondono" strisce di peperoni dolci di colore verde, due metà di un panino riscaldate sulla griglia, un bicchiere di birra e per finire non un amaro ma un bicchierino di raki. L'atmosfera è quella di una trattoria alla buona, senza formalismi e all'insegna del "vogliamoci bene". Nulla da eccepire sia per il gusto eccezionale delle salsiccette, sia per le continue pacche sulle spalle che mi vengono date dal giovane cameriere solo dal momento in cui mi ha sentito ordinare la bevanda nazionale del raki. Il tutto per 310 lek, ovvero 2,50 euro! Nonostante sia dell'opinione che il pranzetto non è stato certamente leggero e probabilmente incontrerò difficoltà nella digestione sono talmente soddisfatto che decido su due piedi di anticipare la visita al museo storico nazionale. Il percorso che mi porta da Rruga Luigj Guraquki a Sheshi Skenderbej è breve. Si tratta di oltrepassare Sheshi Selejman Pasha, dove si trova al centro la famosa statua che ricorda il Pascià vestito in completo abbigliamento ottomano, con la spada al fianco, il pugnale nella cintura, il copricapo a forma tubolare in testa e con in mano una pergamena. La piazza si interpone tra dove ho testé pranzato e la sede del museo. In verità questa è la stessa piazza nella quale ho incontrato quei quattro pensionati che giocavano a domino di cui ho parlato nella premessa. Preoccupandomi di camminare all'ombra onde evitare qualche colpo di sole, incontro una donna non più ragazzina che indossa un jeans completamente tagliuzzato in più parti dei pantaloni. Qui ho capito che l'Albania è pronta ad entrare nel novero della stupidità occidentale della moda. Non voglio apparire critico e conservatore. Tuttavia, l'idea che si possa acquistare un capo di abbigliamento strappato intenzionalmente per buona parte della lunghezza dei pantaloni, magari pagato profumatamente, perchè lo impone la moda mi fa sorridere. Il minimo che posso dire a proposito di questa insulsaggine è riconoscere quanto sia diventata grande la stupidità umana.

Il Muzeu Historik Kombëtar ovvero il Museo storico nazionale di Tirana si trova in uno dei palazzi pubblici più famosi e appariscenti della città perchè offre al visitatore il più grande spettacolo museale dell'Albania. Pago il biglietto ed entro.Dico subito che il museo si trova nella centralissima Sheshi Skenderbej di fronte al mio albergo sull'altro lato del Bulevardi Zogu I. Sulla facciata principale dell'edifico che ospita il museo c'è il più grande e famoso mosaico murale dell'Albania che da solo merita una menzione. Questo enorme murales è stato testimone di tante vicende legate alla politica albanese e domina una parte importante dell’enorme piazza. A me fa venire in mente il famoso dipinto del pittore Giuseppe Pellizza dal titolo "Quarto Stato", molto pubblicizzato da tutti i sindacati italiani. La visita a questo museo ha lo scopo di permettermi di conoscere meglio lo sviluppo economico, sociale, politico e culturale che il popolo albanese ha prodotto nel corso della sua storia. Nelle sale ci sono molti custodi che vigilano con cura. Mi sento sottoposto a un'attenzione particolare che mi mette un po' a disagio.

Per cambiare l'atmosfera del sospetto in qualcosa di più accettabile chiedo a una custode di farmi una foto. Colta di sorpresa balbetta qualche parola ma alla fine accetta, non prima però di farmi spostare in un angolo della sala con pochi reperti alle spalle per fotografarmi. Qui il concetto di selfie, ovvero di autoritratto fotografico realizzato attraverso uno smartphone non è ancora di moda. Ci sono molte cose interessanti da vedere. Quelle che mi colpiscono di più sono i padiglioni dell'Antichità, quello dell'Indipendenza del '900, quello della Guerra antifascista e del Genocidio comunista. In questo ultimo padiglione ci sono molti cimeli di militari e partigiani albanesi che sono morti durante la guerra contro il nazifascismo italo-tedesco. All'uscita c'è un caldo terribile. Nella mia camera di albergo sbircio tra i canali televisivi presenti in tv rimango colpito dai numerosi canali in lingua albanese e turca. C'era da aspettarselo visti i legami esistenti tra i due paesi. Quello che mi impressiona di più è però l'enorme varietà della proposta televisiva. Tra l'altro ci sono canali di tutte le lingue balcaniche e non solo. In Albania si sta verificando quello che è successo in Italia quando fu superato il monopolio televisivo RAI con l'entrata nell'etere delle tv private. Un caleidoscopio di lingue e di posti di vita che da soli fanno venire in mente la misura di quanto l'Europa sia grande, completa, attraente, bella e vitale. Canali indigeni di musica albanese e balcanica, canali serbi, turchi, canali di musica folkloristica oltre quelli prevedibili italiani, inglesi, francesi, tedeschi, statunitensi, ecc. c'è televisione per tutti i gusti. Ragazze che corrono in campi di grano, giovani donne in costume folkloristico che cantano e si muovono con balli lenti e musicali, cantanti di musica tradizionale che coinvolgono pubblico presente in sala e spettatori, insomma c'è di tutto. La cosa buffa per me che sono italiano è poi vedere una soap televisiva parlata in turco con sottotitoli in albanese. Straordinario. Tra poco esco di nuovo per fare un'escursione lungo Rruga e Durrësit.

Prima però mi voglio fermare un po' nella hall dell'hotel. Voglio sedermi in una comoda poltrona e guardarmi intorno. Sono qui da più di un giorno e non conosco per nulla l'albergo e i servizi che propone. Tra l'altro desidero avere informazioni su come arrivare in una certa parte della città. Uno dei pochi problemi di difficile soluzione per il turista che desidera muoversi in città riguarda il trasporto con i bus. Detto in poche parole a Tirana non esiste un'azienda unica dei trasporti cittadini. Al contrario, ci sono almeno quattro e forse più società private differenti che fanno circolare mezzi di diverso colore che si fermano a fermate differenti. Tra l'altro alle fermate non c'è alcuna cartina delle linee, né esiste una palina che permetta l'individuazione delle linee percorse e delle fermate. E se esiste qualcosa del genere, si riferisce a una linea precisa e non vale per le altre. Insomma un bel rebus difficilmente risolvibile per il turista ignaro. Aggiungete che non sono in vendita nè in rete, nè alle edicole piantine della rete di autobus che aiutino il turista ed avere un quadro di sintesi dei trasporti. La prospettiva è quella di rischiare di aspettare un mezzo di trasporto che non arriva mai. La cosa buffa è che se vi mettete ad aspettare un qualche bus a una fermata osserverete un fenomeno inquietante. E cioè che ad aspettare il bus sarete solo voi perchè la maggior parte dei viaggiatori compaiono improvvisamente tutti insieme a una certa ora precisa, materializzadosi dal nulla un minuto prima che arriva il bus. Bizzarro no? Io ho scelto di far funzionare i muscoli delle gambe e muovermi a piedi anche per lunghi tratti. L'alternativa è quella di servirsi di un taxi. Ne ho preso uno questa mattina per andare alla Facoltà di medicina dell'Universiteti Katolik Zoja e Këshillit të Mirë, cioè all'Università "Nostra Signora del Buon Consiglio" di Tirana. Si trova in Rruga Dritan Hoxha.

Troppo distante per farla a piedi, troppo incerto per arrivarci con l'autobus. Dunque, ho preso un taxi. L'autista si chiama Arturo ed è un giovane dinamico pieno di energia che ha lavorato alcuni anni in Italia a Milano. In pochi minuti abbiamo fatto amicizia. Gli faccio presente che se avrò la necessità di prendere un taxi so dove trovarlo. Dieci minuti di corsa al prezzo di 5 euro. All'uscita del cancello l'usciere dell'Università mi aiuta. Mi suggerisce di prendere l'autobus e mi informa che il biglietto costa 30 lek e che si può acquistare direttamente dall'autista. Dopo pochi minuti sono sul bus con tanti studenti universitari alle prese con i loro smartphone. Il caldo è asfissiante e ci vuole una forte dose di resistenza per arrivare a destinazione. Scendo dall'autobus e mi sposto in Rruga Luigj Guraquki. Questa strada mi piace. Ci sono tanti negozi, ristoranti, bar e caffè dove ci si può sedere e osservare. Le sedie invitanti di uno di questi caffè mi obbligano a sedermi a un tavolo all'aperto. Ordino un caffè. La cameriera viene subito. E' sdentata ma simpatica. Osservo con piacere l'andirivieni della gente nella strada. È tutto un brulicare di persone che vanno e vengono in un incessante movimento tipico da mercato. Ricordo che il mercato principale Pazari i Ri si trova qui vicino a due passi da dove mi trovo. Le strade non hanno numeri. Il bello è che anche le vie non hanno nome. Tranne che nel centro città, dove ci sono pochi cartelli con indicate le vie principali. In periferia le indicazioni e le insegne di toponomastica sono totalmente assenti. Probabilmente nella prassi albanese non servono. In una società che sta uscendo dal mondo arcaico precedente a velocità ragguardevole è normale che ci siano contraddizioni e incertezze in molti settori della vita sociale, compreso quello relativo al servizio di numerazione civica delle abitazioni. Chi fino a qualche lustro fa ha vissuto la vita secondo canoni e stili di una società non certo di tipo capitalistico, oggi ha molte ragioni per accettare provvisoriamente una organizzazione imprecisa indecisa e imperfetta perchè quello che preme attualmente di più alla maggior parte della popolazione è il benessere ottenuto col lavoro. Il resto verrà dopo. D'altronde, anche nel meridione d'Italia si trova una situazione quasi simile a questa. In Sicilia per esempio si narra che un signore alcuni decenni fa scrisse una lettera a un suo amico indirizzandola come segue: "Al sig. Vattelapesca che abita vicino alla farmacia vicino alla chiesa. Città". Accanto a me in tutti i tavoli ci sono seduti solo uomini, apparentemente interessati a discutere dei fatti propri. Non mi sfugge però lo sguardo maschilista e interessato di questi signori rivolto alle belle ragazze che passano nella strada. Ce ne sono di tutti i colori, come le varie tipologie di auto che si muovono incessantemente nelle strade. Macchine nuove e vecchie, auto di piccola e di grande cilindrata, berline nere o utilitarie bianche. Allo stesso modo passano giovani e belle ragazze con pantaloncini bianchi o fuseaux aderenti, bionde e brune, con capelli lisci o ricci, lunghi o corti. Insomma un universo di bellezze balcaniche di tutti i tipi.

Decido di rifare la passeggiata lungo Bulevardi Dëshmorët e Kombit. L'ho già percorso ieri ma in fretta. Questa volta vorrei farlo con più calma, per gustarlo meglio fermandomi in alcuni punti nevralgici, uno dei quali è quello di sedermi su una panchina nel verde del prato a respirare aria e atmosfera autenticamente albanese. In genere a me piace passeggiare il pomeriggio verso sera. Meglio se in un parco, con un abbigliamento adatto e comodo. I pensieri corrono meglio e con chiarezza nella mente e l'atmosfera rilassante invita a questa attività di riflessione e di ricordi. Se aggiungiamo che questo viale presenta una architettura che mi ricorda molto la Roma di altri tempi, capirete che è quasi come se fossi a casa mia quando passeggio lungo un viale romano dell'EUR. Effettivamente la rassomiglianza con i palazzi dell'EUR è impressionante. Se si guarda attentamente l'edificio raffigurato nella foto è quasi impossibile non scambiarlo per un edificio dei palazzi della politica romana. Per favore, osservate il colore dei muri e delle facciate, la scalinata, la forma dell'edificio, la forma delle porte e delle finestre, le stesse vetrate delle finestre, le piastrelle della strada e ditemi se non sono incredibilmente uguali a quelli che si possono vedere nella città di Roma. E' praticamente identico al Palazzo Uffici dell'EUR costruito per l'Esposizione Universale di Roma. Ma lo stesso si può dire per l'architettura razionalista del Museo delle Arti e Tradizioni Popolari, del Palazzo dell'Arte Antica, del Museo della Civiltà Romana di Roma, etc. Non parliamo poi del bassorilievo presente nella parte superiore destra dell'edifico. E' dello stesso stile del bassorilievo prodotto a suo tempo da Publio Morbiducci, uno dei maggiori artisti del regime fascista. Attenzione che qui non si tratta solo di un edificio. Buona parte dell'architettura dell'intero Bulevardi Dëshmorët e Kombit è così e quando si dice che sembra di essere all'EUR, credetemi, non ci si sbaglia di molto. Aggiungo anche la ciliegina sulla torta dicendo che ai lati del viale si nota la folta presenza di pini mediterranei come quelli che si trovano a Roma e non aggiungo altro. Quanto sto affermando adesso, relativamente a questi particolari stilistici e architettonici, potrebbe valere per tutte le analoghe situazioni relative ad altri paesi ed altre città. Per esempio, se un austriaco di Vienna venisse a Milano e osservasse i palazzi del centro probabilmente farebbe la stessa osservazione che ho fatto io relativamente alla coppia Roma-Tirana che per lui sarebbe Vienna-Milano. In verità l'architettura umbertina e liberty richiama per intero l'originale 'architettura viennese. Non per nulla gli Stati coloniali del tempo la prima cosa che facevano quando occupavano militarmente un paese era quella di costruire case, palazzi, piazze e monumenti in stile con la propria cultura e lasciare un segno indelebile sulle città e sui cittadini del paese colonizzato. Lo stesso dicasi qui a Tirana per la coppia Instambul-Tirana quando gli ottomani imposero la propria cultura agli albanesi. La foto notturna che ho scattato in Sheshi Skenderbej al rientro dopo la cena rappresenta la bellissima moschea Xhamia e Et'hem Beut con il suo stilizzato minareto di forma ottomana. La lunga passeggiata fatta fin qui e la pausa di riposo di cui mi sono appropriato nel parco, seduto su una panchina insieme a molti pensionati, mi ha consentito di richiamare alla memoria fatti e idee relative alla mia vita e in genere dell'esistenza umana. Le domande che ci facciamo in questi casi riguardano un po' tutto: scopo della mia vita, felicità, senso e problema della morte, per non parlare infine di come desidererei essere ricordato, sono sempre le domande che mi pongo quando sono all'estero ed ho la possibilità di riflettere sul senso della vita. In un parco, meglio se sconosciuto come questo nel quale mi trovo in questo momento, le domande di senso sorgono spontanee e la mia condizione di estraneo a questa città mi aiutano a riflettere. E' impossibile porsi domande di questo tipo vivendo la quotidianità nella città in cui si vive, in quanto è in un contesto di serenità che il cervello acquista le condizioni per riflettere. Il viaggio da questo punto di vista aiuta a riflettere e a fare pensieri impossibili nel proprio paese. Il sole non è più a picco ed è piacevole approfittare dell'ombra essendo seduti su una panchina. Intorno a me ci sono tante panchine con molta gente seduta. Si respira un'atmosfera di paese, rilassante, con gente simpatica che conversa a bassa voce. Non capisco una sola parola di quanto dicono tra di loro ma immagino che si tratti delle solite cose che si dicono con un amico quando ci si incontra al parco. E poi non è importante "ciò che si dice", ma "come lo si dice". Albert Camus disse che : "quello che conta tra amici non è ciò che si dice, ma quello che non occorre dire". Non so se questi anziani mettono in pratica l'aforisma di Camus. So solo che li vedo così sereni nel conversare tra di loro che in parte è come se riuscissero a farmi trarre beneficio dalla loro conversazione. Dicevo che questo quartiere di Tirana mi ricorda l'EUR di Roma. Ma attenzione solo dal punto di vista architettonico. Se invece si parla di interazione sociale e di qualità della vita non è così. Anzi. E' da preferire senz'altro Tirana a Roma. L'EUR è in verità un gigantesco ingorgo di macchine ferme e in moto. Le auto sono la causa di molti mali della città di Roma e fatto grave nessuna amministrazione comunale ha mai avuto il coraggio di affrontare e risolvere. Tutto ciò è semplicemente scandaloso. Ma più di tutto sono i romani che rendono la vita gravosa e stancante, complessa e difficile. Indisciplinati, aggressivi, volgari e spesso primitivi rifiutano la categoria delle regole e sistematicamente le violano con una trasgressività da far impallidire gli anarchici. Qui invece è tutt'altra cosa. Tranquillità, serenità, la vita si svolge apparentemente a "misura d'uomo". Probabilmente esagero ma questa è la sensazione che provo a riflettere sulle analogie e, più ancora, sulle differenze tra romani e tiranesi. Probabilmente i tiranesi mi appaiono così educati e civili perchè probabilmente durante il regime comunista hanno sofferto non poco. Elvira Dones racconta nel suo libro denuncia Senza bagagli : «là dentro, in Albania, è l'inferno, tu non puoi immaginare come sia là dentro. Perchè l'inferno non sono i draghi che vomitano fuoco su strade e piazze cuocendo gli uomini allo spiedo. Le strade sono povere, ma pulite e piene di verde. L'inferno è nell'anima della gente, nella perenne paura che un cugino o un parente ancora più lontano faccia una "follia" e rovini tutti gli altri, tutta la famiglia». Nel frattempo si è fatta ora di cena. Avevo intenzione di cenare al ristorante Sarajet per assaggiare la cucina turco-ottomana ma trovandomi vicino a Rruga Shyqyri Berxolli faccio uno strappo e ceno al ristorante italiano di pesce "Delicatezza di mare". In genere all'estero non vado quasi mai nei ristoranti italiani. Con il fatto che sono italiani conosco la loro competenza nel proporre pietanze scadenti spacciandole per piatti di qualità. Mi è successo una volta a Copenhagen discutendo con un ristoratore italiano del pessimo sapore che aveva il suo olio di oliva in una pizza e non vorrei ripetere la stessa esperienza. Parodiando Dante dirò: "Poscia, più che il principio, poté la stanchezza". E ho sbagliato, perchè la cena si è trasformata in una grave preoccupazione dovuta al fatto che mi è stato "proposto-imposto" dal titolare un elevato numero di pietanze da antipasto che ho dovuto assaggiare a più riprese dilatando i tempi della cena.

Dalle alici fritte arrotolate a mo' di olive ascolane (io che non mangio mai fritture) ad assaggini di pesci cucinati con strane accoppiate, più per fare piacere alla vista che al gusto tutto è un inno alla complessità. Insomma, un vero disastro per me che preferisco mangiare al massimo due sole pietanze cucinate con estrema semplicità e con poche ricercatezza di cucina moderna. Nulla da dire sulla qualità del pesce. Tuttavia non sono il cliente adatto per questi "assaggini ripetuti" da nouvelle cuisine la cui peculiarità non mi appartiene come cultura e tradizione. Il rientro in albergo avviene per i miei gustia tarda ora, mitigato da una visione notturna di Sheshi Skenderbej semplicemente perfetta. Credo di avere colto nel viso della statua equestre di Gjergj Kastrioti Skenderbej una espressione di conferma delle mie perplessità consigliandomi di evitare in futuro di frequentare ristoratori che magnificano una loro cucina italiana poco credibile. I profili del minareto, della cupola della moschea e del campanile di Kulla e Sahatit della Torre dell'Orologio mi riportano una dose di serenità necessaria per addormentarmi in albergo con una piacevole sensazione di soddisfazione.
Terzo giorno Mercoledì 25 giugno. Oggi il cielo è parzialmente coperto. Le previsioni dicono che pioverà e, infatti, le nuvole presenti in cielo stanno lì perconfermarlo. Dopo colazione prendo pullover e ombrello tascabile, li metto in un sacchetto della libreria Adrion, chiudo la camera e prendo l'ascensore al dodicesimo piano. Al piano inferiore entra una signora. Credendomi ormai un "esperto" di lingua albanese le dico in lingua locale mirëdita, cioè buon giorno. Altre volte l'ho già fatto con altri clienti divertendomi a osservare la loro reazione. Si va, da un estremo all'altro, dall'imbarazzo del cliente straniero che non capisce il significato e non sa proprio rispondere a chi invece conosce la lingua e mi risponde con una locuzione di saluto mostrandomi un colossale sorriso di apprezzamento del mio sforzo linguistico. In entrambi i casi la reazione è comunque di simpatia e riguardo. La signora imperturbabile mi dice invece che la parola é inesatta. Mi guarda con insistenza e poi, a bruciapelo, mi chiede conferma se sono io quel signore che ieri sera ha cenato al ristorante "Delicatezza di mare". A rimanere di stucco questa volta sono io e per due buone ragioni. La prima per non avere azzeccato la parola corretta e la seconda volta per capire dove si trovasse seduta nel ristorante questa signora non più ragazzina ma abbastanza matura e appariscente per non essere stata da me notata. Avevo intravisto ieri sera dietro di me un tavolo di due persone, un uomo e una donna, seduti che aspettavano le pietanze ma non ci avevo fatto caso. E poi ho trascorso tanto tempo a negoziare in italiano con il titolare del ristorante, con una raffica di rifiuti a certe sue proposte che non mi convincevano, che non mi è rimasto molto tempo per osservare nella sala i volti dei clienti. Tra l'altro, all'estero non guardo mai direttamente la gente con interesse e non cerco la compagnia di nessuno. Dunque, non mi rimane altro che accettare il ruolo dell'osservato speciale in entrambe le occasioni che mi hanno visto perdente su tutta la linea. Aggiungo altresì che qui, nel metro quadrato circa di superficie del vano ascensore, mi trovo in evidente imbarazzo e non vedo l'ora di arrivare al piano terra per far cessare questa scomoda attesa. «L'avrò colpita con la mia determinazione nel contrattare la cena di ieri sera» mi dico tanto per giustificare la rara coincidenza accadutami. All'arrivo al piano terra vedo che con grande sicurezza si dirige nella grande hall dell'hotel in una zona riservata alla delegazione europea di Bruxelles, in quanto oggi è in programma un convegno con all'ordine del giorno la richiesta dell'Albania di aderire all'Unione Europea. Ieri sera infatti in televisione quasi tutti i canali televisivi indigeni hanno aperto i loro notiziari a proporre gli interventi del Capo del governo e del Presidente della Repubblica albanese relativi alla comunicazione alla stampa della storica decisione di aderire all'UE. Infatti, la grande sala brulica di addetti al convegno ed è tutto un pullulare di personalità politiche che arrivano alla reception del convegno con le telecamere della televisione albanese in continua azione. Lo si capisce anche dalla enorme quantità di bandiere blu con le dodici stelle dell'UE e di quella albanese che sono spuntate fuori come funghi in ogni luogo, dentro e fuori l'hotel. Io sono felice di questo evento perchè la richiesta albanese va incontro ai miei desideri di vedere nell'UE tutti i paesi dell'Europa continentale che ancora non hanno aderito. Tuttavia non vedo l'ora di uscire da tutto quel trambusto. Il progetto di visita della mattinata prevede di recarmi a visitare i luoghi religiosi delle due cattedrali ortodossa e cattolica. La moschea l'ho già visitata dunque, in ordine, prima andrò a quella ortodossa Kisha Ortodokse e poi a quella cattolica Shën Pali. Il cielo è carico di pioggia e da lì a poco sono sicuro si metterà sicuramente a piovere e anche in modo intenso. L'ombrello che ho è tascabile, quindi piccolo. Mi riparerà solo la testa.

Speriamo solo che non ci sia vento perchè altrimenti mi complicherebbe le cose. Riesco ad arrivare alla cattedrale prima che inizi a piovere. L'interno è pieno di sedie alcune delle quali spostate dalla donna delle pulizie che sta lavando il pavimento. Ci sono solo due fedeli. Una donna che sta in piedi e un giovane che si sposta continuamente da un'icona all'altra, facendosi continuamente tre volte il segno della croce e baciando l'immagine fissata con ostinazione. L'atmosfera è di una chiesa costruita di recente, carica in modo massiccio di elementi decorativi color oro in tutte le sue parti: dalle pareti all'altare e dalla cupola al lampadario centrale tutto è laccato d'oro. Aspetto qualche minuto ancora nella speranza che smetta di piovere, ma il cielo è implacabile. Penso a quanto abbiano penato i fedeli e il clero di tutte le confessioni religiose durante il periodo del comunismo di Hoxha. Adesso, che siamo in una fase di "postmodernità", tutto si è in qualche modo "aggiustato", migliorando di molto la vita di credenti e cittadini. La caduta del comunismo hoxhiano, la crescita del capitalismo con sempre meno regole, la globalizzazione e soprattutto l'accresciuto potere dell'UE con l'introduzione dell'euro hanno ridotto le barriere antireligiose in tutti i paesi del blocco sovietico dell'est europeo facendo molto bene alla libertà religiosa oltre che cambiando mentalità a proposito dell'idea stessa di Europa. Adesso tutto è possibile. Per esempio, il fatto stesso che io sia qui a visitare la bella Tirana lo devo in primo luogo proprio a quell'UE che, come dicono Ewa Mazierska e Laura Rascaroli nel bellissimo libro Girando la nuova Europa, della Cremese Editore, "questi fattori hanno ridotto le barriere e moltiplicato gli spostamenti, mettendo in movimento persone da fuori e all'interno dell'Europa, a scapito dell'immobilità sociogeografica di un continente di stati-nazione e rivoluzionando l'idea stessa di Europa". Tra l'altro le stesse autrici ricordano che oggi il viaggio "è inteso come critica culturale, come esplorazione sia della società che dell'individuo[...] e si usa spesso il viaggio come mezzo per investigare questioni metafisiche sullo scopo e il senso della vita". Verissimo. Mentre io penso a queste idee fuori continua a piovere. Decido di andare comunque alla Kisha katedrale e Shën Palite, cioè alla Cattedrale cattolica di S. Paolo. Tuttavia, mentre la cattedrale ortodossa si trova facilmente localizzabile nella mappa ed è a due passi dalla centralissima Sheshi Scanderbej, quella cattolica è un po' più lontana e di difficile localizzazione. Per arrivarci devo superare una serie di stradine piene di panche e tavoli di legno messi su per far vedere ai clienti le partite dei mondiali di calcio in televisori di grandi dimensioni. Sono costretto sotto la pioggia a effettuare un giro abbastanza lungo che mi vede fare slalom e salti di pozzanghere impreviste sotto la pioggia e il vento per passare vicino al Parlamento albanese che è una tappa della mia osservazione. Mi sposto quaindi da Rruga Ibrahim Rugova dove si trova la Katedralja Orthodhokse 'Ngjallja e Krishtit' di Tiranë in Shëtitorja Murat Toptan. Quindi in Rruga George Bush per svoltare a destra in Bulevardi Zhan d'Ark lungo il quale si trova la Kisha katedrale Shën Pali.

Costeggiando il parco dal lato nord del fiume Lana vedo delle belle case situate lungo la riva sud dello stesso. Entro nella cattedrale cattolica e anche qui trovo un'addetta alle pulizie che lava il pavimento. Insieme a me entrano un gruppo di una decina di anziane signore, probabilmente americane perchè parlano l'inglese coperte, furbacchione loro, da un impermeabile lungo fino ai piedi. All'interno c'è solo una donna che prega inginocchiata a un banco. Un angolo della struttura della chiesa cattolica mi ricorda un'altra chiesa, sempre cattolica ma di Roma che è praticamente identica a questa. Tra le due cattedrali, la ortodossa e la cattolica, l'atmosfera che si respira è in pratica la stessa. Mi chiedo perchè da tanti secoli le due chiese sono separate e in modo vistoso. I vincoli teologici che li stanno tenendo lontane tra loro sicuramente saranno tanti, ma a mio parere non giustificano questa separatezza rigorosa e inavvicinabile delle due fedi se non per motivi di interesse egoistico giustificato più dal nazionalismo che da altro. Una brutta storia questa della separazione dei cristiani in cattolici, ortodossi, anglicani, etc. E' così brutta che impedisce a molti potenziali credenti di avvicinarsi alla religione. All'uscita non piove più ed io proseguo lungo il Bulevardi Zhan d'Ark perchè voglio vedere prima la Galeria Kombëtare e Arteve, cioè la Galleria Nazionale d'Arte e poi il quartiere Blloku dove sicuramente pranzerò in qualche ristorantino tradizionale di carne. Le case lungo il fiume sono immerse in prati verdi e ben curati. Chissà quanto può costare qui un appartamento di 100 metri quadrati. In Bulevardi Zogu I ieri mattina ho visto un cartello che pubblicizzava la vendita di appartamenti a 390 euro/mq. Come dire dieci volte di meno di Roma. Non credo però che si trattasse di case costruite qui nel centro. In ogni caso il prezzo è appetibile. Se fosse vero un povero pensionato italiano qui con la sua pensione vivrebbe da Pascià.

La visita agli edifici religiosi è finita ed io decido che è ora di visitare la Galeria Kombëtare e Arteve, cioè la Galleria Nazionale d'Arte che è una delle mete più ambite di questo mio viaggio a Tirana perchè contiene molti tesori di arte e cultura. L'edificio è qui vicino e in pochi minuti sono all'ufficio informazione del museo nel quale trovo una giovane impiegata che conosce l'italiano molto bene. Mi informa che la visita alla sezione moderna a pianterreno è gratuita mentre per il resto devo pagare il biglietto. La ringrazio , compro il biglietto e salgo direttamente le scale per visitare la sezione di maggior interesse che, più che antica, definirei classica in quanto si riferisce ad appena agli ultimi due secoli di vita. Nella prima sala ci sono molti dipinti di artisti indigeni alcuni dei quali raffigurano l'eroe nazionale Scanderbej a cavallo con una espressione così torva e minacciosa che la statua equestre presente in Sheshi Scanderbej è da considerare a mio avviso come quella di uno scolaretto ingenuo e sprovveduto. Ci sono diverse sale che ritagliano un periodo storico differente a cominciare dal 1883 e a finire al 2000. Nella seconda, se non sbaglio, mi colpisce il dipinto di Ibrahim Kodra dal titolo Tirana. E' stato dipinto nel 1938 e nel quadro sono poste in bella evidenza la moschea e la Torre dell'Orologio come sono adesso, mentre il panorama intorno a questi due gioielli dell'architettura tiranese fanno apparire Tirana come un villaggio, in cui ci sono intorno solo casette. Saltiamo le altre sale che si riferiscono più o meno all'esaltazione folle del periodo del Comunismo e/o del Realismo socialista. Per dire la verità, in quest'ultima sezione, che io definirei del "realismo", vedo una pittura ingenua e naif. I quadri individuano soggetti dipinti in modo essenziale e hanno cornici di semplice legno di falegnameria. Mi colpisce il quadro di Foto Stamo, Roma 18.11.41, Plaku, 1941. Si tratta di un vecchio uomo con la barba bianca e il cappello, seduto con il bastone in mano. Andiamo invece alla parte più interessante della Galleria, che è la sezione che riguarda il fascismo e l'aggressione militare italiana all'Albania. Ci sarebbe da parlare tanto su questa sezione. Dico solo in sintesi una cosa. Il fascismo è stata una delle cose più brutte che l'Italia abbia mai inventato nella sua storia. C'è solo da vergognarsi di essere italiani. E non è assolutamente vero che il fascismo abbia interessato "Altri". No. Per non andare troppo lontano i nostri padri o nonni lo hanno sostenuto in gran numero e sono stati pochi i nonni italiani che si sono opposti a quel diavolo della politica italiana che è stato Mussolini. Nella sezione dedicata al fascismo ho visto in entrambi i lati del lungo corridoio pieno di vetrine molti cimeli storici dell'occupazione fascista (abbigliamento, divise militari, pistole, moschetti, effetti personali dei soldati, lettere, etc.) che mi hanno lasciato in uno stato di grande amarezza. Il famoso luogo comune "italiani brava gente" è una colossale menzogna perchè in tutti i musei che ho visitato nei Balcani (Slovenia, Croazia, Serbia e adesso Albania) ho visto prove fotografiche e conferme che le decisioni prese dallo Stato Maggiore dell'Esercito fascista con la "brava gente" hanno poco a che vedere.

Chiudiamo qui questo capitolo doloroso della mia visita al museo degli orrori fascisti e parliamo d'altro. All'uscita non piove più anche se il cielo rimane gonfio di pioggia. Vicino alla Galeria Kombëtare e Arteve, cioè della Galleria d'Arte c'è un rudere di palazzo abbandonato che è l'ex hotel Dajti, il più lussuoso albergo della capitale pre-rivoluzione. Da qui faccio rotta per il Bllok, il quartiere più trend della città per il divertimento serale e notturno con una quantità enorme di locali alla moda, caffè e ristoranti di tutti i generi. In questo quartiere c'erano le residenze dei dirigenti politici comunisti della città, compresa l'ex villa di Henver Hoxha che qui si vede nella foto che ho scattato pochi minuti fa. Se il compagno Enver la potesse vedere rimarrebbe di stucco, perchè proprio la sua casa è diventata sede di un centro statunitense di insegnamento della lingua inglese. Un vero smacco. Chi lo avrebbe mai immaginato! Le stradine del bllok sono belle e piacevoli. Le abitazioni sono a pochi piani e rilassanti perchè quasi tutte ex villette dei funzionari di partito. Elvira Dones nel suo libro Senza Bagagli nel Cap. VI durante la rivoluzione di velluto del 1991 racconta con sorprendente ironia un episodio che merita di essere riportato. Dopo la morte di Hoxha le cose cominciarono a mettersi male per il governo. Ebbene a pag 112 narra che «Sui muri dei palazzi, vicino a bllok dove abitavano quelli del Politburo, apparvero dei necrologi, scritti a mano, con una grafia da bambini delle elementari: "Vi invitiamo a partecipare ai funerali della Carne, domenica alle 6 del pomeriggio. Con rammarico comunichiamo che il Burro e il Formaggio, non sopportando la morte dell'amica, sono in gravi condizioni di salute". Arrestarono due ragazzi sospettati di avere a che fare con l'affissione e la diffusione dei necrologi». E' proprio a pochi passi da qui che scelgo il locale dove pranzare. Il ristorante è molto conosciuto. Si chiama ERA 2000 e si trova in Rruga Ismail Demal,13. Attenzione che ci sono due ristoranti Era2000. L'altro è più ampio e moderno non molto distante da qui.

Mi serve il titolare col quale chiarisco che desidero mangiare due pietanze tipicamente della tradizione culinaria albanese. Mi suggerisce per primo una potente e squisita chorba e mikut, ovvero una zuppa tradizionale, molto saporita, cucinata con piccoli pezzetti di carne di agnello in un brodetto piacevole e gustoso, la cui ricetta proviene dalla città di Argirocastro. Il vino è vere e lokalit, ovvero vino rosso locale, diciamo della casa. Il secondo è anch'esso un classico della cucina argirocastrese. Si chiama fërgëse më mish viçi, ed è un secondo di pezzetti di carne di agnello immersi in una specie di purea vellutata di ricotta di pecora e servito in una scodella di terracotta. Si, ricotta; e di pecora per giunta, "alla laziale" tanto per intenderci. Molto buono. Questi due piatti sono veramente tradizionali. A mio giudizio è come mangiare a Roma per primo Trippa alla romana e per secondo Coda a vaccinara. L'effetto è il medesimo e la pesantezza della digestione ne è una prova. Un po' pesante ma ne vale la pena, anche perchè non credo che sia probabile che io possa mangiarlo di nuovo. Domani si ritorna a Roma e difficilmente potrò esserci. Totale 1119 lek. Non mi rimane altro che fare una bella passeggiata a piedi e agevolare la digestione. A proposito di Argirocastro, di questa città è lo scrittore poeta e saggista Ismail Kadare. Lo voglio ricordare qui per due motivi. In primo luogo perchè albanese, di Argirocastro, e soprattutto per le sue qualità di grande poeta. C'è una seconda ragione però che riguarda il fatto che dopo l'abbandono dell'Albania comunista di Enver Hoxha si trasferì a Parigi e nel 1996 diventando addirittura membro associato a vita dell'Académie des sciences morales et politiques, prese il posto che fu del grande filosofo della scienza Karl Popper, mio filosofo di riferimento preferito.

Nella narrativa dal titolo "L'identità europea degli albanesi" ha pubblicato recentemente un saggio nel quale il grande scrittore sostiene l'idea dell'integrazione europea dell'Albania che per le mie orecchie di "unionista" è musica. Come si può notare i discorsi alla fine tornano sempre all'idea dell'Unione Europea che in Europa è la vera madre di tutti i suoi abitanti e ai quali sono dedicati i miei viaggi. Nella foto si vede concretamente l'immagine della grande festa europea che ha pervaso Tirana per l'inizio ufficiale delle trattative per l'ingresso del bel paese balcanico nell'Unione Europea. In questi giorni ho mangiato anche delle belle olive albanesi che mi hanno richiamato alla mente sapori lontani nel tempo di quando ero bambino. Ullinj te mbushur ne sallamur, cioè olive tradizionali farcite in salamoia. Ma anche Ullinj pa bërthamë cioè olive senza nocciolo. Mi ricordano nel sapore quelle che mangiavo da bambino al mio paese sui Nebrodi. Sono olive alle quali è stato tolto il nocciolo e al suo posto sono stati messi dei pezzettini di peperoni di colore rosso o verde. Il gusto è molto forte e ci vuole un po' di coraggio a mangiarne più di una. La stessa scrittrice Ornela Vorpsi nel suo Il paese dove non si muore critica questa mania e onnipresenza delle olive sulla tavola degli albanesi. Infatti nell'incipit afferma che sul loro desco ci sono sempre «delle immancabili olive untuose». Quelle di cui parlo io non sono in olio ma in salamoia e non hanno il peperoncino ma sono terribilmente albanesi e molto siciliane. Sanno di qualcosa di antico che portano un sapore lontano, sollecitando ricordi di tempi passati.
Quarto e ultimo giorno Giovedì 26 Giugno.Oggi si ritorna a Roma. Non siamo ancora ai bilanci di questo viaggio ma manca poco. Mi sembra quasi impossibile identificare la città di Tirana di oggi come la capitale dell'ex regime comunista di Enver Hoxha. Quando penso che oggi l'Albania è un paese della NATO e che ha presentato domanda per essere ammessa nell'Unione Europea sorrido al solo pensiero di come Hoxha l'avrebbe presa se fosse ancora in vita. Chi l'avrebbe mai detto. Dopo colazione esco per un'ultima passeggiata. Il check out dall'albergo è fissato alle 12 di oggi. Sono in dubbio se prendere il bus per l'aeroporto oppure approfittare della disponibilità del tassista Arturo e farmi accompagnare direttamente all'aeroporto.

Qui vicino a Sheshi Paris, all'inizio di Rruga Mine Peza c'è il bus. Nella foto che scatto con lo smartphone si vede chiaramente in primo piano, attaccata al cartello che indica Rruga Mine Peza, la tabella degli orari di partenza. Il servizio si chiama LUNA Rinas Express e le corse sono per l'aeroporto e dall'aeroporto. In pratica l'inizio di Rruga Peza funziona come una vera e propria Stacion Autobusi. Nella mia ultima passeggiata per le strade di Tirana mi sposto in Rruga e Barrikadave dove sostano Arturo e il suo taxi. Lo trovo in fila con gli altri. Mi saluta e mi chiede a che ora partiamo. Il suo entusiasmo mi convince di prendere il taxi. Gli dò appuntamento per il pomeriggio alle ore 15. L'aereo parte alle 18.15 ed avrò così tutto il tempo necessario per fare le mie cose. Rientro in hotel, compilo il questionario di soddisfazione che io chiamerei piuttosto questionario di insoddisfazione, aggiungendo i miei commenti critici nella parte disponibile dal titolo Komentë al solo scopo di dare una "scossa educativa" alla direzione dell'albergo. Alla reception mi ridanno la carta di identità sequestratami tre giorni fa. Non mi rimane altro che andare a pranzare da Rozafa dopo aver salutato l'impiegata. Avrei potuto andare in un altro ristorante. In zona ce ne sono altri come: Oda, Sarajet, Mrizi i Zanave o Lulishte 1 Maji. Quest'ultima, anche se più distante delle altre, è una storica birreria popolare avente per logo la famosa immagine de "Il buon soldato Sc'vèik". Ma non mi va. Penso che uno spiedino di gamberetti alla brace con una insalatina possano andare più che bene. All'uscita mi seggo al caffè Dorgen in Rruga Barrikadave, all'angolo con Rruga Luigi Gurakuqi e ordino un espresso. Davanti a me c'è il verde del parco. Il luogo è pieno di gente che cammina velocemente per stare il meno possibile sotto il sole. Ad osservare la gente che si trova nelle vicinanze non si capisce per niente che mi trovo a Tirana. Potrei benissimo essere in una qualunque città europea. Provo infatti a guardare ciò che mi circonda non focalizzando le scritte che sono le sole che permettono di individuare la lingua del posto e quindi la sua geolocalizzazione. Mi dico tra me con soddisfazione che l'Europa ha fatto enormi passi da gigante nel processo di sviluppo della sua società. Vero è che rimangono resistenze e contrarietà al processo di unificazione ma è indubbio che quello che i miei occhi vedono oggi in un qualunque paese europeo era semplicemente impossibile immaginarlo appena finita la 2a guerra mondiale. Al parcheggio taxi trovo Arturo che mi sta aspettando. Sono in anticipo di qualche minuto e quindi me la prendo comoda. Arturo è felice di vedermi. Probabilmente non era sicuro che venissi all'appuntamento. Partiamo per l'aeroporto. Prima però accende la radio e seleziona un canale italiano. È felice perché crede di essersi reso utile nella scelta. Purtroppo Arturo non sa che si tratta di una stazione radio vaticana che trasmette programmi religiosi. Non voglio deluderlo e mostro un certo interesse facendo finta di ascoltare le cose dette dal lettore. Benedetta ingenuità. Lui non si pone il problema fede-ragione e non gli sembra importante la contrapposizione credente-laico. Lui vive questo momento favorevole (era ora) dello sviluppo caotico e disordinato dell'economia albanese. Questi sono anni favorevoli al paese delle aquile. Ne sono felice per tutti gli albanesi di Tirana e dell'Albania. L'economia albanese affronta un periodo favorevole di sviluppo.

Ci sono molti posti disponibili nel mercato del lavoro. I giovani, e sono molti, concorrono ad alimentate fiducia e speranza alla giovane economia del paese. Proprio in questi giorni i programmi televisivi sull'UE stanno intasando le tv a causa del fatto che Bruxelles, qui chiamata Bruksel, ha accettato la domanda di adesione dell'Albania come prossimo Stato membro dell'Unione e qui a Tirana si vedono un via vai di macchine nere di burocrati europei che partecipano a convegni sull'adesione all'UE. Arturo non sa niente di tutto questo e vive il suo tempo nell'entusiasmo della sua giovane età che gli permette di guadagnare facendo il conducente di taxi. Dal sedile posteriore lo osservo con tanta simpatia quando mi indica la costruzione di nuovi edifici che creano posti di lavoro e fiducia nelle nuove generazioni. Possa questo entusiasmo essere da stimolo per una muova vita della giovane Repubblica non comunista albanese. Seppelliti i ricordi atroci del vecchio regime dittatoriale di Hoxha mentre mi accingo a entrare nella sala partenze dell'aeroporto vedo Arturo che mi saluta da lontano sorridendo vicino al taxi. Possano tutti gli Arturo di Albania trovare quella serenità per il futuro che non videro mai i suoi nonni e forse anche i suoi papà. Ciao Arturo. Il mio è stato un piacevole soggiorno qui a Tirana. All'aeroporto ancora non sono attivi i banchi dell'accettazione. Mi seggo fuori a un tavolo del bar dell'aeroporto e osservo ciò che si presenta davanti a me. L'aeroporto internazionale Nënë Tereza di Tirana è riposante, sicuro, ordinato e silenzioso.

Vedo macchine di familiari che accompagnano i loro figli e le loro figlie all'aeroporto. Baci, abbracci e tanti saluti sono la costante di queste partenze. L'aeroporto sembra una gigantesca stazione ferroviaria di altri tempi quando si accompagnavano i propri figli che dovevano partire per destinazioni più o meno lontane per studio o lavoro all'estero. Il principio non è cambiato. Sono cambiati i mezzi di trasporto e l'approccio che risulta più condiviso e consapevole di prima. Ormai la lontananze non è come negli anni '60 del secolo scorso quando la partenza era una partenza che non prevedeva alcun contatto di nessun tipo con i propri cari ma solo lettere scritte che viaggiavano a velocità di lumaca rispetto alla velocità della luce con la quale viaggiano oggi telefonate intercontinentali, sms, facebook o whatsapp. La società di oggi è cambiata rispetto a quella precedente. Elvira Dones nel suo libro Senza bagagli al Cap.VIII scrive: "No, disse alla madre non voglio che veniate allaeroporto.[...] Mi danno fastidio quelli che si portano tutto il parentado all'aeroporto. [...] I passeggeri non parlarono fin quando non raggiunsero il piccolo bar nella sala d'attesa". L'attuale aeroporto è nuovo e il piccolo bar nella sala d'attesa adesso è un moderno a grande bar da grande aeroporto. A rimanere piccini sono solo quelli che non viaggiano mai e non conoscono il mondo. Vengo preso da un momento di malinconia. Mi vengono in mente le parole di Pascal Mercier nel suo bellissimo romanzo Treno di notte per Lisbona, della casa editrice Mondadori stampato nel 2008. Alla fine della bellissima storia del protagonista che si congeda per rientrare a Berna dalla distante Lisbona dice: "Lasciamo sempre qualcosa di noi quando ce ne andiamo da un posto. Rimaniamo lì anche una volta andati via. E ci sono cose di noi che possiamo ritrovare solo tornando in quei luoghi. Viaggiamo dentro noi stessi quando andiamo in posti che hanno fatto da cornice a periodi della nostra vita. Non importa quanto questi siano stati brevi". Effettivamente è proprio così. Ma solo riflettendo con spiragli di pensiero si riesce a condividere idee che troviamo straordinariamente nostri anche se scritti da sconosciuti. Che quasi tutte le scrittrici albanesi moderne avvertano l’esigenza di richiamare nei loro romanzi più famosi il fatto che sono partite dall'aeroporto non lascia perplessi perché come dice Ornela Vorpsi nel libro Bevete Cacao Van Houten, la partenza "dalla odiata prigione chiamata Albania" di Hoxha è sempre stato il desiderio più grande degli albanesi che non volevano avere rapporti con il regime di allora.

Al check in mi accorgo che mi sono rimaste delle banconote in lek. Non sono molte ma non voglio sprecarle. Non mi rimane altro da fare che acquistare qualche prodotto al duty free. Vedo delle scatole della Pastiçeri LIKA che produce e confeziona degli eccellenti Llokume me Arra. Perberesit (ingredienti): sheqer, niseshte, acid citrik, arra. Si tratta di una specie di mostarda di colore chiaro con granuli di noci all'interno veramente squisita. Chiaramente è simile a quella turca. Tuttavia è necessario fare attenzione a non mischiare ciò che è turco con quello che è albanese. La stessa Elvira Dones, sempre nello stesso libro, nel Cap. II a questo proposito afferma che: "No, non mi è passato mai per la testa di studiare il turco; l'albanese e il turco non sono la stessa cosa". Viene marcato ancora una volta il fatto che nonostante la dieresi sulla vocale le due lingue sono differenti. Non mi rimane altro che dedicare l'attesa per l'imbarco a che cosa scriverò nel diario di viaggio di Tirana. "Sarà come gli altri", mi dico. Si, forse, credo di no. Ci penserò. Intanto ringrazio la piccola ma bella capitale albanese della magnifica vacanza che mi ha fatto trascorrere in questa bella terra balcanica. Ciao Tirana, anzi Tiranë: Ciao Albania. Sono stato bene qui da voi. Mi dispiace lasciarvi, ma è la vita. Al prossimo viaggio.

Elenco dei report di viaggio delle capitali europee già pubblicati.

INTRODUZIONE ALLA SEZIONE VIAGGI
AMSTERDAM Nederland
LONDRA Great Britain
PARIGI France
VIENNA Österreich
MADRID España
LISBONA Portugal
BERLINO Deutschland
PRAGAČeské Republika
DUBLINO Ireland Dublin
ATENE Ελλάς Αθήνα
STOCCOLMA Sverige
HELSINKI Suomi
LUBIANA Slovenija Ljubljana
NICOSIA Cyprus Lefkosia
LA VALLETTA Malta
SOFIA Бългaри София
BUCAREST Romania Bucureşti
BRATISLAVA Slovensko
BRUXELLES Belgio
BELGRADO Srbija Београд
OSLO Norge
ZAGABRIA Hrvatsk
TIRANA Shqipëri
MOSCAРоссийская Федерация
BIBLIOGRAFIA LETTERATURA DI VIAGGIO

Manuali e guide di viaggio adoperate.

Support independent publishing: buy this book on Lulu.