venerdì 30 luglio 2004

Farnesina, chiacchiere e immagine dell’Italia all’estero.

Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, durante i lavori della 5a Conferenza degli Ambasciatori d’Italia, ha rievocato i suoi ricordi più belli avuti al Ministero degli Esteri quando, unico soggetto politico al mondo, ha raccontato di aver tenuto l’interim degli Esteri per ben 11 mesi dopo le dimissioni forzate dell’ex-Ministro Renato Ruggiero. Nelle intenzioni del Presidente del Consiglio, c’era il tentativo di sfruttare le Ambasciate italiane per indurle a comportarsi come “agenti commerciali dei prodotti italiani”. Questo il fatto. E veniamo alle opinioni. Per alcuni si è trattato di una buona idea. Per altri meno. Comunque, il problema non è solo questo. Il Presidente del Consiglio Berlusconi propose a suo tempo questo progetto, perché probabilmente pensava che l’idea era portatrice di grandi potenzialità nell'acquisire risultati per il Sistema Italia. Ma come si dice in questi casi “tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”. In realtà, dopo due anni che è stata partorita, l’idea non ha portato frutti né benefici rimarchevoli. In questo biennio, tranne che per i due prodotti pasta e pizza, all’estero di Italia c’è stato pochino. Anzi, l’Italia non c’è stata per niente. Siamo testimoni oculari quando diciamo che in giro per l’Europa e per il mondo, tranne alcuni spettacoli culturali musicali del Maestro Muti, l’Italia berlusconiana ha brillato per assenza, inconsistenza e vacuità. Mentre spagnoli, portoghesi, francesi, greci e, persino, tunisini ed egiziani proponevano un’immagine positiva, solida e piacevole del loro paese, l’Italia brillava per l’assenza di qualunque progetto culturale. Altro che agenzia per i prodotti italiani. Qui il problema non è tanto il prodotto, quanto il produttore. Il problema non sta nelle cose che si producono per venderne di più. Il problema sta nel fatto che devono essere vendute meglio e con stile. Non è la quantità quello che conta, ma la qualità. In verità, l’Italia ha brillato per inconsistenza e inefficacia nella difesa e nella tutela della propria immagine all'estero. Mentre i paesi sopra citati martellavano l’opinione pubblica di tutti i paesi del mondo, con intensità e frequenza senza precedenti, l’Italia era assente. Sulle televisioni di tutto il mondo non abbiamo visto mai un solo spot pubblicitario del Bel Paese sui fatti della cultura e delle tradizioni. Grandi eventi hanno visto protagonisti tutti, tranne noi. I canali pubblicitari forti della bandiera italiana all’estero, com’è noto, sono la musica, l’arte, la cucina, la moda, il cinema e lo sport. Se non fosse stato per il Maestro Muti nella musica, per i vari stilisti nella moda, per la Ferrari e per il motociclismo nello sport, le sole due cose che ci rimangono per stupire il mondo sono la solita “pasta and pizza” che, com’è noto, sono prodotti creati e pubblicizzati ancor prima che il Presidente Berlusconi entrasse in politica. Ovunque ci siamo trovati all’estero, abbiamo ricevuto attestati di stima e di simpatia non per merito della politica berlusconiana ma perché siamo portatori di raffinatezza nel campo della moda e della cucina e, in generale, dello Stile Italiano. Musica, moda e cucina sono stati fino a questo momento canali veicolari privilegiati che si sono sviluppati in modo autosufficiente e non pilotato dal potere politico. Abbiamo ricevuto tante testimonianze di amicizia e si è sempre creato uno straordinario feeling con tutti gli indigeni di quei paesi per il solo fatto di essere italiani, non certo per il contributo delle ambasciate che, a nostro parere, troviamo latitanti e quasi sempre distratte. Non ci risulta che le Loro Eccellenze abbiano fatto qualcosa di valido e concreto per migliorare l’immagine del nostro Paese. Per favore, Sigg. Ambasciatori, niente fumo. A noi interessano gli arrosti. Gli abbacchi virtuali, in cui è maestro il maggior cuoco televisivo italiano, non ci saziano. Dunque, sappiate che avete una grande responsabilità. Sappiatela sfruttare nell’interesse superiore dello stile italiano. Se poi, il Presidente del Consiglio invece di confermare le grandi personalità al loro posto le rimuove, sostituendole con piatti e insulsi politici, come nel caso delle nomine alla Commissione europea, allora ditelo chiaramente. Vorrà dire che sul conto di questo governo ci sarà anche il peso di un altro errore. E alla fine il conto sarà pesante per chi ha prodotto quasi sempre numeri negativi invece di numeri positivi.

mercoledì 28 luglio 2004

Preoccupazioni e proteste: la politica estiva infiamma.

Il Presidente della Repubblica è preoccupato per la mancanza di dialogo tra maggioranza e opposizione. Il Presidente della Camera dei deputati protesta perché con i voti di fiducia a ripetizione messi in atto dal potere esecutivo non si esalta il ruolo del Parlamento. L’opposizione è scandalizzata per la decisione della maggioranza di cambiare la Carta costituzionale in una baita di montagna al di fuori dei luoghi istituzionali parlamentari. Tutti e tre i protagonisti di questa vicenda hanno ragione. Siamo d’accordo che questo modo di procedere è scorretto e sbagliato. In mezzo a questo pollaio, pieno di confusione e di beccature, vi è una dichiarazione che stona e che ci sembra opportuno criticare. E’ quella dell’On. Violante, che ha detto in aula, rivolgendosi ai banchi del governo, “fate le valigie e andavene a casa”. E’ una dichiarazioni insensata e sempliciotta che non porta a nessun risultato. Si tratta di una dichiarazione inutile, controproducente e politicamente sbagliata. E’ chiaro che la maggioranza sta facendo il suo mestiere, che è quello di mettere in atto il “suo” progetto politico. Giusto o sbagliato che sia non si può dire a un governo, legittimamente eletto per cinque anni, a fare le valigie perché non fa le leggi desiderate dall’opposizione. Che pretese! Ma che modo di ragionare è questo? Da quando in qua un governo non può fare delle leggi di sua convenienza? Forse sarebbe meglio dire che in tre anni l’opposizione non ha fatto un buon lavoro, perché mai è stata in grado di convincere la maggioranza a modificare neanche una proposta di legge. Piuttosto, abbiamo qualcosina da dire all’On. Violante che dell’opposizione è un elemento di spicco avente molte responsabilità. Diciamo che se il governo oggi è nelle mani di una maggioranza inadeguata, che fa cose per niente decorose, si ricordi che egli è stato uno dei principali responsabili della vittoria del centrodestra alle ultime elezioni nazionali. Le sue responsabilità riguardano il fatto che il passato progetto politico del centrosinistra è stato inadeguato e alla fine è stato bocciato dalla maggioranza degli italiani. La ragione principale riguarda il fatto che questo progetto non è stato in grado di convincere gli elettori sul doppio piano delle strategie politiche e dei molti punti del programma che sono risultati disastrosi sul piano del convincimento dei cittadini. Questa storia di volere a tutti i costi giustificare scelte impopolari e demagogiche per fini ideologici, non ha pagato e ha fatto vincere il centrodestra. Dunque, siamo del parere che invece di gridare “al lupo al lupo”, l’On. Violante farebbe meglio a evitare errori e insipienze nell’azione politica del proprio schieramento e si concentrasse maggiormente sul futuro progetto di governo. Pensi piuttosto a non sbagliare di nuovo. Non saranno grida inutili e prive di effetto a convincere la maggioranza che sta sbagliando. E, soprattutto, deve convincersi che una opposizione può diventare maggioranza se propone un progetto in grado di persuadere e infondere certezze. Quelle certezze che nelle ultime elezioni non ci sono state per nulla.

sabato 24 luglio 2004

Ecco la conferma del fatto che in Italia l’intelligenza politica è merce rara.


L’ex-Commissario Mario Monti è stato sostituito dall'On. Buttiglione alla Commissione Europea. L’avevamo pensato. L'avevamo scritto. Eravamo preoccupati che si avverasse, ma facevamo gli scongiuri. Se nella zucca del Presidente del Consiglio ci fosse stata intelligenza politica, l'eccellente Mario Monti avrebbe dovuto essere riconfermato. Così non è stato. Cosa volete. I politici che ci governano sono questi. Se Monti fosse stato ungherese, il Primo ministro magiaro Medgyessy Péter non lo avrebbe mai cambiato, neanche a cannonate. Ma noi siamo italiani.

giovedì 22 luglio 2004

Monti o Buttiglione: una nomina vale l’altra?

Il Presidente designato della Commissione Europea, Durao Barroso, incalzato dai giornalisti, molto diplomaticamente ha detto che entrambi i nomi sarebbero ottime figure di rilievo per la prossima Commissione. E’ vero? Senza ombra di dubbio, sono due personalità di notevole spessore. La designazione spetta al Presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi. E noi dobbiamo rispettare la decisione che egli prenderà. Ma è consentito avere un’opinione in merito? Visto l’eccellente lavoro svolto da Mario Monti, l’intelligenza politica vorrebbe che egli fosse riconfermato. Ma, si sa, che l’intelligenza è una merce rara nell’intero panorama politico italiano e, in particolare, in questo momento nella maggioranza. Attualmente, l’interesse del Presidente del Consiglio è limitato al fatto che se dà la poltrona di Commissario europeo a Monti, Buttiglione si arrabbia e l’UDC non accetta il federalismo di Bossi. Un Presidente del Consiglio che avesse a cuore il nome e la dignità dell’Italia, non avrebbe dovuto mai avere dubbi. Avrebbe scelto subito Monti, indipendentemente dal resto. Ma noi sappiamo che al Presidente Berlusconi, peraltro intelligentissimo uomo politico quando si tratta di difendere i propri interessi, nel settore della politica europea ha, diremmo, qualche defaiance. Ricordate la polemica con il parlamentare tedesco Martin Schulze e la definizione di kapò dato a quest’ultimo? Una cosa vergognosa. Pertanto, dubitiamo che verrà designato Monti. Perché? Semplice. Monti è una personalità indipendente che cura gli interessi superiori dei cittadini europei, nell’interesse dell’Europa. Monti è al di fuori delle combriccole e si rende sempre antipatico per le sue decisioni super partes. Avete mai visto un politico italiano a cui stanno a cuore gli interessi superiori?

mercoledì 21 luglio 2004

Una televisione che propone soltanto vuoto di idee e assenza di cultura.

Ci troviamo in una fase della nostra storia veramente difficile e carica di conseguenze sfavorevoli per la nostra vita. Non è questione di partiti al governo, né di mode passeggere. Viviamo una fase della nostra civiltà che è all’insegna della fuga dai valori, che spaventa per la piega con la quale si sta sviluppando la logica della vita per noi italiani. La presenza di una televisione che divora tutto e dalle facoltà illimitate, la ricerca continua del benessere fisico come status, l’esasperato inseguimento dell’eleganza e dell’estetica del corpo, l’avvenenza e la bellezza come feticcio e progetto di vita, il calcio come sostituto di valori e di ideali, la violenza come modalità di vita, l’auto e il cellulare come golem che ci avvolge e ci consuma ci fanno paura e nello stesso tempo ci inquietano. Affrontiamo un elemento di questo confuso mosaico, che poi è quello più pericoloso, proprio perché subdolo e, dunque, più carico di pericoli. Ci riferiamo alla televisione e alle conseguenze estremamente negative che essa provoca sullo sviluppo spirituale ed etico dei giovani; e non solo. Vengono creati palinsesti in cui più del 95% dei programmi prevedono o donnine seminude, ovvero musiche che mettono a dura prova l’udito, oppure sarabande e baraonde di fantaprocessi di calcio, altrimenti vuote e insulse trasmissioni di banali e diseducativi vissuti personali in cui i partecipanti gridano, dall’inizio fino alla fine, petulanti commenti personali senza alcuna dignità. In pratica, vi è una folle rincorsa alla superficiale, inconsistente e misera proposizione di modelli esteriori la cui futilità è di un vuoto culturale semplicemente sconsiderata. Ma è possibile che la televisione pubblica, con qualunque Direttore Generale e qualsivoglia Presidente non faccia nulla per trasformare questa risorsa che è la televisione pubblica in programmi culturali, significativi, educativi e interessanti? Possibile che in Parlamento nessuna forza politica abbia a cuore questo fatto? L’esperienza insegna che la diseducatività dei programmi televisivi non è una questione di maggioranze o di governi. Sia con il centrosinistra, sia con il centrodestra si ripropone sempre la stessa minestra. Donnine svestite a colazione, a pranzo, a cena e di notte. Canzoni di importazione americana e musiche statunitensi che fanno solo rumore e producono sordità. Film di guerra e di azione che sono semplicemente demenziali. Violenza gratuita a più non posso. Insomma un nulla condito con il vuoto più assoluto di idee. E’ possibile che non ci sia nessun antitodo? E’ possibile che chi paga il canone si debba sorbire tutti questi programmi insulsi? Ma allora che ci stanno a fare un Ministro dell’Istruzione e un altro della Cultura? E le Segreterie dei partiti che fanno? E i Direttori dei giornali che dicono? Silenzio di tomba. Tanto tra non molto sarà la cultura ad essere portata al cimitero perché defunta.

martedì 20 luglio 2004

Tra il dire e il fare di un ex-Ministro.

Desideriamo commentare una parte della lettera pubblicata questa mattina sul Corriere della Sera. E’ la lettera dell’ex-Ministro del Tesoro, Giulio Tremonti, che ha inviato al quotidiano milanese una missiva di risposta a un articolo critico nei suoi confronti. Non ha importanza il nome del giornalista che l’ha provocata, o altri particolari inutili. Ci interessa soltanto commentare la prosa e il contenuto di alcuni passi della lettera dell’ex-Ministro. Ad un certo punto egli dice:
 
 
“Secondo il giornalista sarei contro le privatizzazioni” in base al seguente argomento: i nostri capitalisti non sono meglio dello Stato, come sarebbe evidente nel “caso Finmeccanica”. La tesi non è vera, l’argomento è un argomento falso, l’esempio è fantomatico”.

 
La tesi dell’ex-Ministro è chiara. Lui si ritiene il migliore, non solo come commercialista ma, soprattutto, come ex-Ministro della Repubblica che ha inteso fare gli interessi dello Stato privatizzando a più non posso, laddove tutti gli altri avevano fallito. Tesi un po’ provocatoria, visto che questo è un paese dove le cariche pubbliche vengono utilizzate da quasi tutti i ministri, da qualunque latitudine provengano, non per fare gli interessi dei cittadini italiani, ma per fare il proprio tornaconto o, peggio, gli interessi di una parte del sistema, ovvero di una lobby. E nel caso dell’ex-Ministro Tremonti, non è difficile capire a quale lobby ci si riferisce se non al partito di Bossi che in tema di lobbismo se ne intende, e come. Dunque, il Ministro prodigio, ha fatto molte privatizzazioni e, soprattutto, come è evidente nel “caso Finmeccanica”. Su quest’ultima asserzione vogliamo fare una piccola digressione perché ci piace finalmente che qualcuno ne abbia fatto menzione. Il caso Finmeccanica è un classico caso di come le lobbies lombarde abbiano abbindolato e abbindolino gli italiani. Ricapitoliamo il fatto in modo volutamente poco formale, per far capire come siano andate veramente le cose. Viene deciso di porre questa società sul mercato. Le azioni vengono collocate, insieme ad altre banche, da Banca Intesa, ex Cassa di Risparmio per le Provincie Lombarde, prestigioso gruppo bancario milanès. Bene. Si fissa un valore nominale di circa 1.52 € ad azione e si mettono in moto tutte le strategie per far comprare il titolo ai risparmiatori. Molti piccoli azionisti cadono nella rete, anche perché sollecitate in maniera sfacciata dalla banca. Comprano a 1.52 € con la possibilità di incrementare il guadagno del 10%, se tenute almeno un anno. Bene. Anzi, male. Alla fine dei primi 365 giorni, il titolo diventa i due terzi, dimezza dopo un anno e mezzo per diventare circa un terzo alla fine del secondo anno. Alla faccia degli interessi dei piccoli risparmiatori che, ricevendo questo autorevole, nobile e soprattutto "disinteressato" suggerimento dagli impiegati di Banca Intesa, hanno realizzato un altro buco nel collocamento dei propri risparmi sul mercato. Veder diminuire di circa il 66% il proprio capitale non è una cosa di tutti i giorni. E non c’è da starne allegri. Chi ci guadagna è praticamente Banca Intesa e i suoi amici, che hanno venduto le azioni a 1.52 € per poi, forse, ricomprarle a 0.50 €. Che ne dite? E’ stato un esemplare comportamento di privatizzazione secondo voi? Dunque, il caso Finmeccanica era l’unico caso che l’ex-Ministro non avrebbe dovuto mai menzionare. E invece altero, borioso e provocatorio com’è, è passato dalla difensiva all’attacco. Com’è suo solito. D’altronde, l’attacco non è la migliore difesa? Non lasciatevi incantare dalle parole carine messe lì, in mezzo a una frase. Il secondo elemento della lettera che desideriamo commentare si riferisce al fatto che i grattacapi che ha il capitalismo italiano si riferiscono al fatto che:
 

“Non è questione di classi ma di strutture. Non è questione di capitalisti ma di capitalismo. L’essenza materiale del problema del capitalismo è che in Italia mancano i fondi pensione. E’ questo il pilastro mancante. I fondi pensione non sono infatti solo il secondo pilastro di un equilibrato sistema previdenziale, ma anche – simmetricamente – il primo pilastro finanziario moderno”.

 
Bene, diciamo noi. E perché in tre anni di governo Berlusconi, in cui l’ex-Ministro ha avuto praticamente il monopolio del potere economico e finanziario di tutto il paese, questi benedetti “fondi pensione”, non li ha mai realizzati? Lui che poteva tutto? A cui nessuno avrebbe potuto mai dire di no? Perché? Vuol dire che se non li ha messi su, è perché in fondo non gli interessavano. Dunque, come può giustificare un insuccesso quando l’arma con la quale avrebbe potuto risolvere il problema non l’ha mai adoperata? Suvvia, ex-Ministro, non esageri con l’attacco altrimenti sguarnisce completamente la difesa. Quella difesa che noi ancora non abbiamo mai visto in azione se non quando ricordiamo la famosa frase pinocchiesca che “è stato l’euro a rovinare l’economia italiana”. Capirà che le favole possono nuocere moltissimo, soprattutto quando vengono dette da un ex-Ministro come lei che ha commesso delle imperdonabili scorrettezze ai danni degli onesti lavoratori, cancellando gli effetti di una legge che prevedeva degli impegni precisi presi in Parlamento appena l’anno precedente (art.16 della legge n.448 del 2001). Te capì?



lunedì 19 luglio 2004

Un braccio di ferro tra miliziani e agenti dell’ANP palestinese: era questo che si desiderava?

Il Presidente palestinese Yasser Arafat è ritornato ad essere al centro dell’attenzione internazionale a causa della rivolta delle milizie palestinesi di Gaza, contrari alla nomina di suo nipote Musa Arafat a capo dei servizi di sicurezza. E per questo motivo sono scoppiate delle faide interne ai palestinesi, con una vera e propria battaglia tra miliziani e agenti delle forze di sicurezza dell'Anp, con attacchi di guerriglieri di una fazione alle milizie di un’altra, con azioni di lotta armata di corpi militari della seconda fazione contro i seguaci della terza fazione. E così di seguito. A noi, osservatori esterni della realtà mediorientale, non interessano questi fatti. E nemmeno è nostro interesse approfondire le beghe di famiglia o di tribù. Noi siamo portati a comprendere i fatti e dare il nostro modesto punto di vista. Sta il fatto che a questo punto non si capisce più nulla. Chi attacca chi, e chi è attaccato da chi. Tra Al Aqsa, Fatah, Hamas gli attori violenti sono molti e certamente non portano bene alla causa palestinese.  In pratica, vi è uno stato di caos permanente e una situazione di anarchia rivoltosa che costringe i cittadini della striscia di Gaza a vivere in perenne stato di angoscia per la loro vita e per la loro dignità di persone umane.  Ma non si era detto che il Presidente Arafat era contro la guerriglia e il terrorismo? Non si era detto che era tutta colpa di Sharon? Vuoi vedere che gli israeliani, che in tutta questa vicenda non sono certamente indenni da responsabilità, avevano ragione? A chi giova tutta questa baraonda? Il fatto è che bisognerebbe tirare le orecchie a tutti quei tromboni della politica internazionale ai quali, in fin dei conti, non interessa nulla della pace tra israeliani e palestinesi. Ma quando lo capiranno i cittadini palestinesi e israeliani che la pace si può ottenere in qualunque momento a condizione che si privilegi l’unica strada maestra che è il tavolo dei negoziati? Non esiste un solo attore sullo scenario del medioriente che abbia veramente a cuore la pace.  Sono tutti in malafede, dall’ANP a Israele, dalla Lega Araba all’UE, dagli USA all’ONU. Neanche il Vaticano mi sembra indenne da pregiudizi. Nessuno vuole la pace degli "altri" e tutti vogliono la “loro” pace. Ipocriti! Il fatto è che manca un autentico progetto di condivisione di valori e di ideali col quale creare quello spirito di cooperazione e di collaborazione che, unico elemento concreto e intelligente di un progetto serio, potrebbe risolvere il problema. Non siamo lontani dalla verità quando affermiamo che il conflitto israelo-palestinese è strumentale. Esso serve soltanto a quei signori terroristi e nazionalisti panarabi ed ebrei che vedono soltanto le ragioni della forza e della lotta armata per far prevalere le proprie idee a danno di quelle degli altri. Quante sono lontane le belle e semplici parole di un Sadat e di un Rabin che sull’altare della pace hanno immolato la loro vita. E quanto sono vicini i rantoli affannosi pieni di risentimento e di odio di coloro che desiderano vivere odorando solo il puzzo delle armi e della guerra. Povero mondo, come ti sei ridotto.

domenica 18 luglio 2004

Il ritorno del perdonismo. Un brutto segnale.

Una malattia si aggira per tutti i luoghi del paese. Come tutte le malattie, anche questa ha un luogo di provenienza, che è la capitale, e una conclusione, che fa delle vittime illustri. La principale scomparsa è “l’intelligenza”. Ma altre vittime sono già state individuate e altre potrebbero emergere dopo che i soccorsi, inutili per la verità, avranno completato l’impietosa opera di individuazione dei resti mortali. Oltre all’intelligenza sono morti “il diritto” e “la giustizia”. Versa in fin di vita la “razionalità” che, in Italia, diciamocelo chiaramente, non è mai stata in salute. I medici hanno individuato alcune cause che hanno permesso alla malattia di diffondersi. Eccone una sintesi:
- non si esige più la multa per gli automobilisti che passano col rosso ai semafori;
- non si espellono più i clandestini sorpresi durante il reato di immigrazione illecita scoperti a spacciare droga;
- non si perseguono con rigore gli automobilisti che nelle autostrade creano incidenti stradali a catena;
- non si arrestano più i delinquenti che sabotano la salute dei cittadini;
- non si dà più l'ergastolo a chi commette omicidi infantili o ai rei di uccisione per pedofilia.
La lista delle cause potrebbe continuare, ma ci fermiamo qui perché, nell’economia del nostro discorso, sarebbe inutile elencarle tutte. Qual’è la morale della favola? Semplice. Si discute politicamente se una certa proposta di legge è opportuna o meno. Bene. Le forze politiche si confrontano, discutono anche vivacemente, e poi la votano. E quando viene approvata, da quel momento in poi la decisione dovrebbe essere legge e tutti dovrebbero rispettarla. Invece, in questo strano paese, le cose non vanno così. Perché se anche una legge è stata pubblicata nella G.U., per moltissimi cittadini non esiste. E fatto più grave per i rimanenti non serve a nulla perseguire chi non segue le leggi, perché alla fine tra un condono e un perdono vincono sempre i furbi. Ecco come si guasta la democrazia. Inculcando nei cittadini il falso e diseducativo messaggio che basta non essere d’accordo su una legge che si può non applicarla. Complimenti a tutti. E poi ci lamentiamo di avere un paese in cui chi viola legge e non la rispetta viene alla fine condonato. E fin qui possiamo capire. Ma chi invece accetta le regole, paga le multe, e poi si dice che è stato fesso a pagarle, no, è troppo. Non c’è nulla di peggio che essere ammalati di ipocrisia e di perdonismo.

sabato 17 luglio 2004

Viene prima il diritto alla vita o lo stipendio?

Un cieco cade nella metropolitana di Roma sui binari e muore. Aveva scambiato il vano tra due carrozze per la porta d’entrata del vagone. I particolari sono inutili. Il Direttore generale dell’Azienda romana Met.Ro., responsabile del servizio, dice che “un fatto del genere non era mai accaduto”. Si è sbagliato clamorosamente. Viene smentito prontamente da un altro signore non vedente, al quale qualche anno fa successe la stessa cosa. Ma in quell’occasione si salvò. Caro Sindaco Veltroni, non bastavano tutti i dilettantismi e le incapacità di chi gestisce la metropolitana di Roma per capire che è inderogabile cambiare gestione all’azienda? Quanti ciechi devono morire ancora per rimuovere gli incapaci che non sanno amministrare l’azienda? Per favore faccia qualcosa. Di sinistra o di destra, non importa. Ma permetta a chi non vede di viaggiare in metro, almeno sicuri di non morire. Il diritto alla vita, non viene prima del diritto allo stipendio, soprattutto quando non si garantisce di uscire indenni da un meccanismo infernale qual è quello della metropolitana di Roma che non ha eguali nel mondo? Lei che è un Sindaco di successo, per favore faccia qualcosa. I cittadini romani gliene saranno grati a vita.

Francia, ha mentito la ragazza dell'aggressione antisemita.

La giovane ha ammesso di essersi inventata tutto. Ora è in stato di fermo a Parigi. Cosa dire? Intanto che è necessario e indispensabile smentire l’accaduto e ridimensionarlo nel fatto. In secondo luogo, sarebbe auspicabile non trovarsi mai in queste situazioni. Scrivere articoli sotto l’impulso di notizie incerte o di dubbia veridicità non va mai bene. Ci scusiamo con gli interessati per il nostro commento del 12.07.04, dal titolo “Francia: Successi e contraddizioni”. Confidiamo nell’intelligenza del lettore e confermiamo la nostra assoluta buona fede sul significato da dare all'articolo.

venerdì 16 luglio 2004

L’arrabbiato permanente: un guaio per la comunità e una continua incertezza per la politica.

Il Segretario generale della CGIL ha abbandonato in maniera teatrale il tavolo di discussione con la Confindustria perché, a suo dire, vi era un elemento del documento degli industriali che era per lui inaccettabile. Se non ci sbagliamo si tratta della politica salariale che dovrebbe essere perseguita dagli industriali nei prossimi anni. Penso che sia andata proprio così. Non esiste peggiore situazione di quella in cui un soggetto è costretto a prendere atto che la controparte ha una posizione non condivisibile. In queste situazioni alcune volte si sceglie il male minore e si abbandona una seduta. Non c’è da scandalizzarsi. E’ successo. Succede. Succederà. E’ già avvenuto altre volte che a un tavolo di trattativa le posizioni iniziali erano divergenti, quasi opposte e alla fine si è trovata un’intesa. E’ successo nel mondo della politica, quando si sedettero a un tavolo Roosevelt, Churchill e Stalin. Il 4 febbraio si aprì a Yalta, in Crimea, la conferenza dei Capi di Stato delle maggiori potenze impegnate nella guerra contro la Germania.  Sappiamo come andò a finire. Le posizioni tra le parti erano veramente diverse. Ma alla fine, si arrivò a un compromesso, con la divisione in due parti dell’Europa. La conferenza di Yalta venne quindi salutata come un grande evento per tutta l'umanità. Non dico che quella decisione sia stata la migliore. Tuttavia si è riusciti a creare le condizioni per risolvere il problema in futuro. E’ successo anche nel mondo della scienza. E’ rimasta assai celebre l’appassionante discussione che si tenne nel 1930, al sesto Congresso Solvay dedicato ai problemi della Teoria dei Quanti, quando il fisico danese Niels Bohr, paladino delle relazioni di indeterminazione e sostenitore delle idee più estremiste della fisica moderna, riassunte nella definizione di “Scuola di Cophenagen”, ed Albert Einstein, irriducibile avversario di queste si scontrarono. Dopo intensi dibattiti e ingegnose argomentazioni, una delle quali fu quella famosissima frase di Einstein, che disse letteralmente “Dio non gioca a dadi”, ne uscì vittorioso Bohr, servendosi, peraltro, delle più importanti scoperte prodotte dallo stesso Einstein. La frase di Einstein fu dettata dalla profonda convinzione di non poter accettare la presenza, all’interno della nuova teoria fisica, della categoria scientifica della probabilità. "Tu ritieni che Dio giochi a dadi", rimproverò Albert Einstein a Bohr, esprimendogli tutta la sua amarezza nel dovere accettare l'ingresso del caso e della probabilità. Allo scopritore della relatività sembrava "intollerabile" che un elettrone potesse scegliere "liberamente" tempo e direzione del suo salto energetico. Ecco spiegato il perché della presenza dei dadi nella frase. Non per questo Einstein abbandonò la riunione. Anzi. La notte, dopo aver ascoltato Bohr che gliele aveva, per così dire, " suonate”, escogitò in poche ore un esperimento mentale col quale l’indomani mise in difficoltà il suo “avversario”. Dunque, perché il Segretario Generale della CGIL, Guglielmo  Epifani si è alzato ed è andato via? Incomprensibile. Noi non lo abbiamo capito, neanche quando all’indomani è stato intervistato da un canale televisivo. Anzi. Peggio. Buio pesto. Al giornalista che lo intervistava, ha detto un paio di anacoluti e alcune frasi ironiche senza senso. E’ riuscito a disorientare se stesso e chi lo stava ascoltando. E dire che avevamo sperato che con il nuovo Presidente di Confindustria, Cordero di Montezemolo, credevamo che si potessero gettare le basi per migliorare le relazioni industriali in questo perenne, confuso, disastrato paese. Siamo stati dei poveri ingenui. Con il segretario del più potente sindacato italiano, capiscono qualcosa solo i sindacalisti. In verità, se tentiamo di comprendere i messaggi alla luce delle categorie della razionalità scientifica non andiamo avanti. Ma la politica - e quella sindacale è l’esasperazione della politica - non funziona con le normali categorie della scienza.  Probabilmente, ma non ne siamo sicuri e comunque siamo contrari a questo modo di agire, la ragione del gesto incomprensibile del Segretario della CGIL sta nell’oscuro messaggio criptico che ha voluto lanciare a tutti, mettendo in chiaro che la sigla sindacale da lui presieduta detiene il potere di veto su tutto ciò che ha a che fare con il sindacalismo, con buona pace per chi aveva creduto nel concetto di confronto e di democrazia.


giovedì 15 luglio 2004

Dall’On. Follini una lezione di alta politica.

Abbiamo ascoltato con molta attenzione le dichiarazioni di tutti i leader dei partiti intervenuti alla Camera dei Deputati in occasione del dibattito relativo alle comunicazioni del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, circa le dimissioni del sundràsc ex-Ministro del Tesoro, Giulio Tremonti. Ebbene, abbiamo gradito moltissimo il discorso del Segretario dell’UDC, Marco Follini. Raramente ci siamo sbilanciati tanto, e non è nostro costume fare sviolinate a nessuno. Tuttavia, in questa rara occasione, non ne abbiamo potuto fare a meno. Dalle cose da lui dette abbiamo tratto un forte insegnamento su come dovrebbero parlare e agire i leader politici di tutti gli schieramenti, indipendentemente dalle loro posizioni ideologiche. Il perché è dovuto al fatto che dal discorso del Segretario nazionale dell’UDC, si ricavano due lezioni. La prima riguarda il metodo. La seconda il merito. Dal punto di vista del metodo, il suo discorso è risultato equilibrato, concreto, attuabile, ricco di significato politico, interessante, educativo, di alta scuola, da condividere in pieno e integralmente perché contiene un messaggio chiaro che riguarda la concretezza della politica e non la retorica o l’ideologia più retriva, in cui sono maestri quelli della sinistra militante e quelli del centrodestra che fanno finta di partecipare alla vita politica di un partito, come quello di Forza Italia, che in realtà non esiste perché è uno schieramento in cui a decidere è uno solo. Noi non siamo iscritti ad alcun partito politico e rifiutiamo l’etichetta di militanti di questo o di quel raggruppamento. Ognuno agisce come crede. Noi, al contrario di molti, non siamo nati con una tessera in mano per morire, con la stessa tessera, nello stesso partito. Siamo abituati, viceversa, a ragionare e a decidere in base al "progetto politico" di una coalizione e agli errori della precedente maggioranza. Si. Abbiamo detto della precedente maggioranza. Perché, si voglia o meno, tutte le maggioranze commettono errori. Sia quella di centrosinistra, sia quella attuale di centrodestra. Il fatto è che gli associati e i membri di un partito ideologicamente schierati, giustificando fino alla morte le scelte dei loro dirigenti, non riconoscono mai di avere commesso degli errori, mentre noi la pensiamo proprio in modo diametralmente opposto. Come ebbe a dire più volte il filosofo Karl Raimund Popper, la crescita di un sapere, come quello della scienza tanto per fare un esempio, si ottiene andando alla ricerca degli errori e non della verità. Criticando e non adulando. Falsificando e non verificando. Mettendocela tutta e non facendo finta di impegnarsi un poco. Ebbene, l’On. Follini ci è piaciuto molto, perché oltre a lavorare concretamente per un progetto coerente, ha avuto il merito di essere riuscito a individuare gli errori commessi dalla sua coalizione. Il che non è per niente facile. E come nella scienza una legge "invalidata" aggiunge conoscenza, alla stessa maniera anche un discorso critico svolto da chiunque abbia a cuore la verità, migliora la politica, anche quando il discorso fa male e non piace, non foss'altro perchè accresce consapevolezza nella capacità che ha la politica di risolvere i problemi e permette alla politica medesima di comprendere meglio i problemi. L’On. Follini è stato brillante, mai noioso e, soprattutto, mai fazioso. Ha criticato la libertà di informazione che si sta ulteriormente aggravando a causa degli interventi legislativi "di parte" realizzati dal centrodestra, ma al tempo stesso ha difeso bene le ragioni dell’appartenenza alla sua maggioranza. E’ stato critico quanto basta nel condannare il Governo che non adempie correttamente al suo ruolo, ma nello stesso tempo è riuscito a mettere in evidenza che se si lavora in prospettiva con intenti positivi si potrà adempiere al progetto iniziale. Insomma. Complimenti, On. Marco Follini. Proprio bravo. Ci piacerebbe avere a capo del Governo un uomo come lei. Ah! Di questi ex-democristiani è un piacere seguirne i ragionamenti.

mercoledì 14 luglio 2004

La memoria e la pensione: un rapporto conflittuale?



                  Dal “Diario” di un insegnante prossimo alla pensione.


Da pochi mesi ho raggiunto l'età della pensione. Trentuno anni di servizio (qualcuno aggiunge "onorato"), più quattro di riscatto laurea e fanno 35. Oplà! La fatidica soglia dei 35 anni è raggiunta. Da questo momento potrò chiedere di andare in pensione in qualsiasi occasione. Lo farò? E qui viene il bello. A questo punto la faccenda diventa ingarbugliata, complessa, di difficile interpretazione. "Sì, il prossimo anno andrò senz'altro in pensione" aggiungo quasi subito. E poi continuo dicendo: "Sono convinto che sia ora di finire questa lunga storia di lavoro iniziata trentuno anni fa, in una fredda e umida giornata di autunno". Lo dico a me stesso, nella mia mente, in silenzio ma con sicurezza. Probabilmente, la fiducia che mostro a me stesso è più apparente che reale, ma sembra esserci o, almeno, credo. Se non altro mi sforzo di farla apparire. "La scuola di oggi non è più quella di una volta", proseguo nei miei pensieri. "Dunque, è meglio chiudere qui l'esperienza e pensare al futuro". La voce continua a non esserci, ma la decisione esiste, anche se non è definitiva. "Si, andrò in pensione. O meglio, aggiungo subito dopo, volevo dire che il prossimo anno chiederò di andare in pensione. Ovverosia, volevo dire che il prossimo anno, forse, chiederò di andare in pensione". Comincio ad essere ondivago, poco sicuro, pieno di dubbi, di tentennamenti, anche se vorrei mostrare il contrario. La sensazione che provo è strana. E' come se qualcuno mi stesse suggerendo di fare attenzione alle decisioni irrevocabili. Mai sbilanciarsi troppo, non conviene. La memoria mi avverte che potrei pentirmene, dunque, è meglio essere prudenti. "No. Il prossimo anno è ancora presto per andare in pensione. Rimando tutto di un anno". Ecco, finalmente l'ho detto. Dopotutto si tratta di un solo anno. Il mio desiderio di lasciare aperta la possibilità di non andare in pensione si è concretizzato ed ho avuto il coraggio di dirlo, finalmente! Erano mesi che lo nascondevo a me stesso e agli altri. La preoccupazione non c'è più; è come se si fosse sciolta, come neve al sole. "Il prossimo anno devo portare gli alunni dell’ultimo anno agli esami di stato conclusivi", aggiungo con maggiore impeto e ipocrita determinazione. "E non è corretto lasciarli ad un altro insegnante con il quale non hanno preso abitudine e confidenza". Mi meraviglio di essere stato così deciso, capace di eliminare qualunque incertezza, in grado di sgombrare il campo da possibili cedimenti o ambiguità. Che bugia impressionante. Che teatralità. Come si può consegnare la propria vita privata, il proprio futuro nelle mani di studenti sconosciuti, che non vedrò mai più al termine del prossimo anno? Come si può pensare di far decidere agli altri, vicende che riguardano solo me stesso e che interessa solo la mia vita. Impossibile. Ma ormai sono in discesa e devo insistere. Non posso più fermarmi, devo andare subito a una conclusione ancora più convincente. "Dunque, diciamo che il prossimo anno ci penserò". Siamo all'apoteosi. Adesso ho completato la recita e, come un attore consumato sul palcoscenico del teatro, con pause studiate, aggiungo: "sì; forse, è meglio così. E' meglio decidere di non decidere adesso. Ci penserò". Adesso mi sento meglio. Per poco non ero costretto a prendere una decisione contro voglia. Guarda tu, se è mai possibile essere costretti a decidere un evento così importante nella vita di un individuo senza che ci siano le condizioni minime per poter decidere. Perbacco! Se ne parlerà in seguito. Fra uno o due anni deciderò una volta per tutte. C'è tempo. Eccomi finalmente sereno, tranquillo, come se avessi preso un calmante. Kafka, in una situazione analoga, ha scritto: "a volte a volte disperato nelle vie deserte e calmato sul divano". Proprio così. Adesso, come Kafka, non mi sento più inquieto. Sono calmo, stranamente quieto e accomodante. Ma non avevo fatto i conti con un’altra circostanza, perchè dietro l'angolo si nasconde un’insidia. "Scusa, ma perché fino all'altro giorno dicevi di non vedere l'ora di andare in pensione e adesso sposti tutto alle calende greche"? E' la voce della mia coscienza che mi chiede del perché di questo cambiamento. Cerco disperatamente di risponderle, ma non trovo né le parole, né le idee. Forse la vera ragione è che con la richiesta di andare in pensione devo prendere coscienza che sto diventando vecchio e ancora non sono pronto. "Non è questione di vecchiaia. Si tratta di una giusta decisione che favorirà i miei studenti”, aggiungo. “Potranno approfittare della presenza di un docente più maturo, maggiormente esperto, con una robusta professionalità per migliorare il loro apprendimento. La società ha bisogno di docenti con tanta esperienza". Altra gigantesca bugia. Ma adesso non ci sono più freni. Eppure, le cose non vanno completamente lisce. Non mi sento a mio agio. E' come se avessi fatto capolino in un ambiente che non ho mai frequentato, in un mondo che ancora non mi appartiene, che per me è tutto da scoprire. Mi mette a disagio. Il fatto è che tutta questa vicenda mi ha costretto, per la prima volta, a pensare al futuro vitalizio. Forse, comincio a pensare che si stava meglio quando si stava peggio. La vecchiaia, i capelli brizzolati, la calvizie ormai non più incipiente, i peli della barba che diventano sempre più bianchi col trascorrere dei mesi, le arterie del dorso della mano continuamente ingrossate, le borse sotto gli occhi sempre più gonfie, il corpo non più da atleta, la stanchezza che diventa sempre più palese e persistente al minimo sforzo, i pensieri che diventano sempre meno speranzosi. Insomma, un cumulo di situazioni nuove, di pensieri mai prima considerati. Tutto questo incombe quando il passato diventa sempre meglio del presente o, a dir poco, che sembra tale. E, purtroppo, mi sento di riconoscere che le cose stanno proprio in questo modo. Ricordo quando con le prime supplenze osservavo i vecchi professori che non comprendevano il nuovo che avanzava ed erano fermi al vecchio. Li guardavo con commiserazione. E non vedevo l’ora che fossero andati in pensione, inadeguati come erano sul piano fisico di tenere testa alla missione che avevano di insegnare ai giovani la scienza. Vedevo questi vecchi professori incapaci di sintonizzarsi sulle esigenze della allora modernità. E adesso, io sto diventando come loro. Chi lo avrebbe mai detto? La mia memoria sta cominciando ad essere troppo critica con me stesso e diventa pericoloso esercitare questa facoltà. La memoria del passato mi fa male. Mi rende triste, mi angoscia. Mi ricorda che il tempo è "galantuomo", cioè inesorabile. Il solo pensiero di ricordare "il prima" mi rende inquieto, mentre io non voglio dimenticare "il dopo". Ma non ci riesco. Sono quei momenti che mettono in crisi chiunque. Speriamo che passi subito questo brutto momento. E' questo, in fondo, il vero motivo del perché ho cambiato idea a proposito della data del trattamento di quiescenza. Sì. Questa è la vera ragione. Non è più il caso di mentire. A questo punto non ha senso dire bugie. E, dunque, continuerò a insegnare ancora qualche anno e così facendo non ricorderò più il passato. Mi concentrerò solo sul presente. Ma avrò risolto il problema o lo avrò solo spostato nel tempo con il rischio di ingigantirlo in futuro? Faccio finta di non saper rispondere e andiamo subito a preparare la prossima lezione. Coraggio. Rimbocchiamoci le maniche. Si ricomincia. La pensione non è un traguardo se si prova gioia a fare questo lavoro. Bisognerebbe non dividere mai il lavoro dalle vacanze. E quando si è in vacanza ci si dovrebbe divertire lavorando, mentre quando si è al lavoro bisognerebbe lavorare divertendosi.

martedì 13 luglio 2004

Celentano tra ricordi, emozioni e ‘stiupidate.

Dicono che per festeggiare i 40 anni di matrimonio, Adriano Celentano e sua moglie Claudia Mori hanno inviato a parenti e amici un biglietto d’invito che li rappresenta come due scimmiette abbracciate. Sono convinto che l’immagine sia indovinata. La sensazione è che come le scimmie, non si può fare a meno della loro amicizia e, a maggior ragione, non si può fare a meno di riconoscere loro la capacità di avere suscitato in noi forti emozioni e piacevoli sensazioni. Associamo ai loro volti e alle loro stravaganti canzoni, buona parte della nostra vita trascorsa da giovani che desideravano sognare, con tutto il carico di ideali, bisogni ed emozioni che ha caratterizzato gli anni della nostra verde età. Grazie coniugi Celentano per averci regalato questi momenti piacevoli. Per il resto, Celentano non ci è mai piaciuto. I suoi interventi istrioneschi in televisione, le sue pause vere o false, spontanee o studiate, non ci hanno mai fatto piacere, né ci hanno divertito le sue spacconate strambe e bizzarre. Ma come a tutte le scimmiette, si perdona anche questo. Celentano è sempre stato una buona scimmia, sia in televisione sia al cinema. In tutta la sua vita ha dimostrato di essere sempre giovane, contagiandoci con la sua spensieratezza e, spesso, con la sua leggerezza. A nostro giudizio sarà sempre così: giovane senza eccezione. E ai giovani si perdona tutto. Anche la stupidità.

lunedì 12 luglio 2004

Francia: Successi e contraddizioni.

L’Europa è stata da sempre da noi interpretata come la nostra bandiera, la nostra identità, il nostro comune sentire. La cultura europea è stata per noi il nostro vitto quotidiano, la nostra musica. Non potremmo mai immaginare vita diversa senza Europa. Privo di cultura europea, nessun abitante del vecchio continente potrebbe dirsi di essere se stesso. Saremmo altri. Saremmo anonimi, poveri, vuoti e inutili essere vaganti in un mondo globalizzato, senza identità, senza radici e ragioni di vita. Dunque, la cultura europea, al di sopra di tutto e di tutti, è la ragion d’essere di ogni cittadino europeo che abbia orgoglio e dignità. E dire Europa significa principalmente dire Francia, la France. Ah! “Le Francais”! Quale italiano può affermare, ad un certo punto della sua vita, di non avere scoperto che i nostri cugini d’oltralpe sono stati indispensabili nel suo processo di crescita culturale e di avvicinamento alla cultura? Come si potrebbe giustificare la peculiarità di essere italiano senza il costante riferimento alla cultura francese? Impossible. Dunque, “douce France”. Ma adesso la domanda diventa un'altra: quale Francia? La Francia della nostra infanzia, la Francia di Alain Fournier, dei grandi della letteratura, del romanzo, dell’arte, della poesia, della musica, del cinema, della moda, della storia, della filosofia, della scienza, oppure quella dei sans papier, dei terroristi italiani salvati dal carcere da Mitterand, dell’integrazione e della multiculturalità odierna che allontana i giovani e li estranea dalla cultura francese? Quale Francia? Fa male scoprire che quella Francia che ci ha fatto battere il cuore tante volte, capace di realizzare l’impossibile sul triplo piano culturale, politico e della scienza, compreso uno schiaffo a un Pontefice, non esiste più. Quella straordinaria e vitale Francia ha lasciato il passo a un paese pieno di sè, inebriato dei suoi successi, superbo, donchisciottesco, presuntuoso, che l’ha trasformata in un paese ibrido, diverso e per certi versi irriconoscibile di come era. Fa notizia per i suoi successi nello sport e nella politica, ma che non entusiasma più in tutto il resto. E’ un paese che è riuscito a costruire una multiculturalità diffusa ma inefficace, che produce più effetti negativi che positivi nella vita sociale del paese. Due esempi per tutti. A scuola, nelle aule francesi, più di una volta i professori sono stati denunciati con polemiche e provocazioni alcune volte puerili, perché insegnano Rousseau che è contrario alle religione musulmana e che Madame Bovary è un testo molto favorevole alla libertà della donna. Il secondo esempio è ancor più pericoloso. Ci riguarda molto da vicino perché si riferisce alle continue e sistematiche aggressioni effettuate contro gli ebrei francesi. Un razzismo sempre più diffuso nelle classi emarginate francesi e un integralismo sempre più violento sono alimentati da milioni di islamici che professano il loro antiebraismo con la violenza nel paese che ha inventato la libertà. Curioso accostamento, enorme antinomia. Se non è questa contraddizione, allora noi siamo Napoleone Bonaparte, con buona pace per tutti, tranne per coloro i quali soffrono a causa di una politica inefficace.

domenica 11 luglio 2004

La salute del Ministro delle Riforme Costituzionali e la coltre di segretezza che lo circonda.

I giornali dicono che il Sen. Umberto Bossi sia in gravi condizioni ricoverato in un ospedale svizzero. Dopodiché bocche cucite e silenzio assoluto. Il partito del Ministro delle Riforme costituzionali non dà alcun commento ufficiale. Insomma, silenzio “di tomba”. Quello che colpisce in tutta questa sconcertante vicenda è la eccessiva preoccupazione che si sappia che la salute del Sen. Bossi sia peggiorata e che egli sia in fin di vita come se ciò fosse disonorevole e un fatto di cui vergognarsene. L’incredibile cappa di segretezza e di silenzio circa le condizioni di salute del malato leader della Lega Nord ci preoccupa. Ma solo per la sua salute, come per la salute di qualunque altro cittadino italiano. Non ci preoccupa per niente sapere che il suo partito non “gode di ottima salute”. A coloro che per basso egoismo economico vogliono stravolgere la Costituzione di un paese che ha dato loro benessere e libertà ricordiamo che solo nei paesi dittatoriali si nascondono, fino all’ossessione, le condizioni fisiche dei loro leader. Forse perché con la morte del leader, è molto probabile, che muoia anche la politica del loro partito.

sabato 10 luglio 2004

"Fahrenheit" non è solo una unità di misura della temperatura: è il titolo di due film, uno interessante, l’altro meno.

E’ da tempo che volevamo dire qualcosa sul famoso regista statunitense di “Fahrenheit 9/11”, il Signor Michael Moore. Vincitore a Cannes e ricercatissimo uomo del cinema in tutta Europa, è autore del documentario contro l'amministrazione Bush e la sua gestione del dopo 11 Settembre. Personalmente non abbiamo mai gradito gli estremisti, di qualunque colore siano e su qualunque cosa parlino. Non ci piacciono coloro che in nome di un’idea politica, si attivano parlando male a tutti i costi degli avversari come se fossero i soli possessori della verità. Questo famoso Fahrenheit 9/11, che non ci ricorda per niente l’altro più importante Fahrenheit 451, ci è antipatico, anche nel titolo. Sfruttare la tragedia avvenuta l’11 Settembre a New York per parlare male del Presidente degli USA per motivi politici, non ci piace. Che poi George Bush abbia commesso tanti errori e che abbia agito politicamente in modo sbagliato e disonorevole in Iraq, fallendo completamente l’approccio alla questione politica del terrorismo musulmano, questa è un’altra cosa. Non si avvertiva la necessità di ascoltare il Sig. Moore per farsi un’idea giusta dell'approccio sbagliato dal Presidente USA. Distinguiamo e non confondiamo le due cose. A una causa sbagliata degli USA in Iraq, non si può rispondere con un documentario che di oggettivo ha solo che è stato realizzato da una macchina da presa.

venerdì 9 luglio 2004

Non si impongono a tutti i diritti di pochi.

Il caso è semplice. Le conseguenze sono complesse e dannose per la comunità studentesca campana di tutte le razze e religioni. Il rischio è che nella scuola di quella regione non si studi più adeguatamente. Più grave sarebbe poi se la proposta campana fosse accettata anche in altre regioni. Si tratta di questo. L’Assessore alla formazione della Regione Campania ha proposto di chiudere le scuole in occasione delle festività di altre confessioni religiose, come per esempio il Ramadan, il Capodanno cinese, o la Pasqua ebraica. Da un punto di vista di principio sembrerebbe una proposta intelligente. Il fatto è che stiamo parlando della scuola pubblica italiana, quella scuola nella quale ormai da lustri, con i cambiamenti negativi effettuati irresponsabilmente da tutti i governi che si sono succeduti nel paese, non si permette più ai giovani di studiare proficuamente. Siamo dunque alle solite. Gli estremisti di sinistra sono di nuovo in azione per demolire quel poco che è ancora rimasto dell’impianto classico della scuola italiana. Si vuole imporre a una maggioranza di cittadini che hanno iscritti i propri figli per studiare nella scuola pubblica, il dovere forzato di rimanere a casa e non poter sfruttare il diritto costituzionale a ricevere istruzione. E tutto questo perché? Per permettere a ogni gruppo etnico o religioso di festeggiare la propria ricorrenza. Di questo passo la scuola sarà in funzione un giorno si e l’altro no e in un anno scolastico il numero delle festività è destinato ad aumentare paurosamente e vertiginosamente. Perché? Facciamo un semplice conticino. La legge scolastica prevede già un numero esiguo di giornate di scuola. Il più basso al mondo. In una anno appena 200 giorni. Che è come dire (200/365).100=55% circa. Ci si può rendere conto di questo dato pensando che in linea teorica la scuola è aperta all’anno solo per il 55% del suo tempo. A questo dobbiamo aggiungere le seguenti attività che permettono agli studenti di fare vacanza. Elenco, di seguito, alcuni dei più variegati motivi, non tutti, che impediscono di fare lezione: assemblee studentesche di classe una al mese, assemblee d'Istituto una al mese, uscite per teatro fino a sei all’anno, visite guidate, accoglienza di inizio anno fino a una settimana di lezioni, tutoraggio degli studenti, visione di film programmati a livello di intere classi fino a una al mese, orientamento universitario fino a cinque giorni all’anno, settimana bianca, progetti previsti dal POF, progetti non previsti dal POF, progetti non previsti da nessuno ma che molti insegnanti riescono a spacciare per cose importantissime quando invece non lo sono, scioperi generali degli insegnanti statisticamente quattro all’anno, blocco degli scrutini da parte di sindacati di estrema sinistra, scioperi degli studenti, assenze collettive degli stessi, prove di simulazione della prima e della seconda prova scritta agli esami di stato, prove di simulazione della terza prova scritta, vigilanza per le prove più imprevedibili, Olimpiadi della matematica, della fisica, della chimica, della filosofia, della informatica, certamen di latino, assenze degli insegnanti per motivi di salute e di famiglia, per concorsi, per partecipazione a corsi, corsetti e corsicini di nessun valore, seminari universitari di specializzazione, ecc.. Come vedete la scuola superiore di oggi è un continuo bazar di festività che si susseguono ogni giorno. Aggiungiamo le numerosissime assenze degli studenti che vengono effettuate all’insaputa dei loro genitori e il gioco è fatto. Diciamo la verità. Ormai la scuola media superiore è decotta. Aver introdotto i debiti scolastici e aver trasformato le commissioni di esami di stato in una folle corsa alla autoesaltazione e alla autoreferenzialità dei consigli di classe chiude la partita. Aggiungete, altresì, che un docente che è inadeguato a fare l'insegnante in una qualunque disciplina è praticamente inamovibile. Dunque, aspettatevi di peggio in futuro, soprattutto quando la nuova riforma della scuola secondaria andrà in porto. A questo Assessore di sinistra, che pensa di sinistra, e che agisce di sinistra, che crede di aver fatto una cosa intelligente gli suggeriremmo di dimettersi dall’incarico per esplicita inadeguatezza. Sarebbe la cosa più intelligente che un politico di sinistra come lui o lei potrebbe fare in una situazione del genere. Ah, dimenticavo. Se vogliamo fare le cose in maniera brillante, allora si potrebbe risolvere il problema in modo pratico, senza aggiungere vacanze inutili e dannose. Per permettere a ogni gruppo etnico o religioso di festeggiare la propria ricorrenza si decida di far coincidere la vacanza religiosa con una giornata festiva già programmata. E’ semplice no? Ma il problema è più grave di quello che si pensa, caro il mio Assessore alla formazione. E diventerà sempre più pericoloso in futuro. Non è una festa in più o in meno quello che ci preoccupa. Continuando di questo passo, si arriverà al fatto paradossale che la scuola italiana dovrà insegnare a classi di soli studenti islamici, tutti musulmani, programmi scolastici integralisti, in lingua araba e con una disciplina analoga alla nostra IRC (Insegnamento della Religione Cattolica). E scimmiottando la legge sull’insegnamento della religione cattolica si dovranno assumere preti musulmani, ovvero imam, che insegneranno il Corano a scuola. Il tutto, naturalmente, con i soldi dei cittadini italiani. Nessuno si pone il problema della delicatezza e della complessità della questione politica e, fatto più grave e intollerabile, nessuno pensa che il problema si ingigantirà ancor di più in futuro. Con la scusa dell’integrazione etnica, della multiculturalità, con il ricatto che “o si fa così, o niente” si vuole subdolamente trasformare la scuola secondaria superiore italiana in un gigantesco calderone del tipo “fai da te”, un colossale pout pourri scolastico, in cui tutto è permesso e ognuno si sceglie quello che vuole, come al supermercato. Per chiarezza e per onestà ci si permette di presentare due sole osservazioni nelle quali crediamo fermamente. Primo. L’immigrazione deve essere vista come una ricchezza. L’immigrazione di persone oneste, che vengono in Italia a lavorare onestamente e non clandestinamente, rappresenta una modalità di vivere che deve essere agevolata dalle Istituzioni e dalle leggi italiane. Devono essere garantiti diritti e doveri, come quelli dei cittadini italiani. Diritto all’istruzione per i figli degli immigrati, diritto all’assistenza sanitaria, ecc.. Secondo. L’immigrazione deve essere trattata da un punto di vista culturale. Cioè deve essere resa obbligatoria la conoscenza della lingua italiana (con corsi gratuiti agli immigrati in regola) e della cultura italiana. Attenzione. Questo è un passaggio fondamentale. La conoscenza della cultura italiana (da Dante Alighieri a Giuseppe Verdi, da Michelangelo a Giuseppe Garibaldi, da Leopardi a Enrico Fermi, ecc..), delle tradizioni culturali del paese che ospita l'immigrato, è un elemento indispensabile per favorire e risolvere direttamente le difficoltà dell’integrazione. Deve essere reso obbligatorio lo studio delle radici della cultura italiana, altrimenti l’immigrato sarà un corpo estraneo facilmente manipolabile dal primo terrorista islamico che gli chiederà di combattere contro tutto l’Occidente. Chi non capisce questo o è un attivista inesperto e maldestro, o è in malafede. Non vedo alternative. Che ne pensa Signor Assessore alla formazione della Regione Campania?


giovedì 8 luglio 2004

Leggi “salvacalcio”, politica e immoralità.

Non può esistere al mondo notizia più antipatica e irritante di quella relativa a un provvedimento di urgenza del Governo inteso ad aiutare i bilanci contraffatti delle società disastrate di calcio italiane con i soldi di tutti i cittadini, compresi quelli che considerano il calcio una grave sciagura nazionale. Al solito. Con trucchi contabili si vogliono aggirare norme giuridiche (e modelli etici) che avrebbero imposto altrimenti il fallimento delle società. In questa squallida vicenda non è solo il Governo ad essere immorale. Di più. Lo è un’intera nazione che considera il calcio come una vera e propria religione. 'A ridatece il vecchio Catechismo. Almeno là, alla base di tutto, non c’è il dio pallone, ma un Dio a cui non piacciono i trucchi ed è sempre giusto.

mercoledì 7 luglio 2004

Un fatto veramente inconsueto.

Straordinario. Originale. Fatto anomalo. Raro. Diverso dagli altri. Curioso. Il candidato democratico alle presidenziali di Novembre, John Kerry, ha scelto il senatore John Edwards, suo principale sfidante alle ultime primarie americane, come Vice Presidente degli Stati Uniti se vincerà le prossime elezioni contro Gorge Bush. A nostro parere si tratta di un elemento politico-elettorale veramente insolito, che solo gli statunitensi potevano inventare. Non si è mai visto, in nessun paese del mondo, che uno sfidante che perde le elezioni viene scelto da chi vince come suo Vice Presidente. Una scelta opportuna, intelligente e straordinariamente democratica che riflette per molti versi i valori americani della democrazia. Esemplare maniera per confermare che gli USA sono un altro pianeta nel mondo della politica. Ve lo immaginate qui, in Italia, l’On. Berlusconi che, dopo avere battuto Rutelli alle ultime elezioni politiche, lo sceglie come suo Vice al posto dell’On. Fini? Si dirà impossibile. Rutelli non correva nello stesso partito di Berlusconi. Ah si? E allora mettiamola così. Ve lo immaginate l’On. Berlusconi che sceglie come suo Vice Presidente l’ex Ministro degli esteri Renato Ruggiero? Non va bene neanche questo esempio? E allora che ne dite dell’avv. Vittorio Dotti? Diciamo la verità. Noi non ce lo immaginiamo proprio. Perché? Perché l’On. Presidente del Consiglio non sceglie i nomi secondo il consenso democratico o secondo responsabilità. Lui è abituato a rimuovere i suoi collaboratori, trattandoli come semplici pedine. Appunto. Il fatto mi ricorda il gioco della dama. Appena non fai quello che desidera il Capo, vieni “mangiato”. No. Grazie. Non è il modello elettorale statunitense che noi preferiamo a quello italiano. Sono gli uomini politici e, soprattutto, la loro serietà quello che ci interessa. Altro che pedine.

martedì 6 luglio 2004

L’ottimo lavoro del Sindaco Veltroni e la difficoltà del funzionamento del corpo dei vigili urbani.

Da più parti si è d’accordo nel ritenere l’operato del Sindaco di Roma, Walter Veltroni, straordinario, proficuo e coraggioso. Senza ombra di dubbio, da quando è stato eletto alla carica di Primo cittadino, ha operato bene. Molto bene. Risapute le difficoltà che ha un sindaco a operare nella città di Roma, vera cloaca di maleducazione e sgarbatezza, aggiungerei che il Sindaco ha operato in maniera superlativa, cioè benissimo. Dunque, alla base di questo trafiletto, vi è un giudizio molto positivo di competenza, capacità, autorevolezza, coraggio e lungimiranza politica, civile, etica e sociale. Abbiamo tutti ammirato, e continuiamo ad ammirare, le battaglie che il Sindaco Veltroni ha compiuto contro le varie aggregazioni di lestofanti romani. Mafie, consorterie, cosche, racket, delinquenze organizzate indigene e straniere, camorre e ‘ndranghete unite per fare festa e banchetti con i soldi pubblici dei cittadini, indubbiamente hanno trovato un osso duro di cui i romani dovrebbero esserne fieri. Contro l’abusivismo edilizio, con tanto di interventi risolutivi con le ruspe, il Sindaco ha agito con decisione, senso del dovere, responsabilità e coraggio. Contro i manifesti e le affissioni abusive, ha agito con determinazione colpendo inesorabilmente laddove possibile l’organizzazione criminale che gestiva il traffico illegale dei cartelloni abusivi fuori legge. La lotta ferma e risoluta contro i parcheggiatori abusivi, vera piaga delinquenziale della capitale, è stata dura e continua tutt’ora. Tenere a freno le richieste ricattatorie dei gruppi e dei clan di interessi romani in tutti i campi in cui vi è la possibilità di guadagno facile e illegale deve essere stata e continua ad essere un impegno valoroso di cui si deve dare atto al Sindaco dell’eccellente lavoro svolto. I politici locali, al di là delle etichette, dovrebbero riconoscergli il ruolo di infaticabile organizzatore degli interessi dei cittadini e della città. Basta così, o vi è qualcos’altro da aggiungere?
In una città come Roma vi sarebbero tante cose di cui lamentarsi. Ne desidero rilevare solo una in questo momento. Riguarda il ruolo delicatissimo che svolge la polizia municipale nella vita della comunità romana, i tanto vituperati “vigili” urbani, che a nostro parere vigilano poco. “Vigile” è un aggettivo e un sostantivo maschile. Nella prima accezione significa che vigila, che sorveglia, che è attento e intento a essere pronto a sanzionare comportamenti scorretti. Significa, cioè, che segue con grande impegno una situazione perché non degeneri, perché si svolga in un determinato modo, secondo la legge, per poter intervenire con prontezza ed efficacia, se è necessario. Nella seconda accezione significa che è un funzionario che appartiene a un corpo che dipende da una amministrazione comunale ed è addetto alla vigilanza sull’applicazione dei regolamenti di polizia urbana e, in particolare, del traffico. Dunque, dovrebbe, vigilare che il traffico proceda. Se, viceversa, non dovesse procedere dovrebbe intervenire risolvendo il problema. Ebbene, ci si permetta di affermare che i vigili a Roma non vigilano come dovrebbero, e lasciano spesso scorazzare gli automobilisti in modo assolutamente incivile, sanzionando quasi esclusivamente i divieti di sosta. Non siamo i primi a dirlo e non saremo neanche gli ultimi. Ma è così. Anni fa uno dei più famosi e illustri cittadini romani, l’indimenticabile attore Alberto Sordi, recitò in un film la parte di un inflessibile vigile che colpiva implacabilmente i comportamenti illegali dei suoi cittadini, compresi quelli del suo Sindaco, di cui ne sanzionò una volta una non certo esemplare condotta. Al di là delle gesta teatrali e tragicomiche di attore insuperabile, rimane il fatto che il film metteva alla berlina il comportamento di quel vigile inflessibile e coraggioso, evidenziandone i limiti che lo riguardavano come vigile urbano e come uomo perché inflessibile. Non fu compresa per niente l’eroica lezione educativa che aveva il modo di sviluppare con l’inflessibile e corretto suo comportamento di vigile tutto dedito a controllare che le cose funzionassero bene. Purtroppo, l’inflessibilità e la fermezza, nel credo valoriale del proprio lavoro, non sono comportamenti caratteristici dei funzionari capitolini, se è vero come è vero che più di un funzionario è stato colto con la “mazzetta” nascosta addirittura nelle mutande. La latitanza della polizia municipale è a nostro parere la causa principale del disastro educativo dei comportamenti incivili di una parte della popolazione romana. Proprio così. I vigili dovrebbero essere degli autentici maestri dei principi educativi, che dovrebbero ricordare ai cittadini quali sono i comportamenti civili corretti e quali quelli incivili da sanzionare. Non tanto e perché vi è alla base la esigenza di una vendetta, ma come principio primo di educazione alla vita sociale e come modalità di essere cittadini in cui ciò che è importante è il bene della comunità e non dei singoli. Dunque, il mancato assolvimento degli obblighi etici e valoriali di molti vigili comporta concretamente, tra le altre cose, una forma di abitudine alla diseducazione della popolazione, che la induce a rafforzare il convincimento, in verità molto comune, che è meglio che ognuno faccia per sè. Che è una maniera sfumata di dire che infischiarsene della presenza del tutore dell’ordine motorizzato è la cosa più giusta. Non a caso a interventi di terzi che assistono a una disputa, il malfattore dice in dialetto: “Ma chi te conosce”? “Ma fatti i fatti tuoi”. Quando addirittura non si chiede esplicitamente l’impunità: “Noantri semo romani e facemo quello che ce pare”. Le pare serio Signor Sindaco?

lunedì 5 luglio 2004

“L’amore di Màrja”, finalmente un film interessante con tante emozioni.

Oggi è un giorno speciale: ricorre il mio compleanno. E in una giornata speciale, non si può non pubblicare che un articolo speciale, serio, che permetta un istante di riflettere su cose meritevoli di considerazione, importanti. Pubblico una mia recensione. Si tratta della recensione di un film che mi è piaciuto. L’ultimo che ho visto.
Dal pressbook:

«"L'Amore di Màrja" non è una storia d'amore. E' la storia dell'Amore e della coerenza nell'Amore. Màrja è finlandese ha vent'anni, sono gli anni '70 e i suoi amori sono la pace, la fiducia nella possibilità di costruire un mondo nuovo con il suo compagno, Fortunato.
Fortunato è siciliano, lui e Màrja parlano due lingue diverse ma hanno gli stessi sogni. Insieme vanno a vivere in una comune e hanno due figlie, Alice e Sonia. Adesso Màrja ha altri due grandi amori: le sue figlie. Alle sue bambine insegnerà la pace, il potere dei sogni e della fantasia, la libertà della mente. Ma quando per tutto il resto del mondo il sogno della rivoluzione finisce e Fortunato dice a Màrja che è ora di diventare "adulti" e di "adattarsi" alla vita, Màrja non può abbandonare gonne hippie e sogni, non può farlo. Segue Fortunato in Sicilia, a casa sua, ma non smette di parlare a Alice e Sonia di un mondo sommerso, un mondo da trovare e da scoprire, un mondo di pace. E nonostante il pregiudizio, un ambiente esterno che rifiuta l'integrazione, sarà il "mondo sommerso" quello che Alice e Sonia inseguiranno sempre.
Cercheranno ovunque il mondo di pace, il mondo senza differenze, anche quando da grandi si sentiranno abbandonate da Màrja, tradite dal sacrificio della donna che per le sue figlie si perde, si annulla. Apparentemente.»


Avevo letto svogliatamente, nelle note cinematografiche di alcuni quotidiani, una breve recensione di questo film e mi ero ripromesso di andare a vederlo. Per curiosità, ma anche per altro. Mi è venuto il desiderio di vedere come la regista avrebbe affrontato il caso di un siciliano che ritorna nel suo paese natio, con la moglie straniera del lontano nord e le sue due bambine, per provare a vivere di nuovo nella realtà di un paesino così terribilmente diverso da quello della moglie. La trama, i personaggi, l’ambiente, gli attori, il regista, tutto invitava alla curiosità. Insomma, sembrava trattarsi di una visione non scontata e verosimilmente interessante.
Il film l’ho visto in un caldo e afoso pomeriggio, un pomeriggio pieno di desideri di evasione dalla quotidianità. Disponibile alle emozioni, ho pagato il biglietto e sono entrato in sala. “Straordinariamente interessante” è il giudizio che mi è venuto in mente alla fine della proiezione. Perché straordinariamente interessante? Che cos’ha di tanto speciale questo film da aver suscitato in me tanto interesse? Diciamo che due sono le ragioni che mi hanno indotto a considerarlo degno di attenzione. La prima ha a che vedere con il punto di vista di uno spettatore siciliano interessato alla vicenda, che conosce la realtà dei luoghi in cui è ambientato il film e la filosofia di vita che lo caratterizza. La seconda, dal senso dell’opera e dalla retrospettiva psicologica che il film apre alla riflessione personale.
Dal punto di vista cinematografico è un film ricco di significati, non è per niente banale e sfrutta un’idea originale. Il valore del film sta anche nella bravura degli attori adulti e bambini, nella capacità della regista di aver saputo costruire un’opera cinematografica plausibile e coerente con i temi sviluppati, che rispecchia moltissimo la realtà indagata. Ma la ragione più importante è da ricercare nella straordinaria capacità che ha il film di far provare emozioni. Non temo smentite se affermo che ci si commuove.
E’ un film straordinario perché vero, che racconta fatti come se fossero realmente accaduti, come se fossero stati scovati, da qualche parte, nel nostro vissuto. Si tratta di un’analisi spietata e realistica della condizione e della prospettiva di vita che può avere una famiglia nel profondo sud d’Italia se si fosse trovata nelle condizioni dei protagonisti. Condizione di vita che impone costrizioni e catene a chi tenta sventuratamente di penetrare tra le maglie della società meridionale manifestando il proprio pensiero in modo autentico, senza ipocrisie, proponendo modelli di comportamento secondo la propria visione del mondo. Società insulare che, nonostante ci si trovi alla fine del XX secolo, è rimasta profondamente intollerante e arcaica come un secolo fa. Parliamo di una società che discrimina non tanto perché è intrisa fino al midollo di superstizioni, di falsi miti, di pseudotradizioni e di assenza di ideali ma, soprattutto, perché è malata nel sistema dei valori umani.
Il film è temerario perché per la prima volta, con semplicità e straordinaria efficacia, affronta un tema di per sé carico di significati profondi che in genere gli indigeni tentano di nascondere, perché ritenuti disonorevoli. Per la prima volta in un film sulla “sicilianità”, si riesce a mettere a fuoco, con rara efficacia e grande maestria, fuori dagli stereotipi del siciliano con coppola e giacca di velluto, i difetti di quella società attraverso i gesti e i ritmi di vita condotti da bravi attori, non certo famosi, che interpretano il loro ruolo in modo verosimile ed espressivo. Valenti attori che non si identificano soltanto con i due principali protagonisti, ma anche con figure e ruoli che apparentemente sembrano marginali, ma che secondari non sono nell’economia del racconto cinematografico. Il gruppo di giovani che nella noia quotidiana della loro vita vuota e banale, palesano maschilismo e limitatezza umana. Il gruppo di avventori del “bar di fronte” che manifestano la loro reale concezione della vita calunniando in continuazione la povera moglie straniera. Tutto tremendamente realistico. Chissà quante altre volte si è verificata una situazione del genere in altre cittadine della Sicilia negli anni passati. L’incapace e insensibile suocera della protagonista che recita un classico ruolo di personaggio freddo, ostinato e, a tratti crudele, nella sua gretta e limitata concezione della vita. Per non parlare di un’efficace maschera di cognata professoressa, che in apparenza potrebbe sembrare che difenda la protagonista in quanto donna, ma che in realtà è un personaggio in negativo della società meridionale, senza alcun senso critico intorno alla immane tragedia che sta scuotendo la cognata e falsa nella sua condizione di donna di successo in quella società, per il solo fatto di avere un titolo di studio, un “pezzo di carta”.
Un quadro a sé rappresenta il marito di Màrja, che merita un discorso a parte. Non so quanto volutamente, ma sembra che la regista abbia collocato il padre delle due deliziose bambine, al centro di un grande buco nero, in cui tutto è possibile immaginare sulla sua personalità ma che nulla è chiaramente delineato. Non so quanto possa essere stata intenzionale la scelta della regista di nascondere il retroscena psicologico che la lega al padre. Questo sconosciuto, di cui non si sa quasi nulla se non che lavora “per mantenere la famiglia”, che si esprime in un buon parlato dialettale ma che rimane una figura inetta, senza tratti decisi di padre che ama, sullo sfondo di una imminente tragedia. Il ruolo di marito siciliano gli si addice bene nel momento in cui assume il ruolo di tutore economico della famiglia, la sola cosa che sembra importargli. Quasi mai in primo piano se non con interventi e azioni di padre insensibile alle esigenze affettive della moglie, fugge dalle sue responsabilità sistematicamente, per il solo fatto di non porsi delle domande su dove stia andando la sua famiglia. Il quadro di comportamenti e di relazioni che lo caratterizzano lasciano supporre una personalità immatura di giovane di famiglia, coltivato e sempre giustificato dal contorno familiare. Manifesta più volte il suo sconcerto di marito, laddove non riesce a capire che nella vita coniugale esistono altri aspetti, altrettanto importanti oltre gli interessi economici. In poche parole, si ha la sensazione che è quasi come se si volesse dire che “il padre ha delle responsabilità, ma non è consigliato approfondire i suoi difetti”. Sicuramente è un debole, una persona senza energia, incapace di mostrare tutto l’affetto che dichiara in continuazione di nutrire per moglie e figlie, che non ha la capacità o, addirittura, il coraggio di comprendere Màrja immersa nelle mille difficoltà che la società siciliana impone a chi proviene da una cultura diversa. Un individuo interessato solo a giustificare la propria esistenza col solo scopo del guadagno di denaro per mantenere la famiglia. Se ne trovano molti di questi soggetti nella Sicilia di tutte le province. Sono uomini che vivono non “per la famiglia” ma “per il buon nome” della famiglia, ai quali interessa solo non essere mai “sulla bocca della gente” e il cui massimo obiettivo nella vita è essere sintonizzati sull’assoluto conformismo della società del luogo.
Il marito è un uomo meridionale, che inizialmente, al di fuori del contesto natio, nella fredda terra scandinava è sembrato essere un giovane come gli altri, che inserito in un ambiente non suo si è dovuto adeguare alla cultura del paese nordico che lo ospitava, per non rimanerne emarginato. Probabilmente ha nascosto la sua vera natura, ha approfittato della sua originalità esotica, fisica e geografica, proveniente da una terra lontana, mediterranea, latina, dai capelli e dagli occhi scuri. Ha fatto colpo su Màrja, approfittando della tradizionale ospitalità scandinava, creando i presupposti per una sua vita sociale in quelle fredde terre del nord. In verità, aveva altri scopi. Probabilmente il suo vero traguardo era quello di rientrare in Sicilia appena lo avesse deciso. Magari si sarà più volte lamentato per il cibo, per la mancanza di calore della gente del luogo, per il clima, per la presenza sistematica della neve, per il freddo. Lui che nel suo paese non l’ha mai vista una sola volta nella vita, in cui il sole e le bellezze della natura costituiscono lo sfondo delle sue reiterate richieste di rientro nella terra del sole e della luce. La sua costante preoccupazione sarà stata il rientro a casa sua, dai suoi genitori, ossessivo fino al fastidio più completo. Gli serviva il rientro perché la nostalgia degli amici al bar lo sollecitavano a far vedere la sua bravura nell’avere convinto una brava e bella ragazza bionda a sposarlo. Ma reinserito nel suo vecchio ambiente ritrova tutti i motivi per essere di nuovo un vero siciliano, in negativo. Emergono così i suoi difetti, i suoi limiti, profondi come solchi che dividono, invece di unire. Ritorna a parlare una lingua diversa di quella di Màrja, non riesce più a comunicare neanche con le figlie. Ma, soprattutto, non è più in grado di intendersi con la moglie, di cui non capisce più i sentimenti e le esigenze affettive che lo avevano indotto a sposarsi. Adesso le parti si sono invertite. Ed è Màrja che desidera ritornare nel suo paese. Fino all’arrivo in Sicilia era riuscito a mascherare le sue lacune, i suoi difetti, la sua impreparazione alla vita, a causa anche della mancanza di studi, perchè non era laureato come la sorella, conseguenza delle sue scelte giovanili. Ma adesso, reinserito nella vecchia cultura e sotto la tensione e i condizionamenti adoperati dall’ambiente, è costretto ad essere se stesso, a non poter più mentire con gli altri e così emerge per intero la sua figura di soggetto mediocre, frustrato dalla mancanza di un posto fisso, tipica esigenza delle famiglie meridionali. Un uomo che, davanti alle mille difficoltà incontrate dalla coppia, riesce a trovare la scusa per evadere dalle sue responsabilità è un pavido, non è un uomo. E così emigra di nuovo, lasciando il paese. Strano destino il suo. Questo passaggio nel film è tuttavia un po’ oscuro, incompleto, lascia aperto uno spazio di ambiguità. Egli, comunque, sembra trovare un po’ di fortuna all'estero, riesce a dare mezza sicurezza economica alla famiglia ma produce un disastro dal punto di vista dei sentimenti e dell’affetto. Ma i soldi non bastano mai e la vita delle tre donne, praticamente abbandonate e lasciate completamente sole alla mercé delle malelingue del paese, alimenta una drammatica esistenza. Che colpo al cuore è questo per Màrja che crede fermamente nell’affetto e nel legame del matrimonio. Non è importante la religione, cattolica o luterana. E’ maledettamente importante lo stato d’animo, l’ansia, l’angoscia che si prova quando sono in ballo valori come i sentimenti dei bambini piccoli, abbandonati dal padre. E’ essenziale l’amore verso la propria moglie, il senso dell’infinita solitudine che esiste al di fuori del tradizionale scenario di una famiglia unita, raccolta intorno all’albero di natale, con o senza stella in cima. La vita delle tre donne, pertanto, diventa ogni giorno sempre più difficile, diventa colma di angoscia, piena di paura di emarginazione, di violenza subita a scuola e fuori della scuola frequentata dalle figlie, che produce nella giovane mamma finlandese un trauma violento e subdolo, che la avviluppa nella spirale di una terribile malattia mentale. La malattia, ovvero la cosa peggiore che può capitare a una donna meridionale. Una pazza, da tenere lontana, come un’appestata. Incompresa, guardata male, ingrassata, alla donna non rimane altro che la clinica mentale, severo e terribile tribunale che emette solo condanne. L’effetto della sua provenienza, la conseguenza del marchio d’origine impressole dal paese nordico da cui proviene, in cui le donne sono solo nel migliore dei casi svergognate donnine allegre o peggio un diavolo nascosto sotto i capelli biondo grano con il corpo piacevolmente snello, ha un solo risultato: la depressione e l’autoisolamento.
E’ un film che fa toccare con mano i difetti, i condizionamenti, i limiti e le incapacità di un mondo che sa offrire solo apparenze e finzioni. Il teatro dell’angoscia è peraltro ben rappresentato dalla regista con il trascorrere degli anni dei protagonisti, che procedono verso cambiamenti irreversibili, percepibili non solo dalla trasformazione del linguaggio delle figlie, ma anche di prospettiva di vita. L’universo familiare sta cambiando, anno dopo anno. Non sono più gli stessi. Non si riconoscono più. I protagonisti del film vivono la loro condizione di alienazione costretti ad alimentarsi dell’unico cibo a loro disposizione, cioè i difetti della società locale, società malata di conformismo e di omertà, che diseduca i figli e li fa crescere alla corte della peggiore delle educazioni possibili.
Nel film si notano una denuncia dei mali della società attuale, con i suoi falsi miti: l’ostentazione del denaro come status sociale, la degradazione dovuta alla droga come falso e illusorio tentativo di evasione. Ma anche il conformismo, l’omertà e il cinismo sono aspetti affrontati bene dall’ottima regista. Il film offre spunti e sollecitazioni interessanti alla riflessione personale che sono degni di attenzione e permettono alcune letture seminascoste di tipo bergmaniano fra le pieghe dei fotogrammi.
Bellissima e straordinaria è la recitazione delle due bambine, soprattutto forte e profonda riesce l’immedesimazione nel personaggio alla giovane Erika Lepistö, nella parte di Alice bambina. Cosa dire di queste due dolci creature? Tutti abbiamo voluto avere nella nostra vita di genitori due bambine come loro. Belle, educate, sensibili, affettuose, intelligenti, con un perenne sorriso tra le labbra non si può dire che si rendano mai sgradevoli. Ma la caratteristica che sorprende è la loro capacità di diventare complici con la madre nei momenti difficili della loro esistenza. Complicità che non verrà meno nella vita. Toccanti nel momento in cui riescono a comprendere l’amarezza e l’angoscia della madre alla notizia che la nonna nordica è morta. Straziante è per lo spettatore, assistere a questo insopportabile effetto della durezza della vita. E’ il momento in cui le lacrime possono correre copiose sul viso dello sgomento spettatore. Entrambe le bambine riescono magistralmente a evidenziare un quadro affettivo commovente per la loro toccante carica amorosa e sentimentale che riescono a manifestare. Sorprendenti creature, solo motivo per la sopravvivenza di qualunque madre, si comprende come l’amore di Màrja per le figlie le abbia potuto far superare in parte la crisi mentale di cui è stata vittima per le ragioni citate in altra parte di questa modesta riflessione. Sulle bambine si pensa che si possa dire poco. In realtà non è così. Cosa può esistere di maggiormente significativo nella società siciliana se non i figli? Non dimentichiamo che i siciliani sono famosi per il forte legame che riescono a stabilire tra i membri di una famiglia. In particolare tra genitori e figli. Famose sono le vicende narrate nella letteratura in cui si raccontano i rapporti intensi tra madri e figlie.
Ma la prima lettura, quella dominante per tutta la durata dell’opera, è chiaramente l’interpretazione magistrale della coraggiosa figura di Màrja, il suo protagonismo positivo, nel bene e nel male, la sua rinuncia alla fuga, nonostante le forti delusioni e i pesanti condizionamenti, al limite del ricatto. Sì, anche questo. Tragedia dei nostri tempi, anche qui si fa ricorso a questo cattivo esempio di condizionamento. “O fai quello che ti dico io oppure i bambini rimangono qui con me e tu vai via”! Ecco. Le parole che nessuno vorrebbe mai sentire sulla bocca del coniuge. Non so quante donne, oggi, non sarebbero fuggite via da quell’uomo anaffettivo, con o senza figlie, e da una società, incapace a sua volta, di fare, come dice la regista, “passi decisi per favorire il suo inserimento nella nuova realtà, così diversa dalla propria”. La mancanza di qualunque accenno a odio, vendette, cattiverie, e violenze tipiche, viceversa, della società indigena, insieme al forte senso di responsabilità che caratterizza la sua intera vita consumata nel paesino per permettere alla figlie di avere un futuro dignitoso è una delle cose più positive e insieme la chiave di lettura privilegiata per una corretta interpretazione del senso autentico del film. L’amore per le donne e l’amore delle donne, tocca qui l’apice e rende lirica l’interpretazione di Màrja.
Altrettanto si può dire dello struggente messaggio finale che il film propone a conclusione di tutto il percorso. Una nuova vita, da nonna insieme alle figlie, nella capitale, che nasce dalla scelta di abbandonare definitivamente il paese del marito. Forse, quella della partenza, con la prevedibile figura del piroscafo che collega le due sponde dello Stretto e del lungo nastro di asfalto che si sviluppa tra il luogo di perdizione isolano e la nuova vita romana, è un alto momento lirico, catartico, indispensabile per rinascere a nuova vita.
Allo spettatore normale, queste scene possono non dir nulla. E’ un suo diritto. Ma allo spettatore interessato alla indagine psicologica, sottile, tipica dei film scandinavi, dicono invece molto. Non esiste siciliano che non associ al concetto di ritorno, nei cari luoghi della nascita e della propria fanciullezza, il ricordo del ruolo che svolge il “ferryboat”, nel suo immaginario della terra natia. Non si tratta di un semplice collegamento fisico con i luoghi della propria infanzia. C’è molto di metaforico e il senso di una intera vita si racchiude nelle fortissime sensazioni dell’emigrante che ritorna, o che parte, dalla Sicilia con i profumi intensi del mare dello Stretto e degli arancini di riso che si mangiano sulla nave. Le immagini del porto siciliano e delle sue case che si avvicinano sempre di più, o, nel caso inverso, che si allontanano decisamente verso un orizzonte che lascia tutti in preda a una straziante nostalgia e solitudine, costituiscono un elemento inscindibile per dare “senso” al viaggio dell’emigrante che parte ma non sa quando ritorna, che si allontana ma non sa quando rientra.
Il film esce vincente anche perché è un film pulito, aggraziato, senza la presenza di scene di violenza gratuita, così come è un successo straordinario oggigiorno vedere un film senza scene di amplessi sessuali ancor più inutili.
Straordinaria storia ed eccezionali le sensazioni e le forti emozioni provate durante e dopo la visione al ricordo dei vari fotogrammi. Efficaci e toccanti le musiche. E’ un film che ne esce bene e rimane un buon esempio di cinematografia artistica. Auguri alla regista per la sua futura attività. Peccato che il film non è stato compreso interamente dal gotha cinematografico italiano, tutto preso da una filmografia imbellettata di bellimbusti muscolosi e di attrici troppo truccate in mediocri pellicole di attualità.

domenica 4 luglio 2004

Uomini non conformi al ruolo non avrebbero mai dovuto fare i Ministri.

E così anche il Ministro del Tesoro e dell’Economia, il cosiddetto "superministro" Giulio Tremonti, ovvero il "fiscalista di successo", si è dimesso dal Governo. Chi lo avrebbe mai detto. Indipendentemente dalla manovra economica cosiddetta “correttiva”, che ne ha provocato le dimissioni, è finita come non poteva non finire. La sua commedia politica, dovuta alle sue posizioni estremiste e filo leghiste in economia, è terminata. Le sue critiche esasperate ed esasperanti contro l’euro non potevano più essere accettate. Fine ingloriosa di un individuo non meritevole di fare il Ministro della Repubblica. In verità, vi è ancora un altro caso del genere non risolto. Stiamo parlando dell’Onorevole Umberto Bossi, altro Ministro che non avrebbe mai dovuto fare il membro del governo se noi ci trovassimo in una Repubblica seria. Purtroppo, con le maggioranze politiche che ci siamo ritrovati recentemente e con la mancanza di serietà politica, tutto è stato possibile. E’ così che alcuni anonimi e sbiaditi politici di second’ordine sono riusciti a scalare, immeritatamente, le poltrone istituzionali più importanti. Speriamo che alla prossima fermata, scendano. Per il bene del paese.

sabato 3 luglio 2004

Alcune notizie di oggi sui media: una Caporetto nazionale o normale routine?

La maggioranza politica è vicino alla crisi di Governo. Traspare una sensazione di irresponsabilità nazionale e tutti fanno finta di niente. Le banche nazionali aumentano le spese di tenuta dei conti correnti. Continua la persistente sfacciataggine degli istituti di credito a “rapinare” i clienti perché in regime di assoluto monopolio. La manovra del Governo prevede tagli e riduzione di investimenti da far rabbrividire. E’ l’ennesima sortita per costringere i cittadini di modesto reddito a vivere peggio. Il tentativo di realizzare l’ennesima manovra economica produce l’effetto di continuare a essere generosi con i ricchi del palazzo e avari con i poveri, non solo non riducendo ai ricchi le remunerazioni principesche da nababbi che paecepiscono, ma addirittura premiandoli con una riduzione delle tasse fatta su misura per i loro redditi sempre più ricchi. Si realizza il progetto politico più bello per il Paperon dei paperoni italiani. L’Italia non ha ancora approvato il “mandato di arresto europeo”. E’ l’ennesima riprova del malcostume dei politici nazionali. Sperano che la mancanza di strumenti giudiziari permetta loro di mascherare le malefatte. Calcio e diritti televisivi che non funzionano. Si rileva per l’ennesima volta che calcio e politica sono un “mix allucinogeno” in grado di drogare qualunque personaggio pubblico italiano. Che cosa fanno i responsabili? Invece di risolvere il problema secondo etica e morale, tentano di condizionare i partecipanti invitandoli al desco nazionale, convincendoli che i soldi vanno a tutti e l’abbuffata può diventare generalizzata e continuare indisturbata. Iniziano le folli vacanze degli italiani in auto e le autostrade continuano ad essere piene di cantieri. La gente in pratica usa le autostrade come tangenziali. E’ il venticinquesimo anno che si riverifica la solita disorganizzazione dei trasporti. Patentino per i motorini degli studenti. Quasi nessuno in regola. Il dilettantismo nazionale e l’improvvisazione organizzativa della classe governativa assume toni da delirio. I divorzi sono in crescita e i matrimoni durano sempre meno. Gli avvocati gongolano. E’ l’ennesima riprova della totale mancanza di una politica a favore della famiglia e un deciso lasciapassare per l’egoismo coniugale.
Per oggi basta. Abbiamo avuto la nostra via crucis quotidiana. Perché esagerare quando possiamo trangugiare la cicuta giorno per giorno?

venerdì 2 luglio 2004

A proposito della riduzione delle tasse: proposta che taglia la testa al toro.


Ogni volta che siamo costretti a scrivere qualche opinione personale sull’operato e le idee politiche del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, diciamo a noi stessi che questa volta sarà l’ultima. Ma come si fa a garantire la promessa se, poi, ogni giorno, Lui, ci dà spunti incontenibili e ci costringe a intervenire di nuovo? A proposito della diminuzione delle tasse ha recentissimamente detto che “se fosse per me l’aliquota massima sarebbe del 33%. Ma non voglio che si dica in alcun modo che voglio privilegiare le classi con redditi maggiori, perché non è vero”. Dunque, il Cavaliere si è posto il problema che gli altri non gli credano perchè Lui, viceversa, non è a favore dei percettori di redditi maggiori. Insomma, è possibile che non siano dicerie quelle che si mormorano tra la gente. Il pericolo però esiste. E come lo elimina Lui? Insistendo incessantemente su due sole aliquote, una al 23% e l’altra al 33%. Dunque, noi dovremmo credere alle favole e pensare che le cose non stiano così, perché Lui non è a favore dei ricchi, ma dei poveri aggiungiamo noi. Vero? Cosa si fa in questi casi per dimostrare chi dei due ha ragione ed è in buona fede? Semplice. Faccia una proposta del genere. Redditi fino a 15000 €, zero tasse. Redditi da 15001 a 30000 €, tasse al 10%. Da 30001 € in su, scelga lui la percentuale, e mantenga i conti a posto. E noi gli crederemo. Ah, piccola dimenticanza. Chi è padrone dell’informazione e contemporaneamente è Capo dell’Esecutivo e, dunque, si trovi in un clamoroso conflitto di interessi che non ha eguali nel mondo democratico, paghi allo Stato il 100% del reddito. Tanto lui ha lo stipendio di Primo cittadino d’Italia. Ma state sicuri che anche questa non gli andrà bene.

giovedì 1 luglio 2004

Quando un terrorista viene assicurato alla giustizia è sempre un fatto positivo.

Una buona notizia è la notizia che il Sig. Cesare Battisti, terrorista rosso, condannato per diversi omicidi compiuti negli anni del brigatismo rosso, se il governo francese confermerà la sentenza, dovrà rientrare in Italia da Parigi, perchè la Chambre des Istruction ha dato all'Italia il parere positivo per l'estradizione. Bene. E’ giusto che chi ha sbagliato, paghi. Lo attende una fine ingloriosa. Dopo essere evaso nel 1981 dal carcere di Frosinone ed avere ucciso quattro persone e reso paraplegico un giovane, finalmente Monsieur Battistì, sconterà la pena dell'ergastolo inflittagli dalla Giustizia italiana. Credo che sia una buona notizia. Non foss'altro per ricordare a coloro che si sono dedicati all’infame progetto terrorista che gli assassini, di sinistra o di destra non fa differenza, devono meditare tutti nel carcere giudiziario sui loro crimini. Solo così la gente potrà sperare, suo malgrado, di non essere più oggetto al “tiro al piccione”. Speriamo solo, che non ci siano a breve, provvedimenti di clemenza che lo mettano di nuovo fuori dalla galera.
In questo momento però il nostro pensiero va al figlio del gioielliere Torreggiani, che è stato costretto da allora a vivere per tutta la vita su una sedia a rotelle. Questo signore, adesso non più giovane, in tutti questi anni avrà trascorso tanti brutti momenti e avrà provato tanto dolore. Un dolore smisurato, inaudito, terribile, perché alla memoria del padre ucciso dal Sig. Battisti ha dovuto aggiungere la sua triste condizione di paralitico per tutta la vita. Non è facile immaginare quanto dolore ha procurato nel giovane questo terribile evento. La cosa che maggiormente sconcerta, tuttavia, è che dalle persone che sono state invischiate a diverso titolo in questa faccenda, non si è mai avuto nessun pentimento per l’enorme dolore arrecato a tutti i familiari delle loro vittime. E’ questo ciò che maggiormente colpisce in questi sconcertanti personaggi senza pietà, come i bounty killer del profondo west americano, in cui i vari “Sartana and company” ignoravano qualunque grido di pietà e di dolore e sparavano a ripetizione con il loro revolver a volontà. La nostra soddisfazione per l’esito della richiesta di estradizione è però praticamente annullata dal pensiero che come il Sig. Torreggiani, in Italia di queste persone ne esistono a decine, che sono costrette a ricordare l’immane tragedia che li ha perseguitati. Ci scusino per essere state obbligate oggi a ricordare. Forse, adesso, tutte queste vittime, alle quali nessuna sentenza ridarà vita ai loro cari, potranno sopportare con maggiore serenità il peso della tragedia vissuta. Ci scusino per aver tolto l’oblio all’amarezza che la vita ha riservato loro in tutti questi anni. Rimane in noi l’amaro in bocca che la società francese, per tanti anni, ha permesso a questi criminali di essere al riparo della giustizia. Ah, Monsieur President de la Republique Francais, Francois Mitterand. Era proprio necessario copiare la politique sovietique dei tempi del compagno Bresnev per dare loro asilo politico e spacciarla per un atto di libertà? Peccato, Monsieur Mitterand. Con quel provvedimento, ad Ella è rimasta una macchia indelebile sulla sua figura.

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