lunedì 29 giugno 2015

Roma non merita.


Non sappiamo come aiutare Roma in questo delicato passaggio della sua storia recente. Sappiamo però che dobbiamo farlo. Lo facciamo pertanto alla nostra maniera, dicendo la verità e non lasciandoci trarre in inganno da chi non le vuole bene. Partiamo subito dicendo che è imbarazzante il modo in cui i media stanno trattando il suo essere capitale e la sua storia contemporanea. Sembra che siano entrate in azione delle iene nell'atto di spolpare un animale in fin di vita. Tutti fanno a gara a parlarne male, a offenderla, a tratteggiarne i vizi con cattiveria e spirito vendicativo dicendo che Roma è diventata una città inguardabile. Roma, in più di due millenni e mezzo, ne ha viste di cotte e di crude. Ed è sempre rinata "più bella che pria". Adesso però è necessario rispettare la verità e rispondere alle malelingue a tono. Diciamo subito che è indispensabile evitare di cadere nel tranello dei personalismi, perché non ci aiutano a trovare la verità. Per esempio è inaccettabile la maniera in cui si attribuiscono con leggerezza le responsabilità politiche del disastro del Comune di Roma se si pensa alla logica dello schieramento e della contrapposizione. Il centrodestra dà la colpa a Marino e al Pd mentre il centrosinistra dà la colpa ad Alemanno e all'ex Pdl. Come può un ignaro “cittadino terzo” schierarsi nella contesa tra i due contendenti? Sulla base di quali dati la vivibilità della città è - se non eccellente come una metropoli scandinava - almeno buona? Dunque, è necessario cambiare l'approccio metodologico. E se avessero entrambi ragione? Cioè se entrambi gli schieramenti politici di governo e di opposizione (Pd ed ex-Pdl al Campidoglio) non avessero fatto le iene, non avessero razziato la città e non avessero manipolato la verità ma, al contrario, se si fossero spesi con lungimiranza e forte senso di generosità ad aiutarla nel suo cammino di progresso e di magnificenza?
Tenendo conto che Marino è stato eletto da poco mentre Alemanno ha dovuto portare il peso di ben cinque anni di duro lavoro da sindaco, spendendosi per sostenere le ragioni della sua maggioranza ad "aiutare" la città, saremmo portati a concludere a favore del centrodestra che si è impegnato di più nel lavoro di trasformazione della città. Dunque, da questo punto di vista quando ci sono due schieramenti che si fronteggiano, e solo chi sta al governo della città può aiutare concretamente Roma e i suoi cittadini mentre l'altro, opponendosi, al massimo può solo controllare. È evidente che Alemanno si è impegnato di più di Marino a fare le cose che più lo interessavano. Tuttavia, se è vero che Marino ha fatto poco c'è da riconoscere che il Gruppo dei Consiglieri Pd al Comune di Roma ha fatto moltissimo, recuperando il gap di Marino, sia con generosità, sia con la passione che li ha sempre contraddistinti per aiutare Roma e i suoi cittadini nel canalizzare flussi di denaro nella "maniera giusta".
Mai crederemo che Pd e Pdl abbiano fatto comunella o, come si suole dire in questi casi, inciucio (nella foto una cena sociale molto inciuciva e poco onlus pubblicata dal sito linkiesta) ai danni della città privilegiando pochi e aiutando molti. Marino ha fatto male a rivelare che Alemanno all'indomani della sua elezione gli ha chiesto se il Pd non gli avesse “detto nulla” per "piazzare" due suoi amici nella macchina consociativa del Comune. È evidente che Marino ha alterato la realtà e si è inventato una capacità di condizionamento da parte del Pd romano al Comune che non esiste. Se c'è un solo appiglio in tutta questa confusione questo, a nostro parere, è l'integrità morale, prima che politica, dei Consiglieri comunali del Pd, ma anche del Pdl, perché entrambi su questo fronte, come si suol dire, "non scherzano". Su loro abbiamo la certezza che sicuramente hanno fatto il loro dovere, aiutando il Comune ad "alleggerirsi" con una dieta di tipo economico-finanziario a favore di altri che ha giovato a settori non parassitari e non lucrativi, per carità, della popolazione. Ci mancherebbe altro.
Non crederemo mai che Alemanno si sia dato da fare per sistemare parenti e amici nelle municipalizzate (Parentopoli è una invenzione dei cattivi media), così come non crederemo mai che alcuni Consiglieri e/o Assessori del Pd abbiano impegnato energie per arricchire se stessi o una ipotetica cupola mafiosa operante nel settore della politica dei migranti e dei Rom. No. Mai. Non possiamo mai credere che il Pd romano sia largamente partecipe allo scandalo Mafia-Capitale. Così come non crederemo mai, come dice un quotidiano che «il commissario del partito, Orfini, ha subìto minacce gravi da personaggi para-mafiosi ed è sotto scorta per tutelarlo. E neanche che Fabrizio Barca e i suoi collaboratori volontari che hanno esaminato, su mandato della direzione del partito, l'attività dei circoli romani giudicandone alcuni buoni, altri mediocri ed altri pessimi, ricevono continuamente crescenti minacce dagli esponenti dei circoli che hanno ricevuto qualifica negativa e anziché correggersi manifestano desideri di vendetta». Sono tutte falsità quelle che in questi mesi raccontano i giornali. Anche perché il personale politico romano a tutti i livelli ha sempre dimostrato dedizione al lavoro, altruismo e forte coscienza etica. E a proposito di improbabili e mai esistite “mafie-capitali” noi non crederemo mai che nella città eterna ci sia stata la consapevolezza da parte di chicchessia dei politici locali (Pd e adesso FdI) di fare come i mafiosi siciliani. Quelli si che fanno muro e sinergicamente compiono crimini in modo consapevole, trasversale e terrificante. Qui a Roma, invece, anche i cittadini che vengono perseguiti ingiustamente dalla legge sono buoni di animo, mai volgari, ligi alle regole, eticamente irreprensibili e molto attaccati ai valori familiari e a un sano nepotismo che in questi casi non guasta mai.
Noi siamo dell'avviso che Roma sia una città ammirevole ed esemplare che produce cittadini sensibili ai codici di comportamento indigeni tali da avere innati quei tratti della personalità in grado di "alleggerire" (nel senso più completo del significato che significa "rendere più leggero un carico o un peso o un salvadanaio") le casse comunali per spendere i finanziamenti a “fin di bene”. Se non è generosità questa qual è la vera generosità? Te capì?

mercoledì 24 giugno 2015

Il Pd ha esaurito il credito.


Quando si ha una Sim telefonica che non è stata ricaricata, per continuare a telefonare si sente una frase irritante che dice: "gentile cliente lei ha esaurito il suo credito". E da quel momento non si potrà più telefonare. Ebbene, è quello che sta succedendo al PD e a Renzi in questi giorni. Insieme i due non ne stanno combinando nemmeno una buona. Sbagliano a ripetizione. Per esempio, il tentativo di regalare ad Adriano Sofri un ruolo istituzionale è fallito. Siamo contenti. Sarebbe stata una vera truffa ai danni delle vittime del terrorismo rosso quella di darla vinta al “furbetto del brigatismo”. Ma andiamo per ordine. La nomina di Sofri scoperta da un sindacato della polizia è stata fatta come quella delle famose leggine pro-casta che venivano accuratamente nascoste in qualche comma di qualche noioso decreto legge approvato dal Parlamento nel mese di agosto quando tutti gli italiani erano al mare. Cose da furbetti del quartierino. Ma chi diavolo è stato a proporla? Si dice che il Ministero di Grazia e Giustizia, gestito da quel Ponzio Pilato che è il Ministro Orlando, non si era reso conto del vespaio che sarebbe nato. Tuttavia corre l’obbligo di dire chiaramente che non si può più far finta che la nomina di Sofri sia stata un incidente di percorso, perchè così non è. Non è accettabile che qualche strambo e bizzarro dirigente nazionale del PD prenda decisioni così irresponsabili. Non si può più negare che lo stato confusionale del PD è a livello di pericolo da codice rosso. Ormai il partito e le conseguenti scelte politiche sono incontrollabili, come quelle di una bomba nucleare in cui la reazione a catena diventa ogni istante sempre più intensa. Quello che francamente non abbiamo capito è che ruolo ha avuto ed ha Renzi in tutto questo tourbillon di nomine sbagliate. Ma la cosa più grave non è la nomina a esperto della riforma delle carceri di un assassino condannato per omicidio che non ha mai voluto riconoscere la legittimità del ruolo della giustizia nel decidere la sua condanna. No, la vera grana è che il Nostro Presidente del Consiglio continua nel silenzio più assordante a non dare risposte sulle scelte sbagliate del PD di cui lo ricordiamo è Segretario Nazionale! Meno male che lo stesso Sofri ha capito che era meglio dichiarare il rifiuto della nomina. Adriano Sofri è tutto meno che uno sprovveduto. E' riuscito a resistere decenni dicendo che non riconosceva il diritto allo Stato di processarlo perchè lui era innocente. Favole. E' stato un assassino, condannato con sentenza definitiva. Comunque, rimane il fatto che nominare il presuntuoso furbetto Afriano Sofri a esperto di una riforma carceraria non è accettabile se non alla condizione di dichiarare definitivamente la inaffidabilità del PD che nelle stesse ore ne ha commesso un’altra delle sue, con il voto compatto contro la mozione delle opposizioni per salvare il sottosegretario Castiglione . Nominare il presuntuoso furbetto Afriano Sofri a esperto di una riforma carceraria ha il sapore del “muore Sansone con tutti i filistei”. Renzi non sarà ricordato dai posteri come il premier che ha rottamato la vecchia classe dirigente. No. Sarà ricordato come il più matto dei politici italiani suicidi che, dopo aver preso il 41% dei voti alle europee, perderà la prossima sfida a premier con al massimo il 25%. L’elettorato non perdona chi suscita entusiasmi e subito dopo li spegne per il potere.

giovedì 18 giugno 2015

Avevamo ragione noi e torto gli altri.


Mafia capitale, Buzzi e Carminati intercettati: “I Consiglieri comunali ai nostri ordini”. Sui giornali è stata riportata questa notizia. Per completezza aggiungiamo la frase che spiega il titolo: Salvatore Buzzi parla con Massimo Carminati e gli dice che «i Consiglieri comunali devono stare ai loro ordini perché vengono pagati e pertanto devono rispettare gli accordi». Questa la notizia che commenteremo oggi.
Abbiamo provato disgusto per la scoperta da parte della magistratura della collusione tra Consiglieri comunali del Comune di Roma e malavita organizzata di Mafia capitale. Questo disgusto non può rimanere sotto silenzio. La stampa ha parlato molto di questa vicenda ma a nostro parere a sproposito, evitando di dare senso alla vera notizia che non è tanto il malaffare dei due capipopolo Carminati e Buzzi quanto dei delegati dei cittadini al Comune di Roma, cioè dei Consiglieri comunali. Noi reclamiamo il vanto di avere capito e pubblicato in tempi non sospetti e per primi la notizia di questa collusione. Il problema comunque non è la nostra pretesa di vederci riconosciuto il merito di averlo compreso prima degli altri. Non ci interessa. I premi li lasciamo ai giornalisti. Noi non siamo specialisti dell'informazione. Siamo comuni cittadini che hanno a cuore il problema dell'etica in Italia che, com'è noto, versa in uno stato di autentica Vergogna nazionale. Noi, viceversa, rivendichiamo la critica all’intero sistema dell'informazione che è l'aspetto più grave della faccenda.
Non è possibile che al Comune di Roma non ci fosse l'imbroglio e nessun giornalista, più o meno lautamente pagato da editori inadeguati al ruolo, si è dato la briga di fare un'inchiesta. Neppure i famosi settimanali L'Espresso e Panorama avevano capito cosa covasse sotto la cenere. Questi due settimanali brillano per la profondità del gossip politico e per la completezza delle informazioni inerenti ai pettegolezzi politici. Una vera e propria nausea da piccolo giornalismo italico. Le due redazioni fanno polemiche muscolose per trovare fatti privati dei politici dell’avversario. Per il resto silenzio. Stupefacente. Noi abbiamo intuito subito che gli esimi Consiglieri del Campidoglio fossero dei correi e lo abbiamo pubblicato in questo post. Adesso, un giornalismo corretto e onesto avrebbe dovuto fare mea culpa e riconoscere la propria incapacità e inadeguatezza. Invece nulla. Nessuna onesta autocritica. Nessun riconoscimento di errori. Questo è il giornalismo italiano che quando c'è da informare sul “dietro l’angolo” è bravissimo. I loro giornalisti sono capaci di trovare informazioni riservatissime. Basta ricordare il cosiddetto Metodo Boffo, cioè la campagna di diffamazione da parte del Giornale di un Berlusconi contro il Direttore dell’Avvenire. A tanti poveri ministri hanno fatto le pulci perché in una telefonata riservata un ministro ha cercato di far assumere il figlio in un’azienda importante. Apriti cielo e hanno reclamato le dimissioni. Giusto, ma allora che cosa dire del tremendo vuoto di idee e dell’assordante silenzio attorno al fatto che nessuno dei soloni del giornalismo italico pensò mai di fare indagini sugli eletti dei cittadini, quei Sigg. Consiglieri comunali che si facevano pagare da Mafia capitale essendo esponenti dei partiti di riferimento di FI e del Pd? Che cavolo di giornalisti ci sono nelle redazioni dei giornali nazionali e locali che non sono capaci di capire fatti del genere per tempo in un mondo, quello romano, che da dove ti giri escono fuori a tonnellate reati di tutti i generi? Saremmo tentati di pensare male alla Andreotti per giustificare tutto il silenzio sui Consiglieri comunali. Quello che è spuntato fuori è però tremendamente chiaro: si tratta della più epocale dimostrazione di incapacità professionale dell’intero ordine del giornalismo italiano. E poi si pavoneggiano nei talk show televisivi. Te capì?

sabato 13 giugno 2015

Parlamentari corresponsabili del degrado legislativo.


In Senato è stata approvata la legge per l'«omicidio stradale». Adesso si aspetta che la stessa cosa succeda alla Camera. Dovremmo essere contenti. In realtà non lo siamo. La ragione è che per i soliti giochetti tra i partiti di maggioranza e opposizione il testo del provvedimento approvato dal Senato è stato ridotto di alcuni commi. Perché? Perché sono stati votati e approvati due emendamenti, contro il parere del governo, che hanno avuto come conseguenza l’espulsione dal testo iniziale delle norme che applicavano l'«omicidio stradale» agli incidenti mortali causati per: 1) passaggio di semaforo rosso, 2) circolazione contromano, 3) inversione in curva e in presenza di dossi e, dulcis in fundo, 4) sorpassi in prossimità di attraversamenti pedonali (quello delle scuole). Non siamo in grado di dire nomi e cognomi dei parlamentari che hanno fatto questa vergognosa imboscata. D’altronde la nostra stampa non ha mai brillato per completezza e imparzialità. Le grandi testate nazionali invece di pubblicare notizie sui tetri soggetti che hanno aiutato in anticipo i futuri mascalzoni che sfrutteranno le conseguenze di questa “brillante decisione”, pubblicano insistentemente e testardamente lunghi articoli superflui, vuoti e inutili sul gioco del calcio e su alcune figure di presidenti delle squadre che giocano nel campionato. Rimane il fatto che con questi emendamenti il nuovo testo risulta incompleto avendo perduto coerenza, efficacia e pienezza di validità. Ma il fatto più grave è che chi ha votato i due emendamenti, si è assunto la responsabilità dell'incompletezza e della sua inefficacia. In altre parole, pur di far male al governo si è sacrificata la completezza della norma, permettendo in futuro a un guidatore che uccide qualcuno se passa col rosso di non farlo condannare per omicidio stradale. Come vogliamo chiamare questo modo di legiferare? Perdonismo mascherato? Buonismo alla "figliol prodigo"? Solidarismo per tolleranza? Vieni avanti Cretino alla Walter Chiari? Ebbene noi crediamo che spesso l’opposizione (interna ed esterna) a Renzi sia talmente cieca che alla fine premia i delinquenti. La corresponsabilità di norme legislative inefficaci questa volta è dovuta non al governo ma ai cretini che rimarranno anonimi, come i mafiosi. E poi questa gentaglia prima salva i mascalzoni e poi cinicamente si vanta di lavorare per il "bene comune". Te capì?

giovedì 11 giugno 2015

Mosca: Il mio trentatreesimo viaggio in Europa


Москва (5 giugno - 10 giugno 2015)


Introduzione.
Sono andato a Москва (in italiano Mosca), capitale della Российская Федерация, cioè della Rossijskaja Federacija, ovvero della Federazione Russa a visitare l’antica città del primo Zar Ivan IV, detto il Terribile. Mosca è chiamata anche la Terza Roma, dopo la Seconda Roma che è Bisanzio-Costantinopoli, adesso chiamata Istanbul, e la Prima Roma che è l'attuale capitale sia della Repubblica Italiana, sia dello Stato del Vaticano. A quel tempo Mosca era un piccolo centro costituito da un nucleo centrale cinto da mura. Oggi Mosca non è più quel piccolo centro che fu a cavallo dei due potenti Zar, Ivan IV e Pietro il Grande, ma una vera e propria metropoli moderna di dodici milioni di abitanti. Pensate un po' che Mosca è più popolosa della somma degli abitanti di Parigi e Londra. Non è un elemento trascurabile e qualcosa vorrà pur dire.

Su Mosca si possono leggere intere enciclopedie piene zeppe di informazioni e di storia leggendaria. Io mi limiterò a poche e insufficienti considerazioni personali in grado, tuttavia, di fornire notizie utili e interessanti relative alla mia piacevole visita e a chi volesse seguire il mio itinerario di viaggio. Manipolando una frase di Margherita Crepax a proposito di Bulgakov, desidero affermare che non sono uno scrittore la cui "efficacia espressiva" gli deriva dal giornalismo e, a maggior ragione, non posso mostrare una "dinamicità dell'azione" tipica di chi conosce bene il teatro. Piuttosto, mi sento di dire che ho solo un po' di "volontà creativa" che mi permette di scrivere delle note di viaggio sicuramente noiose per molti ma estremamente precise e complete per altri. "Ognuno sia se stesso e tutto finirà bene" potrebbe essere un motto che mi trova perfettamente d'accordo.
"A Mosca andata e ritorno". Potrebbe essere l'incipit giusto per introdurre il mio trentatreesimo viaggio per le capitali d'Europa. Vuole essere non solo la conferma che il viaggio effettuato all'inizio dell'estate del 2015 è incominciato bene ma anche che si è trattato di un'avventura bellissima e piacevole, fortemente desiderata da decenni e completamente differente dal titolo del libro di Arrigo Petacco "A Mosca solo andata". Il sottotitolo dello stesso libro di Petacco è "La tragica avventura dei comunisti italiani in Russia". Nulla a che fare, evidentemente, con il mio viaggio che è, e rimarrà sempre nella mia mente, un viaggio turistico fiducioso, ottimistico e solare, anche dal punto di vista meteorologico. Non credo sia probabile trovare a Mosca ben sei giorni consecutivi, con una temperatura ideale tra i 15 °C e i 19°C, senza pioggia e col cielo sgombro di nuvole.
"Mi si sono rotte le catarratte" disse Jacques-Louis David, pittore francese neoclassico, quando finalmente, dopo tanti anni di attesa, nel 1775 vide Roma per la prima volta per studiare pittura all'Accademia delle Belle Arti della Città eterna. Bene, anch'io posso dire - alla stessa stregua di David - che "mi si sono illuminati gli occhi" vedendo per la prima volta le strade, le piazze, i palazzi, i monumenti e le meraviglie della bella capitale russa da me desiderata in quasi mezzo secolo di attesa. Avevo dieci anni quando l'URSS invase con i suoi carri armati l'Ungheria e ne avevo ventidue quando invase, alla stessa maniera, l'ex Cecoslovacchia. Al contrario, nel 1991 all'età di quarantacinque anni il Soviet Supremo dichiarò sciolta l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, conosciuta in Occidente con l'acronimo di URSS (CCCP in russo). Da quel momento rinacque la Russia che, fortunatamente, non avvenne con il ritorno dello Zar. Devo confessare che da quel momento la nuova Russia mi entusiasmò e cominciai a credere che in un futuro non molto lontano io avrei potuto visitarla.
A questo punto, non posso non pormi la domanda: perchè a Mosca? Le risposte sono molteplici. La sintesi è comunque una: perchè Mosca, come Roma, è stata la capitale di più imperi e rappresenta l'altro punto di vista di un'Europa plurale, ricca di interpretazioni che non sono solo politiche e che è necessario conoscere e che permette di dare senso alla domanda di conoscenza non solo della cultura dell'Europa, obiettivo fondamentale del mio progetto di visita di tutte le capitali dell'Unione Europea già realizzato, ma anche della storia, della politica e di tanto altro che inerisce al nostro Continente. Così come ha poco senso conoscere tutti i paesi scandinavi appartenenti all'UE (Svezia, Danimarca e Finlandia) e tralasciare la Norvegia, così come non è possibile avere una decente rappresentazione dei Balcani, adeguata e completa, tralasciando la Serbia, così come avrebbe poco senso visitare l'Europa Occidentale e tralasciare l'intero blocco dei paesi che costituirono l'ex Patto di Varsavia, ormai perfettamente integrati nell'UE, altrettanto si può dire se non si visita la capitale della Federazione Russa oggi, dell'URSS di ieri e degli Zar dell'altro ieri. Altrimenti si rimarrebbe incompleti e zoppi. D'altronde Čičikov, il protagonista del romanzo di Nicolaj Gogol, nel romanzo Le Anime morte, nel capitolo terzo del volume II, a proposito dei motivi per cui è necessario viaggiare dice al suo interlocutore Pëtr Petrovič Petuch : "viaggio per vedere il mondo, il corso delle cose, come parla la gente, e cosa dice, che è, in un certo senso, un libro vivente, una seconda scienza".
Si tratta di una visione del viaggio non solo come conoscenza ma anche di curiosità. D'altronde lo stesso Sant'Agostino disse a chiare lettere che :"La vita è un libro. Chi non viaggia ne legge una sola pagina". Ed io non voglio rimanere alla sola copertina. Dunque, a Mosca per toccare con mano i palazzi della grande architettura russa, per vedere i grandi capolavori dell'arte russa, per ricordare i fatti storici legati alla grande letteratura russa e, perchè no, anche per assaggiare le portate della grande cucina russa. A questo proposito c'è un libro interessante di Isabella Messina, La cena delle anime morte. Gogol e la cucina russa, in cui il protagonista è proprio il personaggio principale del libro di Gogol e il testo termina con le ricette dei piatti amati dai protagonisti gogoliani, non disdegnando alcuni efficaci agganci con la letteratura. D'altronde, mi chiedo come potrebbe essere definito un viaggio nella capitale russa se non si assaggia almeno una portata di borsč, un piatto di manzo alla Stroganoff, un po' di oro rosso e/o nero (caviale), un bicchiere di kvas e un bicchierino di vodka originale, magari водка пятъ озер. Mi aspetto molto da questo viaggio e soprattutto mi aspetto di provare forti emozioni al solo cospetto di vedere per la prima volta la enorme e perfetta Piazza Rossa, il mausoleo di Lenin, la cattedrale di S. Basilio, i grandi magazzini Gum, la metropolitana moscovita, il teatro Bolshoi, la Lubianka, le gallerie e i musei dell'arte, le statue di Gogol, Bulgakov, Marx, Lenin e tanto, tanto altro ancora. Sono sicuro che ci riuscirò. Questo report ha pertanto lo scopo di confermare tutto ciò che ho anticipato in questa introduzione e molto altro ancora di seguito, a cominciare dalla premessa.
Premessa.
"Ogni volta che inizio un diario di viaggio non so mai come finirà e come si presenterà alla conclusione". Lo ha scritto Guido Piovene nel suo straordinario libro Viaggio in Italia che aggiunge nella Prefazione: "sono curioso dell'Italia, degli italiani e di me stesso. Che cosa ne uscirà, non saprei anticiparlo". Ebbene, cambiate le parole "Italia e italiani" in "Mosca e moscoviti" e sarà chiaro a tutti che desidero prendere Piovene come mio maestro e guida di viaggio. Guido Piovene in verità era curioso anche di se stesso e lo ha detto esplicitamente. Questo particolare non è inutile perché in fondo in fondo quando facciamo un viaggio sembra che siamo interessati al solo luogo di visita ma spesso l'interesse maggiore anche se non vogliamo riconoscerlo è per noi stessi. Anche se non è stato esplicitato direttamente, un viaggio è sempre un accadimento in cui al centro delle attenzioni ci siamo noi, con i nostri sensi che scrutano, con i nostri interessi, le nostre debolezze, le nostre ossessioni, i nostri valori, i nostri ideali, le nostre esigenze. Ognuno di noi in un viaggio cerca qualcosa, si sforza di trovare la ragione della partenza, il piacere della permanenza, la bellezza delle visioni, l'ascolto della lingua, i sapori della cucina, l'odore dei cibi e delle bevande, i colori dei palazzi, i disegni sulle banconote adoperate nelle compere, i mezzi di trasporto per la città, insomma, in una sola parola, l'idea di un popolo che vi vive secondo regole e abitudini proprie.
Di tutto questo voglio parlare qui, con semplicità e in tutta libertà. Bene. Il viaggio l'ho effettuato dal 5 giugno al 10 giugno 2015 a Mosca, capitale della Federazione Russia. A Mosca nonostante l'italianità sia vista con favore dalla cittadinanza moscovita c'è pochissima Italia nella mappa della città. Tolta una stazione della metro chiamata Rimskaja (Rim in russo significa Roma) non rimane altro. Neanche Garibaldi è riuscito a convincere le Autorità municipali di Mosca di condividere il suo nome di italiano rivoluzionario e associarono a qualche via o piazza di Mosca. Nessuno l'ha mai preteso. A Sofia in Bulgaria c'è una piazza intitolata all'eroe dei due mondi, con questa scritta: Джузеппе Гарибалди.

Per me che vivo a Roma in una via che si chiama via Mosca, dove c'è un albergo che si chiama Hotel De Russie, dove in Via Palestro 71 c'è la Chiesa ortodossa russa, dove in Via Sistina 116 c'è la casa in cui visse per anni dal 1837 al 1843 il grande scrittore russo Nicolaj Gogol, autore del capolavoro letterario Le Anime morte scritto nella stessa casa, dove in Via San Nicola da Tolentino esiste una biblioteca intitolata a Gogol "Библиотека-читальня имени Гоголя" ("Biblioteka-Čital'nja imeni Gogolja"), a Mosca mi sarei aspettato un po' più di italianità. L'attore alla finestra, nella foto accanto scattata da Elena Zucco, è un attore italiano che recita la parte di Gogol che "rientra" a Roma dalla Russia affacciandosi dalla casa-museo dedicata allo scrittore russo e inaugurata a Roma, il 20 marzo 2013. Eppure da una serie di indicatori più o meno consapevoli sono dell'idea che fra italiani e russi ci sia qualcosa di speciale nella relazione di amicizia intercorrente tra i due popoli. In poche parole gli uni sono simpatici agli altri e viceversa. Nella musica e in genere nell'arte, per esempio, abbiamo molti tratti in comune che appassionano molte persone di entrambe le due nazioni. Lo si conferma sistematicamente quando si ha la possibilità di parlare in una lingua comune. In ogni caso si sa che Roma e Mosca sono molto più vicine sul piano dei rapporti affettivi, culturali e politici che non su quello linguistico, con il quale, purtroppo, la distanza si misura non in verste (1 верста = 1067 m, fu un'antica unità di distanza usata durante il periodo imperiale russo) ma in anni luce (per curiosità 1 anno luce = 9 460 730 472 580 800 m, cioè novemila quattrocento sessantuno miliardi di chilometri circa). Singolare è stato un incontro con una bella signora moscovita nel metro di Mosca, quando disorientato dall'abbondanza di indicazioni in caratteri cirillici ho mostrato involontariamente la mia difficoltà ad orientarmi per trovare il tunnel di collegamento tra una linea e l'altra. Incapace di trovare la direzione giusta sono stato aiutato in modo a dir poco squisito dalla signora. Per non parlare poi di un'altra volta quando in una analoga situazione di smarrimento un signore moscovita mi ha addirittura accompagnato per le scale, salendo e scendendo più volte dai gradini, per mostrami la direzione cercata. Ritornerò su questa questione perchè merita una adeguata conoscenza e riflessione circa le caratteristiche di generosità e altruismo dei moscoviti. Qui mi basta di avere informato quanta differenza c'è tra altruismo e generosità russa nei confronti di uno straniero in difficoltà da una parte e quanta indifferenza e disinteresse caratterizza viceversa gli italiani e molti altri europei in situazioni analoghe dall'altra parte.
Ho letto e studiato molto per preparare questo viaggio. Credo di avere dovuto imparare un mucchio di cose variegate per essere "pronto" nelle idee e soprattutto negli stati d'animo durante la visita alla bella città del più importante pope ortodosso. Avere lo stato d'animo giusto è un grande investimento per il successo della visita della città. Il segreto, in questi casi, è "sentirsi parte della città" che si sta visitando. Dunque, una fermata della metro o una piazza più o meno grande o qualunque altro elemento caratteristico della città se viene "fatto parte" in modo personale nel proprio io come parte del sistema di riferimento allora si gettano le basi per una efficace e partecipata visita. In caso contrario ci si sente estranei alla città, e si vede la stessa come una entità distante, straniera, diversa e in alcuni casi limiti come nemica. Nulla di più sbagliato. Stavo dicendo che ho studiato molto per preparare questo viaggio. Quale studi? Si va da conoscenze linguistiche relative all'alfabeto cirillico a conoscenze geografiche e storiche, da fattori politici e narrativi, ad aspetti della cultura religiosa, da note più o meno approfondite di arte russa e persino di cinematografia russa (santo Youtube) al sistema di orientamento nella città e nella metro (da non sottovalutare perchè può essere la carta vincente che può trasformare una delusione in un successo), dall'interazione verbale con gli indigeni quando è necessaria alla interpretazione dei cartelli nei negozi e in generale nella città. Nel campo delle prime abilità ci sono riuscito in parte perchè avevo un minimo di conoscenze di base, avendo letto in gioventù qualche opera di narrativa di Tolstoj, Dostoevskij e Cechov. Nel campo delle attività pratiche relative alla città ci sono riuscito per l'uso e forse l'abuso del sistema linguistico dei gesti ma anche di letture nei siti web che riguardano la vita a Mosca. Certamente i fatti di grande rilevanza culturale, politica e storica che hanno contraddistinto la storia di questo grande e indispensabile paese europeo, ma anche asiatico, sono stati il bersaglio preferito delle mie scelte di studio. Il manuale di viaggio su Mosca della Mondadori ha fatto il resto.
Certo non è facile affrontare l'«Universo Russia» da italiano. Noi italiani abbiamo fatto quasi nulla per superare il provincialismo che ha sempre caratterizzato l'approccio alla cultura straniera in generale, figuratevi di quella russa nello specifico. A meno che in gioventù non si sia stati comunisti o, meglio, marxisti-leninisti, l'interesse per la cultura russa del secolo scorso in Italia (al tempo chiamata più correttamente sovietica) è sempre stata 'zero tagliato' per tutti i miei concittadini. In ogni caso posso dire che è molto meglio del previsto stare qui a Mosca di presenza che in modo virtuale da casa a fantasticare di passeggiare in qualche via pedonale come la Arbat o simulare ipotetici percorsi turistici con Street View tra la Tverskaya o la Teatralnaya e la Bolshaya Ordynka tanto per fare degli esempi concreti. In verità trovo che quasi tutto qui mi è familiare. E' incredibile come mi sono abituato subito. Mi viene in mente l'idea curiosa di quando ero ragazzo che trascorrevo le vacanze estive nel paese di nascita e ogni volta che vi andavo dopo un intero anno scolastico trascorso nella pensione del capoluogo in cui studiavo mi sembrava di non essermi mai mosso dal paesello natìo. Se è vero come è vero che qui tutto mi sembra familiare tuttavia l'impatto emotivo è straordinariamente forte e marcato. Vedere per esempio la Piazza Rossa direttamente con i propri occhi, osservare nel centro di essa il mausoleo di Lenin e ascoltare i pochi suoni e la quasi totale assenza di rumori molesti che qui non si sentono passeggiando a piacere sui cubetti di porfido della Красная Площадь, ovvero Krásnaja Ploščad' (significa Piazza Rossa) provoca in me un sussulto di forti emozioni. Diciamo subito che userò quasi sempre in italiano i nomi delle strade e delle piazze moscovite. Per quelle più importanti riporterò il nome originale in cirillico e/o quello traslitterato in caratteri latini se lo riterrò necessario. Per complicare un po' le cose poi il russo ha anche il corsivo che è una sfida aggiuntiva alle capacità del neofita a non confonderlo con il greco.
Come in tutte le lingue sarebbe necessario conoscere un minimo di grammatica russa e un lessico adeguato. Io mi sono sforzato di imparare un po' di parole in cui quella statisticamente più adoperata è спасибо ovvero spassiba, cioè grazie. Grazie perchè è stato un piacere visitare Mosca. Grazie perchè il tempo è stato ideale. Grazie perchè ho avuto modo di apprezzare alcune caratteristiche molto positive dei moscoviti. E grazie perchè mi è stata data la possibilità di immergermi piacevolmente nell'ambiente cittadino senza subire nè discriminazioni nè prevaricazioni di alcuna sorta. Non capita spesso che ci si riesca così bene e che ci si senta bene. Fortuna vuole che il russo si pronunci così come è scritto, all'italiana, tanto per intenderci. In metropolitana lo dico subito non c'è alcuna traduzione inglese se non in rari e giustificati casi limiti. Dunque, è necessario imparare a saper leggere i nomi delle stazioni e in base ad esse sapersi regolare nelle direzioni di marcia. Ma avremo modo di ritornare su questi aspetti a tempo debito. Adesso senza indugio è ora di partire: Mosca sta aspettando.
Primo giorno Venerdì 5 giugno. E' mattina presto quando esco da casa per prendere l'autobus e successivamente il trenino alla stazione ferroviaria di Roma Ostiense per l'aeroporto di Roma Fiumicino. A Roma il meteo informa che ci sono 27 °C mentre a Mosca solo 17°C. In genere la differenza di temperatura tra le due capitali si aggira sui 10°C che non sono pochi. Oggi è Venerdì, 5 giugno 2015 e il programma prevede la partenza per la visita alla quinta capitale extra UE del nostro continente, per cinque notti. Al terminal di Roma Fiumicino fervono i lavori per rimettere a posto il Terminal 3 che un mese fa è andato a fuoco. Vedo il trambusto degli operai e dei mezzi meccanici al lavoro mentre mi muovo nel tunnel di collegamento tra la stazione ferroviaria di Roma Fiumicino e il terminal di partenza.

Durante il percorso per arrivare al Terminal 1 incontro molti operatori dell'aeroporto con la mascherina. Non è piacevole vederli. Sembra che ci si trovi in un luogo dove c'è stata qualche infezione sanitaria o peggio una epidemia di qualche virus pericoloso. Soffro ancora di dolori alle articolazioni delle spalle per i quali sto facendo della fisioterapia. Sono un po' preoccupato nel portare la valigia perchè temo che nel terminal di accesso troverò qualche scala mobile bloccata (come si verifica quasi sempre e ovunque a Roma) e dovrò sobbarcarmi il peso della valigia con le braccia con conseguenze rischiose sulla mia capacità di deambulazione. Fortunatamente l'ascensore funziona e il mio arrivo ai banchi di accettazione avviene in buone condizioni fisiche.
Il volo è Alitalia AZ 548 da Roma Fiumicino (FCO) delle 10.20 per Mosca Shemeretyevo (SVO) con arrivo previsto per le 15.10 ora locale a Mosca. La differenza di fuso orario tra le due città di Roma e Mosca sarebbe in teoria di due ore, maper l'uso in Italia dell'ora legale diminuisce a solo un'ora. Al desk di consegna dei documenti e della valigia apprendo che per arrivare al gate H02 di partenza dovrò prima presentarmi al lontanissimo gate B27-B30 dal quale sarò portato con una navetta al gate di imbarco. Una procedura macchinosa, lunga e antipatica che conferma in me l'idea che Roma Fiumicino è un aeroporto inaffidabile e male organizzato. Il posto assegnatomi su mia richiesta è il 5C perchè, con un rapido conto, mi troverò nella parte sinistra dell'aereo e dunque non avrò il sole in faccia. Il ritorno avverrà mercoledì 10 giugno da Mosca Shemeretyevo (SVO) con volo Aeroflot SU 240, partenza alle 18.40 e arrivo a Roma Fiumicino (FCO) alle 21,35 posto 8F. Evidentemente le due compagnie aeree hanno fatto a metà, decidendo che Alitalia mi porta all'andata da Roma a Mosca e Aeroflot mi riporterà a Roma da Mosca al ritorno. Una divisione fifty-fifty dei passeggeri e degli introiti che "non fa mai male" a nessuno. Così sono pronto a vedere il colore verde del vestito di ordinanza delle hostess di Alitalia e quello rosso nel volo di ritorno delle hostess russe. Alla scaletta dell'aereo non ci sono problemi di sorta. Mi infilo nel corridoio e mi sistemo nella quinta fila, vicino al corridoio, sul lato sinistro dell'aereo. Non c'è molta gente. Il tempo di volo scorre velocemente perchè ho un quotidiano da leggere. Mi immergo nella lettura in attesa della colazione. Durante il volo sono preoccupato per gli aspetti burocratici dell'arrivo a Mosca. Infatti ho sentito dire che al check-in moscovita di controllo dei passaporti si dovrà consegnare un modello articolato pieno di domande scritte in russo per chi possiede delle banconote estere. Fortunatamente una hostess mi informa che l'obbligo sussiste solo per chi possiede più di diecimila dollari o euro. Non è il mio caso.

Rasserenato da questa notizia faccio colazione con un menù poco italiano negli ingredienti e nei sapori. Meno male che mi è stato dato un bicchiere di buon vino rosso. Il mio vicino di posto è un signore ligure che va a Mosca per lavoro. Ci mettiamo a discutere dei nostri interessi turistici nella capitale russa e il discorso scivola inevitabilmente su alcuni personaggi dei vari romanzi della narrativa russa. L'atterraggio non si può dire che sia stato un atterraggio tranquillo. L'aereo, a pochi metri di altezza dalla pista, sbanda a destra e a sinistra, come un'oca femmina che starnazza allegramente (lei non io) nell'aia per mostrarsi al suo compagno maschio. Un po' di brivido che il pilota avrebbe potuto evitarci. Arrivo all'aeroporto di Mosca Shemeretyevo con un po' di ritardo sull'orario previsto delle 15.10. La temperatura è più bassa di quella di Roma, sebbene all'interno non si nota. Dopo una breve attesa al nastro trasportatore 5 ritiro la valigia. Seguendo il flusso dei viaggiatori mi trasferisco al box di controllo dei passaporti. La procedura, contrariamente a come mi aspettavo, è velocissima e dopo alcuni minuti mi trovo nella sala uscita. Meravigliato per la scorrevolezza della procedura di entrata sul suolo russo esco nella sala di uscita. Vedo subito molti cartelli in mano a persone interessate ai viaggiatori. Mi attardo un po' seduto su una panchina per prendere la guida di Mosca e subito mi trovo letteralmente assediato da una decina di procacciatori di taxi che con ostinazione mi vogliono appioppare una vettura a pagamento super accessoriata per l'hotel. Il mio gentile ma netto rifiuto articolato da un adeguato labiale mi permette una pronuncia comunque non scorretta del tipo "maskovski niet spassiba" (no grazie). Vedo che il metodo funziona e così faccio salva la mia riservatezza, senza essere più disturbato.
Nella sala ci sono alcuni totem ATM, uno dei quali è della banca Alpha Bank che guardo con interesse. Col mio bancomat prelevo 5000 rubli, che al cambio ufficiale di 61 rubli/euro equivalgono a 79 euro circa. Mi serviranno per far fronte a un primo assaggio di vita moscovita che riguarda l'acquisto dei biglietti dei mezzi di trasporto treno-metro per arrivare in albergo. Da alcune osservazioni empiriche rilevate a proposito dei movimenti di alcuni passeggeri che come me sono arrivati all'uscita, capisco che per raggiungere la stazione ferroviaria Aeroexpress è necessario salire con un ascensore al 2° piano. In ogni caso ci sono le indicazione dell'icona del treno che seguo agevolmente dopo aver percorso però molte centinaia di metri nei lunghi corridoi che si susseguono e che mi portano al Terminal D che è peraltro il terminal di partenza al ritorno.
Proseguo lungo il corridoio del Terminal D e individuo il box dei biglietti del treno. L'Aeroexpress (in russo Аэроэкспресс) non fa fermate intermedie e mi porterà direttamente al capolinea, cioè alla stazione ferroviaria Belarusky di Mosca che è una delle sette stazioni ferroviarie di cui è dotata la città in grado di coprire tutti i viaggi ferroviari con l'Europa e l'Asia. Il primo impatto alla Kacca (leggasi Cassa) con una operatrice indigena non è per niente traumatico. Con un minimo di lessico russo articolo i suoni per chiedere "un biglietto per favore", con le parole "Один билет, пожалуйста". Vedo che il sistema funziona perchè la gentile babuska mi fa vedere il prezzo alla calcolatrice, che risulta essere 470 rubli, quasi otto euro. Non ci crederete ma è lo stesso identico importo che ho pagato questa mattina presto, alle 6.44 alla stazione di Roma Ostiense per andare a Fiumicino Aeroporto. Coincidenze piacevoli che mi fanno sorridere.

La circostanza mi obbliga alla riflessione che l'aumento dell'entropia è ormai così elevato in tutti i paesi d'Europa che le differenze di prezzo (come le differenze di temperatura) si sono quasi annullate tra paesi capitalistici vecchi e nuovi, così come in un mondo termodinamico le differenze di temperatura in punti differenti del sistema tendono sempre ad annullarsi all'equilibrio. In altre parole i prezzi (e aggiungo i servizi e i prodotti turistici) ormai sono simili ovunque. E' quasi certo che è uno dei principali effetti della globalizzazione. Tutto questo conferma che il principio dell'aumento dell'entropia ormai ha preso piede in tutto il mondo anche al di fuori della Termodinamica, prendendo anche le nostre vite e livellandole a quelle degli altri. Davanti a me vedo pronto per partire un treno AeroExpress tutto colorato di un colore rosso vermiglio, diverso dal solito colore delle tute degli atleti sovietici di una volta.
La carrozza nella quale mi siedo è quasi piena. Ci sono alcuni italiani già seduti. In compenso c'è molta pulizia e un gradito silenzio dei passeggeri. Esattamente tutto il contrario del treno laziale che collega Roma Centro con Fiumicino Aeroporto soprattutto con l'uso smodato, gridato e villano delle conversazioni al cellulare. Io la chiamo con parole appropriate di maleducazione rozza e primitiva. Sistemo la valigia nell'alloggiamento collettivo dei bagagli e mi siedo per osservare ciò che succede intorno a me, soprattutto osservando il panorama esterno. In quel momento passa il servizio ristoro con carrello che una gentile e giovane hostess spinge tra i posti a sedere. Non dimentichiamo che in questo momento mi trovo per la prima volta sul suolo russo al di fuori dell'aeroporto. Il paesaggio non presenta differenze rimarchevoli con quello di un'altra città europea.
Il treno scorre velocemente sui binari e quasi subito siamo al capolinea della stazione Bieloruskij, in russo Белорусский. Notate per favore che con lo stesso nome di individuano sia la stazione ferroviaria, sia quella della metro. Pur tuttavia c'è un sistema per distinguerle. Basta notare la desinenza della parola, cioè mentre le stazioni ferroviarie terminano per «ij» le stazioni della metro terminano per «ia». Quindi Bieloruskij, in russo Белорусский, è una stazione ferroviaria, mentre Bieloruskaya, in russo Белору́сская, è una stazione della metropolitana. Semplice e intelligente no? In realtà il suffisso ij (ий) dell'aggettivo si riferisce semplicemente al sostantivo вокзал (stazione ferroviaria), che è di genere maschile, mentre al contrario il suffisso ia (ия) si riferisce a станция, stazione della metropolitana, di genere femminile. Niente di trascendentale, si tratta di semplice concordanza grammaticale.

La stazione ferroviaria Bieloruskij è molto bella soprattutto nella maestosità della sua facciata esterna. Di un colore tra il verde pisello chiaro e l'azzurro leggero presenta una unità architettonica di tipo imperiale senza soluzione di continuità di diversi elementi architettonici che fa impressione per la sua bellezza e coerenza. La piazza è aperta e si identifica quasi esclusivamente con la parte dell'edificio dei treni che ha incastonato nei muri delle colonne bianche. E' necessario adesso entrare nella metro che si trova in fondo, alla fine della facciata principale dove campeggia il logo M. Entro e alla cassa una gentile signora comprende che vengo da Shemeretyevo e cerca di spiegarmi che se compro una tessera contenente 20 corse risparmio un bel po'. Avevo letto in rete di questo fatto. Pertanto con 320 rubli compro la tessera viaggi della metro. Dividendo 320 rubli per 20 corse ottengo 16 rubli/ corsa. Ciò vuol dire che una corsa costa 0,16 euro. Ripeto sedici centesimi di euro. Confrontate con i prezzi della metro di Milano e Roma e vedrete la differenza. Non aggiungo alcuna considerazione di natura etica e sociale su questa differenza. Non sono venuto a Mosca per polemizzare con i vertici delle due municipalizzate lombarde e laziali. Dico solo una cosa: che i loro vertici aziendali dovrebbero come minimo vergognarsi.
Mi sento di aggiungere un'osservazione non proprio letteraria a proposito di Nicolaj Gogol. Nel suo memorabile racconto dal titolo Il cappotto, Gogol a proposito del protagonista Akakij Akakievič che non si concedeva alcun divertimento per risparmiare scrive: «così trascorreva la quiete esistenza di un uomo che, con quattrocento rubli di stipendio all'anno, sapeva di esser contento della sorte[...]». Immaginate quanto si sia svalutata la moneta russa dai tempi di Gogol ad oggi. In pratica l'intero ammontare dello stipendio annuale di Akakij gli sarebbe servito oggi solo per viaggiare in metro per meno di trenta corse. Una gentile babuska (cioè un'impiegata anziana che integra la pensione con il lavoro di sorvegliante nella metro) controlla l'accesso ai binari al tornello di entrata della stazione. Riconoscendomi immediatamente come straniero (operazione non difficile) mi aiuta con gentilezza a usare la tessera magnetica. Il minimo che posso dirle è spassiba, cioè grazie. Finalmente eccomi realmente a contatto per la prima volta nel luogo che è una autentica meraviglia della tecnologia ex sovietica, inaugurata addirittura da Lenin prima e da Stalin poi. Inutile ricordare le bellezze architettoniche delle pareti e delle volte di tutte le linee. Un piccolo neo particolarmente sgradito è che è necessario dover salire molte decine di scalini lungo una corrente di folla che si muove velocemente. La vera meraviglia è invece un'altra e cioè la grande disponibilità dei moscoviti ad aiutare chi è in difficoltà a portare pesi eccessivi. Una vera e propria corsa alla generosità che non può non essere richiamata qui, accanto all'altra nota di un signore seduto nel vagone della metro il quale riconoscendomi come straniero si alza dal sedile facendomi cenno a sedermi al posto suo. È la vera anima russa che si manifesta concretamente in un gesto di altruismo a mio avviso da encomiare.
Mi ha colpito la descrizione di Giulietto Chiesa a proposito di un suo viaggio nel metro di Mosca alla fermata Kropotkinskaia che consiglio a tutti a leggere. Credetemi ne vale proprio la pena. Ecco a questo link l'URL.
La metropolitana di Mosca è efficiente nonostante sia datata e rumorosa. Non ci sono scale mobili nei tunnel di passaggio tra le varie linee. Trasportare una valigia, anche la meno voluminosa, è pertanto faticosissimo per i continui saliscendi delle scale. Visto il periodo storico in cui è stata progettata e costruita forse, alla base della decisione, ci sono state ragioni di politica interna di immagine del comunismo come sistema forte che combatte la pigrizia tipica degli americanismi di facciata.

Dalla fermata Bieloruskaya (in alto sulla sinistra nella mappa) esistono due percorsi alternativi pressoché uguali in numero di fermate, per arrivare sulla linea 3 di colore blu alla fermata di riferimento dell'albergo, chiamata Партизанская, ovvero Partizanskaya (in alto sulla destra). Scelgo di prendere quello della Circolare (Koltsevaya) linea 5, di colore marrone. Al ritorno proverò l'altro della linea 2 di colore verde che fa un percorso verso il centro città per la fermata di scambio Teatralnaya. Dunque, ci sono appena quattro fermate per arrivare alla linea di scambio chiamata Kurskaya. Il fatto è che le fermate di scambio qui a Mosca hanno nomi differenti, tutte tranne la Kurskaya. Così senza pensarci su, scendo le scale e imbocco il tunnel ben illuminato della stazione della metro per salire su una carrozza. Al contrario di come si legge in internet o sui manuali di guida, sulle carrozze della metro ci sono indicazioni molto efficaci per individuare la posizione in cui si trova in ogni momento la vettura in cui si viaggia nell'intera rete di trasporto. Vero è che raramente compaiono i nomi delle fermate della linea sulle pareti dei tunnel come avviene per esempio nella metro di Roma o di Milano, ma è altrettanto vero che ci sono due elementi di riconoscimento efficaci durante il movimento del treno a bordo delle carrozze della linea su cui si viaggia. In primo luogo una striscia luminosa lampeggiante sulla piantina che avvisa della prossima fermata con delle tacchette luminose in corrispondenza dei nomi delle fermate. In secondo luogo una striscia luminosa a scorrimento di colore giallo per le informazioni di servizio e di colore verde per la localizzazione delle fermate. In alcune carrozze ci sono addirittura entrambe. L'ultimo nome è il nome della prossima fermata. Ebbene, dopo le quattro fermate eccomi pronto allo scambio tra le due linee. E' necessario percorrere due lunghi tunnel e seguire il percorso individuato dal nome della fermata. E qui cade l'asino perchè ancora non conosco bene il meccanismo di passaggio tra i vari tunnel. In più ci si mette anche l'alfabeto cirillico che sembra essere, a una prima valutazione, il vero e unico problema del disastro della comunicazione a Mosca tra indigeni e turisti. Cerco di chiedere a un pattuglia di polizia formata da tre militari giovanissimi con cappello dalle falde enormi che sorvegliano la sala. Ma sembra che ne sappiano meno di me come transitare dalla linea 5 alla 3. Alla fine, con buona pace di tutti, riesco a passare alla linea blu in direzione Shchelkovskaya.

A Partizanskaya esco dalla metro e mi guardo intorno. C'è da attraversare la strada e inoltrarsi nella grande corte che fa da piazza dei vari alberghi. Per raggiungere il Best Western Vega devo andare diritto e poi a sinistra. Da qui si vede la sagoma del grattacielo con su scritto il nome ВЕГА in russo. Intorno a me vedo molti sfaccendati che aspettano. Ci sono anche dei taxi, quasi sicuramente "non ufficiali", e molti visi dei tassisti abusivi sono asiatici. Probabilmente sono immigrati russi che provengono dalle terre russe dell'estremo oriente. Questo è il primo impatto con il cosmopolitismo russo che prevede la coesistenza tra razze europee e asiatiche. Per me è una vera novità, interessante e imprevista. Piuttosto, c'è da osservare che finora, in ogni luogo nel quale mi sono trovato, ho visto sempre molti giovani lavorare come impiegati di tutti i tipi. L'elenco delle mansioni è variegato. Tra l'altro ho rilevato interesse e motivazione nel lavoro svolto. In strada c'è un po' di vento e alcune folate sono decisamente fredde.
Non so se essere soddisfatto o meno di questo clima autunnale più che tardo-primaverile nel quale mi trovo immerso, in cui il vento mi sferza il viso con fastidio. Sicuramente lo preferisco al caldo afoso e infernale che ho trovato nel mese di agosto a Bucarest alcuni anni fa quando nelle ore centrali della giornata, nel Centrul Vechi vicino all'Università, per poco non mi prese un colpo di calore come quello avvertito da Berlioz nel primo capitolo del libro Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov, quando nelle prime pagine dice: "All'improvviso smise di avere il singhiozzo, il suo cuore diede un ultimo battito e precipitò nel nulla, poi si riaffacciò alla vita, ma come trafitto da un ago spuntato". Dunque, ben vengano le folate di vento freddo siberiane: almeno eviterò i rischi di un colpo di sole che qui con questo clima è estremamente improbabile. Nonostante siamo a giugno e tra due settimane circa inizierà formalmente l'estate, avverto decisamente l'esigenza di indossare il giaccone che ho portato da Roma sottobraccio. Con piacere lo indosso. Tra l'altro, a proposito di clima e di Bulgakov, in questo momento la temperatura è sicuramente diversa e più accettabile di quella raccontata da Bulgakov a Mosca nell'incipit de Il Maestro e Margherita nel primo capitolo, dal titolo "Non parlate con gli sconosciuti", quando dice: "Nell'ora di un afoso tramonto primaverile comparvero ai Patriaršie prudy due cittadini [...] in quella terribile sera di maggio. Non solo al chiosco, ma lungo tutto il viale parallelo alla Malaja Bronnaja, non si vedeva una sola persona. In quell'ora, quando ormai sembrava di non avere nemmeno la forza di respirare, quando il sole, dopo aver bruciato Mosca, si inabissava lontano oltre l'anello dei giardini, il Sadovoe Kol'co, in una caligine secca[...]". Mi rimbocco il bavero del giaccone e guardo di nuovo all'insù verso l'Hotel Vega. Ricordo che il complesso dell'Izmailovo fu costruito dai sovietici in occasione delle XXII Olimpiadi del 1980. E' costituito da ben cinque grandi alberghi, con mille camere ciascuno. Ci sono l'Alpha, il Beta, il Gamma, il Delta e il Vega. A momenti si può imparare l'alfabeto greco a elencarli tutti. Entro nello spiazzo interno del complesso e dopo pochi minuti sono alla Reception dell'albergo. Un cameriere di colore, simpatico e gentile, mi aiuta a portare la valigia. La camera affidatami è la 1710, posta al diciassettesimo piano, con vista panoramica verso est dove si stende il Parco verdissimo dell'Izmailovo e dove sulla destra per me che guardo dall'alto c'è un enorme cantiere che sta costruendo ponti, strade ed edifici. Ricordo che in russo albergo si scrive гостиница, e si pronuncia gostiniza. Salgo con l'ascensore accompagnato dal giovane di colore al 17mo piano ed entro in camera.

Accendo il televisore per vedere alcune immagini della televisione russa. E' in assoluto la prima volta che sento parlare in una tv in russo. Mi stendo sul letto perchè la stanchezza si fa sentire. E' da questa mattina alle cinque che sono sveglio e in continuo movimento. Dal momento in cui sono uscito di casa non ho fatto altro che cambiare mezzi di trasporto senza riposarmi un momento. Autobus, treno, aereo, di nuovo treno e metropolitana sono in sequenza i mezzi presi in successione. Adesso reclamo un po' di riposo in camera prima di andare a cenare. Evidentemente non ho alcuna intensione di prendere la metro e andare in centro per un primo contatto con il centro storico. Se ne parlerà domani mattina.
A proposito di domani mattina devo fare attenzione alla toponomastica. Qui a Mosca i nomi delle strade, dopo il primo smarrimento dovuto al carattere cirillico della lingua, dovrebbero essere semplici. Cominciamo con naberezhnaja (набережная): indica la strada vicino al mare o al fiume : è il nostro lungomare, lungofiume ecc.; ulica (улица) è la strada per antonomasia, via Principe Umberto p. es., ha anche, come in italiano, un significato figurato, p. es. sulla "via del progresso" ecc.; pereulok (переулок) vuol dire vicolo, cioè una via secondaria, anche se i vicoli a Mosca, e in genere nelle città russe, hanno poco in comune con il nostro concetto di vicolo; insomma, non assomigliano certo al "vicoletto" di Napoli. Il bul'var (бульвар) è la strada di città molto larga, arteria stradale di scorrimento (per esempio viale Cristoforo Colombo a Roma). Ho lasciato per ultimo rjad (ряд) perché non c'entra nulla con le vie. Ochotnyj Rjad (Охотный Ряд) è il vecchio nome di un quartiere di Mosca e della vicina stazione del metro. Un tempo era adibito a mercato (si vendeva specialmente la selvaggina). Ряд indicava la piccola bancarella con tenda. Praticamente non ci si dovrebbe confondere come invece accade in Italia, dove tra strade e viali il turista può trovare parole incomprensibili come calle, salita, vicolo, piazzetta, etc. Lo verificherò domani per le strade del centro storico della capitale. Certo, parlare qui a Mosca di centro storico mi sembra una forzatura. Con le strade larghe quasi cinquanta metri, senza attraversamenti pedonali ma solo con sottopassaggi, con piazze grandi quanto un intero stadio l'idea di un centro storico così come è inteso in Italia in città storiche come Roma, nei vicoli del Rione Monti o come Venezia nelle calli venexiane (strade piuttosto lunghe e strette) non è proprio il caso di parlarne. Dunque, per centro storico a Mosca si devono intendere i luoghi più famosi e importanti della città che hanno il loro baricentro geografico nel Cremlino e la Piazza Rossa, distribuendosi nei posti viciniori con le due strade a raggiera della Arbat Antica e Nuova (come a Roma dove c'è l'Appia Antica e Nuova) e della Tverskaja. Proprio queste due ultime strade hanno il diritto di poter utilizzare l'aggettivo "storico" perchè proprio nelle due zone della Arbatskaja e della Tverskaja è che si trovano le stradine e i luoghi più interessanti.
Naturalmente come si suol dire in queste occasioni "in my opinion". Per l'esattezza basta calcare le strade presenti nel settore circolare dell'anello dei giardini che a mio parere c'è quel qualcosa che rende Mosca conosciutissima dal mondo della letteratura. Totò avrebbe detto che in quella zona della città "c'è del marcio in Danimarca". E il "marcio" è costituito proprio dal numeroso elenco di strade e di luoghi bellissimi presenti nel romanzo di Michail Bulgakov, Il Maestro e Margherita che in un certo senso definisce e dà senso all'idea di un centro storico letterario a Mosca. D'altronde Joyce a Dublino, Hamsun a Oslo, Gadda a Roma e altri scrittori famosi in altre capitali non hanno fatto così? Ci sono moltissime strade che sono rimaste come erano allora, con lo stesso nome, a più di 150 anni di distanza temporale che costituiscono un unicum moscovita a tutti gli effetti che rimarrà nella memoria per sempre. Ecco un breve campionario delle vie elencate da Bulgakov in ordine cronologico del romanzo: Malaja Bronnaja, Sadovaja, vicolo Ermolaevskij, Spiridovna, Arbat, Bolsaja Nikitiskaja, Krapotkin, il fiume Moscova, Tverskaja, Prečistenka, Ploshad Kudrinskaja, Giardino Aleksandrovskij, Petrovka, Smolenskij, Tverskoj Bulevard, vicolo Bolshoj Nicolopekovshij, etc. Bulgakov ha nominato anche la Rimskij (tradotta in italiano significa letteralmente Romana) ma si trova da tutt'altra parte. Evidenziateli con un evidenziatore su una mappa e troverete quello che a mio parere è il "centro storico letterario" di Mosca. Sappiamo benissimo che la Piazza Rossa e Kitaj Gorod (quest'ultima comprende la famosa Piazza Lubianka e il Palazzo dei Boiardi Romanov) sono centro storico anch'essi. In più il quartiere di Zamoskvorechie che contiene le piazzette vicino alla Galleria Tret'jakov e tanto altro ancora meritano di essere etichettate come centro, ma non storico. Dunque, questa sera niente centro storico, col rischio addirittura di incontrare un novello Woland con conseguenze pericolose dovute al versamento di "olio di girasole" nella strada ma una cenetta ristoratrice all'insegna della gastronomia tipicamente russa, detta "del cucchiaio", con zuppe e spezzatini vari spero alla Stroganoff. E poi un sonno ristoratore.
Mi presento al primo piano per cenare. La cena è a buffet. Costa 650 rubli (10 euro circa) e si mangia quello che si vuole e quanto si vuole. In effetti ci sono almeno una decina di teglie che "fumano", perchè contengono pietanze calde di tutti i tipi. Da sinistra a destra ci sono zuppe locali, secondi di carne e di pesce, contorni di varia natura cucinate al vapore, fritte e al forno. Sul tavolo da buffet ci sono gli antipasti, gli stuzzichini tipicamente russi, come cetriolini e varietà simili, pane francese e russo e altro. Le bevande sono variegate ma tutte rigorosamente analcoliche. Non ci sono birre, nè vini, nè superalcoolici e neanche vodka che, com'è noto, è la bevanda alcolica per eccellenza. Evidentemente negli alberghi è la prassi, per evitare ubriacature moleste di turisti poco attenti ai loro comportamenti e poco coerenti con i modelli russi che favoriscono la sobrietà. Già, la sobrietà. Sembra che in Italia nelle città importanti la sobrietà sia diventata una virtù inesistente. Al contrario abbiamo "movide" di tutti i generi: agli alcolici pesanti, alle droghe leggere e pesanti, al porno e dulcis in fundo alla violenza con contorno di stupri. E questi sarebbero i cosiddetti valori occidentali. Ma "mi faccia il piacere" avrebbe detto Totò chiudendosi un lato della giacchetta! Mi adeguo pertanto ai "disvalori russi" e bevo solo acqua minerale naturale. Ricapitolando, prendo consommé di pollo, riso in bianco, filetto di pesce al vapore, patate al forno con la buccia, pomodori freschi in insalata e acqua minerale con una fettina di pane scuro. Anche qui i camerieri sono giovanissimi e hanno visi caucasici e comunque asiatici. Non parlano l'inglese, non sorridono mai e soprattutto "non parlano". Sono muti come i pesci. Pertanto la comunicazione è ridotta al minimo.
Secondo giorno Sabato 6 giugno. Oggi è la prima mattina che trascorro a Mosca. Vista la carica di adrenalina che mi ritrovo addosso fin dall'alba, penso che sarà la giornata più importante di tutto il viaggio sia perchè è il primo giorno di visita vero e proprio, senza valigie da trasportare in metro, sia per il denso programma di visite che ho in calendario e sia infine per la carica di curiosità da soddisfare che mi ritrovo dentro. Di solito, dopo un sonno ristoratore in albergo e una buona colazione sono sempre nelle condizioni fisiche e di spirito ideali per visitare un numero elevato di obiettivi. "Sono pronto" dissi fra me. Per quanto riguarda la colazione il voucher che ho consegnato ieri sera alla reception parla chiaro e dice che nel prezzo pattuito non è prevista alcuna colazione. La faccio comunque, giù nella hall, al bar dell'albergo. Un bicchiere di latte caldo (молоко 200мд) 50 ryb, un espresso (эспрессо) 140 ryb e una specie di brioche con uvetta (улитка с изюмом) 65 rubli. Totale 255 rubli che, al cambio attuale, fanno 4€ circa. Una buonissima colazione, con un latte veramente squisito, piacevole al palato e caldo come lo desidero io. Adesso sono di nuovo in strada a godere la mia prima passeggiata da turista nella città. Parliamo di dove mi trovo. Sono con precisione a 55.79 gradi di latitudine nord e a 37.75 gradi di longitudine est. I valori 'notevoli' della latitudine e della longitudine mi informano che sono molto lontano da Roma, che invece propone questi valori: +41.89 e +12.49. Per quanto riguarda la longitudine della capitale russa, Mosca costituisce il mio record personale.

Una differenza di ben 25.26° mi convince che mi sono allontanato molto dalla Città eterna. Mai mi sono trovato in vita mia a una longitudine così elevata. Praticamente finora il massimo è stato a Nicosia e a Bucarest. Mosca costituisce la massima distanza intercorrente tra Roma e il meridiano passante per Mosca lungo il parallelo verso Oriente che è individuato dal segno (+). La latitudine, invece, è pressappoco come quella di Vilnius o di Copenhagen. Oslo, Stoccolma, Helsinki, Tallin e Riga, per esempio, sono a latitudine maggiore, sebbene di poco, di Mosca. Strano a dirsi, se non fosse per un venticello freddo che fa sentire i suoi effetti sul mio collo all'uscita dell'albergo potrei dire che si sta perfettamente bene. Non c'è per niente caldo. Qui le temperature africane che ho lasciato a Roma ieri mattina sono lontane mille miglia nello spazio e anni luce nel tempo. La temperatura è 16 °C. Il sole la innalzerà ancora di qualche grado ancora, non di più. Entro nella metro, alla fermata Partizanskaya, facendo uso della tessera magnetica acquistata ieri pomeriggio. Questa fermata della metro non è presidiata da alcuna babuska (nonnetta) e i controlli sono molto blandi. Scendo le scale. Un enorme gruppo marmoreo scuro si erge in cima alle scale. Rappresenta la figura simbolica dei partigiani. C'è un uomo col fucile, una donna e un bambino, cioè tutte le categorie di persone che uniti e determinati più che mai combatterono l'invasore tedesco impedendogli di arrivare a Mosca. Per la verità gli invasori furono due: i tedeschi e gli italiani. E qui si ritorna sul vecchio ritornello: gli invasori tedeschi furono i cattivi mentre gli invasori italiani furono i buoni. La conferma avrebbe dovuto venire dal famoso detto : "italiani brava gente". In realtà la faccenda andò in altro modo. Sia i tedeschi, sia gli italiani tentarono il colpaccio di invadere l'URSS per prendersi "il pollo" sovietico, ma la Resistenza indigena, quella Resistenza con la R maiuscola, rappresentata da molte statue nelle diverse linee della metropolitana di Mosca, ributtò indietro nazisti e fascisti, vera e propria vergogna europea. Non mi soffermo su questi eventi tragici, luttuosi e soprattutto vergognosi da parte dei miei concittadini di allora, di cui la mia generazione non ha alcuna responsabilità (io non ero ancora nato). Una sola cosa la devo dire perchè fu detta da un grande italiano, Elio Toaff, che disse: «lo squallore delle leggi razziali fecero scendere una cappa di vergogna sulla mia nazione». La storia ci ricorda il tragico errore degli italiani di farsi guidare da un lucido e spregiudicato individuo che commise peccati vergognosi. Ne hanno avuta una dimostrazione (forse sarebbe il caso di dire "una lezione") anche i francesi di Napoleone oltre che i tedeschi di Hitler e gli italiani di Mussolini. Il nome Partizanskaya si riferisce più propriamente all'evento storico del Novecento. Pensando a queste cose mi viene in mente a Berlino la foto del soldato russo che issò per primo la bandiera rossa dell'ex URSS sul tetto del Reichstag. Questa foto famosa l'ho pubblicata nella parte finale del mio resoconto di viaggio di Berlino. Scendo le scale di sinistra e prendo la metro. Uno sferragliare di rotaie mi avverte che le carrozze sono in arrivo. Entro e osservo la piantina delle fermate sulla porta. In effetti, in corrispondenza dei nomi delle fermate, ci sono delle luccioline che si accendono e spengono alternativamente per informare i viaggiatori che quella sarà la prossima fermata. Dunque, in ogni momento si è a conoscenza della posizione del treno alle varie fermate. La carrozza non è nuova, ma è pulita. Non si vedono tracce di graffiti, né di cartacce non raccolte. Ci sono molti giovani con i loro smartphone in rete col wi-fi della Metro e molte persone anziane che leggono libri e giornali. Nel complesso si nota un grande senso di educazione, di riservatezza e di compostezza che fa bene a tutti. Dopo quattro fermate (in verità sarebbero cinque, ma la fermata di Baumanskaya è sospesa per tutto il 2015 per manutenzione) eccomi a Ploshchad Revolyutsii. In ogni angolo dei passaggi da un treno a quello in senso inverso lungo il corridoio centrale ci sono statue di bronzo che simboleggiano militari e partigiani con il fucile. Una di queste statue sembra incontrare la simpatia dei moscoviti, i quali sfregano con la mano il muso della statua di un cane di bronzo, accucciato ai piedi di un militare inginocchiato che imbraccia un moschetto. Naturalmente con tutti gli sfregamenti giornalieri il muso del cane si è un po' "consumato", ha cambiato colore ed è diventato grigio metallico piuttosto che bronzo scuro. Dicono che sfregare il muso del cane porti fortuna. Non ci credo e non lo sfioro neppure. I lampadari sono circolari a forma di plafoniera piatta circondata da un anello di ottone che ricordano un passato "imperiale", luminosi quanto basta, che pendono dal soffitto. Nel centro c'è una balaustra d'altri tempi, che delimita una tromba di scala che scende verso dei tunnel di collegamento tra le linee. Ricordo che questa fermata è triplice perchè si intersecano tre linee differenti: la verde, la rossa e la blu e prende tre nomi differenti: Площадь Революции (Ploshchad Revolyutsii), Театральная (Teatralnaya) e Охотный Ряд (Okhotny ryad). La cosa che mi colpisce di più è la pulizia dei pavimenti e dei muri. Non c'è nessun graffito e il pavimento è lindo senza una sola cartaccia. Delle due l'una, o i russi sono civili (e lo sono) e non buttano cartacce a terra o, se le buttano, il personale addetto alle pulizie svolge egregiamente il compito. Personalmente sono dell'avviso che si verificano entrambe le situazioni. Sconsiglio vivamente di fare il confronto con la metro di Roma: uscirebbero giudizi pesantissimi contro l'inadeguatezza e l'inaffidabilità del sistema romano dei trasporti. Ma torniamo a noi. Esco dalla fermata di Площадь Революции (Ploshchad' Revolyutsii, ovvero Piazza della Rivoluzione) e la prima cosa che vedo di fronte a me, in fondo alla piazza, è il Большой театр, ovvero il famoso Teatro Bolshoj.

Inutile dire che è uno degli obiettivi più importanti della mia visita qui a Mosca. La facciata principale del Teatro Bolshoj, con le sue otto bellissime colonne, mi ricorda il Teatro della Scala di Milano. Sono dell'avviso che l'accostamento non è originale perchè entrambi, rappresentano nel mondo due dei teatri più prestigiosi. L'unica rappresentazione lirica alla quale ho partecipato al Teatro della Scala di Milano da spettatore interessato è stata nel lontano dicembre del 1985, con una bella ragazza al mio fianco, poi diventata mia moglie, da un palco per vedere e ascoltare l'opera lirica Madame Butterfly di Puccini. Nello stesso palco (quattro posti) mi trovai a sedere davanti alla moglie del Console giapponese di Milano e di un gentile signore australiano di Sidney che era venuto apposta dall'Australia per vedere di persona nel paese di Puccini l'opera lirica. La cosa più strana che mi sia successa a questo proposito è che ventisei anni dopo, nel 2011, questa volta non più a Milano ma a Roma, al Teatro dell'Opera, mi sono ritrovato ad avere vicino di posto lo stesso signore di Sidney del 1995 a vedere ballare la bravissima danzatrice russa Evgenia Obraztsova in Giselle, con la coreografia di Carla Fracci. Curioso re-incontro con lo stesso signore col quale scoprii a Roma di avere in comune oltre che il piacere dell'opera lirica e del balletto anche la passione del rugby, in particolare per la brillante nazionale del suo paese. Coincidenze che hanno dell'incredibile. Ho sperato di trovare la possibilità di vedere almeno una rappresentazione artistica nel teatro Bolshoj. Purtroppo in hotel mi hanno gelato, perchè i biglietti, mi è stato detto, sono veramente difficili da reperire. Mi avvicino al teatro che diventa sempre più bello nelle sue linee architettoniche perfette ed equilibrate. C'è da attraversare la Театральный проезд, cioè Teatralniy proezd ovvero il "passaggio del teatro". Si tratta di un gigantesco viale largo quasi cinquanta metri che ha disegnate sull'asfalto qualcosa come otto-dieci corsie, a senso unico. Non ci sono strisce pedonali. Per attraversarlo è necessario trovare il sottopassaggio. Vuol dire che toccherò con mano una delle otto colonne centrali del teatro in un altro momento. Adesso mi preme andare a vedere subito la Piazza Rossa, in russo Красная Площадь. Non posso più attendere. Ritorno indietro verso la metro da dove sono uscito pochi minuti fa e mi avvio per la Nikolskaya ulitsa che mi fa arrivare all'entrata dalla Porta della Resurrezione. La salto perchè desidero entrare nella piazza dal Kremlevskiy proyezd, Кремлевский проезд, che è il Passaggio del Cremlino da dove entrano ed escono per la sfilata militare i carri armati durante la mattina rigorosamente alle dieci del mattino di ogni 9 maggio. La Porta della Resurrezione può aspettare. La visiterò dopo. Lungo il marciapiede di questo passaggio, dal lato delle mura del Cremlino, vedo una lunga fila di gente. Non ne capisco la ragione ma la tengo sotto controllo, non si sa mai, ed entro nella piazza. Uno spettacolo indimenticabile. Raramente ho visto una piazza così grande e bella in una capitale europea. E' semplicemente colossale, nel pieno senso dell'aggettivo. In realtà in questa piazza di colossei ce ne entrerebbero facilmente almeno tre, messi in fila l'uno vicino all'altro. Certo la Piazza Rossa a confronto col Colosseo è come un bottiglione di vino rosso comune Sangiovese del 2014 al confronto con una rara bottiglia di vino rosso "invecchiato" Bolgheri Sassicaia 2009. "A buon intenditor poche parole", dice un proverbio che in questi casi calza alla perfezione. Dal centro della piazza si vede uno spettacolo unico. Lungo il perimetro rettangolare della piazza, guardando a 360°, c'è di tutto. Dal mausoleo di Lenin, alle mura del Cremlino, da S. Basilio ai Magazzini Gum, dalla Cattedrale di Kazan (in russo Казанский собор на Красной площади) alla Porta della Resurrezione, dal Museo Storico (Исторический музей) al monumento equestre del maresciallo Георгий Жуков (Georgy Zhukov) che è per la verità leggermente fuori. Non mi staccherei più da questo posto. Penso che sarebbe stato molto comodo avere uno di quegli aggeggi che usano i pittori di quadri che consiste in un piccolo sedile portatile a mo' di ombrello. Mi viene il desiderio di correre da una parte all'altra della piazza per vedere da vicino tutti i luoghi che ho testé elencati. Lo faccio comunque, ma senza correre, lentamente, per godermi lo spettacolo. Alla fine comincio ad avere sete e mi sento di essere pronto per entrare nei Magazzini GUM (ГУМ) per bere un bicchiere di kvas. La curiosità è massima. Entro e mi rendo conto che la struttura dell'intero stabile è organizzata su due piani in due lunghissimi corridoi che mettono in luce senza soluzione di continuità negozi, bar e servizi di tutti i generi. All'entrata, a pianterreno nel centro dell'edificio, c'è un chiosco che vende bicchieri di квас (Kvas) di diverso volume da 300 o 500 ml. Ne approfitto immediatamente perchè è la prima volta che ho l'occasione di assaggiarne un bicchiere e provare il gusto e l'odore. Il colore è scuro. La bevanda è leggermente frizzante e il suo gusto si avvicina molto a quello di una bevanda al tamarindo. In ogni caso ha un buon sapore, dolce quanto basta e soprattutto originale che mi richiama alla mente quando da ragazzo compravo una bottiglietta di spuma leggermente frizzante quasi uguale a questa che sto assaggiando in questo momento. Tutti i libri di narrativa russa parlano di questa bevanda prodotta dal grano saraceno fermentato e bevuta in modo interclassista sia da contadini, sia da nobili aristocratici. Non c'è posto dove sedersi a meno che non ci si sposti in una delle due lunghe gallerie a mo' di corridoio di cui è fatto il centro commerciale dove si trovano delle panchine. Si avvicinano al chiosco molti turisti orientali, cinesi e indiani soprattutto. La ragione non è che vogliono assaggiare il kvas. Probabilmente non conoscono nemmeno cosa sia questa bevanda. Piuttosto, sono interessati a farsi immortalare seduti sotto un albero di ciliegio finto, ma uguale in tutto e per tutto a uno vero per farsi la classica foto di famiglia. Devo riconoscere che chi ha costruito questo albero è stato bravissimo. Sembra veramente un ciliegio. Mi ricorda il bellissimo lavoro teatrale di Anton Cechov, Il giardino dei ciliegi, in russo Вишнёвый сад, traslitterato in Višnëvyj sad, in cui si narrano le vicende di un'aristocratica russa e della sua famiglia al ritorno nella loro proprietà nella quale si trova un grande giardino di ciliegi. I turisti, quasi tutti asiatici, sono scatenati. Una volta impossessatisi della posizione sotto il ciliegio non la mollano più. Fanno centinaia di foto: da soli, in gruppo, con il partner, con la partner, in gruppo familiare, in gruppo di amici. Ma più efficace di Cechov per descrivere la scena che vedo davanti ai miei occhi con il bicchiere di kvas in mano è la descrizione nel capitolo terzo delle Anime morte di Nikolaj Vasil'evič Gogol quando Vasilij Platonov invitò Čičikov (il protagonista del romanzo gogoliano) a sedersi.

Scrive Gogol: «Lillà e ciliegi in fiore, come una collana di perle di vetro, circondavano il cortile insieme a uno steccato, che era completamente nascosto dai loro fiori e dalle loro foglie. La casa padronale ne era completamente coperta, solo le porte e le finestre guardavano con grazia attraverso i rami.[...] Un ragazzo portò e posò di fronte a loro delle caraffe con kvas alla frutta di diversi colori e di tutti i tipi, alcuni densi come l'olio, altri effervescenti, come limonate gassate.[...] Questi sono kvas per i quali, da tempo, la nostra casa è celebre", disse Vasilij. Čičikov si riempì un bicchiere dalla prima caraffa, un vero e proprio lipec (bevanda al miele di tiglio) che egli un tempo aveva bevuto anche in Polonia: le bollicine erano come quelle dello champagne, e, attraverso la bocca, il gas gli produceva un piacevole pizzicorìo al naso. "Un nettare!" disse. Bevve un bicchiere da un'altra caraffa: ancora meglio. "La bevanda delle bevande!" disse Čičikov». Straordinario il ciliegio dei magazzini Gum ma più straordinario di tutti è Gogol con le sue descrizioni incredibili ed ed eccezionali.
Faccio un rapido giro al piano superiore. Sono le 11.15 quando scopro seminascosta una piccola banca che si chiama SPRAVKA al n. 3 di Красная Площадь che propone un cambio, a mio parere favorevole, di 1 euro=61,4 rubli. Cambio così 50 euro incassando 3070 rubli. Mi serviranno sicuramente a pranzo. All'uscita mi avvio verso la Воскресенские ворота (Porta della Resurrezione). Mi guardo in giro e con la coda dell'occhio vedo di nuovo la fila di persone in coda che avevo visto in precedenza nella salita del Kremlevskiy proyezd. Noto però che adesso è decisamente meno lunga di prima. Incuriosito mi metto in coda e dopo pochi minuti sono al posto di controllo della polizia che come in aeroporto verifica il contenuto di borse e borsette. Oltre il posto di polizia la fila si muove lentamente sul lato del muro del Cremlino e alle spalle del mausoleo di Lenin. Ai bordi del curatissimo passaggio si vedono targhe e busti in pietra dei diversi dirigenti del Partito e dello Stato sovietici messe in bella mostra.

Le targhe si riferiscono alle grandi figure del comunismo sovietico artefici della Октябрьская Революция (Rivoluzione d'Ottobre) e del suo consolidamento, mentre c'è una sola statua che rappresenta Stalin con decine di rose rosse ai suoi piedi. Subito dopo si entra nel mausoleo di Lenin, che si vede dalla Красная Площадь (Piazza Rossa). Si è costretti a seguire la fila a velocità controllata nè troppo veloce, nè troppo lenta ed è assolutamente vietato fotografare. All'interno l'ambiente è molto scuro e in alcuni tratti è buio pesto. Ci sono alcune torce elettriche che fanno riflettere la luce sul viso di Lenin mummificato. La salma imbalsamata di Lenin è molto delicata tanto che viene protetta dalla luce e addirittura ogni anno e mezzo viene immersa in un bagno liquido di una sostanza chimica segreta in grado di rigenerarla. Le guardie sono molto severe e non è consentito nè parlare, nè fermarsi per ragioni di sicurezza. Esco dal mausoleo con un senso di liberazione per l'inconsueta visita al protagonista principale della Rivoluzione d'Ottobre e mai come in questo caso sono d'accordo con Dante Alighieri quando nel verso 139 dell'Inferno, nella Divina Commedia, scrive : "E quindi uscimmo a riveder le stelle". Credo tuttavia di essere stato fortunato perchè entrare nel mausoleo di Lenin e vedere la salma imbalsamata può ben dirsi un vero "avvenimento". Non mi rimane allora che andare a vedere da vicino S. Basilio.

Sulla Храм Василия Блаженного Cattedrale di S. Basilio esiste un'intera enciclopedia di studi, di fatti di storia, di arte e di vicissitudini di tutti coloro che l'hanno costruita e fatta costruire. Si dice che lo Zar del tempo fece strappare gli occhi all'architetto che la progettò per evitare che lo stesso avesse potuto farne costruire una copia in futuro, tanto è risultata bella e perfetta. Per entrare è necessario pagare il biglietto. Ci rinuncio perchè c'è la fila e il tempo stringe. Più che una chiesa o cattedrale, che dir si voglia, S. Basilio sembra essere un museo a cielo aperto all'esterno. All'interno dicono che sia piccolina e che non ci sia nulla di interessante perchè l'esasperazione della bellezza architettonica sta fuori, nelle cupole, nei colori e in tutto il resto. Penso proprio che sia così. Vedo uno strano movimento di operai che stanno transennando un'area vicino S. Basilio. Non ci faccio caso e passo oltre.
Ma cambiamo discorso perchè è giunta l'ora del pranzo. Il nome del ristorante l'ho già deciso da tempo. Ho deciso di pranzare al "Кафе Пушкинъ", in italiano Caffè Puskin, che si trova in ул. Тверской бульвар, дом 26-А, Москва, ovvero in Tverskoy Boulevard, 26-A. In breve si tratta probabilmente del ristorante turistico più conosciuto e famoso di Mosca Si trova a circa cento metri dalla fermata della metro Tverskaia. Mi rifiuto però di prendere la metro e siccome la distanza è breve mi muovo in direzione del viale Tverskaia partendo dalla statua del maresciallo Zhukov. Nella grande piazza vedo a destra l'edificio della Duma e a sinistra una parte del Parco di Alessandro con le tre cupole verdi che emergono dal verde dell'erba. L'architettura è tipicamente real-socialista e gli edifici splendono sotto una forte luce solare che li rendono bellissimi. Mi piace. Decisamente questa Mosca mi piace molto. Devo attraversare prima la Moxovaia Uliza. Non ci sono strisce pedonali e l'unica maniera per attraversarla è il sottopassaggio della metro alla fermata Okhotnyy Ryad. Il viale è molto bello e per un lungo tratto si presenta leggermente in salita.

Ci sono molti negozi di marca per lo shopping. Spiccano per eleganza e fastosità molte case di moda francesi e italiane. Un esempio di maisons italiane sono : Falconeri, Intimissimi, Tezenis, Stefano Ricci, Massimo Dutti, Baldinini, Braccialini, Bosco. C'è comunque da rilevare che la vera vetrina dell'abbigliamento della città non è la Tverskaia ma sono i magazzini Gum. Mi colpisce un fatto e cioè che c'è un solo numero civico per ogni palazzo. Questo significa che non si vedranno mai a Mosca indirizzi di abitazioni o di negozi del tipo «uliza Tverskaia, 750» perchè ciò equivarrebbe a considerare la Tverskaia una lunga via costituita da 750 edifici. Considerato che un edificio è lungo circa cinquanta metri avremmo una via lunga circa trentasette chilometri. Solo le vie cosiddette consolari che partono da Roma sono lunghe centinaia di chilometri a condizione che la numerazione civica ritorna ad azzerarsi tutte le volte che cambia il comune. A Roma invece è normale trovare via Appia 1230, oppure via Tuscolana 1450, etc.
Gli edifici presenti sono in larga parte edifici pubblici, con i loro maestosi cancelli su uno dei quali spicca la data di installazione del 1946. Curiosa data che mi riguarda da vicino. La vera novità è che la Tverskaia ogni centinaio di metri circa presenta delle enormi entrate ad arco che introducono in una via laterale. Uno di questi elementi architettonici lo si può vedere nella foto alla mia sinistra alle spalle. Non sono portoni o arcate di entrata di un palazzo ma autentici capolavori di costruzione edilizia che immettono in strade che si snodano perpendicolarmente alla Tverskaia. Prima di raggiungere l'anello dei giardini sulla sinistra imbocco il Bolshoy Gnezdnikovskiy pereulok nella quale c'è una filiale di Banca Intesa S. Paolo con un suo bancomat. Lo uso per prelevare dei rubli che mi serviranno nei giorni a venire senza pagare alcuna commissione. A proposito della zona verde qui vicino al ristorante Puskin, v'è da puntualizzare che a Mosca ci sono diversi tipi di anelli geografici che marcano il territorio moscovita in superfici circolari più o meno grandi. I due più conosciuti sono quello "dei giardini" e quello "dei boulevard". Entrambi circondano il centro del cerchio geografico, nella parte nord oltre la moscova, che coincide con il Cremlino. L'anello dei giardini è quello più interno di tutti, con raggio approssimativamente la metà dell'altro, più esterno. Bulgakov, per esempio, nel Maestro e Margherita all'inizio del capitolo cinque dal titolo Nel frattempo al Gridoedov, a proposito del luogo dove lavorava Berlioz, scrive: "L'antica casa a un piano, color crema, si trovava sull'anello dei boulevard, il Bul'varnoe kol'co[...]". Se avessi più tempo organizzerei a Mosca un tour dei luoghi letterari più famosi di Mosca riportati nelle opere dei grandi scrittori della letteratura russa. Sei giorni purtroppo sono pochi. Sarà un successo se potrò visitare il 50% dei luoghi desiderati. L'ultimo tratto della Tverskaia lo percorro a velocità sostenuta perchè comincio ad avere fame.

Il кафе пушкинъ москва (Caffè Puskin) è "dietro l'angolo" e una ciotola di borsč sta attendendo il mio arrivo. Tuttavia non mi è facile orientarmi e il Tverskoy Boulevard, 26 si ostina a "nascondersi" mentre le difficoltà per localizzarlo aumentano a causa dell'ansia da prestazione. Chiedo a una gentile ragazza dove si trovi il n. 26. Perchè il problema non è individuare la via ma il numero civico. E dire che il Tverskoy boulevard è una via famosa non solo perchè fa parte dell'anello dei giardini ma anche perchè è citata da Michail Bulgakov ne i Racconti Fantastici. Le avventure di Čičikov della BUR quando nel paragrafo 4 scrive: «Sul Tverskoj bul'var, proprio di fronte al Monastero della Passione, attraversata la strada, e si chiama Monpuš del Tverbul». Col suo smartphone e con Google Maps la ragazza mi indica la direzione giusta. Aggiungiamo il fatto che ci sono due entrate: la prima è una pasticceria e la seconda è il ristorante vero e proprio. Dopo pochi minuti sono seduto comodamente a un tavolo del ristorante. Guardo il menu facendo finta di orientarmi alla meglio. In verità in internet lo avevo studiato nei minimi particolari. Ordino pertanto per primo, in una tazza di porcellana, una zuppa di borsč alla barbabietola con filetto d'oca, di colore rosso che più rosso non si può, con una ciotolina di panna acida. Per secondo un piatto misto, chiamato "degustazione russa", costituito da manzo allo Strogoff coperto da una salsina bianca di panna; per contorno dei funghetti, delle patatine al forno, un assaggio di pochi pelmieni con ripieno di manzo, una frittellina con ripieno dolce e da bere un bicchiere da 500 ml di kvas scuro, più forte di quello bevuto in mattinata ai magazzini Gum. In russo l'elenco delle pietanze sulla ricevuta fiscale è molto più sintetico: Борщ300 570руб, квас 135руб, Русская дегустация 935руб, в том числе НдС 250руб, per un totale di 1890 руб l'equivalente di circa trenta euro. Al termine esco dal ristorante e rientro nella pasticceria del Puskin, situata subito dopo l'entrata del ristorante a fianco. Nella vetrina espositrice ci sono delle vere e proprie leccornie che meritano una piccola sosta.

Il cameriere mi informa che oltre ai prodotti esposti al banco c'è una vera e propria specialità della casa che merita di essere assaggiata. Curioso fino in fondo mi lascio convincere, sedendomi a un tavolo nel centro della saletta. Un espresso 210руб e un dessert tipico della casa, molto simile a un semifreddo alla mandorla, 450руб mi permettono a conclusione di un lungo pasto una più adeguata e completa riflessione sulla proposta di ristorazione del Puskin. Non c'è che dire si mangia bene. Se si ha poi l'accortezza di non esagerare con il numero delle portate il pranzo è più digeribile e consente di apprezzare fino in fondo la cucina russa. Si dice da più parti che la gastronomia russa è una gastronomia "da cucchiaio" piuttosto che "da forchetta". Non ritengo utile una eccessiva semplificazione perchè se è vero che i russi sono autentici maestri nelle zuppe non scherzano neanche nei piatti da forchetta siano essi di carne o di pesce. Subito dopo sono in strada in una giornata semplicemente splendida, con un cielo che sprizza azzurro a volontà. Avverto la necessità di camminare e mi avvio lungo l'anello dei giardini nel Tverskoy Boulevard sotto gli alberi protetti da una cancellata artistica molto bella tra le due carreggiate del viale. Proseguo nel Nikitskiy bulvar fino a intersecare la ulitsa Novy Arbat, lunga e larga come la Tverskaya. Sto praticamente "scendendo" da nord a sud lungo l'asse viario ortogonale alla ulitsa Novy Arbat.

Tra le tante cose il mio obiettivo è tra poco di imboccare l'Arbat, ovvero la pedonalizzata Arbatskaya che chiamerei "Antica", così come a Roma si chiamano Appia "Nuova" la prima e Appia "Antica" l'altra, pedonalizzata però solo durante le festività e per una parte della giornata. Ebbene, poco prima di arrivare a Casa Gogol vedo il primo e unico graffito moscovita su un muro. Uno scarabocchio con molte frecce nere a mo' di sfregio scritto sulla facciata della casa. Immediatamente dopo c'è la targa commemorativa a Gogol sulla quale c'è scritto che dal 1848 al 1852 Gogol visse in questa casa. Subito dopo si può entrare nel giardino della "casa museo" gogoliana, nel centro del quale c'è la statua di Gogol. Pochi minuti di meditazione ai piedi della statua mi bastano per onorare la memoria dell'autore delle Anime morte. La passeggiata continua e volendo si potrebbe continuare a camminare diritto fino al fiume Moscova. Dopo alcune decine di metri svolto a destra e inizio a percorrere la Arbatskaya, gioia e felicità dei turisti di tutto il mondo che visitano Mosca perchè trovano qui una strada come la parigina Montmartre, piena di artisti, suonatori, giocolieri, disegnatori e pittori che disegnano volti di tutti i tipi. Qui non ci sono auto per tutta la sua lunghezza e si può passeggiare a piacere osservando vetrine e negozietti. C'è molta gente che passeggia. Io sono un po' a disagio perchè sono l'unico fra tutti che si muove nella strada indossando un giaccone invernale. Giovani e meno giovani sono viceversa in maniche corte. Ho dunque validi motivi per essere in imbarazzo. Tuttavia il giaccone l'ho portato a Mosca perchè ero convinto di trovare molto freddo come quando anni fa andai a Stoccolma e mi ammalai per l'insufficiente abbigliamento indossato e inadatto a fronteggiare il freddo vento polare svedese. D'altronde Gogol stesso fa dire a Čičikov quando parla con Vasilij, a proposito della vendita di un terreno incolto: «Ognuno al mondo tira l'acqua al suo mulino. "Se a uno una pera gli serve davvero, poi va a finire che sradica il pero" dice il proverbio». Ebbene, non mi pento per niente di avere portato questo giaccone da Roma. L'Arbatskaya non sembra ma è una strada abbastanza lunga da gustare lentamente e sempre piena di gente. C'è una doppia lunga fila di lampioni classici a tre luci ai bordi della strada e molte panchine pulite. Edifici dalle belle e ristrutturate facciate e nessuna cartaccia per terra. Passeggiando si provano diverse sensazioni: per un verso fastidio per la confusione e i rumori tipici di una strada di divertimento e dall'altra allegria e interesse per gli eventi che si vedono. Quale delle due sensazioni è prevalente dipende poi da molti parametri personali. In questo momento io non sono stanco e quindi provo piacere a vedere giovani che vestono da orsi e fanno ridere i bambini.

All'improvviso però, da una stradina laterale, compare una specie di processione di belle ragazze russe vestite con un sari indiano, con colori sgargianti, che sfilano sorridendo a passo di danza. Devono appartenere a qualche setta di tipo orientale. Non me l'aspettavo. Pensare che qui, appena un ventennio fa, vigeva la più forte ortodossia comunista del mondo e adesso vedere a Mosca una specie di pubblicità alla Jesus Christ Superstar che organizza una sfilata psudo-orientale mi fa sorridere e mi fa capire che i tempi sono veramente cambiati a Mosca e nel mondo intero. La globalizzazione presenta il conto e permette ciò che prima era proibito. Sullo sfondo della foto si vede una costruzione da castello fatato. Si tratta di un ristorante orientale caucasico che pubblicizza un menù georgiano o qualcosa di simile. Dopo il borsč e lo Stroganoff di oggi penso che me la farò alla larga da pietanze pesantucce. A metà percorso, sul lato destro della strada vedo due statue di un uomo e una donna in abbigliamento ottocentesco. Sono del poeta Puskin e di sua moglie Natal'ja Gongarova. Di fronte alle statue c'è la "casa museo" Puškin (Memorialnaya Kvartira A.S.Pushkina Na Arbate) dove vissero entrambi per un certo periodo.

Le due rose rosse in mano alla Gončarova sono la testimonianza concreta di quanto valore ha nella cultura russa il nome Aleksandr Sergeevic Puskin. Piuttosto, c'è da rilevare che la bella moglie è stata per lui fonte di tanti problemi, debiti e gelosie. Puskin, infatti, morì nel 1837 a seguito di ferite da taglio riportate in duello contro il barone Georges-Charles de Heeckeren d'Anthès, sfidato per gelosia nei confronti della moglie. Anche Puskin come tanti poeti e letterati russi amò l'Italia. Famosi furono i versi scritti in nome di una bella donna veneziana di cui Puskin si innamorò. Ecco cosa scrisse a questo proposito: «Delle notti dell'Italia dorata io godrò la voluttà, in libertà, con una giovane veneziana, ora loquace ora muta, vagando nella gondola misteriosa, da lei apprenderanno le mie labbra la lingua del Petrarca e dell'amore. (Aleksandr Puskin, Eugenii Onegin, I, XLIX)». Lungo quasi tutto il percorso troneggia sullo sfondo della ulitsa Arbat la sagoma severa del Ministero degli Esteri russo, uno dei sette edifici che definiscono il panorama della cosiddetta "linea del cielo" di Mosca. La parte più alta del Ministero guardata con attenzione e sfumata in alcuni suoi dettagli rassomiglia molto alla sagoma del famoso Mont Saint-Michel in Francia. Rifletto con particolare piacere a quante cose ho visto oggi. Tuttavia è da questa mattina che mi muovo per le strade moscovite e ho notato una stranezza che fa capolino nella mia mente: non ho visto un solo cane per le vie di Mosca. Né al guinzaglio, né peggio libero. Delle due l'una: o ai moscoviti non piacciono i cani e non li possono soffrire a tal punto da non portarli mai a passeggio per le strade della capitale russa oppure è a loro severamente vietato portare i cani nelle strade del centro storico. Credo che la seconda ipotesi sia la più probabile ma non ne sono certo. Rimane il fatto che cani qui non se ne vedono. Alla fine della Arbatskaya arrivo in una piazza, chiamata Smolenskaya ploshchad'. In realtà è un pezzo del viale Smolenskiy che viene chiamato così. Guardo con interesse Smolenskiy bulvar. Tra l'altro sono costretto a percorrerne un breve tratto e noto che è enorme. Ha 12 corsie ed è praticamente impossibile attraversarlo in superficie. E' necessario prendere un sottopassaggio. Cerco la fermata della metro ma non la trovo. Evidentemente deve "essersi nascosta" da qualche parte. Devo fare il giro dell'edificio per trovarla seminascosta in una piazzetta interna. Questa fermata si trova sulla linea 3 che è poi la linea metro del mio albergo. Riprendo il percorso inverso e ritorno a Partizanskaia. All'uscita entro nell'emporio presente a fianco dell'entrata della metro e compro una piccola bottiglia di 250 cc di vodka russa dal nome curioso Пять озер che significa "cinque laghi". Un bel bicchierino di vodka potenzierà il sonnifero della stanchezza per dormire bene e profondamente. A cena vado nel ristorante al primo piano del'Hotel Vega. Consommé di pesce, patate bollite, riso con carote, aringa e acqua è il menù che mi sono costruito dopo un'attenta visione delle pietanze presenti. E per dessert una mezz'oretta di televisione russa. Garantisco che funziona meglio di un potente sonnifero.
Terzo giorno domenica 7 giugno. Non vedevo l'ora di venire a Mosca per respirare un po' d'aria fresca. E fresca l'ho trovata perchè nella corte dell'Izmailovo devo mettermi al collo una sciarpa leggera di lana per evitare di prendere la stessa tracheite che ho preso a Stoccolma sette anni fa. "Questa volta" mi sono detto "non mi faccio fregare. A costo di sfiorare il ridicolo, il giaccone (e in casi di ostinato e gelido vento che qui non manca anche la sciarpa che mi si vede indossare) non li tolgo in nessun caso". E se il vento freddo soffiasse contro la mia gola in modo pericoloso chiuderò anche il colletto del giaccone per proteggermi meglio. Non si sa mai. Ho giurato a me stesso che mai più soffrirò come a Stoccolma. Qui c'è il diario di viaggio di quei cinque giorni svedesi spiacevoli e insopportabili. Oggi è domenica. Sto andando alla Galleria Trietkof situata nella parte sud della città, oltre la Moscova. E' la prima volta che varco il fiume. Ci sono centinaia di opere d’arte famose da vedere che "mi stanno aspettando" per una visita desiderata da decenni. Dunque, l'orario e l'importanza dell’evento è palpabile fin dalla mattina appena sveglio. Ore 9.00 prendo la metro a Partizanskaya la metro per Ploschad Revolyutsii. Ormai i nomi delle fermate della metro non mi preoccupano più. Anzi mi caricano come se stessi facendo un viaggio esploratore in una zona "selvaggia e sconosciuta".

Con la linea verde arrivo non a Третьяковская, cioè Tretyakovskaya ma a Новокузнецкая, cioè Novokuznetskaya. Evidentemente un pasticcio cromatico tra colore verde e giallo mi fa ritardare un po' l'arrivo alla galleria, segno che il carattere cirillico non è stato ancora digerito adeguatamente. Meno male che non se ne è accorto nessuno del mio errore. Tra le tante cose da dire su questa vicenda dei tunnel di collegamento la più difficile mi sembra essere proprio quella del passaggio da Ploshchad' Revolyutsii linea blu a Teatralnaya linea verde. Devo fare attenzione perchè questo passaggio, da linea blu a verde, è cruciale nel percorso per ritornare all'aeroporto. Tuttavia devo dire che su questo cambio la chiarezza delle informazioni fa un po' difetto. Purtroppo, la fermata Tretyakovskaya si trova lungo la linea gialla che non ha linee di scambio con quella blu che proviene da Partizanskaya. Alla fine arrivo a Tretyakovskaya a piedi dalla Novokuznetskaya passando di lato alla Chiesa ortodossa di San Clemente, in russo chiamata Tserkov Klimentie Papy. La chiesa mostra quattro cupole blu stellate, una centrale dorata e due storie. La chiesa è carina, piccola, con una linea di architettura classica ortodossa che mi sarebbe piaciuto visitare. Come molti altri edifici storici durante l'era sovietica le autorità comuniste l'avevano destinata alla demolizione ma poi l'hanno trasformata prima in una scuola materna e successivamente per catalogare i libri per la Biblioteca di Stato "Lenin". Solo nel 2008 ha fatto ritorno alla Chiesa ortodossa. Proseguendo diritto dopo la fermata metro della Tretyakovskaya e svoltando a destra si arriva in una piazzetta nel verde in cui al centro c'è una specie di monumento formato da tre cornici vuote dorate. Il segnale è chiaro: siamo prossimi alla galleria.

Infatti svoltato l'angolo vedo l'edificio con il cancello d'entrata. La Galleria Tretjakof in russo Государственная Третьяковская Галерея è un autentico oggetto delle meraviglie nonché massima aspirazione dei curiosi dell'arte pittorica russa. Quante volte sulle foto o le immagini in internet ho visto questa entrata. Si vede in tutte le salse. In estate, in inverno, con la pioggia, con la neve, col sole, di mattina o di sera. Insomma in mille modi ed è fotografata dai turisti in modo esagerato. Al centro della foto la facciata della porta d'ingresso. Dopo aver superato il controllo magnetico all'entrata scendo al piano inferiore dove ci sono le casse. Compro il biglietto pagando 450 rubli, cioè quasi 9 euro. Il percorso si snoda per tutte le 62 stanze del museo situate sui due piani dell'edificio. Tropinin, Vrubel, Repin, Ivanov, Perov, Polenov, Surikov, Veresčagin, Levitskij, Kiprensky ed altri mi impongono la visione dei dettagli delle loro opere, autentici capolavori dell'arte russa dell’ottocento. Emozioni e gradevoli visioni caratterizzano una osservazione unica al mondo. Si va dal Demone seduto di Vrubel a La processione nel governatorato di Kursk di Repin, da Il mattino dell’esecuzione delle guardie imperiali in Piazza Rossa di Surikov a Matrimonio ineguale di Pukirev, da Ivan il Terribile e suo figlio morto di Repin alla Trinità di Rublev, da I cosacchi dello Zaporozhtsev scrivono una lettera al Sultano di Turchia di Ilya Repin al commovente dipinto intitolato Troika, cruda rappresentazione del lavoro minorile, da La traversata delle Alpi di Suvorov alla Meditazione del Cristo di Kramskoy, mentre Bojarynja Morozova è stata tolta dalla parete per restauro. Il contrasto sociale tra le due classi dei nobili e ricchi possidenti e la dura esistenza del mondo contadino mi colpisce molto per la capacità degli artisti di evidenziate il leit motiv della differenza di condizione di vita tra i due soggetti.

Le sale pullulano di visitatori. Ci sono giovani e anziani ma ci sono anche insegnanti con i loro allievi e, fatto più importante, molte delle classi in visita sono ragazzi di scuola elementare, tutti in religioso silenzio che ascoltano i loro insegnanti. Strano a dirsi è permesso a tutti di fare foto. Non me lo sarei mai aspettato. Alle mie spalle c'è il famoso quadro di Aleksandr Andreevič Ivanov dal nome Apparizione di Cristo al popolo. L'Autore impiegò ventanni prima di finirlo. Ricordo che Ivanov, dopo aver visitato la Germania e l'Austria, si stabilì in Italia lavorando soprattutto a Roma e vi rimase dal 1831 al 1858, come dire che rimase nella Città Eterna per ventisette anni! Alla fine era più "romano de Roma" lui che alcuni romani di Borgo S. Pio. Tra letterati, artisti, nobili ed esuli russi vissuti a Roma nell’800, oltre a Ivanov che, ripeto, battè il record di permanenza, si registrano le presenze dello scrittore Turgenev, nonché di altri pittori come Kiprenskij e Brjullov. Tutti frequentavano l’Antico Caffè Greco di via Condotti, posto di ritrovo abituale dell’intellighenzia russa ma anche del romanziere Nikolaj Gogol, che tra il 1838 e il 1842 prese alloggio come abbiamo detto in precedenza nell’odierna via Sistina. Tra le tante tele viste mi colpiscono anche una decina di quadri che rappresentano panorami e scene di vita italiani. Roma spesso ma frequentemente anche Napoli e altre città campane sul mare, come Capri e Sorrento, furono i soggetti protagonisti di queste opere diciamo così "minori". Di Kiprensky per esempio è la tela che riprende la città di Napoli, dal titolo "Lettori di giornali a Napoli. "Vita da osteria" è un altro esempio significativo. Ci sono altresì rappresentazioni di panorami e scene di vita dell'antica Roma che fanno capolino in diverse sale. In una di queste si trovano alcuni quadri di Silvestr Fedosievich Shchedrin, come Il Porto dell'Isola di Capri del 1827, ma anche La spiaggia di Sorrento con vista sull'Isola di Capri e Notte di luna a Napoli. Aggiungo anche il quadro di Fedor Matveev, Vista Colosseo del 1816 che ho apprezzato molto visto che si tratta di un Colosseo mai visto nella realtà perchè immerso in un verde, oggi irreale.

Tante sono le opere interessanti che potrei commentare. Un solo esempio tra tutti: il cosiddetto Matrimonio ineguale (1862). Di solito si parla non di ineguaglianza ma di disuguaglianza. In effetti i prefissi dis- e in- introducono il contrario di una parola. Nel nostro caso invitano a pensare a due sfumature differenti nel significato della parola. Fatto sta che il matrimonio di cui si parla qui è l'opera dello straordinario pittore russo Vasilij Vladimirovič Pukirev che lo ha titolato proprio così неравный брак, traslitterato in Neravnij brak, cioè Sposalizio ineguale. A questo link ci si è sbizzarriti a giocare tra vignette irriverenti alla Simpsons e arte pittorica russa. Rimane il fatto che lo sguardo dello sposo e quello della sposa ci convincono che alla base di quel matrimonio sicuramente non c'è l'amore. Anzi. Nella famosissima tela di Pukirev si vede uno sposalizio (matrimonio) effettuato secondo il rito ortodosso tra un vecchio agiato e danaroso signore, dall’espressione incuriosita e severa, e una giovanissima ragazza (oggi diremmo minorenne), dallo sguardo triste e arrendevole, che guarda in basso. Vedere da vicino quest'opera è una vera sofferenza perchè i tratti del dipinto, gli sguardi degli altri protagonisti, compreso quello non certo indenne del pope ortodosso che qui mi ricorda il Don Abbondio dei Promessi Sposi, ci invitano a ricordare la triste realtà della coartazione della volontà dovuta all'obbligo di dover costringere la giovane a soddisfare la potenza del ruolo sociale delle classi dominanti e in fin dei conti del potere del denaro. Non meravigliamoci. Era così ovunque. Manzoni con il caso "Don Rodrigo-Lucia Mondella" ha toccato il tasto nel settentrione d'Italia. Nel meridione poi fin dopo l'inizio della Repubblica esistevano ancora lo jus primae noctis e il pluritutelato delitto d'onore. Sui capolavori presenti nella galleria potremmo parlare per ore. In ogni caso si tratta di gustare l’evoluzione della pittura russa, di pari passo con la storia, nella prospettiva di uno sfondo fatto dalla narrativa russa con i grandi come Lev Nikolaevič Tolstoj, Nikolaj Vasil'evič Gogol', Michail A. Bulgakov, Fëdor Michajlovič Dostoevskij, Aleksandr Sergeevič Puškin, Ivan Turgenev ed altri. Almeno in "my opinion". Tuttavia c'è da dire che anche le visite più interessanti prima o poi finiscono e così alle 13 circa esco dalla Galleria per trovare un posticino dove mangiare e sgranocchiare qualcosa. Non ho molta fame. Dunque, mi basterà un pasto frugale a un self service qui vicino, purché il cibo sia rigorosamente di matrice russa. Nei precedenti viaggi mai ho mangiato un piatto di spagnetti o di lasagne all'estero.

Sono quasi le 13.15 quando al n. 27 di ulitza Piatnizkaia (in russo Пятницкая ул. 27) in una bella palazzina liberty a un piano, di colore rosa pastello, mi presento al "Restoran Grabli". In russo Грабли significa "il rastrello".Non mi faccio troppe domande. In verità è un self service di una catena commerciale russa e questo mi dà più sicurezza nella scelta dei piatti perchè la vista mi permette di vedere come sono i cibi presenti al banco davanti a me. Non ho molta fame perchè ho ancora davanti a me la visione delle centinaia di tele del museo che mi appaiono alla mente e mi distraggono dagl iaspetti materiali del cibo. Prendo un piatto di patatine al forno con funghetti, un panino integrale, un bliny al formaggio e una bottiglia da mezzo litro di kvas scuro. Il locale è affollato e qui dentro fa caldo. Al termine del pasto mi sposto ai tavoli fuori in un'oasi di piantine verdi sotto un tendone. Osservo i clienti. Scene identiche a quelle che si vedono in qualunque capitale dell'Unione Europea. Se non fosse per una convinta e naturale riservatezza, aggiunta a un abbigliamento decisamente sobrio e senza tatuaggi non avrei avvertito differenze nel vedere davanti a me giovani e anziani.
Quarto giorno Lunedì 8 giugno. Prendo la metro a Partizanskaya per Арбатская, cioè Arbatskaya. Questa fermata della metro di Mosca è una delle poche che ha il nome scritto sul muro del tunnel di scorrimento dei treni. La giornata di oggi prevede la visita all'altro importante museo di Mosca, che è il Museo delle belle arti Puskin. Questo museo è importante perchè, al contrario della Galleria Tretjakof, qui non sono presenti opere indigene ma straniere, non russe, provenienti dai paesi occidentali di larga consuetudine con l'Arte, come Italia, Francia, Olanda, Spagna, etc. Il museo Puskin è il secondo museo di arte straniera più importante della Russia dopo l'Hermitage di S. Pietroburgo. Il tema è arte europea, impressionista e post-impressionista con salti antecedenti nel periodo rinascimentale europeo. Un esempio? Nudo di Renoir, Mont Sainte Victoire di Cézanne, Pesci rossi di Matisse, Assuero Amar ed Ester di Rembrand, Annunciazione di Botticelli, Ritratto del Fayoum addirittura del I secolo. E poi ancora il Perugino, Pieter Brueghel il Giovane, van Dyke, van Gogh, Rubens, Murillo, Monet, Gauguin, Canaletto, Degas, Rodin, etc. Come succede spesso in queste circostanze ecco che il diavolo ci mette lo zampino e, complice una mia certa disattenzione, quando arrivo al museo scopro che il lunedì è chiuso. Faccio buon viso a cattiva sorte, azzero il programma di visita e riparto invertendo l'ordine di oggi con domani. Dunque, prima la Cattedrale del Cristo Salvatore, poi la Biblioteka imeni Lenina, la Torre della Trinità, i monumenti alle città eroiche dell'Unione Sovietica, la Tomba del milite ignoto e di nuovo nella Piazza Rossa alla cattedrale di Kazan, per andare infine alla Lubianka. Ho a disposizione l'intera mattinata. Vedrò il museo Puskin domani mattina ristabilendo un ordine naturale, oggi purtroppo stravolto. La Cattedrale si trova a due passi dalla fermata metro di Боровицкая, cioè Borovitskaya. La base su cui poggia è elevata al di sopra del piano dell'area che la circonda, nella quale c'è un'area perimetrale di verde con panchine e un chioschetto mobile che vende gelati. Il marchio impresso è quello della Algida, nota azienda produttrice di gelati ormai non più in mani italiane, che in russo si chiama Инмарко, cioè Inmarko. Nelle Uova Fatali, al paragrafo 2, Bulgakov nomina la Cattedrale del Cristo Salvatore a proposito del fatto che due ubriachi lo apostrofarono in tono ironico chiedendogli se era aperto il bar notturno in via Volchonka. In verità la cattedrale è disegnata nella pianta di Mosca proprio in ulitsa Volkhonka, 15. Scrive a questo proposito Bulgakov: "il Professore li guardò severamente al di sopra degli occhiali, lasciò cadere di bocca la sigaretta e subito dopo si dimenticò della loro esistenza. Sul viale Precistenskij si stava aprendo uno squarcio di sole, e l'elmo della chiesa del Cristo cominciò a fiammeggiare. S'era levato il sole". E' una descrizione fedele di come possa apparire la bella e splendente cattedrale a chi la vede per la prima volta. In verità il viale Precistenskij non esiste perchè Bulgakov ha scritto il nome come era Mosca nel 1925. Oggi esiste Precistenskaya nab. e Plochad Prechistenskiye a due passi dalla cattedrale. La stessa sensazione la provo io quando esco dalla fermata della metro di Kropotkinskaya. Un venticello freddo sferza l'aria. Il cielo mostra qualche nuvola e la temperatura non è quella che normalmente si ha in una giornata della tarda primavera romana. Di fronte alla cattedrale c'è la statua bronzea dell'Imperatore Alessandro II, lo stesso al quale la città di Helsinki, in Piazza del Senato (Senaatintori) davanti alla maestosa e bianca cattedrale Tuomiokirkko, fece erigere un monumento simile a questo che sto vedendo in questo momento. La cattedrale del Cristo Salvatore è bella ma ha un piccolo difetto. Come per tante altre chiese ortodosse russe il precedente regime che governò il paese per settantanni circa la distrusse (nella maggior parte) e in minor quantità le trasformò degradandole a qualche servizio laico del regime. Ebbene il difetto è che è nuovissima perchè è stata ricostruita per intero, identica alla precedente, nella stessa area in cui c'era la versione originale pochi lustri fa. Lasciata alle mie spalle la Cattedrale del Cristo Salvatore affronto due viali enormi in grado di farmi avvicinare ai giardini di Alessandro.

Sono la ulitsa Volkhonka dove si trova il museo Puskin che visiterò domani e la ulitsa Mokhovaya a metà della quale si trova la Библиотека имени Ленина, cioè la Biblioteca di Stato russa. L'edificio è enorme e per molti versi mi ricorda l'architettura dei palazzi all'EUR di Roma. Travertino bianco, colonne quadrate, obelischi e statue sono il piatto forte di questa architettura. "A questo punto", mi dico "sono a casa". Pensate che è la stessa considerazione che ho fatto nel mio precedente viaggio l'anno scorso durante la visita a Tirana quando nella parte centrale della città ho visto un viale, il Bulevardi Dëshmorët e Kombit, e dei palazzi identici, in tutto e per tutto, a quelli dell'EUR di Roma. Ma a Tirana c'è una giustificazione storica precisa, perchè l'Albania fu un paese dominato dal fascismo e quindi subì le conseguenze culturali (lingua, architettura, organizzazione socio-economica) del paese invasore. Qui le cose sono diverse, profondamente diverse. La rassomiglianza non è completa come nel caso di Tirana. Davanti alla facciata d'entrata della Biblioteca c'è la statua di Dostoievski che sembra invitare i visitatori a riflettere sulla maestosità della costruzione presente alle sue spalle e forse meglio anche sull'importanza che questi sacri luoghi della cultura hanno nella vita delle nazioni. Spesso lo dimentichiamo. Mi trovo a poche decine di metri dai Александровский Сад, cioè dai Giardini di Alessandro che sono sull'altro lato della strada. Questa parte dei giardini è la parte più bella. Ci sono aiuole molto curate. Fiori rossi e prati verdi e panchine pulitissime offrono un panorama di rilassatezza e di gioia veramente piacevole. Sulla destra, vicino alle mura del Cremlino, ci sono cippi e targhe commemorative delle città eroiche dell'ex URSS. Chi volesse approfondire questo aspetto storico, politico e ideologico a mio parere dovrebbe fare una visita mirata perchè la Russia in generale e Mosca in particolare è ricchissima di ricordi e memorie storiche. Mi sto avvicinando all'uscita dei giardini dal lato della Porta della Risurrezione. Il solo pensiero di rivedere la Piazza Rossa mi dà ulteriore forza alle gambe. La statua equestre del Maresciallo Zuchov è sempre lì e "ricorda di non dimenticare" chi fu questo eroe nazionale. Attraverso la Porta ed eccomi all'inizio della piazza, vicino al Museo storico. Appena superata la Porta della Resurrezione sul lato destro dell'inizio della piazza sono colpito dall'abbigliamento di due uomini vestiti con tuniche colorate rosso e giallo e stivali. Hanno una fascia intorno al corpo e indossano una cintura di cuoio dalla quale pende una spada curva alla orientale. Hanno anche una specie di lancia che termina come una ghigliottina arrotondata. Capisco subito che si tratta di abbigliamento storico che vuole ricordare come vestivano i Boiardi. Turisticamente sono un bell'esempio di personaggi che lavorano per farsi fare delle foto dai turisti come quei centurioni romani che si vedono al Colosseo. Più giù, verso i giardini alessandrini si vede un'altra coppia questa volta "più moderna", vestiti e truccati in modo esemplare per essere i sosia di Lenin e di Stalin. Stazionano vicino alla statua equestre del Maresciallo Zukov. Altra passeggiata nella piazza e altra sosta nel centro di quest'ultima. Il tempo è bellissimo. C'è un cielo azzurro, terso, in una giornata di sole come poche e la temperatura è ideale. Niente afa, niente sudore, clima mite e sole che non brucia. Aggiungiamo il mio stato d'animo che, a dir poco, sfiora la felicità e tutto è più chiaro. D'altronde il mio benessere, dovuto al fatto che da italiano mi trovo a Mosca, mi ricorda quello di due russi che si sono trovati a Roma per anni che hanno provato la mia stessa sensazione. Il primo fu uno scrittore e storico dell'arte di nome Pavel  Pavlovič  Muratov che visse in Italia e a Roma in particolare per molti anni. Ebbene ebbe a dire che «l’Italia è un ricchissimo museo, dove tutto gli è noto e vicino e mi sento letteralmente innamorato di tutto ciò che i miei occhi possono vedere». Il secondo fu Boris Zajcev che disse testualmente «l’Italia è tutto: un glorioso passato e un piacevole presente, e addirittura un ammaliante futuro. E’ quasi una seconda patria, un paese vivace, la cui bellezza lo “ubriaca” (“Novaja russkaja kniga”, 1923, 3/4)».

Decido adesso di vedere l'interno della Cattedrale di Kazan che si trova vicino alla Porta della Resurrezione. La cattedrale di Kazan nella Ploščad' Krásnaya (Piazza Rossa) è l'essenza della russità credente e religiosa. La religiosità dei russi per le tradizioni popolari e per il credo ortodosso è proverbiale e straordinaria nello stesso tempo. Pochi popoli al mondo possono vantare una fede così profonda e intensa come quella russa. Dostoevskij garantì più di una volta che il popolo russo era “un popolo che porta nel cuore Dio”. Questa religiosità ebbe un principio. Tutto cominciò con Vladimir principe guerriero, detto Il Sole ma anche Il Bello, davanti agli altari della Santa Russia quando si sottomise al Dio dei Cristiani ricevendo dal Vescovo di Херсон nel nome di Dio e davanti alla Croce l’investitura per essere re e guerriero. Veniva da Kiev dove fino a quel momento il credo religioso era tutto per gli idoli delle tribù. Da quel momento in poi l'anima russa fu tutta per la fede in Cristo. Sono questi i pensieri che mi attraversano la mente osservando le bellezze della cattedrale. L'interno è bellissimo e ogni volta che entro in una chiesa ortodossa mi sorprendo a ricordare che il segno della croce che fanno i fedeli ortodossi è al contrario di quello cattolico. Naturalmente "incontrario" deve essere inteso qui in senso relativo, nel senso che non esiste un segno della croce giusto e uno sbagliato. Descrivere la cattedrale di Kazan è impossibile. Ci sono tante di quelle sfumature, di dettagli che sarebbe necessario un team di architetti di edifici religiosi, di un pope ortodosso e di uno storico dell'arte. Troppi sono gli elementi da descrivere e la competenza non è che si trovi al supermercato a prezzi stracciati. Dico una sola cosa per tutte: la porta d'entrata nella cattedrale ha qualcosa come sette livelli di profondità con sette disegni differenti. Sono le 12.30 e il richiamo del mio status di turista mi impone un obbligo: fra una ventina di minuti c'è il cambio della guardia che è un avvenimento che esiste com'è noto in tutte le capitali del mondo. Prima però ho il tempo per osservare attentamente la statua del Maresciallo Georgij Konstantinovič Žukov, comandante in capo delle forze sovietiche dell'Armata Rossa ovvero l'eroe che permise la liberazione del territorio dell'Unione Sovietica occupato dalla Wehrmacht tedesca, oltre che conquistatore della capitale tedesca, Berlino e la fine del Terzo Reich di Hitler. Mica bruscolini. Questo Signore fu uno dei pezzi da Novanta dell'ex URSS (CCCP). Pochi minuti dopo mi trasferisco presso l'«Altare della Patria» russo. Ci sono due sentinelle in piedi vicino alle loro garitte che aspettano il cambio. Alle 13 in punto arrivano, dal fondo dei Giardini di Alessandro, due militari scortati da un ufficiale. I turisti sono scatenati. Sono in fibrillazione perchè non vogliono assolutamente perdere l'istante della foto e si accalcano davanti al gradino della piazzetta. Rifletto sulla scena che i miei occhi vedono davanti a me. Mi convinco sempre più dell'enorme valore che svolge il turismo in relazione alla pace nel mondo. Quasi certamente è il massimo antitodo e deterrente dei movimenti pro-guerra.

Lo slancio della folla a cogliere l'attimo di un evento locale come è quello del cambio della guardia è uno dei momenti più belli che caratterizza il vedere per le strade della propria città persone di cultura e lingua diversa accalcarsi e disperdersi nelle strade. I gesti del turista sono il massimo distillato dei portatori di pace, di coloro che vivono un'esperienza basata sull'assenza di conflitti, di serenità, di comportamenti di sobrietà, armonia, concordia, tutti portatori di pace, addirittura di amore, che superano le barriere delle lingue, delle razze e delle religioni. Penso che basterebbero solo queste poche e banali osservazioni per dichiarare il "turista" persona grata anzi gratissima ovunque, sacra, inviolabile, intoccabile e in ultima istanza da difendere. Tutto il contrario dell'idea che il turista deve essere considerato il bersaglio del terrorismo e il principale obiettivo delle cause terroristiche. Tunisi docet. E poi ai governi non costa nulla e permette di introitare denaro dai pagamenti dei turisti negli alberghi, ristoranti e nello shopping. Cosa si vuole di più? Persino la tetragona Russia e la rigorosa Mosca hanno accettato questo business che funziona nell'interesse di tutti. Difficilmente si potrà ritornare alla situazione di prima, quando entrare in Russia era veramente difficile e complicato. Ormai il "dado è tratto", l'irreversibilità garantita e il turismo moscovita è diventato inarrestabile per la gioia di tutti. L'ho subito notato da come all'aeroporto di Shemeretyevo mi hanno licenziato al check-in di controllo dei passaporti. Decenni fa, a sentire altri viaggiatori, era una processione infinita, con attese snervanti e controlli eccessivi. Ieri pomeriggio al mio arrivo invece procedura velocissima. Qualcosa è cambiato e mi rallegro in meglio. Il prossimo obiettivo è la piazza del teatro Bolshoj e subito dopo la Lubianka con una visita alla libreria internazionale.

La fine della ulitsa Mokhovaya coincide con l'innesto nel Teatral'nyj proezd, che avevo visitato superficialmente due giorni fa. In Teatralnaya ploshchad' c'è una bellissima piazza, molto spaziosa in cui c'è il Monumento a Karl Marx. Solo un turista sprovveduto può far finta di niente e sottovalutare questo blocco di pietra che fece rinascere la Russia dopo l'era degli Zar con l'avvento del Regime sovietico. Alla base del monumento c'è scritto Пролетарии всех стран соединяйтесь, cioè proletari di tutti i paesi unitevi. Niente male come sintesi. Purtroppo, sappiamo come andò a finire la storia. Da notare sullo sfondo della foto l'Hotel Metropole con il suo logo di due spighe di grano e con la H dorata al centro. Avevo ipotizzato di prendere di pomeriggio il the all'interno dell'ottima sala da the che l'albergo propone ai visitatori. Non so se riuscirò a mantenere l'impegno. Qui il tempo vola con una rapidità sorprendente e i sei giorni di visita turistica stanno volatilizzandosi ad una velocità che mi ricorda il processo di evaporazione della vodka contenuta in una bottiglia lasciata col tappo aperto. Il Большой театр è sempre lì che mi guarda con severità attraverso le sue maestose colonne chiare per ricordarmi che esiste e mi aspetta. Percorro la Teatralnaya per intero. Piazza Teatral'naja mi ricorda un passo dei Racconti Fantastici di Michail Bulgakov nel racconto Uova fatali che desidero proporre per verificare alcune coincidenze. Il passo è all'inizio del paragrafo 6 intitolato Mosca nel giugno del 1928. «Sfolgorava di luci che danzavano, si spegnavano e si riaccendevano. In piazza Teatral'naja vorticavano i fanali bianchi degli autobus, le luci verdi dei tram;[...] Nel giardinetto di fronte al teatro Bol'šoj, dove di notte zampillava una variopinta fontana, girellava una folla chiassosa. E sopra il teatro Bol'šoj un gigantesco megafono urlava: "le vaccinazioni delle galline all'istituto di veterinaria Lefort hanno dato brillanti risultati. Il numero .... delle morti di galline con oggi è diminuito della metà ...[...] Le vie Teatral'naja e la Lubjanka rilucevano di strisce bianche e viola, sprizzavano raggi, erano invase da ululati di segnali e da turbini di polvere». In primo luogo la descrizione di Mosca di Bulgakov si riferisce al mese di giugno, lo stesso di quello in cui attualmente io sto visitando Mosca. In secondo luogo la descrizione dei luoghi è praticamente la stessa di quella che sto vedendo io in questo momento. L'unica differenza è che nel 1928 era di sera mentre adesso è giorno pieno. I luoghi sono gli stessi. Nei racconti sono descritti praticamente quasi tutte le strade che ho percorso a Mosca finora. Via Tverskaia, via Mochovaja, Ochotnyi rjad, Volchonka, piazza Teatral'naja, Neglinnaya , Lubjanka, Galleria Tret'jakov e tante altre che è faticoso riportare. Quando arrivo nella piazza della Лубянка (Lubianka) mi sposto dalla parte dell'edificio dell'ex КГБ per due ragioni. La prima è che voglio toccare con mano questo edificio. E in secondo luogo perchè voglio vedere la figura di Andropov sul muro. Chi conosce un po' di storia dell'ex Urss capirà. C'è anche un terzo motivo perchè da quella parte della piazza si trova una delle più famose librerie russe: la Библио-Глобус, cioè la Biblio-Globus, che si trova in ул. Мясницкая, ovvero in Myasnitskaya ulitsa. Entro e trascorro circa un quarto d'ora a perdermi nei vari piani, tra i vari settori del sapere che la libreria propone. Una particolare attenzione la riservo al settore arabo che mi interessa perchè lo sto studiando. Bella questa libreria. Capisco cosa voglia dire questo luogo nello spazio moscovita per chi è interessato alla lingua russa. Comincia ad essere tardi e il desiderio di mangiare un'altra zuppa di Borsch si fa sempre più intenso. So che da queste parti c'è un ristorante chiamato Yolki Palki. Sveltisco il passo. Chiedo a una gentile passante dove si trovi e vengo a sapere che ha chiuso l'attività da più di sei mesi. Rapido cambiamento di destinazione e mi muovo per un altro ristorante che fa parte di un'altra catena di locali sparsi ovunque qui a Mosca. Si chiama Mu Mu e il simbolo è una mucca.

Il ristorante è in realtà un self service. Prima si vedono gli antipasti freddi. Successivamente si passa alle zuppe calde, subito dopo ai secondi di carne e di pesce e infine i dessert e frutta. La mia scelta va a una zuppa di Borsh, funghetti, purè di patate e insalata di fagioli misti; da bere birra locale. Per quanto riguarda il borsch più di una volta ho sostenuto l'idea che la gastronomia russa è di cucchiaio piuttosto che di forchetta. Ciò significa che i russi (e me) non possiamo fare a meno di questa portata di origini contadine ma di estremo gusto che sazia e fornisce una considerevole quantità di sostanze nutrienti. L'aspetto che maggiormente mi colpisce è che è molto gustosa, è di un rosso che più rosso non può essere e che nel gusto è diverso di quello che ho mangiato al ristorante Puskin. Come mai? Chi sa cucinare sa che basta poco per cambiare sapore a una pietanza. Un poì di sale in più, un po' di farina aggiunta, un tipo di carne differente, un concentrato di pomodoro di meno possono cambiare profondamente il sapore e il gusto. Tanto per essere chiari prima di partire per Mosca a Roma ho voluto fare una indagine nei pochi ristoranti russi o ucraini presenti nella capitale italiana sugli ingredienti adoperati. Anzi in un solo caso sono andato di persona per parlare con lo chef della pietanza russa, dei suoi ingredienti e delle modalità di cucinarlo. Notata la diffidenza a parlare dei loro segreti ho detto chiaramente che volevo assaggiare la pietanza nella versione russa. Ho notato un netto rifiuto probabilmente perchè il cuoco era ucraino. Così il Borsč l'ho preparato io, personalmente con le mie mani. Il risultato non mi ha soddisfatto, sia perchè le modalità di cottura sono variegate nelle ricette lette, sia perchè non si ha nessun protocollo chiaro sugli ingredienti. Ho letto che per la visita a Mosca della Regina Elisabetta c'è stato un parapiglia per decidere quale chef russo avrebbe dovuto preparare la pietanza da far assaggiare al palato regale di Sua Maestà Britannica la Regina Elisabetta di Inghilterra. A momenti stavano per sfidarsi a duello alcuni dei più famosi cuochi moscoviti. Concretamente ecco la ricetta che ho seguito io.

Ingredienti: carne di manzo, di vitella e di maiale, carote, patate, cavolo bianco, cipolla, pomodoro e concentrato di pomodoro, barbabietola rossa, aceto, prezzemolo, foglie di alloro, aglio e sale q.b. e dulcis in fundo panna acida. Preparazione: lavare tutti gli ortaggi e tagliarli a listarelle sottili. In padella mettere l'olio e friggere la cipolla per farla imbiondire; aggiungere carote e barbabietola a pezzetti, friggere per 10 min a fuoco medio; aggiungere i pomodori, il concentrato se c'è e friggere per altri 5 min. Preparazione. In una pentola mettere la carne e le foglie di alloro con 1 litro acqua. Quando bolle tenerla per circa 30-40 min; mettere il cavolo e bollire per altri 10 min, poi le patate e bollire per altri 5 min. Infine, aggiungere tutti i vegetali fritti e bollire il tutto per altri 10 min; aggiungere l'aglio sminuzzato a sottili fettine e il prezzemolo. Spegnere il fuoco e far riposare il tutto per 10 min. Servirlo con panna acida. Il risultato è nella foto di destra che risale al 22 aprile scorso. Quella di sinistra con il cucchiaio di legno classico russo, l'ho trovata in rete su un sito russo. A prima vista quello russo colpisce di più perchè è decisamente rosso. Sicuramente dipende dall'uso del concentrato di pomodoro che io non avevo. Per il resto si può associare alla ricetta russa un più marcato sapore di zuppa, mentre alla ricetta romana si può associare l'idea di qualcosa di più insipido, di sapore meno marcato e più tendente allo spezzatino che a una zuppa vera e propria.

Concludo che il borsch di MuMu è veramente squisito, tanto che ho deciso di ritornare domani qui nello stesso posto e fare il bis. E non solo per la zuppa. Anzi, volendo essere più precisi le motivazioni di un ritorno domani sono dovute più per il piatto di funghi che del borsch. Un pentolino pieno, colmo oltre l'orlo, di funghetti cotti al forno. Una vera e propria leccornia. Sapevo che i funghi in Russia sono un elemento centrale della gastronomia russa. Ma non credevo che fossero così gustosi fino a questo punto. Come non pensare al solito Gogol che, nelle Anime morte, descrive questa pietanza come una vera e propria prelibatezza. Nel mentre Čičikov, nel secondo capitolo del primo volume, scriveva sotto dettatura di Natas'ja Petrovna i nomi dei contadini morti negli anni successivi all'ultimo censimento: «[...] sentì un allettante profumo di qualcosa di caldo col burro. "Prego umilmente di mangiare qualcosa" disse la padrona di casa. Čičikov gettò un'occhiata e vide che sul tavolo c'erano già dei funghetti, dei pasticcini, delle tortine, dei pasticcetti, delle frittate, delle frittelle, delle focacce con tutti i tipi di ripieni [...]». Mentre nel capitolo primo del secondo volume, scrive: «Da una parte metti le guance dello storione e la schiena, dall'altra della polentina di grano saraceno con i funghetti e la cipolla, e del latte dolce, e il cervello [...] e come contorno allo storione mettici delle stelline di barbabietola, e degli argentini, e dei funghetti prugnoli, e poi, sai, qualche rapa, e carotine, e fagiolini, e ancora un po' di questo e un po' di quello, perchè il contorno sia vario, e abbondante[...]». Come si nota Gogol nomina i funghetti per ben tre volte in posti diversi del suo romanzo, segno questo che forse li apprezzava molto. In particolare chiarisce anche che i funghetti erano "prugnoli". Questo tipo di fungo è uno dei più prelibati e si coglie già in primavera fino alla tarda estate. In Italia abbonda in Toscana col l'avvertenza di prepararli come condimento di tagliatelle o fettuccine e non come contorno. La pietanza di funghi che ho mangiato io ha come ingredienti formaggio, panna acida, olio di girasole e salsa besciamella, zuppa di funghi, cipolla e latte. Viene servita come dicevo prima in un pentolino col manico lungo che è stato messo nel forno e presenta in superficie una appetitosa crosta dorata, composta dalla salsa di formaggio fuso con besciamella mentre all'interno i funghetti sono stati tagliati in sottili strisce in modo da amalgamare il tutto perfettamente con tutti gli ingredienti. Però, questi moscoviti. Chi l'avrebbe mai detto che sono degli specialisti in questo settore. Il ristorante si trova di fronte alla Banca di Mosca, in Рождественка ул., д. 5/7 стр. 2, Москва. Prima di chiudere queste considerazioni relative al pranzo, nel paragrafo 3 del racconto Cuore di cane, Bulgakov fa dire a Filipp Filippovič: «Quello del mangiare, Ivan Arnoldovič, è un'arte sopraffina. Si deve saper mangiare e invece pensate un po', la maggior parte degli uomini non lo sa fare affatto. E non si deve soltanto sapere che cosa mangiare, ma quando e come. Filipp Filippovič agitò il cucchiaio con aria significativa: E si deve anche sapere di che cosa parlare mentre si mangia. Proprio così. Se avete cara la vostra digestione, eccovi un buon consiglio: durante il pranzo non parlate nè di bolscevismo, nè di medicina». Capito? Non mi rimane che fare una passeggiata digestiva è veramente necessaria. Decido come ultimo target di prendere la metro e andare a vedere la fermata Kievskaya. Perchè? Dicono che sia se non la migliore artisticamente parlando, sicuramente una delle meglio arredate dell'intera metropolitana di Mosca e vale pertanto la pena di andare a vederla. Tutto sommato si tratta di allungare di una fermata il tragitto del ritorno.

Bene eccomi a Киевская. Questa fermata è una stazione della linea color marrone, chiamata Kol'cevaja, la famosa linea circolare della Metropolitana di Mosca. Mi ricordo di averla presa il pomeriggio del giorno dell'arrivo a Mosca quando dalla fermata Bieloruskaia sono andato alla Kurskaya. Prende il nome dalla vicina stazione ferroviaria Kievskij esattamente come Bieloruskaia prende il nome dalla vicina stazione ferroviaria Bieloruskij. Nel lungo androne della fermata, intitolata alla ex-capitale russa del medioevo Kiev, in effetti tutto è spettacolare. Dai mosaici ai piloni di marmo bianco, dagli archi tra i piloni alla originale e unica greca in porcellana e persino il ritratto di Lenin in alto nella foto alle mie spalle è meno arcigno del solito. La gente è numerosa e ci sono molti gruppi di turisti di tutte le parti del mondo. Vedo una guida con la bandierina cinese. E' difficile vedere turisti orientali che viaggiano da soli. In genere sono in gruppo. Qui poi di gruppi se ne vedono tanti. Quello che mi colpisce è che tanta gente che affolla la metro non fa chiasso. A Roma a quest'ora gli schiamazzi sarebbero stati all'ordine del giorno. Non si sentono grida, urla, esibizionismi, trasgressioni. Tutto è ordinato. Un'altra lezione di grande civiltà che a Roma non conoscono. Valeva la pena fare questa deviazione. La metro moscovita meritava attenzione. Si ritorna a Partizanskaya. La stanchezza si fa sentire e a cena di nuovo borsch con panna acida (meno buono dei precedenti), cetriolini, rafano, pesce al forno, snitzel alla viennese (non me la sento di chiamarla cotoletta alla milanese perchè c'è molto poco di italiano e assai di orientale) e il solito bicchiere di acqua. Domani è un altro giorno.
Quinto giorno Martedì 9 giugno. Sono le 9.30 del mattino quando arrivo alla fermata della metro Kropotkinskaya. A due passi ritrovo per la seconda volta la Cattedrale del Cristo Salvatore. Le 4+1 cupole dorate della cattedrale splendono sotto un cielo di un azzurro esagerato. Penso che mai come questa volta sono stato fortunato col tempo meteorologico. C'è un pullman di turisti fermo al bordo della strada, segno che questa volta ci siamo. C'è da attendere perchè apre alle 10. Ci sono altri turisti ma non siamo in molti. Durante l'attesa mi guardo intorno e vedo la via Volkhonka nella quale mi trovo in questo momento e mi viene in mente quello che successe qui, proprio dove mi trovo io, nel 1898. Simonetta Pelusi scrive a questo proposito: «Mosca agosto 1898. E’ il 17 del mese e […] vicino alla chiesa di Cristo Salvatore sulla Volkhonka, si nota quel giorno un’insolita animazione. Professori e studenti dell’università moscovita, artisti, giovani signore dell’Istituto Marinsky, ufficiali dell’esercito, membri della Duma, aristocratici e borghesi […] in attesa che arrivi la famiglia imperiale. Che cosa ci faceva lì riunito a metà agosto il fior fiore dell’intellighenzia moscovita? Stava aspettando che lo zar Alessandro III Romanov giungesse a presiedere la cerimonia di fondazione di un museo nuovo di zecca destinato a portare il suo nome : il Museo di belle Arti Alessandro III. […] Scoppia la Rivoluzione d’Ottobre, si chiudono le frontiere, i patrimoni privati vengono nazionalizzati e… il Museo Alessandro III cambia nome : d’ora in poi sarà il Museo Puškin di Mosca, in onore del poeta ucciso in duello cent’anni prima». Spiegazione asettica ma accurata e completa. Questo passo è presente nella prefazione del libro «I grandi musei. Mosca Puškin, della casa editrice Mondadori Electa, Milano, 2005».

Lo riporto brevemente perché se non fossi andato a Mosca sarei rimasto con un’immagine distorta della città, dei musei e soprattutto della sua storia. Il motivo è che da giovane ascoltai il racconto fattomi da uno studioso della lingua russa che mi ripeté più volte la storiella del ministro della pubblica istruzione russa che va dallo Zar a chiedere di dare, nella formazione liceale, più importanza allo studio della geometria razionale. Lo Zar ci pensò su un poco e poi sentenziò: “si, aumentiamo il numero delle ore di insegnamento della geometria … purché i teoremi siano studiati senza dimostrazione”. Questa storiella mi diede la falsa convinzione dello studio superficiale delle scienze nell’età della Russia imperiale. Le cose non sono andate così e ne prendo atto a maggior ragione adesso dal convincimento che l’episodio è in realtà un aneddoto e che la verità sta nella grande tradizione culturale di questo grande paese che è riuscito tra l'altro a fornire all’umanità splendidi esempi di cultura museale. Entro nel museo, supero il check-in e faccio il biglietto pagando 300 rubli. L'addetta al controllo mi richiama perchè vuole che io depositi il mio giaccone al guardaroba. Mi oppongo perchè posso raffreddarmi e ottengo il permesso di portarlo con me. Anche in questo museo è permesso fare fotografie. Le prime sale presentano una miscellanea di artisti europei di tutte le nazioni. Ci sono quadri dipinti da svizzeri, tedeschi e persino polacchi. Al centro della loro attenzione ci sono pochi ma importanti motivi che riguardano la vita quotidiana dei soggetti, notoriamente persone benestanti. Si va da una esagerata abbondanza di carne (selvaggina, cigni, galline, conigli, cinghiali, e addirittura di agnelli e caprioli appesi a ganci) a una altrettanto copiosità di pesci di molte specie sparsi su un tavolo da cucina; da un tavolo imbandito per la colazione con pane, pera, mela, limone e calici di vino a un tripudio di frutta fresca di tutti i tipi. L'altro grande tema della rassegna artistica tocca due temi centrali: ritratti di padroni in abito da cerimonia, donne di casa e familiari in posa con vestiti di alto livello a nudità di donne formose che mostrano seni e corpi opulenti e ritratti di vicende poco piacevoli della vita. Questo ultimo aspetto mi interessa molto e seguo alcuni percorsi che mettono in risalto il pensiero e le idee degli artisti. Si va dalla morte in rigoroso abbigliamento scheletrico, senza falce e mantello, che si presenta a signorotti malconci in fin di vita a due scaltri e libertini vecchi in atto di convincere una giovane donna a spogliarsi; dall'età che incalza irreversibilmente una donna anziana davanti allo specchio che accentua l'avvicinarsi del fine vita a raffigurazioni religiose e mistiche di molteplici vicende storiche. Sulla tela raffigurante una vecchia che si specchia desidererei dire qualcosa perchè l'Autore è un italiano: si chiama Bernardo Strozzi, genovese, e il titolo dell'opera è Vanitas, cioè La vanità, in russo Аллегория Бренности.

Il tema è la fugacità e l'inconsistenza della vita. L'idea dell'opera ha probabilmente cause letterarie. Infatti, nella città di Venezia nel '600 il tema della vanità costituiva motivo di interesse nel mondo letterario. Esiste un poema, di un anonimo del 1620, che descrive una donna seduta allo specchio della toeletta con questi versi: "Misera donna hor come puoi mirare / Delle bellezze tue l'altre rovine. / Fuggi fuggi gli specchi, e non curare / Rendere al volto tuo porpore, e brine". Lascio parlare di nuovo Simonetta Pelusi, che giustifica i tratti di quest'opera con le seguenti parole. «La vanità di Bernardo Strozzi si incarna nelle vesti di una donna vecchia e brutta che si specchia nella toeletta: il riflesso evanescente nello specchio è una metafora della vana apparenza e della caducità dei beni terreni. L'ambivalenza dello specchio e la molteplicità dei suoi significati, strettamente connessi a quelli della piuma, dei gioielli, delle ampolle di profumo e dei fiori recisi, trova qui una dimostrazione nell'atteggiamento patetico della donna, molto in avanti con gli anni, eppure tutta dedita all'acconciatura e alla cura di sè. Lo sguardo rivolto al riflesso sembra fissare per un istante l'immagine di un tempo che non c'è più, del quale resta soltanto un lontano ricordo».
E' incredibile quante siano le possibilità di riflettere sulle vicende della vita e della morte frequentando musei e gallerie pieni di eccellenti quadri di artisti di alto livello. Si passa successivamente alla prossima sezione che riguarda copie di sculture greche e romane, per finire con l'arte rinascimentale italiana. Praticamente quasi tutte le più importanti sculture prodotte dagli artisti europei sono state qui riprodotte fedelmente. Ci sono anche quadri che rappresentano luoghi famosi della pittura italiana come la laguna veneziana, la fontana di Trevi, etc. I pezzi forti sono comunque, lo avevo anticipato prima, artisti di grande fama e bravura. Si va dal Perugino Madonna con bambino al Botticelli Angelo annunciante; da Pieter Paul Rubens Baccanale a Bernardo Strozzi Vanitas; da Rembrandt Assuero e Aman al banchetto di Ester a Giandomenico Tiepolo Il ritorno del figliuol prodigo; da Jacques-Louis David Il dolore di Andromaca a Èdouard Manet Ritratto di Antonin Proust; da George Braque Il castello di La Roche-Guyon a Pablo Picasso Casa nel giardino, Arlecchino e la sua amica, La spagnola di Maiorca, Acrobata e giovane equilibrista, Regina Isabeau, Dama col ventaglio; da Claude Monet Colazione sull’erba, Boulevard des Capucines , La cattedrale di Rouen al tramonto , Ninfee, armonia bianca , Veduta di Vétheuil e Gabbiani. Il Tamigi il Parlamento a Edgar Degas Ballerina dal fotografo e Ballerine blu. E ancora da Auguste Renoir Nuda, Sotto gli alberi al Moulin de la Galette e Ritratto di Jeanne Samarya; da Paul Cézanne Autoritratto, Mardi gras, Mont Saint-Victoire, Il fumatore di pipa e Pesche e pere a Claude Monet Scogli a belle-Île e La scogliera di Etretat; da Vincent van Gogh Vigna rossa ad Arles , Ritratto del dottor Felix Rey e La ronda dei carcerati a Paul Gauguin Autoritratto; da Camille Pissarro Avenue de l’Opera a Jean François Raffaëlli Boulevard Saint-Michel; da Vasilij Kandiskij Improvvisazione a Henri Matisse Atelier rose, Pesci rossi e Nasturzi e La danza; da Maurice Utrillo Rue de Mont-Cenis a Carlo Carrà Composizione con testa; e altri ancora. Esco dal Museo un po' disorientato perchè mi ci vorrebbe almeno un'altra giornata per vederli tutti. Ci rinuncio perchè desidero camminare e rifare il solito percorso Piazza Rossa, Teatro Bolshoj e viceversa. Nella Piazza Rossa, vicino a S. Basilio, compare un enorme palco metallico montato in fretta e furia che deturpa a mio modo di vedere in modo inaccettabile la piazza. Ora capisco lo strano movimento di operai di sabato scorso. Stanno costruendo un padiglione che produrrà la festa del libro, una rassegna culturale in favore delle biblioteche pubbliche.
Non mi sazierei mai di queste passeggiate anche se sono le stesse. In verità a me sembra di vederle come se stessi facendole per la prima volta nello splendore delle loro bellezze architettoniche. Il regista italiano Paolo Sorrentino nel 2013 ha prodotto il film La grande bellezza perchè ha messo al centro del suo interesse cinematografico la città di Roma. A mio parere anche Mosca, con un regista in gamba, potrebbe ambire a vedere realizzato un film relativo alla bellezza della città. Con una differenza non piccola: che qui a Mosca la città è pulita, i servizi funzionano 'alla grande' e in più non si temono fregature come invece è possibile subirle a Roma tanto che il regista per fare il film lo ha girato interamente di notte. All'ora di pranzo ritorno nello stesso ristorante di ieri della mucca Mu Mu. Prendo di nuovo borsč con panna acida, pentolino di funghetti al forno, vegetali cotti al vapore e un boccale di kvas scuro. Cose da non credere quanto è gustoso mangiare in questo self service. Nonostante la presenza di alcune nuvole c'è caldo e il cibo mi ha fatto venire sete. Uscito dal ristorante entro in un locale, che scimmiotta un pub irlandese, per bere una dissetante birra olandese Heinecken. A questo punto ritorno nella Piazza Rossa per un ultimo saluto. Ho in mente di fare una visitina dall'altra parte del fiume. Il ponte sulla Moscova mi attende. Il passaggio dal ponte Москва, sul fiume Moscova, nella Bolotnaya ulitsa che poi, proseguendo oltre il canale Vodootvodny, diventa ulitsa Bolshaya Ordynka, mi ricorda un passo di un racconto di Tolstoj, dal titolo La morte di Ivan Il'ič (in russo Смерть Ивана Ильича e traslitterato in Smert' Ivana Il'iča). Si trova all'inizio, nella seconda pagina del racconto, nell'edizione Oscar Mondadori quando Fedor Vasil'evic parlando con Petr Ivanovic dice che abita tremendamente lontano per andare al funerale. «Lontano da dove state voi, vorrete dire. Da dove state voi è tutto lontano». «Non si può proprio perdonare di abitare di là dal fiume disse Petr Ivanovic, sorridendo. E cominciarono a parlare di grandi distanze della città e tornarono all'udienza». Dunque, quando Tolstoj pubblicò questo straordinario e prezioso racconto era il 1886 e abitare al di là del fiume era considerato vivere lontano dal centro città. Sembra che il fiume Moscova fungesse da spartitraffico divisorio: da una parte si era in centro, dall'altra si era in periferia. In verità, camminando in direzione della Galleria Tretjakof come sto facendo io in questo momento, e quindi allontanandomi da S. Basilio e dal Cremlino, si ha la sensazione di allontanarsi dal centro per godere di maggiore tranquillità. Almeno io provo questa sensazione. In un certo senso è come se a Roma oltrepassassi il Tevere allontanandomi dal centro (Via del Corso, Via Veneto, Colosseo, Piazza di Spagna) e andassi verso il quartiere Trastevere ad ovest nella capitale. Queste similitudini tra strade e quartieri di Mosca e di Roma mi attraversano spesso il cervello quando mi trovo in una città straniera. Oggi, quinto e penultimo giorno a Mosca provo la sensazione che camminare per le strade della capitale russa è come se fossi a casa mia, nella mia città. Tutto è diventato facile: l'orientamento, la localizzazione dei quartieri, le direzioni dei posti turistici più importanti, etc. Mi dispiace che domani debba partire. Mi sarebbe piaciuto prolungare la visita anche perchè molti obiettivi che mi ero proposto di vedere non li ho potuti realizzare.

Il tempo stringe e aumento il passo per la fermata della metro Tretyakovskaya. Ho intenzione di sedermi in qualche piazzetta tranquilla lì vicino e godermi il silenzio di questa parte della città. Mentre sono sul ponte sotto di me passa lungo il fiume un vaporetto. Saluto con la mano i viaggiatori sul ponte che mi rispondono immediatamente agitando il braccio. Che belle sensazioni. Vicino alla fermata della metro Tretyakovskaya c'è una piccola piazza che mi invita a sedermi. La piazzetta non ha nulla di speciale. È anonima, semplice ma autentica. Alcune panchine sono al sole, altre all'ombra. Quelle all'ombra sono tutte occupate da una varietà eterogenea di gente di tutti i tipi. Ci sono pensionati, giovani, impiegati di qualche ufficio in zona, mamme con i loro bambini e anche un barbone. Decido di rimanere qui per un po' a distendermi e rilassarmi. Dopo una giornata intensa come quella di oggi avverto la necessità di fermarmi e riflettere. Osservo la gente che va e che viene uno ad uno. Guardo il loro abbigliamento, i loro visi e penso a cosa stiano pensando in questo momento. Nel centro della piazzetta c'è un giovane con una chitarra. Non suona. Forse è ancora presto per iniziare la sua performance. Da una parte della piazza c'è un locale McDonald's con l'insegna gialla in cui entrano ed escono clienti interessati. Di fronte alla mia panchina, ancora assolata ma con un po' d'ombra che comincia a ingrandirsi, c'è un signore anziano che è intento con una lente di ingrandimento a leggere il display del suo vecchio cellulare. Più in là un altro signore legge un quotidiano. Un altro è assorto nei suoi pensieri. Più lontano su un'altra panchina sono seduti un giovane e una ragazza. Lui deve essere un impiegato perchè ha il pantalone nero e la camicia bianca da ufficio. Lei è rotondetta e vestita di nero. Porta le ballerine ma con le sue rotondità fa perdere l'effetto che le sue scarpette avrebbero dovuto darle e le stonano parecchio. Dopo poco tempo lei estrae dalla borsa un panino e lo addenta con decisione. Si guardano negli occhi con intensità e complicità. Si vede bene che sono innamorati. E a proposito di innamoramento, quello mio nei confronti della capitale russa, mi viene in mente un brevissimo passo della novella di Aleksandr Sergeevič Puškin dal titolo La tormenta (Метель). Ebbene, in questo brevissimo capolavoro di realismo Puškin presenta semplici figure dai sentimenti autentici attribuendo al protagonista - colonnello ferito degli Ussari Burmin alias Vladimir Nikolaevič - in italiano nel testo la seguente frase: «Se amor non è che è dunque»? Si tratta della citazione di un verso dell'ottantottesimo sonetto del Canzoniere di Petrarca. Evidentemente il periodo romantico fa sentire i suoi effetti sia sulla coppia protagonista puskiniana Mar'ja Gavrilovna-Burmin, sia sulla coppia di giovani nella piazzetta e sia, infine, su di me che associo piacevolmente il verso petrarchesco con la realtà circostante.
Più in là si vede un giardiniere che pulisce le aiuole mentre un impiegato della nettezza urbana vuota i cestini dei rifiuti. Scene di normalità che ai miei occhi assumono il senso di una dimensione di grande civiltà. Osservo altre persone e noto in tutto l'ambiente circostante una grande semplicità di stile e di vita. Nonostante la presenza di molte persone variegate di tutte le età c'è molta discrezione e in certi momenti anche silenzio. Non mi alzerei dalla panchina neanche per tutto l'oro del mondo. Mi piace osservare tutto ciò che mi circonda. So perfettamente che tra qualche giorno rientrando nel solito tran tran quotidiano romano perderò la magia di questi momenti. Proprio per questo voglio gustarmeli per intero. L'idea che esce fuori dai cinque giorni di permanenza finora trascorsi a Mosca è che la capitale russa è una metropoli efficiente, moralmente integra, laboriosa, sicura per turisti e cittadini, e fatto importante, presenta una offerta turistica culturalmente valida fatta di eccellente arte e ottimi percorsi cittadini. Il fatto poi che io insista nell'accoppiare offerta di arte e cibo posso spiegarlo semplicemente affermando che da sempre "pietanze e opere d'arte", nel senso più completo del termine, vanno a braccetto. Potrei giocare con le parole e dire che le pietanze russe che ho gustato finora sono opere d'arte. In verità, la cucina di un paese e di una città ha sempre un forte legame con la tradizione e la cultura del paese stesso. L'Italia ha molti difetti ma nel campo del cibo e dell'arte è maestra. Qualcosa questo binomio di eccellenza vorrà pur dire. Una delle trasmissioni più fortunate che ho visto in questi ultimi anni in televisione si chiama proprio "I buongustai e l'arte", fortunato legame tra il buongusto della tavola e l'arte pittorica e architetturale. Un primo bilancio che posso stilare prima ancora di tornare a Roma è che Mosca e i moscoviti mi piacciono molto. Mi piace la città e mi piacciono i suoi abitanti. Mi piace la gente. Le persone sono discrete, composte, educate, pazienti, altruiste, generose, pulite, civili. Mi piace la città così come si presenta nella normalità. È accogliente, efficiente nei servizi e nei trasporti. I poliziotti dono discreti ma ci sono e controllano anche se non danno nell'occhio. Danno sicurezza. Non ci sono nè cani nè ubriachi in giro. Almeno nel centro. Nelle strade e nelle piazze non ci sono cartacce, cicche di sigarette o altro. I moscoviti altresì parlano poco e sotto voce. Non gridano, né fanno confusione. In una parola sono ammirevoli.

Rientro in albergo. La metro mi porta alla fermata Partizanskaya. All'uscita osservo il solito panorama con i cinque grattacieli altissimi che svettano nella tenuta dell'Izmailovo. Questa volta però avverto una sensazione di smobilitazione, segno che la partenza comincia a produrre il senso dell'abbandono di un luogo piacevole. Il supermercato dove ho comperato la vodka mi attira per comperare un po' di banane e delle pesche. La cena incombe. Ecco il menù di questa sera: antipasto di aringhe marinate con cetriolini, costolette di maiale con contorno di riso pilaf e mais, insalata russa, acqua minerale e due fettine di pane bianco. La sera è arrivata e le luci di Izmailovo danno un tocco di magia al panorama.
Sesto e ultimo giorno Mercoledì 10 giugno. Oggi si ritorna a casa a Roma. La visita è terminata. Non c'è la solita ansia del rientro per il semplice motivo che conosco abbastanza bene il percorso da effettuare dall'albergo all'aeroporto Sheremetyevo: è identico a quello dell'andata. Partirò dall'hotel con abbondante anticipo. Il check-out è previsto per mezzogiorno. In più l'affidabilità del sistema dei trasporti moscoviti non teme concorrenti al mondo. Strano viaggio questo a Mosca. Invece di trovare confusione e incertezze nell'uso dei servizi di trasporto come invece avviene a Roma, nella quale non c'è alcuna garanzia di rispetto dei tempi di percorrenza mi convinco sempre di più che Mosca costituisce un modello di organizzazione da invidiare. Ci sono anche altre città in Europa che sono altrettanto ben organizzate? Si. Ci sono senz'altro. Non l'ho mai escluso. Fatto sta che qui le cose funzionano egregiamente e di scioperi più o meno selvaggi non se ne vede nemmeno l'ombra. Per gente come me che prima di pretendere dagli altri serietà e correttezza di comportamenti la pretende senza sconti da me stesso, osservare nei servizi comportamenti a "misura di turista " nonché certezze di spostamenti e rispetto dei tempi è fondamentale. Dunque, niente ansia da trasporto ma consapevolezza di potersi spostare a Mosca adeguatamente sul piano del rispetto degli orari. Non è poco per chi vive nella Città Eterna, dove di eterno ci sono solo le "certezze delle incertezze". Non è uno slogan ma la pura verità.

Pertanto la strategia di viaggio prevede di prendere la metro linea 3 colore blu fino a Piazza della Rivoluzione. Da qui connessione con la linea 2 colore verde nella Arbatskva per Bieloruskaya. Uscita dalla metro e girato l'angolo ecco il palazzo della ferrovia dove c'è il terminal dell'Aeroexpress che mi porterà direttamente senza fermate intermedie al Terminal D dell'aeroporto. Fin dalla mattina cominciano a frullarmi in testa tante idee. Un primo bilancio di questo viaggio; un attacco di nostalgia per ciò che sto per lasciare; un giudizio interlocutorio pieno di mistero sui moscoviti, impenetrabili nei loro comportamenti; insomma i normali pensieri di un viaggiatore soddisfatto di avere avuto la possibilità di conoscere anche se superficialmente un universo di vita che francamente mi ha sorpreso positivamente. Controllo il mio portafoglio per avere contezza della gestione finanziaria delle banconote in rubli rimasti. Vediamo: ho 1500 rubli. Tolti 470 pyв per il trenino (per la metro ho ancora qualche corsa) mi rimangono 1000 pyв in contanti, cioè circa 20 euro con i quali potrò pranzare comodamente all'aeroporto. In ogni caso, in alternativa, avrò a disposizione la carta di credito o il bancomat. Bene non mi rimane altro che fare la valigia ed effettuate il check-out alle ore 12. Una piccola passeggiata nel complesso di Izmailovo può essere un interessante svago mattutino. Ritorno a Roma consapevole più che mai della bontà del mio progetto di "vedere e toccare con mano" la realtà di questa grande città che è Mosca. Arrivederci e al prossimo viaggio a Berna.

Elenco dei report di viaggio delle capitali europee già pubblicati.

INTRODUZIONE ALLA SEZIONE VIAGGI
AMSTERDAM Nederland
LONDRA Great Britain
PARIGI France
VIENNA Österreich
MADRID España
LISBONA Portugal
BERLINO Deutschland
PRAGAČeské Republika
DUBLINO Ireland Dublin
ATENE Ελλάς Αθήνα
STOCCOLMA Sverige
HELSINKI Suomi
LUBIANA Slovenija Ljubljana
NICOSIA Cyprus Lefkosia
LA VALLETTA Malta
SOFIA Бългaри София
BUCAREST Romania Bucureşti
BRATISLAVA Slovensko
BRUXELLES Belgio
BELGRADO Srbija Београд
OSLO Norge
ZAGABRIA Hrvatsk
TIRANA Shqipëri
MOSCAРоссийская Федерация
BIBLIOGRAFIA LETTERATURA DI VIAGGIO

Manuali e guide di viaggio adoperate.
















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