giovedì 26 settembre 2013

Gli impallinatori di professione.


Eccoli di nuovo in azione. E’ tornata la linea dura di Berlusconi. Schifani, infatti, propone la decadenza dei parlamentari del Pdl. Si tratta di impallinatori professionisti che agiscono come automi. Appena il Capo schiaccia il pulsante loro corrono. Ed è più bravo colui che corre di più e arriva primo. Facciamo l’esempio della campagna d’Europa. Adesso la parola d'ordine degli impallinatori è «3%». Dicono all'unisono che l'Italia è ostaggio del 3% imposto dall'UE. Dicono che il “dover essere virtuosi” cancella le speranze di ripresa. Dicono che l'UE ci impone il doppio vincolo della serietà a tutti i costi e dell’euro. Dicono che la Cancelliera Merkel è la principale responsabile del disastroso stato dell'economia e della finanza dell'Italia. E dicono tante altre scemenze. Chi è che dice tutto questo? Intanto i tromboni dei direttori dei giornali della famiglia Berlusconi: Il Giornale e Libero. I loro direttori sono tra i primi a correre. Sono pagati per questo! A seguire, ci sono tutti gli altri capi e capetti, compresi i direttori dei settimanali. Dopo la condanna definitiva del loro padrone a quattro anni di carcere sono scatenati e fanno i panzer decisi a sfasciare ogni cosa, soprattutto a sfasciare l'Italia. Poi c’è il cervellone provocatorio di Brunetta che, abituato al ricatto politico (o mi dai tutto quello che chiedo o il governo cade), bacchetta provocatoriamente tutti i politici e i ministri del Pd. Adesso è arrivato l'ultimo, che non è meno del precedente. Quando parla con la sua boccuccia “a giglio” è in grado di mettere in difficoltà anche i pitoni e le pitonesse berlusconiani. E' una vecchia conoscenza dell'intransigenza e del settarismo integralista, l’ex neo battezzato Magdi Cristiano Allam, egiziano di nascita e italiano per matrimonio, che ha preso in giro anche il Papa facendosi battezzare direttamente in S. Pietro da Benedetto XVI e poi lo ha mollato dicendo che non è abbastanza anti-islamico. Rob de matt! Spunta come i funghi da tutte le parti ed è ossessionato dai successi dell'Unione Europea. Parla, sparla e denigra quel poco di buono che esiste in Italia e in Europa. L’aria che si respira è putrida. E nel futuro immediato si vede solo in quel di Firenze l'unica figura derattizzatrice in grado di spazzare via tutti gli impallinatori, compresi quelli del Pd. Te capì?

sabato 14 settembre 2013

Le lacrime dei coccodrilli nella scuola.


“Alunni somari? L'insegnante deve tornare tra i banchi”. Questo l’articoletto presente oggi nel quotidiano “La Repubblica”. Un sorrisetto è il minimo che ci possa accadere dopo una lettura veloce e fastidiosa. Poi però vengono alla luce irritazione, rabbia e collera per il ricordo di com'era la scuola decenni fa e di come è adesso. “Scuola, corsi obbligatori se gli studenti hanno pessimi test Invalsi. È polemica per la novità inserita nel decreto appena varato: riguarda soprattutto gli istituti del sud”. E già diremmo. Se ne sono accorti adesso, dopo che la scuola l’hanno ammazzata loro, decenni fa. E in tutti questi anni possibile che nessuno se ne sia accorto prima? Lasciamo agli interessati leggere per intero l’articolo. Noi vogliamo fare due brevi considerazioni. La prima cosa da dire è che bisogna dare ai lettori i nomi e i cognomi dei responsabili. Cominciamo col dire che tutti i partiti, nessuno escluso, hanno delle responsabilità. Tutti. Dall’estrema sinistra, sempre attenta a non premiare il merito, all’estrema destra interessata solo ad essere accettata nella spartizione della torta del potere ministeriale. Credetemi, non si salva nessuno. Dalla farsa dei ministri del Pdl di Berlusconi al ridicolo di quelli del Pd, fino a finire al grottesco di quelli del centro. Tutti interessati ad apparire, per vanagloria e vanità. Più di tutti hanno picconato il Pdl e il Pd insieme e con l’aiuto totale dei sindacati. Tutti i sindacati. Incredibile a dirsi: non abbiamo mai visto sindacati così uniti nel difendere interessi personali aventi sigle e programmi in netta contrapposizione tra loro. Ricordatevi che molti sindacalisti, con la complicità dei vertici ministeriali, sono diventati dirigenti scolastici senza colpo ferire. Cgil, Cisl e Uil (diciamo di sinistra) uniti d’amore e d’accordo con Snals e Ugl (diciamo di destra) nel mettersi d’accordo e spogliare la vittima, cioè il tesoretto della gestione dei miliardi di euro stanziati dallo Stato. Negli istituti scolastici poi mai visto un inciucio così colossale tra triplice e destra confederale. Si sono spartiti tutto e insieme. La seconda riflessione riguarda il mondo degli operatori scolastici e delle famiglie. Mai vista una solidarietà al ribasso tra gli insegnanti come quella mostrata in questi decenni. Veniva sistematicamente votato alle cariche importanti l’insegnante più disponibile ai favori e al compromesso, con la complicità sindacale e dei dirigenti scolastici. Un vuoto pauroso di idee volte a bloccare il merito. Una opposizione a tutti i tentativi di valorizzare le proposte e i progetti dei più bravi e dei più severi. Non parliamo poi dei genitori ai quali hanno sempre interessato due cose: che i loro figli fossero promossi indipendentemente dalla loro preparazione e la loro partecipazione al processo decisionale della scuola non come cittadini genitori ma come simpatizzanti e/o iscritti ai partiti e ai sindacati. Il tutto condito dal più pietoso vuoto etico e professionale. Ciliegina sulla torta il sud, il mitico sud di "mi manda Picone" che, in questa vicenda, fa vergognare ancora di più di essere italiani perché a latitudini basse entra in funzione anche il meccanismo della raccomandazione, sulla quale è meglio tacere per non offendere “Picone”. Alunni somari? L'insegnante torna tra i banchi. Ecco come è finita. Poveri studenti, anche quelli contestatari. Non meritavano proprio di avere una scuola che fu la prima (il famoso liceo classico) mentre adesso è l’ultima. Complimenti a cattolicesimo e marxismo: hanno fatto più macerie loro due che la seconda guerra mondiale.

domenica 1 settembre 2013

Il mio trentunesimo viaggio in Europa: Zagabria.


Zagreb (28 Agosto - 31 Agosto 2013)

Il mio trentunesimo viaggio nelle capitali d'Europa ha come destinazione la bella e accattivante Andautonia, antico nome romano della capitale croata, esistita come tale dal I al IV secolo e chiamata successivamente anche Agram. Oggi è semplicemente Zagreb (in italiano Zagabria), capitale della Republika Hrvatska, cioè della Repubblica di Croazia. Il 1° luglio di quest'anno la Republika Hrvatska è diventata ufficialmente il 28° paese dell'Unione Europea. Bernard Guetta, giornalista francese, il 28 giugno 2013 su "Internazionale" scrisse il seguente incipit al suo articolo: «Il ventottesimo tassello del mosaico. Fondata da 6 paesi e arrivata a contarne 27, da lunedì l’Unione europea accoglierà il ventottesimo stato membro. Dopo la Slovenia, ammessa nel 2004, la Croazia sarà il secondo paese dell’ex Jugoslavia ad entrare a far parte dell’Ue».

Il cartello posto sulla vetrata interna dell'Ufficio turistico di informazioni dell'aeroporto Zračna luka di Zagabria lo dimostra adeguatamente. L'entrata nell'Unione Europea della giovane e simpatica Republika Hrvatska mi «obbliga» a integrare il progetto di visita delle ventisette capitali, già concluso nel 2010, con questa ulteriore tappa che realizzo con piacere. Dopo avere visitato l'altra perla balcanica Ljubljana, già nell'Unione Europea dal 2008, e avere fatto visita anche alla magnifica Beograd, purtroppo non ancora nell'UE ma spero possa entrarvi il più presto possibile, mi accingo a compiere questo viaggio sempre più convinto della bontà della mia scelta di conoscere direttamente tutte le capitali dell'Unione Europea in onore al più grande e spettacolare evento storico che l'Europa abbia mai realizzato da sempre, che è l'integrazione degli Stati europei in una Unione Europea comune, che li veda tutti concorrere alla pace, allo sviluppo socio-economico e alla fratellanza comune. In precedenza non c'è mai stato un lungo periodo di pace come quello che ci ha visti insieme dopo la fine della 2ª guerra mondiale. Naturalmente non tralascio le altre nazioni del sud balcanico che desidero anche per loro un futuro europeo sotto la bandiera blu dell'UE. Nel mio immaginario Zagreb rappresenta la capitale di uno Stato da prendere sul serio. Non solo perché ha geograficamente la forma di una bocca aperta di coccodrillo nell'intento di ingoiare una preda ma, soprattutto, perché è forte l'idea che essa sia una nazione in cui il nazionalismo gioca un fattore importante di coesione nazionale. Questo non toglie nulla al fatto che sia una bella città, ospitale e per molti aspetti da invidiare. Ci sono anche altri motivi per cui Zagreb è una bella città, piacevole e apprezzabile.

Qui desidero introdurre soltanto un aspetto, che riguarda la considerevole dotazione culturale che la Croazia ha prodotto e possiede in relazione al rilevante numero di personaggi storici, letterari, scientifici e del mondo dell'arte nati e vissuti qui che ne fanno una comunità completa e adeguata sotto il profilo culturale anche a livello internazionale. Spiccano tanti nomi che meritano una citazione. Qui non posso non ricordare: Josip Jelačić, Ivan Mažuranić, Ljudevit Gaj, Antun Mihanović, August Šenoa, Miroslav Krleža, Ivo Andrić, Dušan Vukotić, Dionis Sunko, Nikola Tesla e, perchè no, anche Dražen Petrović, oltre a tanti altri che qui sarebbe lungo elencare. Ne parlerò di più e meglio in seguito. Adesso è importante riconoscere che la città è una fucina di cultura, di arte e di eventi turistici e artistici di alto livello proposti in tutto il paese che dire interessanti è certamente riduttivo.

Premessa. La città è compatta e abbastanza convincente nella sua struttura architettonica. La Sava divide a metà la città in un nord e un sud. A nord del fiume c'è il centro storico che ha come riferimento la bella e armonica Trg bana Josipa Jelačića. A sud c'è la parte nuova della città.

Nonostante io sia già stato in Croazia è la prima volta che visito Zagreb. Non ci sono dubbi che sia una bella città. Chiarisco subito che non sono venuto qui per dare giudizi di merito ai suoi abitanti o fare gli esami agli standard di vita dei cittadini della bella capitale croata. No. Sono venuto qui perchè, dopo l'entrata nell'Unione Europea, la Croazia non è più, a mio parere, uno dei tanti paesi dell'ex Jugoslavia ma uno Stato autenticamente europeo, che vuole e deve fare la sua parte all'interno dell'Unione Europea. Sono venuto qui perché voglio essere testimone diretto dei progressi che la bella nazione dalla "bandiera a scacchi" ha fatto in questi ultimi anni e che continuerà a fare in futuro. Ne sono certo. Ben venga il suo contributo, che è importante per tutti noi europei. Sono sicuro che l'amena capitale croata, con il suo contributo, migliorerà il clima e la politica dell'intera Unione Europea. Ma la ragione più profonda della mia presenza qui nella città della Sava riguarda il mio interesse e la mia curiosità a conoscere direttamente e senza intermediazione alcuna aspetti di vita di cui invidio i zagabresi: vita a misura d'uomo, molto verde in città e fuori, architettura, arte, società, teatro, lettere, musei, senso civico, cucina, ristorazione, pasticceria, caffè, enologia, e tanto altro. Basta solo questo per essere decisamente soddisfatto della decisione che ho preso di venire qui, in visita turistica, e sono molto ottimista sulla sua riuscita.

Primo giorno Mercoledì 28 Agosto. Iniziamo dalla partenza da Roma con l'autobus, vicino casa. Sono le 7.15 quando mi avvio a prendere l'autobus per la stazione Ostiense delle ex FF.SS., dalla quale raggiungere Fiumicino Aeroporto. Di solito, in italiano, si dovrebbe dire al contrario: "Aeroporto di Fiumicino". Di norma, prima si dice aeroporto e poi Fiumicino. Da qualche tempo in qua, sorprendentemente, si dice al contrario. Posso citare altri esempi. Mi viene in mente il seguente: "Veneto banca" e non "banca del Veneto". Gli inglesi scrivono prima l'aggettivo e poi il sostantivo. Per noi dovrebbe essere al contrario. Invece siamo felici di scopiazzare stupidamente dalla lingua inglese. Ma ritorniamo a noi. L'autobus è già alla fermata. Il conducente dorme sprofondato sul sedile di guida. Lo sveglio e gli faccio presente che le luccioline del quadrante del numero luminoso del bus, poste nella parte posteriore, sono tutte accese e che quindi è impossibile leggere correttamente il numero del bus. Mi guarda distratto, con distacco, come se la cosa non lo riguardasse. Capisco che non vuole essere disturbato. Strano modo di comportarsi il suo. In fondo in fondo l'autobus lo conduce lui e non io e, peraltro, particolare di non poca importanza, costituisce il suo strumento di lavoro. Per lui dovrebbe essere una informazione preziosa da segnalare a qualche ispettore dell'azienda romana dei trasporti Atac. Vai a capire un po' cosa passa per la sua mente. Guardo l'orologio e capisco di essere in largo anticipo. Ma a Roma con i mezzi di trasporto non si sa mai come finisce e non fidarsi degli orari e delle apparenze è cosa saggia. Oblitero il biglietto alla macchinetta e mi seggo al primo posto. Dopo un po' il conducente mette in moto e parte stancamente. Pochi minuti dopo l'autobus si ferma in una via un po' stretta. C'è una macchina in doppia fila che impedisce di muoversi. Passano pochi minuti che sembrano un'eternità. L'auto viene rimossa. Dopo un'altra manciata di minuti il conducente si rende protagonista di un fatto increscioso. Nell'affrontare una curva sfiora il marciapiede mentre il tetto dell'autobus colpisce il ramo di un albero. Altra fermata per controllare i danni. L'indolenza del conducente che ha girato lo sterzo con lentezza esasperante ha prodotto una ulteriore perdita di tempo. Tutto sommato essere in anticipo con autisti del genere rende tranquilli perchè una parte di questo anticipo lo annullano loro. Con questo conducente tutto è possibile, anche che rompa il motore. Osservo il panorama. Il paesaggio del parco dell'Appia Antica scorre attraverso i finestrini nella sua straordinaria bellezza davanti a me. Sul lato destro della strada c'è un cartello con la scritta : "Ancora in campo per l'Italia". Mi chiedo se si tratta della pubblicità di una squadra di calcio o di un partito politico che sfrutta l'immagine del gioco del calcio per attrarre sostenitori. Strano paese questo dove si confonde calcio e politica. Nel frattempo arrivo al capolinea della stazione ferroviaria di Roma Ostiense, vicino alla Piramide. Entro in stazione, compro il biglietto di andata e ritorno per Fiumicino aeroporto e attendo il treno sulla banchina del binario 12. C'è poca gente che aspetta insieme a me. Il treno è in orario. Mi seggo e dopo mezzora di viaggio arrivo all'aeroporto "Leonardo da Vinci", in anticipo sui tempi di marcia. La partenza per Zagreb è oggi, 28 agosto 2013 a Roma Fiumicino, al Terminal 2, gate H18. Sulla pista più lontana mi aspetta un aereo della Croatia Airlines per Split, volo OU 381 posto 6A. Si, per Split, non per Zagreb. Purtroppo il volo non è diretto ma fa scalo a Zračna luka Resnik di Split, per poi ripartire mezzora dopo per Zagreb. E' un volo della Croatia Airlines da FCO (Roma Fiumicino) per SPU (Split cioè Spalato) delle 11.10 e arrivo alle 12.25. L'aereo è un Dehavilland Dash 8-400 Turboprop. Si riparte da Split Resnik per Zračna luka Zagreb (ZAG) alle 13.00, gate 2 posto 4A con lo stesso aereo per arrivare alle 13.50 a Zagreb. Il titolo di viaggio l'ho acquistato molti mesi fa, in febbraio, all'agenzia Oceanitis Viaggi di Roma. Il ritorno avverrà il 31 agosto da Zagreb (ZAG) per Dubrovnik (DBV), volo OU 384 della Croatia Airlines gate 02 posto 9C. Partenza alle 14.15 e arrivo alle 15.15. Indi da Dubrovnik per Roma Fiumicino, stesso volo OU384, gate 04 posto 9C delle 15.50 con arrivo a Roma FCO alle 17.10. Le formalità al check-in di Roma Fiumicino non sono nè rapide, nè agevoli, per il semplice motivo che la sala partenze (situata nella parte più lontana e periferica dell'intero edificio) riunisce molti voli raggruppati tutti insieme per aree geografiche omogenee. I cancelli d'imbarco sono ben quattordici, dal gate H6 al gate H19, tutti in una sola sala, ammucchiati uno vicino all'altro. La sala per quanto grande possa essere non ce la fa a contenere migliaia di persone. C'è tanto caos, perchè l'ora di partenza è di mattina, che ovviamente risulta essere molto appetibile per chi viaggia. Dunque, la sala è piena e non c'è nessun posto a sedere. Mancano gli spazi e le comodità. Sembra di essere in un grande capannone di un'azienda, in cui gli operai sono i viaggiatori. Per soddisfare le "esigenze alimentari" di centinaia e centinaia di passeggeri c'è un solo piccolo chiosco. Troppo poco. Le destinazioni comprendono molti paesi limitrofi del sud-est Europa e del nord Africa. Oltre a Split, le partenze sono per Bucarest, Sofia, Tirana, Istanbul, Podgorica, Belgrado, Skopje, Pristina, Algeri, Tripoli, Tunisi, e altre periferiche destinazioni. La gente è veramente tanta e variegata. Ci sono cristiani, musulmani, europei, asiatici, africani, arabi, pakistani, gente vestita con short e magliette ma anche con veli e chador. Mancano solo gli ebrei che, com'è noto a Roma Fiumicino per ragioni di sicurezza hanno un terminal tutto per loro, il T5, insieme agli statunitensi. Un intero universo di popolazione multirazziale nella sala si muove, sta fermo, si incolonna, si ammucchia e si siede anche per terra. Insomma c'è di che guardare e, tutto sommato, fa piacere osservare la grande varietà della fauna umana soprattutto vista realmente nella sua molteplicità e nella confusione ma anche nella più affascinanate differenziazione e bellezza. C'è chi mangia e chi beve, chi legge e chi si assopisce, chi telefona e chi è assorto, chi filma la gente con il suo smartphone ultimo modello e chi trascina frotte di ragazzini che piangono. Insomma, una vera e propria casbah multi variegata in tutto e per tutto ma piacevole da osservare. Trovo un posto vicino a una signora anziana che è interessata a osservarmi. Mi guarda con insistenza. E' troppo. Vado via. Trovo un altro posto e mi siedo dall'altra parte. L'attesa è lunga non solo perchè sono arrivato in anticipo ma anche perchè c'è l'abitudine di aprire il gate sempre in ritardo. Trascorro più di un'ora e mezza a passeggiare stancamente nella grande sala. In fondo in fondo stare all'impiedi o camminare è un fatto positivo, visto che sull'aereo non mi potrò muovere dal posto per parecchie ore. Finalmente arriva il momento dell'imbarco anche per me.

In aereo al mio fianco non si siede nessuno. L'aereo è piccolo e non è pieno. C'è poco da dire e da notare. Mi metto così a sfogliare la rivista della compagnia aerea croata del turismo. A Split si cambia. Nuovo check in e nuova sistemazione nello stesso aereo. Passo dal posto 6A al 4A. Per il resto, tutto uguale come prima. Questa volta però ho un compagno di viaggio seduto vicino a me. E' un giovane cinese, rotondo e discreto. Si siede e senza salutare si mette delle cuffie e con il suo smartphone Samsung Galaxy S3 si chiude in sé per tutta la durata del volo. Con il suo cellulare fa di tutto: scrive mail, prende appunti, guarda album di foto e vede addirittura un intero film per quasi tutto il tragitto. Non dice una sola parola. Riesco a parlare con lui solo dopo l'atterraggio, per pochi istanti, quando in attesa di uscire dalla carlinga gli chiedo di farmi una foto. Il trasferimento nella sala uscite è immediato perchè non debbo aspettare alcuna valigia al nastro trasportatore, in quanto viaggio solo col bagaglio a mano. Ho imparato con l'esperienza che col solo bagaglio a mano porto con me lo stretto indispensabile e viaggiare diventa più facile e meno faticoso. Mi faccio subito una buona idea dell'aeroporto perchè non vedo nessun tassista abusivo, nè alcun molestatore di turno. Ottimo viatico. Questo fatto è un buon biglietto da visita. A Zagreb la temperatura è più bassa di quella di Roma. Indosso un pullover per coprirmi un po'. Se sarà necessario nel bagaglio a mano ho un k-way. Nella hall vedo un bancomat e prelevo cinquanta euro in valuta croata, che è la kuna.

Oggi il cambio è 1€=7,53 kune. Mi serviranno per pagare subito il viaggio in autobus dall'aeroporto alla stazione degli autobus, chiamata Autobusni kolodvor situata in Avenija Marina Držića 4, e successivamente il tram fino a Zagreb Centar. Sul bus della Croatia Airlines mi metto al primo posto dietro l'autista per vedere meglio la strada. Dopo una decina di minuti si parte. Il conducente è un signore di mezza età, molto professionale. Guida bene e il viaggio scivola via piacevolmente. Arrivo alla stazione degli autobus che inizia a piovere leggermente. Il cielo è grigio e pieno di nuvole. L'aria è umida. Nel Terminal compro alcuni biglietti del tram e mi sposto alla fermata relativa, nel quartiere di Trnje. Ho il tempo di salire sul tram n. 6 che la pioggia diventa più intensa e qualche rovescio di pioggia scroscia sul tetto del mezzo. Il tram 6 parte da Sopot e va a Črnomerec. Le due fermate più famose, oltre Glavni kolodvor, sono per l'appunto Autobusni kolodvor (nella quale sto salendo) e Trg bana Josipa Jelačića (nella quale scenderò tra poco). Si tratta solo di cinque fermate. Oblitero il biglietto di viaggio che ho acquistato all'interno della Stazione e mi seggo. Il tram non è affollato e ci si può sedere comodamente. La gente sembra assorta nei suoi pensieri mentre il tram scivola via abbastanza velocemente. Ci sono più donne che uomini. Anzi, i soli uomini che vedo sono o ragazzi o vecchi. Le donne sono di tutte le età. Provo una strana e piacevole sensazione alla novità di trovarmi per la trentunesima volta in una capitale europea che non conosco diversa da tutte le altre. Forse il piacere di viaggiare è proprio quando si provano queste sensazioni, che sono rare e quasi mai percepite sul suolo nazionale. Forse il sottile piacere e la piccola ansia da novità sono alla base dell'eccitazione che si prova a viaggiare in paesi che parlano una lingua differente. Nel frattempo il tram si ferma alla stazione centrale, qui chiamata Glavni kolodvor. Che strano nome per una railway station. Letteralmente significa "stazione principale". E in effetti lo è, sia per la struttura architettonica imponente e pretenziosa, sia perchè fermata importante per i tram e ancor di più per i treni.

C'è un via vai di ombrelli aperti e chiusi dalla gente che sale e scende dal tram. Ma tutto è ordinato e nessuno disturba gli altri. Prendo nota della bella facciata della stazione perche la visiterò domani con attenzione. Penso che le stazioni ferroviarie siano uno dei biglietti da visita architettonici più importanti per una città, soprattutto per una capitale. I pochi minuti che mi separano dall'hotel sono probabilmente tra i più ricchi e carichi di sensazioni che si possono provare quando si arriva in una città straniera. Arrivarci con un mezzo pubblico, tram o autobus è ancora più bello, perchè si sta vicino alla gente comune, quasi ci si può confondere. Non mi è mai piaciuto arrivare in albergo con un taxi. Mi sa tanto di americanismo, di comodità, di elite, di persona del mondo della finanza che si autoemargina dalla realtà locale. Sono dell'avviso che si può percepire meglio e più efficacemente la città viaggiando accanto all'operaio, all'impiegato, alla massaia che va a fare la spesa al mercato e così via. Mi piace vedere e osservare. No, non i visi o l'abbigliamento della gente e basta. Mi piace vedere gli sguardi e i gesti delle persone, soprattutto quelli delle più comuni. Mi piace vedere l'«anima» della gente che osservo per la prima volta nella mia vita e che sicuramente non rivedrò più per tutta la vita. Sto contando le fermate. A questo punto ne manca una sola, Zrinjevac, prima dell'arrivo a destinazione, cioè a Trg bana Josipa Jelačića.

Vedo abbastanza bene dai finestrini la prima delle tre piazze piene di verde che si susseguono da Glavni kolodvor fino a Trg Josipa Jelačića. Nella speranza che domani non piova e ritorni il sole penso che il giorno successivo in questo luogo farò delle belle passeggiate. Dalla fermata del tram al mio albergo ci sono più o meno trenta metri. Li faccio correndo, per bagnarmi il meno possibile e mi presento alla reception. Un signore anziano e serioso mi assegna la camera 215 (nella foto), al secondo piano. Ringrazio e salgo su per rinfrescarmi. L'Hotel Dubrovnik è uno degli alberghi più comodi e centrali di Zagreb. Ha un'ala che si trova nella piazza Jelačića mentre la parte moderna in cristallo si trova in una strada laterale alla piazza chiamata Ulica Ljudevita Gaja 1, dove peraltro c'è la reception. In camera sistemo biancheria e pantaloni nell'armadio. Mi rinfresco un tantino, mi metto il k-way e, ombrello alla mano, sono in strada per respirare l'aria balcanica di Zagreb. La bellezza della piazza è davanti a me in uno spettacolo di stili e colori dei palazzi che la circondano a dir poco spettacolare.

Piove e non so che direzione prendere. Di solito ho le idee chiare su "cosa" e "come" fare. Ma la pioggia mi mette in difficoltà. Ho già le scarpe e i pantaloni bagnati e il tempo non accenna a cambiare. Nella piazza so per certo che c'è una filiale della banca PBZ , cioè Privredna Banca Zagreb, che appartiene al gruppo italiano Intesa San Paolo. La cerco e la trovo vicino a una pasticceria dalla quale esce un profumo di pane e panini che fa venire l'acquolina in bocca. Il cielo è pieno di pioggia e difficilmente migliorerà a breve. Decido pertanto di rientrare in hotel per riposarmi e uscire più tardi per la cena. E' quasi buio quando mi muovo verso la Cattedrale. Voglio vederla di presenza. Di fronte in Bakačeva ulica 9 c'è il Restoran Katedralis. Nella lista delle pietanze esposte fuori ce ne sono alcune di mio gradimento. Entro e mi seggo a un tavolo. Il cameriere è molto gentile. Ci sono alcuni tavoli con gruppi di persone che mangiano allegramente, senza fare chiasso.

In mezzo alla sala c'è un separé che separa un tavolo dagli altri. Non sono molto convinto della scelta ma il cattivo tempo mi impone di non aspettare e soprattutto di mangiare subito qualcosa perchè ho fame. In pratica è da questa mattina che non mangio adeguatamente. A parte qualche crackers acquistato nella confusione della sala di attesa a Fiumicino e alcuni grissini offerti durante il viaggio da Roma a Split non ho mangiato nulla. E poi è noto che la cucina croata ha una doppia personalità: "meso" e "riba", cioè carne e pesce. Le prelibatezze sono variegate e molteplici. Con certezza prenderò pietanze caratteristiche del posto. Sebbene la lingua croata sia di difficile interpretazione, mi sento abbastanza preparato a scegliere alcune pietanze indigene perchè ho imparato i nomi dei piatti che mi interessano di più. Un esempio? Eccolo: Per antipasto: una zagorska juha, cioè una zuppa mista o una slavonska juha cioè piccante se piace il peperoncino o, meglio ancora, una juha od povrca, cioè alle patate. Come primo piatto: i famosi zepeceni strukli oppure gli strukli v juhi cioè i primi al forno e i secondi in brodo. In alternativa il pesce con un rizot od morskijh plodovima, cioè un risotto di mare o crni rizot ovvero un risotto nero o un brodet, cioè una zuppa di pesce. Va bene anche una topla predijela skoljke, cioè un antipasto caldo con molluschi e cozze, qui chiamate dagnje, mentre un secondo di carne potrebbe essere la classica milanesissima becli odrezak cioè una cotoletta alla milanese. Come vedete c'è da scegliere e soprattutto da gustare.

Decido di prendere una minestra calda, per l'esattezza la zagorska juha (a sinistra nella foto) e un risottino caratteristico della costa dalmata, chiamato crni rižot, ovvero un risotto insaporito con l'inchiostro delle seppie di colore nero. Un bicchiere di vino rosso Plavac e uno strudel di mele della casa completano la lista delle pietanze che ho appena ordinato. Ricordando la pesantezza dei ćevapčić alla griglia mangiati tre anni fa a Belgrado non me la sono sentita di ordinare un piatto di carne. E' meglio mantenersi leggeri e mangiare più pesante, se necessario, domani a pranzo. Devo dire che le pietanze sono tutte gustose e abbondanti. Il servizio impeccabile e l'atmosfera decisamente calda in grado, insieme all'ottima zuppa, di riscaldarmi un po' dal freddo della pioggia che ancora si sento addosso.Una corsa sotto l'ombrello attraverso l'intera piazza del bano Josip Jelačić mi fa rientrare in albergo desideroso di un lungo e piacevole sonno ristoratore.

Secondo giorno Giovedì 29 agosto. Dopo aver fatto colazione in albergo mi presento in Trg bana Josipa Jelačića deciso a camminare un po' per le strade zagabresi. Con il k-way addosso e un ombrello tascabile sono pronto a tutto. Svolto l'angolo di ulica Ljudevita Gaja e mi trovo nella bellissima piazza centrale. Il monumento equestre dedicato al bano Josip Jelačić è là, nel centro della piazza, con la sua spada rivolta contro tutti a ricordare che qui a Zagreb le cose vanno fatte bene e sul serio, altrimenti sono guai per tutti. Si dice che fosse questo il significato del gesto del bano con la spada sfoderata e posta a mo' di carica della cavalleria. Dunque, ecco muovermi verso Donji grad, nella parte a sud di piazza Jelačić ma a nord di Glavni kolodvor. Decido di scoprire prima la parte nuova di Donji grad della Zagreb ottocentesca per risalire poi alla parte più antica e preziosa della città, lungo la linea passante per le due chiese più famose di Zagreb: crkva Sv. Marka e la Katedrala, ovvero di S. Marco e della Cattedrale. Svolto a destra, nella Paška ulica fino ad incrociare ulica Nikole Tesle all'angolo dove c'è un supermercato della Konzum. Parlerò dopo di Nikole Tesla. Adesso mi interessa muovermi verso Glavni Kolodvor e Trg Nikole Šubića Zrinkog e fare la prima fermata obbligatoria. Che dire del magnifico parco che c'è nel centro della piazza? Stupendo. E' bellissimo. Platani magnifici e imponenti, panchine invitanti, fontane circolari, edicole e prati verdi, piacevoli nella loro unicità. I platani sono situati su quattro lunghe file. Gli alti e robusti tronchi primeggiano per incanto e bellezza. Sul prato verde e ben curato si vedono le prime foglie ancora non ingiallite cadute dagli alberi che annunciano l'imminente arrivo dell'autunno. L'atmosfera è rilassante e tutti i passanti con il loro modo discreto di camminare concorrono a questo beneficio. All'estremità sud si vede il maestoso edificio dell'Accademia Jugoslava delle Scienze e delle Arti con le bandiere svolazzanti della Repubblica Croata e dell'Unione Europea. Dopo Trg Nikole Šubića Zrinkog e l'inizio di ulica Boškovićeva c'è Tgr Josipa Jurja Strossmayera. Al n.19 di quest'ultima, con la bella insegna di un pupazzo disegnato da linee circolari e segmenti paralleli di diverso colore e due punti blu nel centro, c'è la Kazalište Lutaka, ovvero la prestigiosa sede del teatro delle marionette. Darei chissà che cosa per poter assistere a un loro spettacolo. Lo meritano, ma non è possibile perchè il primo spettacolo, dal titolo Sretni Prink, sarà presentato al pubblico il 31 agosto alle 18.00, giorno in cui io a quell'ora, purtroppo, sarò da poco atterrato per il rientro all'aeroporto di Roma Fiumicino. Peccato. Un'altra delusione è l'informazione ottenuta alla reception che il 5 settembre p.v., alle 21.00, i Leningrad Cowboys, con lo spettacolo musicale Tvornica preporučuje, si esibiranno a due passi da qui, nella Tvornica kulture in Šubićeva 2. Mi dispiace di nuovo. Li avrei ascoltati con piacere. La loro musica mi ha sempre affascinato, peraltro sempre presente nei film del regista Kaurismäki.

Il percorso per arrivare alla stazione centrale di Glavni kolodvor è diritto e breve. Zagrebački Glavni kolodvor si trova in Trg kralja Tomislava 12 ed è una bella stazione dei treni con frontale in stile neoclassico. Le quattro colonne della facciata, insieme a due statue situate nelle due nicchie e ad altre due poste alla sommità danno una piacevole sensazione di perfezione e di simmetria. L'interno è semplice e completo. Con la presenza al centro di un mercatino di libri, sempre benvenuto. Una edicola di giornali, un box di ristoro pulito e piacevole e il tabellone luminoso degli arrivi e delle partenze completano un arredamento spartano e semplice che invoglia a guardare con piacere l'ambiente circostante. Nei due secoli scorsi dell'Ottocento e del Novecento, da quando cioè nacque la ferrovia, viaggiare in treno era l’unica possibilità di effettuare lunghi spostamenti fra città e città e, addirittura, fra nazioni differenti. Basti ricordare l'Orient Express, con il suo portato di mistero, raffinatezza e di fascino che portava i viaggiatori dall'Europa atlantica all'estremo Oriente si può avere un'idea dell'importanza dei viaggi in treno. E dove si prendeva il treno? Nelle stazioni ferroviarie, che non erano solo luoghi di transito ma autentiche oasi di persone che andavano e venivano e uno spaccato socio-culturale della vita della città. L'occhio vedeva grandiosi e impressionanti edifici, decorati in modo spesso eccelso per impressionare i viaggiatori e costituire al tempo stesso luoghi e attrazioni di vero e proprio turismo. L’esaltazione delle stazioni ferroviarie e il fascino della ferrovia ha molte ragioni di essere considerate affascinanti. Sui treni a lunga percorrenza, per esempio, c'erano aspettative che non erano solo di spostamento nello spazio e di accorciamento delle distanze ma anche di incontri tra sconosciuti e di sicuri e spesso eccitanti discussioni tra persone, anche di sesso differente, che prima erano dei perfetti sconosciuti. Ma il viaggio in treno non fu solo spostamento. Dietro a ogni viaggio ci sono stati milioni di casi personali, di felicità e di dolore che solo i protagonisti potrebbero confessare. Io stesso, da ragazzo tredicenne, fui costretto a prendere il treno per andare in un capoluogo di provincia della Sicilia orientale per andare a studiare alle scuole medie superiori. In alcuni di questi viaggi ero accompagnato da mio padre, che mi insegnò all'inizio a guardare la stazione ferroviaria non solo come un punto di partenza e di allontanamento dalla famiglia ma, meglio, come punto di arrivo e di ricongiungimento con i miei genitori. Fu questa la scintilla, scoccata da bambino, che mi fece vedere con i miei occhi pieni di lacrime i treni che partivano per andare lontano da casa. Immagini struggenti che mi rimasero impressi per tutta la vita. Ecco perchè in ogni città europea che visito, uno dei luoghi che mi attira di più è proprio la stazione ferroviaria. Quella di Zagreb è piacevole, sobria, ordinata e pulita sebbene poco stimolante. In Europa ci sono bellissime stazioni ferroviarie come la Gare du Nord di Paris, la Central do Rossio di Lisboa, la Stazione Sirkeci di Istanbul, la Stazione Atocha di Madrid, la Centraal Station di Amsterdam, la Hauptbanhof di Berlin, la Stazione Centrale di Milano e anche la Keleti Station di Budapest.

La stazione di Zagreb è più piccola e più modesta. Tra l'altro è stata disegnata dall'architetto ungherese Ferenc Pfaff, mentre le sculture presenti sulla stazione sono state prodotte dallo scultore, sempre ungherese, Vilim Marschenko. Ricordo che Ungheria e Croazia hanno avuto profondi legami e rapporti spesso burrascosi. In effetti i frontali delle due stazioni di Budapest e di Zagreb, a mio parere, sono molto simili. Hanno lo stesso numero di colonne, di nicchie e di statue. Anche l'architettura, la disposizione e le forme sono identiche. Sono convinto che hanno anche altre cose in comune. Il piazzale della Glavni kolodvor volge a nord e mostra la statua equestre del leggendario re Tomislav che nel secolo X divenne il primo re della Croazia con un regno che si estese a nord fino alla Drava, a sud fino alla Neretva e ad est fino alla Drina. Citare il fiume Drina significa avere l'obbligo di ricordare il grande scrittore balcanico, premio Nobel, Ivo Andrić, autore del colossale romanzo Na Drina Ćuprija, cioè Il "Ponte sulla Drina". Sono del parere che Andrić ha poco di croato e molto di bosniaco. Infatti nacque a Travnik, trascorse la sua infanzia a Višegrad in Bosnia e si stabilì successivamente in Serbia. Ma il suo romanzo è troppo importante per non dire qualcosa di interessante che lo riguarda, anche perchè non solo l'ho letto due volte ma Andrić ha un intenso rapporto con Zagreb che non posso non citare. Nel 1913 si iscrisse alla facoltà di letterature slave all'Università di Zagreg e successivamente nel 1917, dopo alcuni anni di prigionia, ritornò sempre a Zagreb dove fondò la rivista letteraria «Književni jug», cioè "Il Sud letterario".

L'opera principale è senza ombra di dubbio Na Drina Ćuprija. Si tratta del più grande ritratto storico della cittadina, che si snoda lungo i quattro secoli che vanno dal XVI al XX. In questo romanzo c'è di tutto. Rappresenta, per certi aspetti, ciò che rappresentò in Italia il romanzo I promessi Sposi di Alessandro Manzoni. Due idee mi passano per la mente. La prima riguarda il fatto che l'incipit del romanzo di Andrić mi ricorda quello del Manzoni. Leggiamoli insieme di seguito. Scrive Andrić: «Per la maggior parte del suo corso il fiume Drina s'apre la strada attraverso anguste gole tra scoscese montagne o attraverso profondi cañon dai fianchi a picco. Soltanto in alcuni tratti le sue sponde si allargano in aperte pianure per formare, su una o entrambe le rive, distese solatie, in parte piane, in parte ondulate, atte ad essere lavorate e abitate». E confrontatelo con quest'altro di Manzoni: «Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un'ampia costiera dall'altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all'occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l'Adda rincomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l'acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni». Nel primo incipit il protagonista è un fiume, mentre nel secondo è un lago. Tuttavia la "musica" non cambia e le due descrizioni hanno molti tratti in comune. La scrittura di Andrić dicono i critici è nello stesso tempo "fluente e densa". Quella del Manzoni, per me che sono un suo estimatore, "divina". Considerato a suo tempo in Jugoslavia alla stregua di un eroe nazionale riporto qui di seguito le coordinate bibliografiche del suo bellissimo libro che, da profondo narratore, "guarda con atteggiamento equanime manifestando rispetto per il modo con cui ciascuno di essi - cristiano o musulmano - affronta, come ogni uomo, le sue pene o, come ogni uomo, coltiva le sue passioni". Ivo Andrić, Il ponte sulla Drina, Milano, Mondadori, 1995.

La seconda idea che mi passa per la mente è più che altro una curiosità. E cioè che «ponte» in croato si dice «most». Lo stesso si dice in serbo «мост», mentre in turco si dice «köprü». Non sono un linguista ma sono dell'avviso che «köprü» sia l'origine della parola Ćuprija, dal significato di ponte. Dunque, Ćuprija è il ponte in lingua turca. A voi qualunque considerazione. A me il compito di riportare il passo di Bruno Meriggi della sua celebre traduzione, che a mio parere sintetizza tutto: "il ponte è anzitutto simbolo del dolore e della sofferenza. Ma è anche simbolo della fusione dei due diversi mondi che qui si sono contrapposti e succeduti, quello orientale e quello occidentale". Alle spalle della statua di re Tomislav si vede lo Umjetićni Paviljon ovvero il Padiglione dell'Arte. Da Trg Kralja Tomislava mi dirigo in tutt'altra parte della città. Vado adesso a vedere il Museo della Tecnica di Zagreb. Questa mattina ho da visitare alcuni musei. Qui a Zagreb ci sono almeno una decina di musei interessanti. Naturalmente, non posso visitarli tutti. L'ordine di priorità prevede tre musei: quello della Tecnica, quello dello Sport e quello dell'Arte. Cominciamo col primo.

Il Tehcnički Muzej di Zagreb si trova in Savska cesta 18. Lo si raggiunge facilmente da Trg bana Josipa Jelačića con il tram, linea 12, direzione Ljubljanica. L'entrata è quasi nascosta in un cortile un po' disordinato, lasciato in disuso. Compro il biglietto e con grande curiosità vado all'entrata. L'intero museo si trova in un grande capannone con un pianterreno e un primo piano. E' un museo interessante, a condizione che si vada a visitarlo con idee ben chiare in mente. Il mio desiderio è quello di vedere con attenzione la sezione dedicata al grande scienziato croato Nikola Tesla. Ci sarebbe da dire molto su questa visita durata un'ora nei locali del museo. Mi limiterò a ricordare che nel mondo della scienza e dell'elettromagnetismo classico il cognome Tesla è il nome dell'unità di misura della importantissima grandezza fisica vettoriale "induzione magnetica B" che caratterizza quantitativamente intensità, direzione e verso del vettore campo magnetico in un punto dello spazio. L'unità, come è noto, si chiama «tesla» e viene indicata con l'abbreviazione maiuscola della prima lettera del cognome di Nikola Tesla, cioè «T». Come si vede nella foto, accanto alla statua che rappresenta lo scienziato intento nella riflessione con una sfera in mano, c'è un pannello con la formula di definizione dell'unità di misura "tesla", definito come il rapporto tra un weber di flusso magnetico e la superficie unitaria di un metro quadrato. Nel mondo dell'elettromagnetismo questa grandezza è la base di tutte le idee che caratterizzano il campo magnetico. Ci sono vari pannelli che descrivono il lavoro dello scienziato croato, vissuto molti ani negli Stati Uniti d'America a New York. Alcuni di questi pannelli entatizzano oltremodo le sue scoperte che mi ricordano la tecnica della ricerca del sensazionalismo, cioè di immagini che lo vedono immerso in improbabili ed intense scariche elettriche. Capisco che sul piano dell'immagine e della popolarità tutte queste dubbie rappresentazioni di scintille possano avere effetti positivi nel numero di visite al museo e ricordare i lavori di Nikola Tesla. Tuttavia sono fuorvianti. Più interessanti sono invece gli strumenti elettrici, elettrodinamici ed elettromagnetici disposti in alcuni armadi di vetro e all'aperto nel museo. In genere quando si parla di scienziati dei secoli passati si ha la sensazione che si stia parlando di personaggi fuori dal mondo e inutili. Mi pongo la domanda se le scoperte di Tesla siano ancora attuali. La risposta è senz'altro positiva. Un solo esempio per tutti. Il mio palmare S4 ha una app che permette di misurare l'intensità del campo magnetico in tutti i punti dello spazio in cui è possibile tenere il cellulare. Bene. Lancio l'app chiamata "Smart Tools" e sul minuscolo quadrante misuro un valore dell'intensità del campo magnetico di 60 μT, cioè 60 milionesimi di tesla. La vecchia unità di misura del campo magnetico, ormai fuori sistema internazionale, è il G (gauss) che è stata sostituita dal T (tesla). Sicuramente il valore letto sullo schermo è molto approssimativo perchè il programma, molto probabilmente, lascia a desiderare come precisione. Tuttavia è una sicura stima del "valore vero" che, com'è noto, non può essere misurato da nessuno strumento di misura in maniera esatta a causa della presenza di errori sistematici e/o accidentali. Nella foto si può vedere la formula di definizione dell'unità di misura dell'intensità del campo magnetico B, definito come il rapporto tra 1 weber di flusso magnetico per l'unità di superficie metro quadrato.

Vedo altresì grosse bobine di fili di rame, spinterometri, sfere di rame elettrizzabili e, addirittura, si vede concretamente come un uomo possa leggere un libro circondato da scariche elettriche ad alta tensione senza che lui ne soffra. Interessanti sono anche alcuni modelli antelucani di vecchi aeroplani, la ricostruzione fedele di una miniera e molti originali di macchine e manufatti della tecnica e della tecnologia, compresa una vecchia macchina da cucire Singer. Durante la visita, incontro alcune classi di giovani studenti il cui insegnante si mette a spiegare principi di funzionamento e descrizione dei fenomeni fisici. E' bello vedere docenti che fanno lezione in un museo. Probabilmente si tratta di una delle modalità didattiche più interessanti, in grado di far apprezzare ai giovani l'importanza della tecnica e della tecnologia. Se dico che erano decenni che volevo vedere di presenza la sezione dedicata al grande fisica Tesla non mento. Per chi come me, che ha vissuto un'intera vita professionale di docente di fisica, "toccare con mano" nel museo della sua Croatia alcune apparecchiature originali e molte altre copie è una sensazione di grande felicità. Esco da questo museo piacevolmente soddisfatto di avere visto ciò che ho desiderato per tanto tempo. A A due passi dal museo della tecnica c'è l'altro museo, quello dello sport, che coltiva la memoria di un Grande dello sport croato della pallacanestro. Girato l'angolo, nel Košarkaški centar, c'è il museo Dražen Petrović che si trova in Trg Dražen Petrović 3 Zagreb. Qui non ci sono quadri, macchine o sculture da apprezzare. Questo è un museo particolare, dedicato a un campione dello sport indigeno che ha fatto letteralmente innamorare i croati per l'eternità. E c'è da credere.

Al piano terra del Košarkaški centar c'è solo da prendere atto di chi fu e che cosa rappresentò Dražen Petrović nel mondo della pallacanestro jugoslava e croata prima, europea e statunitense successivamente. Fu sicuramente un "artista" del basket mondiale. Sintetizzo con le poche parole di Wikipedia il suo curriculum. Dražen Petrović (Sebenico, 22 ottobre 1964 – Denkendorf, 7 giugno 1993) «è stato un cestista jugoslavo, dal 1991 croato. Soprannominato "Il Mozart dei Canestri", è uno dei migliori cestisti europei di tutti i tempi e tra i primi a imporsi in NBA. Il suo stile di gioco era prettamente individualista, ricco di "uno-contro-uno", con un tiro perfetto e veloce. Giocava nel ruolo di guardia tiratrice, ma spesso anche da playmaker». Questo cestista mi ricorda qualcosa della mia vita che non voglio tacere. Da giovane rifiutai di interessarmi di calcio perchè compresi fin da allora gli eccessi, i risvolti violenti e i disvalori che questo sport veicolava nei giovani. Rivolsi pertanto la mia attenzione e passione per lo sport al mondo della pallacanestro italiana ed europea. Quella statunitense era fuori dalla portata giornalistica dei media del tempo. Più di una volta vidi giocare in televisione questo genio della pallacanestro jugoslava, ed apprezzai subito la sua serietà, sobrietà e modestia che mostrava sempre in campo. Nonostante fosse un avversario preoccupante delle squadre italiane (Snaidero, Ignis, Virtus, Simmenthal, Cantù) imparai ad apprezzarlo sempre di più convincendomi che i veri campioni sono coloro che parlano poco e fanno vedere molto. Memorabili alcuni incontri che lo videro giganteggiare nelle prestazioni della sua squadra. Fu un autentico trascinatore di squadra e realizzatore di record. Il museo non è molto frequentato. Durante la mia visita sono stato l'unico visitatore. L'impiegata alla cassa si mostra sorpresa nel darmi l'ulaznica, cioè il biglietto. Comprende subito che non sono un indigeno e, incuriosita dalla mia presenza, mi chiede di che nazionalità fossi. Si sorprende quando le dico che sono italiano e mi mostra con fierezza alcune vetrine contenenti coppe, vinte da Dražen Petrović, messe in palio da organizzazioni sportive e giornali italiani, quali "La Gazzetta dello sport" per citarne una. La mostra è un crescendo di lodi e di encomi alla grandezza del cestista croato. Piano terra e primo piano sono interamente dedicati al ricordo della figura in campo e nella vita di questo campione. Scatto qualche foto e sono di nuovo in strada. Si è fatto tardi e dal museo mi trasferisco nella parte nord di piazza Jelačić. Adesso ho come meta alcune chiese cattoliche e la cattedrale della città alta. Nella vecchia e incantevole città barocca sulla collina si vede un panorama abbastanza completo della città bassa.

Mi dirigo a visitare un obiettivo scontato, dovuto e "imposto" a tutti i turisti che vengono a Zagreb e cioè alla chiesa di S. Marco in Trg Markov, chiamata crkva Sv. Marka. Questa chiesa è un'autentica icona per i turisti. Molto probabilmente è la preferita fra tutte. Persino la cattedrale deve fare i conti con questa conosciutissima chiesa. Il perchè è presto detto e riguarda il suo tetto che è, a tutt'oggi, il dettaglio più conosciuto e guardato dell'intera cattolicità zagabrese. Un sapiente e indovinato gioco dei colori delle tegole fa si che il tetto, visto dalla piazza, rappresenti nitidamente i tre colori nazionali bianco, rosso e blu disposti a forma di scacchiera (Šahovnica) presenti, peraltro, nella bandiera croata. E' come se in Italia, a Roma, esistesse una chiesa con il tetto nel quale fossero rappresentati non solo i tre colori bianco, rosso e verde della bandiera italiana ma anche gli stemmi della città di Roma e dell'Italia. Per il resto è una bella chiesa, compatta, con interni interessanti che propongono arredi neo-gotici. Nella mia guida c'è scritto che : "nell'abside è custodita una delle sue opere più evocative, un grande crocifisso che impone una profonda riflessione sulla condizione umana". Già, la condizione umana. Qui non stiamo parlando del titolo dell'opera della tela di René Magritte ma della condizione umana di chi soffre nella vita e di chi ha dato la vita per gli altri. Grande tema questo, che solo con una profonda riflessione agevolata dall'essere in viaggio si può comprendere come la società di oggi abbia smarrito il senso della vita stessa. Esco convinto sempre più che chi viaggia ha la possibilità di sfogliare molte pagine del libro della vita. Sant'Agostino scrisse che: «La vita è un libro. Chi non viaggia ne legge una sola pagina». Dunque, è necessario viaggiare per sfogliare il libro. Ma questo è un altro discorso. Il mercato di Dolac si trova a poca distanza da qui. Non posso non vederlo. Stazioni ferroviarie e mercati rionali sono i luoghi che prediligo di più visitare nelle mie sortite alle città capitali dell'Europa. In questi luoghi si vede il vero volto della città e si osserva la febbrile umanità che vi transita. E poi si può passeggiare e anche sostare. D'altronde anche Socrate, oltre che frequentare l'Agora, passeggiava per il mercato e ascoltava le chiacchiere in piazza, osservando le merci e i beni materiali che venivano venduti o scambiati. Faceva questo, diceva, perchè così scopriva tutte le cose di cui non aveva di bisogno. Qui nella colorita piazza del mercato, circondata da edifici pieni di bar, caffè e ristoranti si vedono dettagli e particolari che sono un piacere osservare. Penso che mi fermerò qualche oretta. Ho prima da vedere meso e riba, un pekara, una slastičarnica e anche una bife e poi pranzare. Cosa sono? La traduzione è "carne, pesce, panificio, pasticceria e tavola calda". Il mio vocabolario della lingua croata si amplia sempre di più. Penso che sono arrivato a conoscere una trentina di parole. Un vero record. Eccone alcune: "dobro dan, dobra večer, dovidenja, otvoreno e zatvoreno, doručak, rijeka, hvala e molim, oprostite, odično, da e ne, zabranjeno, račun, tržnica, kolodvor, autobusni, koliko košta, zračna luka, ulaz e izlaz, stanica" e altre riguardanti pietanze e pasti. Mi rimane da confessare il fatto che per me le parole più importanti che imparo per prima in un paese straniero sono quelle che indicano luoghi e strade.

Trg, cesta, ulica, kneza, avenija. Piazza, strada, via, strada principale, viale. Sono sicuro che ci sono ancora altri termini e sinonimi che non conosco e probabilmente non saprò mai. Ma una lingua è un sistema di una complessità enorme e non è facile districarsi agevolmente. Mi accontento di ciò che ho imparato finora. Poco, essenziale e utile. I tavoli del mercato sono molto vicini tra loro, disposti in modo regolare e sono pieni di prodotti ortofrutticoli. La frutta e i vegetali hanno dei prezzi al kg veramente convenienti. Il prezzo più basso è 3 kune/kg, mentre quello più alto 14 kune/kg. Grosso modo si va da 40 centesimi a due euro al kilo. Provate ad andare in qualunque mercato italiano e pretendere di pagare i fichi bianchi a 2 euro al kilo. Impossibile. E le mele a 50 centesimi? E le carote a 40 centesimi? Inottenibile. Insomma ottimi prezzi. Grande varietà, abbondanza ma pessima igiene. Ho visto un'anguria tagliata a pezzi con almeno 50 vespe che ne succhiavano il succo in un brulicare caotico da mettere paura. Una brutta visione. L'ora del pranzo sta scadendo. Mi presento pertanto, sempre nella piazza del mercato, da Kerempuh. Mi aspetto una buona cucina tradizionale a prezzi accettabili. Il locale non è grande anche se ha diverse sale. Si trova in Kaptol 3 affacciato nella piazza del mercato, al primo piano di una terrazza con una ringhiera, con dei tavoli sotto degli ombrelloni al sole. Fuori fa caldo. Decido pertanto di mangiare all'interno di una delle sale. Mi seggo in quella meno affollata e guardo la lista delle pietanze. Intorno a me ci sono altri tavoli. In uno di questi, di fronte, ci sono un gruppo di giovani impiegati di qualche azienda vicina che parlano ad alta voce e ridono in continuazione. All'altro tavolo vicino a me ci sono quattro signori che, si vede da lontano, si sono incontrati per mangiare molte prelibatezze della casa. Decido di assaggiare come antipasto un'altra zuppa croata famosa che è un brodo di carne con tagliolini. Si chiama govedska juha, ed è un'alternativa alla zagorska juha. C'è anche il piatto tipico degli štrukli che ordino immediatamente, come primo, perchè non è possibile non assaggiare questa importante pietanza tradizionale.

Per secondo prendo il piatto del giorno, cioè delle fette di carne cucinate in salsa di pomodoro, a mo' di carne "alla pizzaiola". Una buona e fresca pivo, birra locale Pan, completa il pranzo. Il cameriere è gentile e mi serve con grande attenzione le tre portate. Rimango veramente ben impressionato dagli štrukli cotti al forno. Si tratta di una felice sintesi in cui si incontrano, delicatamente nel forno, una sottile pasta sfoglia, del latte e del formaggio fresco a temperatura moderata di 180°C. Nascono dalla fusione della due cucine: l'ottomana e quella balcanica. Hanno un sapore piacevole e vellutato che lasciano la bocca saporita e la pancia piena perchè saziano moltissimo. Inadeguata invece risulta la carne "alla pizzaiola" che sembra cucinata da un disorientato studente didi un istituto professionale aspirante cuoco. Esco dal ristorante deciso a prendere un gelato. Devo cancellare dalla bocca il sapore poco piacevole della carne al pomodoro. Una breve camminata mi porta nella ulica Illica, dove trovo una gelateria che fa un ottimo gelato al pistacchio e alla nocciola. Il successivo obiettivo sono due passeggiate da me scelte che partono entrambe dal quartiere alto. La prima è da Sv. Marka alla Cattedrala. Si parte dalla Freudenreichova ulica fino alla Kamenita Vrata, la famosa porta di pietra nell'angolo della quale ci sono delle intenzioni di voto come in molte chiese cattoliche di Roma. Si imbocca la Kamenita ulica fino alla Radićeva ulica. Qui si prosegue in direzione di Trg Illirski fino ad arrivare di fronte al Drzavni archivu Zagrebu dove sulla destra c'è una scala in discesa di un centinaio di gradini, chiamata Felbingerove stube odozgo. A fianco della scalinata sulla sinistra c'è vinogradi, un appezzamento di terreno in cui si coltiva la vite che mi ricorda Rue Saint Vincent al Cimetiére Saint-Vincent dove c'è una piccola stradina acciottolata, nel quale è coltivata la vite come qui e a pochi e passi dalla Basilique du Sacré-Cœur a Montmartre in piena Paris. Alla base della ripida scalinata c'è l'altra famosa e turistica via del passeggio tra i bar e i caffè della città alta, chiamata Ulica bana Tkalčića. Questa strada a un certo punto cambia nome e si chiama Medvedgradska ulica in fondo alla quale si trova il cimitero di Mirogoj, che visiterò domani mattina. Ne percorro una parte e subito dopo, imboccando la salita della Mikloušićeva Ulica, si arriva in un incrocio in cui appaiono in ordine prima una piccola chiesa, dove si trova la piccola cappella al buon ladrone,e successivamente Nova Ves che verso destra cambia nome e diventa Kaptol ulica. E' evidente che il nome "Kaptol" mi richiama alla mente la Katedrala di Zagreb. Infatti è proprio là che sto andando. Lungo il percorso, vicino all'Obiteljski Centar, vengo scambiato per un indigeno da una signora, che mi chiede qualcosa in croato, probabilmente il nome di un palazzo. Alla mia risposta "Ja ne govore hrvatski", che non parlo croato lei, disorientata, prima non capisce poi si scusa dicendo Ok, Ok, Ok. Devo dire che quando mi accadano situazioni del genere sono quasi sempre contento, perchè non è facile per un turista essere scambiato per un abitante del luogo. E' necessario avere contemporaneamente abbigliamento, atteggiamento, espressione e gesti tali tale da non apparire uno straniero. Di solito in Italia riesco subito a capire se una persona che cammina nella strada è italiano o meno. Ci sono decine di particolari che me lo dicono in modo immediato e certo. A parte il colore della pelle, dettagli come scarpe, pantaloni, giacca, cappello, viso, capelli e tanti analoghi indicatori me lo fanno intuire immediatamente. Non parliamo poi se l'interessato apre bocca. A quel punto spesso riesco a individuare anche la nazionalità. In molti anni di viaggi europei ho osservato tante volte la gente di trentuno paesi e ci sono molti particolari che generalmente mi fanno sbagliare raramente. La risposta della donna con l'intonazione data è stata una forma di scuse di cui non ne vedo la necessità. A tutti noi è capitato qualche volta di sbagliare persona. Il suo imbarazzo è testimone di una forma di discrezione che le fa onore e merito. Nel frattempo arrivo nella piazza antistante la cattedrale. Una parte dell'edificio, per l'esattezza la guglia del campanile di destra è in ristrutturazione ed è coperta da teloni. La parte visibile, già rimessa a nuovo è bella ma ancor di più lo è l'intera facciata che dopo gli interventi di ristrutturazione appare spettacolare e bellissima. Entro subito dentro perchè sono curioso di vedere gli interni. Non ho intenzione di commentare gli aspetti relativi all'architettura della chiesa.

Qualunque guida turistica è in grado di spiegarli meglio di come potrei fare io. A me il compito differente di testimoniare sensazioni personali che possano giustificare ciò che si prova nel vedere un capolavoro di storia, di architettura e di cultura come questa cattedrale. La foto ritrae l'abside con tre bellissime vetrate. Dico solo che nella navata centrale ci sono alcuni banchi liberi. Mi seggo e lascio libero sfogo ai miei pensieri. Davanti a me si siedono una signora con le sue tre figlie. La mamma nel centro, alla sua destra le figlie maggiori di circa 10-12 anni e alla sua sinistra la figlia più piccola di circa 6 anni. Quest'ultima ha un fiocchetto dorato ai capelli biondi che le dà un'idea di soavità. L'abbigliamento dell'intera famigliola è semplice e modesto ma l'atmosfera che la circonda è straordinariamente ricca di premure e di attenzioni delle une rispetto alle altre. Guardano tutte e quattro avanti, senza distrarsi e quando una delle quattro deve comunicare qualcosa alle altre c'è una dimostrazione affettuosa di delicatezza e di garbo per i quali la comunicazione avviene sottovoce senza dilungarsi e con uno sguardo pieno di rispetto. Rimango affascinato da questo modo di comportarsi. E poi quando la mamma dice qualcosa tutte e tre le ragazze sono attente ed educate, quasi deferenti. Mai visto un comportamento del genere che lascia supporre un grande affetto e un notevole rispetto per il ruolo giocato da ognuna all'interno della famiglia. Rimangono così quasi un quarto d'ora, ferme, in silenzio, ubbidienti al protocollo suggerito dalla mamma. Che piacere sapere che esistono ancora famiglie di questo tipo. Dopo di loro esco anch'io dalla Cattedrale. Nella piazza antistante l'entrata c'è una fontana con una bellissima colonna, in cima alla quale c'è la statua dorata della Vergine Maria. Una piacevole e bella espressione di forte cattolicità dell'intero complesso. Vicino l’entrata della cattedrale, sulla destra, c’è la libreria e la sala delle vendite di oggetti sacri. Entro per dare uno sguardo. Non c’è traccia di turisti tranne una suora che gestisce il negozio. Mi viene incontro e mi chiede di dove vengo. Quando le dico che vengo da Roma il suo viso si illumina e mi chiede il perché della visita. Parla benissimo l’italiano e facciamo una chiacchierata più o meno formale fino a quando le comunico la mia stima incondizionata per il nuovo Papa Francesco. Al contrario di prima, vedo che il suo viso si offusca e lei perde non poco il suo iniziale buonumore. Viene confermato ciò che ho chiaramente intuito da tempo. Papa Francesco dopo i famosi cento giorni di inizio del suo papato, negli ambienti tradizionali e ortodossi viene percepito poco come una risorsa e molto come un pericolo imminente. Vista la piega che la discussione sta prendendo capisco che è meglio salutare e andare via. Da Kaptol decido di fare una capatina nella parte est del centro città.

Voglio percorrere l'itinerario suggerito dalla mia guida, che mi porterà a Trg Žrtava Fašizma, che è un'ampia piazza dedicata alle vittime del fascismo. Sono costretto a transitare ancora una volta da Trg bana Josipa Jelačića. Nonostante io debba andare in una direzione differente le mie gambe fanno di tutto per farmi passare da questa piazza. Diciamo la verità: la piazza intitolata al bano Jelačić è veramente bella. A me piace molto. Faccio a me stesso delle scuse per passare sempre da qua. Mi ritrovo pertanto a svoltare l'angolo della Praška ulica dove c'è l'insegna della Singer, la mitica macchina da cucire Singer. Mia madre svolgeva la professione della sarta e ne possedeva una, fin dagli anni '50. A casa mia questa bellezza della tecnologia troneggiava nella sala di lavoro e tutti la ammiravano estasiati. Qui, nella foto, pubblico il modello presente al primo piano del Tehcnički Muzej di Zagreb. Dunque, imbocco la Nikole Jurišića ulica nella quale passano i tram, supero Trg Hrvatskih Vedrana e dopo un po' arrivo in questa piazza dedicata a una conseguenza della politica italiana tra le due guerre mondiali: il fascismo. Al centro della piazza si vede un edificio a pianta circolare costruito durante il periodo fascista, a fine anni '30, voluto da Ante Pavelić, chiamato il "Duce" croato. Per alcuni aspetti mi ricorda l'architettura fascista. L costruzione mostra di privilegiare l’effetto di stupore e di grandezza. Ciò che colpisce è la scenografia qui rappresentata abbondantemente per l’utilizzo di proporzioni notevoli e del travertino (o marmo) che sostituisce il classico e semplice intonaco.

Si tratta del Hrvatsko Društvo Likovnih Umjetnika. Adesso è la sede dell'Associazione Croata degli Artisti. In precedenza ha avuto altri nomi. Per esempio fu chiamato Mestrovic Pavilion e fu anche una moschea. E' evidente che si tratta di un nome evocativo di una stagione storica che riporta alla mente il periodo buio del fascismo e delle sue gravi responsabilità. E' innegabile che l'Italia del tempo, con una politica irresponsabile, tirannica e dispotica, si assunse una responsabilità enorme nei confronti del popolo slavo del tempo. La conseguenza è che quella sciagurata decisione di invadere la Croazia produce sempre in me vergogna e disonore per essere connazionale di tutti quei politici che portarono l'Italia in guerra. Nelle mie due precedenti visite nei Balcani, e precisamente a Ljubliana e a Beograd ho avuto modo di proporre qualche considerazione su questo delicato aspetto. In particolare, nel diario di viaggio di Belgrado, ho addirittura introdotto un evento di carattere personale che riguarda mio padre. Egli fu protagonista a Spalato (Split), in Croazia, di un fatto storico che avrebbe potuto costargli la vita. Nel lontano biennio 1943-45, per quindici lunghissimi mesi, mio padre Salvatore suo malgrado, divenne "partigiano titino" nei boschi della Bosnia i Hercegovina all'indomani dell'8 Settembre 1943, nella zona di Livno (Лиьно) a nord-est di Split insieme a 250 commilitoni carabinieri di un battaglione della Brigata "Garibaldi". Ebbene quei fatti mi sono rimasti "dentro" perchè li ho appresi da vicino in famiglia e "vissuti" attraverso il diretto racconto del protagonista-testimone che fu mio padre, il quale l'8 settembre del 1943 si trovava a Split, nella veste di carabiniere responsabile incaricato di "gestire l'ordine" - come si diceva a quel tempo - nella pescheria della bella città dalmata.

Nella foto scattata nel luglio del 1990 si vede la sala della pescheria (peškarija) di Split in ulica Marmontova, sorvegliata da mio padre, 47 anni dopo l'8 settembre 1943. Nella parete di fronte, accanto all'orologio, si vede appeso il quadro contenente la foto di Josip Broz (Јосип Броз) detto Tito (Тито), Presidente e Capo supremo della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia morto nel 1980. In breve le cose andarono così. In quella pescheria mio padre più di una volta difese delle persone anziane dai tentativi di truffa sul peso da parte di pescivendoli poco corretti. Nonostante nessuno dei suoi superiori gli avesse chiesto di tutelare le vecchiette che andavano a comprare il pesce, mio padre intervenne molte volte, con rigore e senso di giustizia, a favore della gente indifesa, povera e anziana. Il fatto fu notato da alcuni presenti che si trovavano in quei momenti in pescheria. All'indomani dell'8 Settembre 1943, nel più totale sbandamento delle truppe italiane in Dalmazia, circolavano voci incontrollabili. Si veniva confusamente a conoscenza di notizie contrastanti relative a un possibile armistizio. Tutti i militari italiani presenti nella zona furono soggetti a un comprensibile disorientamento e sconcerto per la mancanza di coordinamento degli ordini che il Comando Generale non diede mai. Mio padre, posto drammaticamente davanti al dilemma preoccupante di rimanere fedele alla consegna di considerare i militari tedeschi alleati o di abbandonare tutto e unirsi alla resistenza partigiana, era confuso e smarrito. Non capiva nulla di ciò che gli stava succedendo intorno. Nella settimana successiva all'8 Settembre il comando tedesco lanciò dagli aerei dei volantini in lingua italiana in cui consigliava alle truppe italiane presenti nella zona di rimanere chiusi nelle caserme, nelle quali sarebbero stati consegnati viveri, vettovagliamento e vestiario adeguato, nella prospettiva di un pronto rientro in aereo in Italia. In realtà si trattò di un gigantesco imbroglio dei tedeschi. Mio padre, indeciso sul da farsi, fece la scelta, inconsapevole ma fortunata , di seguire il consiglio del suo comandante, un giovane capitano, che propose a lui e agli altri di abbandonare immediatamente Split e unirsi sui monti circostanti alla resistenza partigiana jugoslava per combattere le truppe di occupazione tedesca. Ben per lui che fece quella scelta perchè circa una settimana dopo il lancio dei manifestini in lingua italiana su Split l'aviazione tedesca, con i suoi pericolosi aerei da combattimento "Stukas", una notte concentrò dei bombardamenti mirati e ripetuti alla caserma dove alloggiavano i militari italiani che avevano accettato di concentrarsi in quella struttura. Fu una carneficina. Mio padre, al seguito di un battaglione della "Brigata Garibaldi", in croato Divizija Garibaldi u Hrvatskoj, dovette sostituire il suo cappello di carabiniere con la cosiddetta "bustina", contenente la stella rossa dell'Armata Rossa Jugoslava e mettersi al collo il fazzoletto rosso dei partigiani jugoslavi. Il comandante italiano dovette seguire gli ordini che un interprete croato dell'esercito popolare di liberazione della Jugoslavia dava quotidianamente. Fu così che, insieme ai partigiani jugoslavi di Tito, dovette vivere per oltre quindici mesi nei boschi prima della Croazia e successivamente della Bosnia, in condizioni igieniche disastrose, mangiando radici e dormendo nelle stalle. Durante gli spostamenti notturni i militari italiani camminavano vicino ai partigiani di Tito e fu li che un partigiano slavo, tra una canzone dell'Armata Rossa e l'altra, lo riconobbe come il "carabiniere buono" che aveva aiutato delle donne anziane nella pescheria di Spalato. Mio padre rientrò in Italia nel marzo 1945, alla fine della guerra, a Bari, con una nave italiana, deperito a tal punto che pesava appena trentotto chili. Non è irrilevante dire che lo Stato Maggiore dei Carabinieri della Repubblica Italiana non gli riconobbe mai lo status di partigiano. Lui, per colpa di altri e per salvare la sua vita, dovette fare il partigiano insieme alle truppe jugoslave nella difficile e dura terra della Bosnia, mentre altri, per molto meno, si ritrovarono senza meriti una pensione di guerra. Mio padre scrisse molte lettere ai vari Presidenti della Repubblica Italiana chiedendo loro di perorare il riconoscimento dovutogli e ricevendo in cambio solo il silenzio. Nessun postino bussò alla porta di casa della mia famiglia. Tristi e angoscianti furono quei periodi della storia in Europa.

Vergognosi e vili furono i comportamenti dei vertici militari e politici italiani del tempo, sui quali la storia ha dato un giudizio impietoso e implacabile di incapacità e di codardia. Guardo la perfezione circolare dell'architettura della HDLU Hrvatsko društvo likovnih umjetnika al centro di Trg Žrtava Fašizma, consapevole di avvertire una doppia e contrapposta sensazione. Da un lato provo la sensazione di fatti personali che mi bruciano dentro per l'ingiustizia subita da mio padre in quegli anni e dall'altra penso alle vittime croate (all'epoca jugoslave) del fascismo italiano che procurò agli indigeni lutti e tragedie. Osservando però il traffico sostenuto delle auto intorno alla piazza e l'andatura veloce della gente, mi rendo conto che i miei pensieri sono sicuramente estranei a quelli delle persone che incontro e che si spostano nelle auto o a piedi davanti a me. Nel mentre io sto pensando a fatti accaduti esattamente settant'anni fa, ai giovani di oggi questi fatti interessano quasi nulla. Penso a come venne vissuta dagli italiani del tempo la sconfitta della guerra fascista e penso, nello stesso tempo, a come venne vissuta dagli jugoslavi la vittoria della guerra partigiana contro nazismo e fascismo. Due mondi differenti: catastrofe la prima e lieto evento la seconda. Disastro politico-militare il primo e successo straordinario della politica titina l'altro. Per decenni ci si guardò in cagnesco, da nemici. Trieste venne considerata da Tito una preda mentre il filo spinato faceva l'ingresso ufficiale nella vita dei cittadini di entrambi i fronti dei due paesi. Fu installato alla frontiera dei due paesi e la fece da padrone come simbolo di sconfitta o di vittoria a seconda del punto di vista usato per definire l'evento. Addirittura nella piazza della stazione ferroviaria di Gorizia il filo spinato divenne la separazione per eccellenza fra i due paesi confinanti dell'Italia e della Jugoslavia. Adesso invece, con l'Unione Europea, tutti questi approcci differenti e parziali, soggettivi e di parte, sono stati unificati e sintetizzati nell'unica maniera corretta e adeguata di divenire tutti insieme, ex vincitori e vinti, popoli amici che collaborano sotto la stessa bandiera sovranazionale dell'Unione Europa. Stupefacente e bellissimo finale di partita e ... scacco matto alla guerra!. Adesso siamo tutti in pace e ci visitiamo vicendevolmente e reciprocamente. Osserviamo i luoghi della tragedia, dei fatti e della storia con rispetto reciproco e come se fossero solo un ricordo. Osservo la targa della piazza. E' dedicata esplicitamente alle Vittime del fascismo. Dall'architettura dell'edificio si potrebbe pensare che fosse stato costruito secondo lo stile fascista italiano. Le colonne quadrate in travertino, il bordo semplice della sommità del tetto, le vetrate con vetri traslucidi, i gradini di colore chiaro e le forme eleganti e simmetriche, tipiche dell'architettura fascista, potrebbero indurre a dire che ci troviamo a Roma. Rimanga come monito a tutti gli estremismi guerraioli di rimanere sempre come oggi, in pace, in cui un italiano come me è felice di essere qui, a passeggiare allegramente per le vie della città. Nessuno si accorge di me. Qui non ci sono steccati o ponti da attraversare. C'è solo da gustare il piacere di vedere una bella città, animata da gente per bene che è innamorata della propria nazione. Lijepa naša domovino, Oj junačka zemljo mila, Stare slave djedovino, Da bi vazda sretna bila! recita un passo dell'inno nazionale croato recita un verso dell'inno nazionale croato. Il poeta Antun Mihanovi per il testo e Josip Runjanin per la musica, non c'è che dire, sono stati veramente bravi a produrre un inno veramente ben fatto. Da Trg Žrtava Fašizma imbocco la Ulica kralja Držislava, quindi la Bošcovićeva ulica, la ulica Andrije Hebranga e, finalmente, mi trovo in Trg Maršala Tita. Quest'ultima è intitolata al Presidente Tito. Certamente la lingua croata sarà bella e musicale. Non ho le competenze linguistiche per giudicare. Tuttavia rilevo che faccio una fatica ciclopica a scrivere le parole con le lettere aventi tutte i segni diacritici giusti, al posto giusto. Tra ž,š,č,ć e le rispettive maiuscole Ž,Š,Č,Ć e altre ancora è necessario adoperare la tastiera estesa del computer che è, com'è noto, molto scomoda da usare. Dicevo che la piazza è intitolata al maresciallo Tito. Mi sembra giusto. E' stato l'artefice della guerra di liberazione, l'unificatore di ben cinque stati (Serbia, Croazia, Slovenia, Bosnia Hercegovina e Montenegro) che adesso si sono separati e il condottiero di una visione del mondo che vide la ex Jugoslavia come Stato di riferimento per tutti i paesi cosiddetti "non allineati". Certo, adesso è facile affermare che tutto ciò appartiene al passato. Nessuno lo contesta. Ma allora l'atmosfera politica che si respirava in Europa non era proprio così idilliaca come lo è oggi. La piazza è ampia e bella, con edifici maestosi e imponenti. Ci sono il Museo Mimara, il Teatro Nazionale Croato, il Museo Etnografico, il Museo delle Arti e dell'Artigianato e la sede dell'Università di Zagreb. Sono del parere che è abbastanza per garantire almeno una settimana di scoperte e di studio che purtroppo io, per la brevità della visita, non posso permettermi. Osservo gradevolmente la forma degli edifici e dei palazzi. Non credo che potrò ritornarci un'altra volta. Tra problemi familiari, età e precedenze nell'elenco delle visite ad altre capitali europee sarà molto difficile che io ritorni nella bella Zagreb. Anche in altre capitali ho pensato la stessa cosa. Anzi ora che ci penso bene in tutte e trentuno le capitali visitate ho pensato la stessa cosa e solo in una si è verificato. L'unica città nella quale sono ritornato una seconda volta è stata Praga, prima ancora di vistare altre capitali europee ancora non viste. Ma è stato per motivi di famiglia in cui mi si è chiesto di essere il Cicerone per tutti. E poi qui, a due passi dall'Italia e dalla Croazia, ci sono ancora ben sei paesi, le cui capitali "sollecitano" una mia visita. Sono Sarajevo, Podgorica, Tirana, Pristina, Skopje e, un po' più lontano, Chișinău. E non dimentichiamo, altresì che, sebbene in tutt'altro luogo, c'è anche l'ultima capitale del "profondo nord" dell'Europa, cioè Reykjavik, che mi attende. Ma torniamo a noi. Continuo il mio giro pomeridiano alla scoperta della zona sud-ovest del centro. Qui la vita è frenetica. Nella Masarykova ulica vedo la statua dedicata a Nikola Tesla (1856-1943). L'iscrizione in basso dice: «U povodu 150, celjetnice rodenja grad Zagreb, 10 srpnja 2006», che significa: "in occasione del 150° anno della nascita da parte della città di Zagreb (10 luglio 2006)". Dalla Masarykova percorro ulica Mirka Bogovićeva per finire in Trg Petra Preradovića. Queste vie, insieme alle limitrofe costituiscono un unicum di allegria e di socialità veramente intenso e straordinario. La piazza poi è bella. Ci sono delle panchine e molti bar all'aperto che danno sullo spiazzo limitrofo alla bellissima chiesa ortodossa. La mia guida dice che trg Petra Preradovića è comunemente chiamata "piazza dei fiori" per i numerosi chioschi di fiorai presenti. In effetti è così. La zona della piazza antistante il monumento a Petar Preradović è piena di vasi di fiori ed è tutto un fiorire di piacevole allegria contagiosa che si fa notare con un rumoroso vociare delle persone sedute ai vari bar.

La piccola piazza è di una rara bellezza. Potrei azzardare un paragone del tipo che questa piazza sta a Zagreb come Piazza di Spagna sta a Roma. Il monumento rappresenta una figura che mi ricorda Giuseppe Garibaldi. Sul basamento c'è scritto Hrvatski pjesnik 1896, ovvero "poeta croato". Alle sue spalle la bella chiesetta ortodossa della Trasfigurazione (Crkva Sv. Preobraženja). Improvvisamente vedo delle persone vestite elegantemente che escono dalla porta della chiesa e si fermano ad aspettare una giovane coppia di sposi. Siamo nella Preobraženska ulica. Fotografi e cineamatori immortalano a ripetizione la scena. Tutti fanno delle foto e anch'io mi lascio prendere dall'entusiasmo e scatto la foto qui a lato. Mostra una giovane e leggiadra sposa che, insieme a parenti e amici, si mette a ballare una ballo tradizionale croato tra gli applausi dei curiosi presenti. La musica che si sente è prodotta da tre musicisti che suonano in un angolo vicino all'entrata della chiesa (a sinistra nella foto) rispettivamente una fisarmonica, un violoncello e un violino. Un'autentica scorpacciata di volti lieti e sorridenti segue la scena. Se non è una piacevole sagra paesana poco ci manca. Qualcuno commenta la scena e molti, credo, augurano agli sposi una vita di felicità. Mi vengono in mente alcuni proverbi sul matrimonio che dicono: "Gallo magro e gallina grassa fan buon matrimonio". Qui però sembra che la sposa sia magra, con il nasino all'insù alla francese. Le auguro pertanto di ingrassare quanto basta, in modo tale che "marito e moglie d'accordo, matrimonio felice". In ogni caso che entrambi tengano presente che "il matrimonio è il primo passo verso il divorzio". Mai dimenticarlo! Dopo un po' sposi e invitati abbandonano la scena e spariscono mentre io entro nella chiesa. Si, è una chiesa ortodossa. Lo si vede dal fatto che all'entrata i fedeli si fanno il segno della croce al contrario di quello cattolico e l'altare è nascosto dalla solita porta, piena zeppa di icone e dipinti in oro che mostrano Gesù in tanti momenti della sua vita di predicazione. La chiesa è piccola ma capace di polarizzare l'attenzione dei fedeli con una intensità che raramente si vede nelle chiese cattoliche. Esco dopo pochi minuti e risalgo per poche decine di metri verso nord trovandomi nella ulica Illica, all'altezza dell'Hotel Jägerhorn. Nel centro della via c'è un venditore di pannocchie di mais bollito e/o arrostito. Fa un certo effetto vedere le pannocchie, di un giallo intensissimo, ordinate sul banchetto e pronte per essere gustate. Se ripasserò da qui domani forse ne mangerò una. A due passi si trova la salita della Torre Lotršćak. La osservo da lontano. A fianco c'è una chicca turistica che trova convinti sostenitori ma che mi convince sempre più che si tratti più di una trovata turistico-commerciale che una vera esigenza. Si tratta della Zet uspinjača, cioè Funiculare dell'azienda trasporti. Ritorno sui miei passi in Trg Petra Preradovića perchè all'angolo della piazza c'è il cosiddetto Octagon, cioè un passante cittadino molto elegante che permette di attraversare alcuni palazzi in un passaggio interno in cui si trova una grande cupola di vetro ottagonale. La passeggiata continua per la Vlaška ulica che è una strada in grado di raccontare, dice la mia guida, "la storia degli ultimi tre secoli della città". Ricordiamo che secoli fa l'attuale centro storico era "la città" di Zagreb, cioè l'intera città e non solo "un quartiere" di Zagreb come è attualmente.

Terzo giorno Venerdì 30 agosto. Oggi è una giornata importante perchè è l'ultima giornata che precede la partenza e che ho a disposizione per completare la visita dei luoghi più importanti di Zagreb. Certo non potrò vedere tutto. Ma non importa. Mai mi sono posto l'obiettivo di vedere il 100%. Sarebbe da matti. Mi bastano poche e mirate visite ai bersagli più rinomati e soprattutto mi interessa mischiarmi tra la folla in forma anonima per sentirmi uno dei tanti passanti che cammina per le strade della città, osservando la realtà circostante. Dunque, oggi voglio fare una sintesi delle cose viste. Come? Non ci crederete ma con un viaggio di un'ora con il bus Sightseeing, che qui si chiama Zet sigtseeing Crvena Linija, cioè "linea rossa". Rossa perchè c'è anche una Zelena Linija, cioè una "linea verde", più lunga della precedente e più articolata nel percorso. La linea rossa fa il tour nella zona centro nord mentre la linea verde lo percorre nella parte sud est, oltrepassando il fiume Sava.

o prendo la linea rossa perchè devo andare a Mirogoj, il cimitero centrale di Zagreb. Dicono che sia una tappa obbligatoria e che non si può non vederlo. Dunque a Mirogoj. In verità c'è un autobus, il 106, che parte da Kaptol davanti alla cattedrale e arriva a Mirogoj come capolinea e poi ritorna a Kaptol. Approfitterò della visita guidata per ascoltare in cuffia i "segreti" di Zagreb. La partenza è fissata per le 12.00 ma fino a dieci minuti prima non c'è traccia del bus. In verità c'è anche un po' di confusione nella individuazione del punto esatto di partenza del bus. Infatti vedo là vicino un'anziana coppia australiana che aspetta il bus nel posto sbagliato. Glielo faccio notare e li invito a seguirmi nella piazza della cattedrale a pochi metri dalla bellissima kip blažene Djevice Marije na Kaptolu, cioè della statua benedetta della Vergine Maria posta alla sommità della colonna di pietra all'interno della fontana davanti alla cattedrale.. Qualche parolina in inglese per ringraziarmi ed eccomi alcuni minuti dopo a bordo, fotografato dal padre del bambino imbronciato che si vede sulla destra in prima fila per avere perduto alcuni minuti delle attenzioni del padre per scattarmi la fotografia. Ah, questi bambini moderni. Non hanno nessuna sensibilità per le esigenze di un turista straniero. Dopo che il padre è ritornato a sedersi vicino a lui mi ha ignorato per tutto il tragitto ed è ritornato ad essere felice e contento. Benedetta gioventù. I due coniugi australiani si seggono in fondo sulla sinistra. Siamo in tutto in tredici ed io sono l'unico che viaggia da solo, non in coppia. Il prezzo del biglietto è 70 hrk e lo pago al conducente direttamente sul bus che mi fornisce anche una cuffia per ascoltare la guida e mi invita a premere il canale 9 o 10 che è in italiano. Se si vuole si può fare il biglietto o in Petriceva 4 oppure in Trg Mažuranića o addirittura nella sede della ZET in Oraljska 105.

Il percorso prevede i

seguenti passaggi: partenza da Kaptol, Zrinjevac, Glavni kolodvor, Trg Mažuranića, Katarinin trg (con fermata), Illirski trg, Mirogoj (con fermata) e di nuovo Kaptol. Alla fine eccomi al Groblje Mirogoj, ovvero al Cimitero di Mirogoj. «Costruito nel 1876, il Cimitero centrale di Mirogoj è veramente "monumentale" nel senso forte del termine: la rassicurante e materna imponenza di cupole che evocano l'accogliente protezione di un grembo, il decoro di sepolcri e cappelle, la saldezza di colonne che oppongono alla morte un ordine compatto, le tombe che riassumono, attraverso tanti nomi illustri, la storia croata e ribadiscono un'epica continuità contro l'annientamento e l'oblio, le sculture e le statue che innalzano la forma sull'informe e sul disfacimento, gli alberi e la terra. Qui la morte appare ancora classica, momento del ciclo delle generazioni». E' la più bella e sintetica descrizione che sia mai stata scritta su che cos'è e cosa rappresenta Mirogoj a Zagreb. Le parole sono di Claudio Magris e il testo, nel quale esse si trovano è il suo straordinario libro di letteratura di viaggio, cioè L'infinito viaggiare, Milano, Mondadori, 2008. Per Zagreb e i zagabresi questo cimitero, veramente monumentale, è un altro tassello del grande mosaico di amore patrio, di rispetto e di sentimento nazionalistico che la Croazia può a ragione mostrare al pubblico internazionale. L'entrata della porta principale è nella chiesa. Il tutto dà la sensazione di essere in un monastero con un giardino. Non sembra per niente un cimitero. Sul frontale che sormonta le quattro colonne all'entrata si legge la scritta Kralju Vjekova Kojemu Sve Živi, ovvero "Re dei secoli, dove tutto vive". La frase è stata presa dalla Bibbia, Antico Testamento, Tobia, 13,2. «Benedetto Dio che vive in eterno il suo regno dura per tutti i secoli; Egli castiga e usa misericordia, fa scendere negli abissi della terra, fa risalire dalla Grande Perdizione e nulla sfugge alla sua mano».

Riflette l'atmosfera del periodo storico durante il quale il cimitero è stato costruito. E' evidente che il 1876 non si può paragonare nè al 1968, nè ai giorni nostri. Eppure è stato costruito. Il cimitero è veramente bello. Anche il cimitero del Verano, a Roma, è bello. O meglio, «fu» bello. Peccato che mentre qui a Mirogoj tutto è rispettato, pulito e tenuto in grande co0nsiderazione al Verano di Roma ladri, tombaroli, predoni e maleducati asportano, razziano e saccheggiano quotidianamente tombe e monumenti anche nel mondo del riposo eterno in cui si dovrebbe avere sensatamente il massimo rispetto. Si tratta dell'ennesima prova della decadenza della società italiana e in quella romana in particolare in questi ultimi venti anni che mostra la caduta di tensione culturale nella quale la città, cosiddetta "eterna", drammaticamente si trova. Quando visito una città che non conosco cerco sempre luoghi ed eventi che mi permettano di vedere e trovare fattori di senso tipici di quella realtà. E questo non solo per capire meglio il mondo che mi circonda ma anche, se non soprattutto, me stesso. Questo cimitero monumentale, per esempio, produce sensazioni di grande serenità che mi fa pensare non solo alla morte ma, soprattutto, alla vita; alla vita che fu e che sarà. Non saprei dire chiaramente perchè, ma io ho sempre privilegiato il passato e il futuro ma non il presente. Marcel Proust disse che "un vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi". Luogo comune ma grande verità. Sia comunque chiaro che gli occhi diventano "nuovi" solo a patto che essi siano in grado di aprirsi adeguatamente e, più di ogni altra cosa, quando si frequentano "terre nuove". Ecco perchè secondo John Steinbeck "le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone". Si potrebbe ridere su questi aforismi. Eppure riescono a cogliere il fattore di senso che è l'oggetto del viaggiare all'estero. Risalgo sul bus convinto sempre di più della ricchezza che apportano i viaggi nella mia vita. Ritorno a Kaptol alle 13.00 e improvvisamente gli stimoli della fame si fanno sentire. Decido di andare in un ristorante che propone pietanze della cucina locale. Si tratta del ristorante Stari Fijaker 900, situato in Mesnička 6 a pochi passi dalla ulica Illica, tra Trg Josip Jelačić e Trg Britanski. E' un ristorante antico e rinomato. La lista delle pietanze che ho scelto dal menù consiste in una zagorska juha (vado matto per questa zuppa vegetale), sir paški e dom, žganci sa vrhnj e pogačice i crno vino plavec. Traduco: minestra zagrebina, formaggio locale di Pag con polenta, focaccine e vino rosso, per un totale di 118 kune. Una sagra di pietanze tipicamente locali con gusti forti e decisamente impegnativi ma fedele alla tradizione. Il locale è molto frequentato. Il cameriere prima mi snobba e quando si accorge che chiedo pietanze locali si rende molto disponibile perchè probabilmente apprezza le mie richieste relative alla tradizione della culture gastronomica croata. ll pranzo è stato impegnativo. Decido pertanto di assaggiare un gelato per favorire la digestione. Subito dopo farò una lunga passeggiata per sedermi in qualche parco del centro e respirare aria pura sotto gli alberi. In ulica Illica c'è visto una gelateria che fa al caso mio.

All'incrocio con la Preobraženska ulica vedo un venditore di pannocchie. Avevo promesso a me stesso che avrei assaggiato del mais arrostito sulla brace, più peper curiosità che per desiderio vero e proprio. E poi sono curioso di vedere se il gusto del mais balcanico è uguale a quello che provavo da ragazzo quando ne mangiavo con avidità. Quindi, niente gelato e largo ai prodotti locali. Costa 10 kune. C'è anche la versione bollita che evito perchè meno gustosa dell'altra. Dopo pochi morsi rimango deluso perchè non ritrovo il gusto del mais dei miei tempi. Ma anche a Roma oggi queste pannocchie proposte da fruttivendoli più o meno corretti risultano immangiabili. Sanno di gomma e il piacere di mangiarle si azzera. Sgranocchio solo una parte della pannocchia. Claudio Magris, a proposito della vita difficile del conte Ivan Gerersdorfer nella sua Zagreb, a pag.115 del suo libro afferma che per molti: "la vita è una strategia della ritirata [...]". Con ironia, posso applicarla alla disillusione che ognuno di noi spesso subisce in molti casi della vita. Per esperienza dico che quasi tutti i tentativi di riprovare gusti e sensazioni che mi ricordano quando ero piccolo si estinguono a causa dell'onda del tempo che inesorabilmente affoga tutto ciò che desidero in una marmellata di indistinto e di genericità. E le cose sono anche destinate a peggiorare. Parlare oggi di qualità nella vita significa fare discorsi fuori dal mondo. Tutti pensano in termini quantitativi, a guadagnare il tot per cento in più, ad aumentare i fatturati e le vendite, infischiandosene del piacere di proporre merce di qualità, di alto livello a prezzi contenuti. Personalmente mi vergognerei di vendere merce scadente e, peggio, di spacciarla per merce di qualità. Tra una riflessione e l'altra mi trovo alla stazione meteo di Trg Nikole Šubića Zrinkog. E' carina e ben fatta. Immagino quanti pensionati ogni giorno guardano i valori della temperatura, pressione e umidità per fare previsioni sul tempo. All'interno del pannello di vetro c'è scritto Ruža Vjetar. Probabilmente significa "rosa dei venti" o qualcosa del genere. In basso c'è il diagramma delle temperature chiamato Temperatura Zraka. Mi colpisce il fatto che nonostante la vetustà della costruzione non c'è un solo graffito o sporcizia sulle quattro pareti. Bene. Complimenti alla cittadinanza che mostra un alto grado di civiltà. Trovo sempre nei miei viaggi la possibilità di dedicare un pomeriggio, o una mattinata a fermarmi qualche ora a riflettere ed evitare che le giornate diventino incalzanti, in cui la corsa da un luogo ad un altro, da un museo a una galleria o a un monumento, non vengano da me vissute come "mordi e fuggi" rapido, guardando e subito dopo correndo in un altro luogo. No. Io ho bisogno di vedere e camminare lentamente, con un mio ritmo e con i miei tempi. Sono d'accordo con Claudio Magris quando nel suo bellissimo libro L'infinito viaggiare, afferma: «quando viaggiavo nei vasti paesi danubiani o nei periferici microcosmi, avviandomi in una certa direzione, sempre disponibile a digressioni, soste e deviazioni improvvise, vivevo persuaso, come davanti al mare; vivevo immerso nel presente, in quella sospensione del tempo che si verifica quando ci si abbandona al suo scorrere lieve e a ciò che reca la vita [...] In un viaggio vissuto in tal modo i luoghi diventano insieme tappe e dimore del cammino della vita, soste fugaci e radici che inducono a sentirsi a casa nel mondo [...]. Nel viaggio, ignoti fra gente ignota, si impara in senso forte a essere Nessuno, si capisce concretamente di essere nessuno».

Questo signore disteso sulla panchina, che in questo momento osservo con interesse a pochi metri da me, mi dà la sensazione di un essere libero dai condizionamenti della vita moderna. Sembra che intorno a lui non ci sia nessuno e che niente lo riguardi. L'impressione è che viva la vita con lo sguardo o il sonno di colui che non vuole correre ma rallentare tutto. Potrebbe essere chiunque, un filosofo o un poeta, un barbone o uno sportivo. Per lui è come se il tempo si fosse fermato. Per me è come se il presente si fosse impossessato della mia vita. Mark Twain disse: "Ogni viaggio ti regala grandi ricordi e intense emozioni. Quando si parte si visitano posti lontani da casa, si incontrano persone diverse per cultura e stile di vita, si possono scoprire lingue differenti, abitudini curiose, tradizioni insolite; viaggiare apre la mente e l'anima". E' già mezz'ora che sto seduto su questa panchina e il mio dirimpettaio continua a dormire senza dare alcun segnale di volersi svegliare. Mi sono riposato abbastanza. A pochi metri da me c'è la bella fontana e un padiglione adibito probabilmente a manifestazioni artistiche e musicali. Ma non si vede quasi nulla. Decido pertanto di fare un'ultima visita alle tre piazze Trg Maršala Tita, Trg Braće Mažuranić e Trg Marulićev speculari alle altre tre Trg Nikole Šubića Zrinkog, Tgr Josipa Jurja Strossmayer e Trg kralja Tomislav. Sei piazze a gruppi di tre. Una più bella delle altre.

In Trg Maršala Tita splende più di tutti il teatro nazionale. L'Hrvatsko Narodno Kazaliste è un bellissimo edificio, spettacolare e artisticamente perfetto. E' un unicum elegante ed equilibrato in tutte le sue componenti. Anche il colore giallo lo rende ancor più piacevole. Tra l'altro è in ghingheri perchè all'entrata si pubblicizza la Upis Pretplate e una mostra michelangiolesca a cura della italianissima Banca Intesa S.Paolo. Da qualunque parte si osserva, il teatro nazionale si presenta sempre perfetto. Sul lato opposto c'è il Museo Mimara che, come il teatro nazionale, pubblicizza una mostra su Caravaggio. Purtroppo sono fuori orario per visitarlo. Le mie gambe al corrente che questa sarà l'ultima serata zagrebina reclamano di muoversi verso le altre due piazze verso sud. La passeggiata, l'ultima, prosegue prima per Trg Braće Mažuranić, quindi per Trg Marka Marulića e infine lungo la Mihanovićeva ulica arrivo a Glavni kolodvor.

A cena ho deciso di visitare un ristorante di pesce. Sono curioso di assaggiare qualche pietanza di riba e non di meso. Il ristorante scelto è la Gostionina Tip-Top. Il nome non mi convince. Mi sembra un nome americano forse per l'assonanza che ha con il ballo del tip tap. Si trova a Donj Grad in Gundulićeva ulica, 18. Sembra che il proprietario abbia origini dalmate, che iniziò l'attività gastronomica nell'isola di Korčula. Mi aspetto un ambiente chic e raffinato. Invece nulla di tutto questo. Trovo una anonima sala centrale e una piccola saletta laterale. Entrambe danno sulla strada. L'ambiente mi ricorda gli anni '70 perchè i tavoli mostrano delle tovaglie a quadretti rosso e bianco come si usavano in quei lontani tempi. Non ho molta fame. Scelgo così solo un secondo piatto con contorno. Cromaris orada con una sezonska salada e un bicchiere di malvazija. Prezzo 78 kune. Devo dire che si tratta di una delle più gustose e fresche orate che io abbia mai mangiato. Francamente se avessi saputo che qui, a due passi dal mio hotel, si mangiava così bene sarei venuto ogni giorno. Da mettere in evidenza poi la gentilezza del cameriere. Insomma, una bella conclusione culinaria che mi appaga non solo per la sensazione di freschezza del pesce ma soprattutto per la leggerezza del tutto. Complimenti allo chef. Il rientro in albergo mi mette tristezza. Siamo alle solite. Partire è come morire e domani mattina si ritorna a casa.

Quarto e ultimo giorno Sabato 31 Agosto. Oggi è il giorno della partenza per Roma. Si ritorna a casa. Il volo è previsto alle 14.15 . Il protocollo dell’ultimo giorno di permanenza in città prevede che io arrivi all’aeroporto Zračna luka di Zagreb almeno due ore prima del decollo, all’incirca alle 12.00. Se aggiungiamo mezz’oretta di viaggio in autobus dal Terminal Autobusni Kolodvor Zagreb all’aeroporto posso ritenermi libero di girovagare per Zagreb come voglio, grosso modo, fino alle 11.30. Il check out dall’albergo è alle 11.00. Dunque, fino a quell’ora posso permettermi un ulteriore intervallo di tempo da aggiungere ai precedenti e godermi le ultime ore zagabresi di questa mia interessante e piacevole visita alla bella capitale della Republika Hrvatska. Prendo la decisione di muovermi con calma, lentamente, senza premura, con un forte senso di piacevole rilassatezza a favore delle ultime osservazioni di «palazzi e castelli» della città. Trg bana Josipa Jelačića è, come al solito, bella e splendente nella sua veste di salotto buono della città. Ancor di più lo è oggi. Questa mattina è l’inizio di una magnifica giornata di sole, luminosa e seducente. In tasca mi sono rimasti ancora due biglietti del tram. Uno dei due non lo potrò utilizzare. L’altro mi serve per raggiungere il Terminal Autobusni Kolodvor con il tram 6 per Sopot. A questo punto i nomi delle stazioni capolinea dei tram e degli autobus mi sono familiari. Succede sempre così quando vivo alcuni giorni di vacanza in una città all'estero che all’inizio non conosco. In principio tutto è sconosciuto. Nomi, architettura, toponomastica, colori, mezzi di trasporto e altro, sono diversi e spesso poco chiari. Poi, lentamente, tutto si ricompone come in un mosaico e l’intera città sembra diventare una specie di cittadina dove si ha una seconda casa, al mare o in montagna frequentata con continuità. Questo è uno degli elementi più piacevoli di chi viaggia. All’inizio si prova una sensazione di estraneità e forse anche di esclusione. Poi, lentamente, tutto diventa naturale, facile, familiare, e qualunque aspetto di vita diventa consuetudine. Lo stesso si è verificato qui, a Zagreb. Osservo le persone che vanno e vengono dall’unica edicola della piazza per comprare giornali e biglietti del tram. Stessi gesti, stessi movimenti, stesso modo di comportarsi a tutte le latitudini. La gente mi appare simpatica, amica, come se fosse da me conosciuta da anni. E tutto questo tra poche ore svanirà di colpo e diventerà solo un ricordo della memoria. Un capitale di conoscenze e di prassi di vita costruiti con uno sforzo di sintesi considerevole, con il ritorno a casa, diventeranno solo memoria storica personale. Queste singolari considerazioni mi fanno apparire i viaggi come un toccasana per lo spirito, dove i pensieri possono volare alto rispetto alla quotidianità e consentono un modo drastico di conciliarsi con il mondo e con tutto ciò che ci circonda nella vita di ogni giorno. A Roma l'idea stessa di pensare qualcosa del genere è inconcepibile e, praticamente, impossibile. Nella "città eterna" il traffico della città, il rumore delle auto che ti sfrecciano a decine di chilometri oltre i limiti di velocità, la maleducazione della gente, eternamente interessata all'egoismo più sfrenato, ti circondano, ti braccano e ti condizionano terribilmente impedendoti di pensare e costringendoti all'autodifesa. D'altronde, basta vedere il film La grande bellezza di Paolo Sorrentino, interpretato dallo straordinario Toni Servillo nei panni di Jep Gambardella, e si avrà un quadro abbastanza vicino alla realtà di che cosa è diventata Roma nell'ultimo ventennio. Quello che più mi colpisce di Zagreb è la gente che vedo passare davanti a me. Estranei di tutti i tipi mi appaiono in questo momento come vecchi conoscenti che so che non vedrò mai più in futuro. Vorrei fermare il tempo, magari velocizzandolo in un altro momento. Quante volte abbiamo pensato al sogno di dilatare il tempo nei momenti in cui siamo felici e accorciarlo nei momenti in cui proviamo dolore. Sarebbe bello. I miei pensieri ingenui e banali mi fanno apparire infantile agli occhi della mia coscienza. Sono le 10.00. Ho da poco salutato alla reception l’impiegata dell’albergo e mi trovo nella piazza del bano Josipa Jelačića con il mio vecchio bagaglio a mano. Devo fare attenzione a questa piccola valigia con le rotelle perché ho scoperto che la zip di chiusura nella parte bassa è strappata. Non vorrei rimanere in viaggio con una valigia aperta sballottolata nel vano bagagli della carlinga, anche in considerazione del fatto che dovrò cambiare di nuovo aereo, questa volta a Dubrovnik e non più a Split. Tento di guardare le belle facciate dei palazzi della piazza e osservare la gente che cammina con lo stesso spirito dei giorni precedenti, ma non ci riesco. La partenza oltre a mettermi un po’ d’ansia non mi fa gustare, con la serenità dello spirito, le bellezze che mi stanno intorno. Decido pertanto di prendere subito il tram e di fermarmi un’oretta alla stazione degli autobus. Forse cambiare luogo e prospettiva mi farà riacquistare il mio solito self control. Dal tram la città mi appare incantevole. Praška ulica, Trg Nikole Šubica Zrinskog con i suoi maestosi platani dalle foglie color verdino, Trg Josipa Jurja Strossmayera, Trg Kralja Tomislava con il suo meraviglioso Pavillion, Glavni kolodvor con la sua bella piazza della stazione centrale dei treni e i bei palazzi che si ergono maestosamente dinnanzi mi rapiscono il cuore e mi fanno provare malinconia nel lasciare questi posti incantevoli. Tutto mi sembra un palcoscenico nel quale ognuno recita la sua parte. Io come spettatore, unico e autorizzato, vedo tutto ciò che mi circonda mentre la tristezza del momento della partenza mi prende. Tutti gli altri sono solo attori, che esistono perché fanno parte dello spettacolo che mi sono guadagnato venendo qui nella bella capitale croata. Se questa è la piacevole sensazione che ci si guadagna quando si viaggia credo che non finirei mai di stupirmi per l’interesse che questi viaggi provocano in me. A volte distratto, altre volte acuto osservatore percorro le strade che adesso conosco bene come le mie tasche con un pensiero fisso: l’Europa deve essere e rimanere sempre così, differente nelle lingue e nelle tradizioni oppure c’è un’altra Europa che potrebbe prendere il posto di questa, con una sola lingua comune e con nuove e rinnovate relazioni umane, migliorate nella logica di una Unione Europea veramente comune? Consapevole dello iato che esiste tra desiderio di unità europea e consapevolezza di tradizioni che fanno a pugni con questa idea arrivo in Aveniija Marina Držića alla fermata di Autobusni kolodvor.

La corsa del tram continua verso Sopot, oltre la Sava. Io invece mi fermo alla stazione degli autobus. La mattinata è semplicemente fantastica. Il sole è dappertutto: caldo, piacevole, luminoso. Con il mio fedele trolley attraverso i binari del tram e salgo nel salone centrale del Terminal al primo piano. C’è un bancomat dal quale prelevo 100 kune per pagarmi il viaggio in autobus della Croatia Airlines e comprare una piccola bottiglietta di acqua minerale. Esco in strada e mi seggo a un tavolino circolare di uno dei due caffè presenti all’esterno, lungo il bordo del terminal che fiancheggia Aveniija Marina Držića, al n.4. Si chiama Caffe Bar "Bakuš". Il nome mi sa di turco, invece è croato. Sul tavolinetto c’è una lista cellofanata delle consumazioni, con accanto il prezzo. Scelgo di ordinare un kava espresso. Pago 9 kune e sorseggio il caffè lentamente. Mi guardo in giro e vedo molte persone sedute in entrambi i Caffè che fanno le mie stesse cose. E' piacevole vedere di essere in sintonia con la gente. Estranei che guardo di sfuggita e che non vedrò mai più nella vita. Ho abbastanza tempo a mia disposizione. Sebbene io sia straniero, qui mi sento come se fossi parte del panorama. Sono le 10.30. Il tempo sembra come sospeso e vivo questi minuti nel presente con pensieri rivolti al futuro. Fino alle 11 e ¼ circa non mi schioderò da qui neanche a cannonate. Si sta troppo bene per andare via.

A pochi metri, davanti a me a piano terra, c'è l’entrata del Terminal degli autobus della Croatia Airlines. Penso a questo mio trentunesimo viaggio nelle capitali d’Europa e al ruolo che esso potrà avere nel capitale di conoscenze che ho acquisito in questi lunghi anni di viaggi. Non mi aspettavo una Zagreb bella come quella che ho visto in questi giorni di fine estate. Se devo essere sincero mi ha favorevolmente stupito. Sono già stato in Croazia un'altra volta, nell'estate del 1990 per l'esattezza. Non a Zagreb ma sulla costa adriatica, a Dubrovnik. Altri tempi, altra località, altri spazi, altro mondo. Ancora c'era "il muro di Berlino" ed io non avevo preso la decisione di visitare tutte le capitali dell'UE. Non dimenticherò mai la sciocca dimostrazione di muscoli che mostrarono alcuni militari jugoslavi del tempo quando a Medjugorie in cielo volteggiavano provocatoriamente due elicotteri dell’esercito jugoslavo, disturbando con il rumore fastidioso delle eliche e del motore la messa nella chiesa locale. Adesso è tutta un’altra musica. Potenza delle 15 stelle dell’Unione Europea. Alle 11.20 salgo sul bus della Croatia Airlines che mi porterà all’aeroporto. All'arrivo nel piazzale scendo dal bus in una splendida giornata di sole. Sono un po' triste. Le partenze lasciano sempre un po' di amaro in bocca. Davanti all'aeroporto trovo altri autobus della compagnia aerea croata che aspettano i viaggiatori per trasportarli a Zagreb. Purtroppo io non ci sarò. Prendo atto comunque dell'efficienza della ZET, ovvero dell'azienda dei trasporti cittadina. Mi aspettano in successione continua e impegnativa due voli aerei senza soluzione di continuità per rientrare a Roma. Se si potesse comandare al tempo di ritornare indietro nel passato rifarei la stessa vacanza. Ma non si può. E' ora di pensare al futuro, ovvero è tempo di pensare al prossimo viaggio. Ci vediamo a Tirana. Ciao.

Elenco dei report di viaggio delle capitali europee già pubblicati.

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BIBLIOGRAFIA LETTERATURA DI VIAGGIO

Manuali e guide di viaggio adoperate.

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