sabato 28 febbraio 2009

Volevamo parlare di alimentazione forzata e invece siamo costretti a parlare di forzature del diritto alla parità.

Oggi volevamo pubblicare un post sulla sempre più singolare trasformazione del caso Englaro da fatto “pietoso” a caso di “cronaca nera”. Il perché ha radici profonde ed è relativo all’indagine della magistratura per omicidio della figlia e alle pesanti dichiarazioni del Cardinale Javier Lozano Barragan che non abbassando alcun tono nella vicenda Eluana accusa il padre Beppino addirittura di essere l’assassino della figlia. C’è da rimanere disorientati e confusi dall’intolleranza mostrata dai più, che si autoalimenta da un dibattito fatto a scatti in Parlamento, che non prevede né la moderazione del linguaggio, nè il sereno confronto delle idee. Rinviamo il post a data da destinarsi e approfittiamo del suggerimento di Fausto Carnevali di Milano per sostituirlo con un altro fatto di cronaca, altrettanto sconcertante. La notizia, vi garantiamo, assicura una sgradevole sensazione di impotenza nel constatare che i tagli del governo alle ASL sono in parte dovuti nientopopodimenoche all’esigenza di curare gratuitamente i cani del territorio. Proprio così: avete letto bene. E’ stata approvata una legge, condivisa e votata quasi all’unanimità da governo e opposizione, che prevede per i cani cure sanitarie gratis senza spese per i padroni. Purtroppo il rovescio della medaglia è che le prestazioni delle ASL alle persone dovranno ridursi del necessario calcolo per portare a pareggio le spese per le prestazioni canine. Questa è la notizia e passiamo rapidamente al commento, perché la rabbia dell’accordo supera di gran lunga l’interesse per il fatto giornalistico. Il messaggio è chiaro e proviene quasi esclusivamente da una potente lobby parlamentare costituita da due soggetti: il Sottosegretario alla Salute della maggioranza berlusconiana, che si chiama Francesca Martini, e la trasversalità interpartitica del Movimento Animalista che hanno deciso di portare alla perfetta parità i diritti degli esseri umani con quelli degli esseri canini. Ora, noi non abbiamo assolutamente nulla contro i cani che sono una razza veramente amica per l’uomo. Invece abbiamo molto da dire contro quei padroni di cani pericolosi, che non solo non puliscono le strade e le aiuole in cui permettono il deposito degli eccessi fisiologici dei loro “pupilli”, curati e vezzeggiati molto più dei loro figli, ma che addirittura propongono la parità assoluta tra le due "razze". Ci sentiamo autorizzati a protestare contro l’atteggiamento sfrontato di questi animalisti nostrani, egoisti e arroganti, che non contenti di permettere alle razze pericolose di aggredire e assassinare decine di bambini (le statistiche parlano chiaro), adesso si permettono il lusso di aggiungere "al danno la beffa" di privilegiare le visite gratuite dei Fidi a danno delle persone. Concordiamo con il Sig. Carnevali quando dice: “ma in che società viviamo? Vogliamo risparmiare sugli umani per curare gratis gli animali”? Ognuno si faccia le sue opinioni. Noi disprezziamo tutti coloro i quali sono animalisti.

venerdì 27 febbraio 2009

Lezione 3 - Commento alla verifica relativa all’esercizio di pag. 8

Terza lezione, nuovo impegno. Devo dire che questa è la lezione più breve e più semplice finora affrontata. Consiste di due soli elementi grammaticali. In primo luogo il “tanwin”, con il suo doppio segno che impone di aggiungere una n finale alle fathah, kasrah e dammah facendole diventare an, in, un e, in secondo luogo, l’uso delle due altre lettere chiamate د (dal) e ذ (dhal). C’è da ricordare altresì che د e ذ sono lettere che non legano alla loro sinistra. Con ا (alif) e ي (yà) sono quattro le lettere che finora non legano alla loro sinistra. Questa storia della mancanza di legame a sinistra presenta due aspetti contrapposti tra loro. Da un lato è “cosa buona e giusta” perché il non legare permette alla forma della lettera di rimanere nella maggioranza dei casi come quella isolata, che è più semplice e facile da ricordare. Dall’altro c’è da aggiungere che si tratta di un altro caso di forma irregolare da memorizzare che appesantisce l’apprendimento. Per coloro che non hanno abbondante memoria, le irregolarità dei casi sono una tragedia. A proposito di irregolarità vi sono da ricordare alcune diversità che esistono tra la lingua araba e quella italiana. Per esempio mi ha colpito il fatto che non esistono nella lingua araba le vocali e ed o le quali vengono trasformate dagli arabi in i ed u, per cui il nome Sergio viene trasformato dagli arabi in Sirgiu e il nome Vincenzo in Vincinzu. Dato poi che nell’alfabeto arabo mancano le due consonanti italiane p e v che vengono trasformate rispettivamente in b ed f, il nome Vincenzo in realtà si pronuncia Fincinzu e Paolo in Baulu. Strano no? In ogni caso ecco la verifica svolta. L’esercizio consiste, secondo la prassi voluta dall’Autrice del manuale e come finora abbiamo fatto nelle due precedenti lezioni, in una prima parte in cui si deve tradurre un breve testo dall’arabo all’italiano traslitterato e, in una seconda parte, dall’italiano all’arabo. Le difficoltà dell’esercizio di oggi sono minime nella prima parte, in cui si traduce con discreta sicurezza le parole arabe che contengono le due nuove lettere dal e dhal, cioè د e ذ . Viceversa, è più difficile la seconda parte, soprattutto in alcuni casi in cui la presenza di forme irregolari di lettere che non legano a sinistra impediscono al neofita come me di capire bene i termini della questione. Per esempio, la parola badhadhun, cioè بذذ oppure nadibun نادب e, infine, l’ultima parola dathara (scritta in rosso nell’esercizio da me risolto) che si traduce con دذر . Su quest’ultima parola ho qualcosa da chiedere al mio maestro perchè ho l’impressione che ci sia un “errore” nel testo. Certo può sembrare presuntuoso da parte mia dichiarare che sul manuale più famoso d’Italia della Sig.ra Veccia Vaglieri si possa lontanamente immaginare che sia presente un refuso non eliminato in tutti questi anni di ristampe anastatiche. L’anno della prima edizione è il 1937, mica lo scorso anno! Possibile che in più di settanta anni nessun arabista glielo abbia fatto notare? Tuttavia i fatti mi inducono a chiedere l’intervento del mio maestro per rispondere al mio dubbio. Si tratta del fatto che l’ultima parola dell’esercizio di pag.8 prevede la traduzione dall’italiano all’arabo della parola dathara. Orbene, questa parola contiene una r che dovrebbe tradursi con la ر (ra). Ma questa lettera non ha fatto parte della lezione precedente! Dunque, la Veccia ha sbagliato la parola proposta che non dovrebbe essere dathara ma forse dathada o datata. Io non so se esistono queste parole in arabo. Dunque, chiedo l’intervento del mio maestro su questa questione delicata per illuminarmi.
Lezione precedente
Lezione successiva

mercoledì 25 febbraio 2009

Lezione 2 - Commento alla verifica relativa al secondo esercizio di pag. 6.

Presento qui di seguito la seconda verifica che ho svolto a conclusione della seconda lezione del corso. Ricordo che la prima lezione ha riguardato l’apprendimento delle seguenti quattro lettere dell’alfabeto arabo ﺐ (ba), ﺖ (ta), ﺚ (tha) e ﻦ (nun) insieme allo studio delle vocali brevi e alla comprensione dei segni ortografici che permettono l’uso delle tre vocali italiane a,i,u . La seconda lezione aggiunge l’acquisizione di altre tre lettere dell’alfabeto, chiamate "vocali lunghe" e, soprattutto, introduce i mutamenti delle forme che queste lettere subiscono quando sono inserite, in maniera detta “legata”, nelle parole. Come dire: c’è molta carne sul fuoco, cuciniamola bene se vogliamo apprezzarne il cibo. Dopo aver letto e riletto più volte questa seconda lezione (da pag.4 a pag.6 del testo della Veccia Vaglieri) come studente mi sento di dire che mentre lo studio delle vocali lunghe è abbastanza facile e comprensibile lo stesso non si può dire dei cambiamenti che subiscono le lettere legate all’interno delle parole. Per la prima parte della lezione mi sento di dire che mentre la “vocale breve” è semplicemente un segno sopra o sotto la consonante che impone a quest’ultima di acquisire la relativa vocale, del tipo b+a=ba, la “vocale lunga” si ottiene aggiungendo alla vocale breve una lettera di prolungazione. Il senso di questa prolungazione sta nel fatto che l’ulteriore lettera aggiunta alla consonante “prolunga” il suono della vocale breve aggiungendo un’altra vocale, questa volta non più segnata come harakat ma come carattere vero e proprio, cioè da ba a ba+a=baa ovvero . Alla Sig.ra Veccia, acuta osservatrice dei fatti morfologici teorici ma anche pratici della lingua araba, non poteva mancare la possibilità di informare lo studente come si scrive in arabo e, soprattutto, quando si segnano i punti diacritici nella scrittura. Detto fatto. In una piccola ma importantissima “noterella” dice che la prassi è di scrivere di seguito le lettere legate tra loro senza pause fino alla fine della parola. Dopodiché si ritorna sulle lettere scritte apponendovi i puntini. Confesso di avere dei problemi a seguire questo schema. Personalmente sarei portato a mettere subito i puntini ma comprendo che le prassi hanno la meglio sui desideri e, dunque, sia fatta la volontà ... della Sig.ra Veccia. Il relazione al secondo tema, relativo cioè ai mutamenti della forma delle lettere, mi sento di affermare che la questione è doppiamente complicata. Da una parte è necessario comprendere il ruolo della posizione delle lettere nella parola, distinguendo ben quattro tipologie differenti, e cioè la forma isolata, iniziale, mediana e finale che in italiano non esistono. E qui sta il dramma. In italiano non esiste alcuna abitudine al cambiamento delle lettere nelle parole. Pertanto, si è presi alla sprovvista dalla novità, con conseguenze disagevoli sul piano dell’apprendimento. Successivamente, c’è da dire che è difficile, molto difficile, memorizzarle tutte. Teoricamente esistono ben 4x28 combinazioni possibili. In totale ben 112 forme diverse. In realtà, sono meno di 112, ma non abbastanza per non dover aggiungere uno sforzo molto intenso al processo di memorizzazione. Non so se sono stato chiaro. Che cosa si pretende, di impararle subito? Non è facile, credetemi, a chi fa fatica a memorizzare qualcosa, completare questo segmento di apprendimento molto, molto impegnativo. Già ho grande difficoltà a imparare le ventotto lettere dell’alfabeto prese singolarmente, immaginate a cosa posso andare incontro quando le lettere diventano il triplo di quelle normali. E’ necessario che il mio maestro, in qualche maniera mi faciliti la comprensione. Lui non può pretendere di tenermi impegnato a fare sforzi spropositati di ripetizione morfologica. Non sono mica uno studente di una scuola coranica, dove gli studenti passano ore e ore a ripetere i suoni delle lettere e delle sillabe. Che diamine! La questione del numero effettivo delle lettere dell'alfabeto arabo è stata da me affrontata nel commento alla lezione 1. Nel frattempo ho trovato un sito, in cui l'autrice manifesta la mia stessa difficoltà. Dunque, siamo almeno in due ad esserne convinti. Altra stranezza che mi ha colpito in questa lezione sono il numero delle lettere con i puntini. Ho voluto contarle. Il risultato è che la maggioranza dei caratteri ha il puntino: o sopra o sotto, o uno, o due o, addirittura, tre. Su ventotto lettere ben quindici hanno qualche puntino, mentre le rimanenti tredici lettere non hanno alcun puntino. Questa mi sembra una “rottura di simmetria” che considero grave in una lingua che ha fatto della bellezza, dello stile e della forma artistica un punto di forza della struttura dei segni. Mi sarei aspettato una patta equilibrata del tipo quattordici a quattordici e non, viceversa, lo squilibrio di quindici a tredici! Devo chiedere al mio maestro cosa ne pensa. A pag.5 la Veccia Vaglieri presenta una interessante tabella riassuntiva delle lettere e delle vocali brevi e lunghe. Eccellente. Ed ora presento di seguito il compito per casa che ho svolto a conclusione della seconda lezione. Chissà se ho commesso degli errori e quanti. Spero di no, ma non ne sono sicuro. Aspetto con ansia la valutazione del mio maestro. Lezione precedente Lezione successiva

lunedì 23 febbraio 2009

Lezione 1 - Commento alla verifica relativa al primo esercizio di pag. 3

Questo post tratta del primo esercizio in assoluto del corso di apprendimento di arabo tenuto dal docente Aleko e svolto dallo studente Zeno. L’impegno verte sulla lettura e scrittura delle prime quattro lettere dell’alfabeto arabo. Esse sono la (ba) la (ta) la (tha) e la (nun). Ecco di seguito l'intera verifica.
Come studente, alle prese con il manuale di grammatica araba relativo alla prima lezione, sono rimasto colpito dalla originalità del metodo di insegnamento adoperato dalla Veccia Vaglieri che, contrariamente agli altri libri di testo che partono subito con tutte le 28 lettere dell’alfabeto, inizia solo con lo studio di un primo blocco di quattro lettere. Probabilmente, e devo dire con giudizio, la Veccia si accorse che l’apprendimento dell’intero alfabeto in un’unica lezione è troppo impegnativo e prevede un notevole sforzo di memorizzazione non alla portata di tutti gli studenti medi italiani. Penso che sia stata una buona scelta di metodo. Devo chiedere al mio maestro cosa ne pensa di questo fatto cioè se, a suo parere, è produttivo ed efficace imparare l’alfabeto a blocchi di lettere distribuite nel tempo oppure iniziare subito con la memorizzazione di tutti e 28 i caratteri concentrati nella prima lezione. L’esercizio relativo alla prima lezione riguarda l’apprendimento delle vocali brevi, che in arabo sono solo tre, cioè la a la i e la u. Per me, studente alle prime armi, la mancanza delle vocali e ed o nella lingua araba mi ha meravigliato. Probabilmente questo è uno dei motivi per cui la fonetica araba è parecchio diversa da quella indo-europea. Mi è piaciuta molto a questo proposito la chiarezza e la brevità della spiegazione della Veccia circa le vocali brevi. Ella scrive: “quando la voce non ci si sofferma, ma passa rapidamente alla consonante che segue”. Spiegazione semplice e concreta, senza ambiguità e difficoltà di interpretazione. La cosa che mi ha stupito di più è che non si tratta di lettere alfabetiche come in italiano, ma di segni messi o sopra o sotto le consonanti. Eccezionale! Non esiste un solo caso del genere nelle lingue europee. E’ una trovata geniale e originalissima che ho apprezzato molto. Per me che sono studente alle prime armi mi ha colpito molto questa storia di creare delle vocali con dei segni. E poi mi ha colpito anche la posizione e la forma dei segni medesimi. La fathah che permette di pronunciare la vocale breve a, la kasrah che dà vita alla vocale breve i e, infine, la dammah che origina la u. E, infine, la forma dei segni: un trattino obliquo nei primi due e una specie di virgola inclinata per l’ultima. Che stranezza, ma anche che trovata geniale. Non avrei mai immaginato che potesse esistere una situazione del genere. Al paragrafo 5 ci sono le quattro lettere. Hanno praticamente tutte un certo numero di puntini: minimo uno, massimo tre. Qualcuna ha il puntino sopra la lettera e altre sotto. Se non è stranezza questa, ditemi quando si può parlare di stranezza alfabetica? Questo corso si sta caratterizzando per il numero e la qualità delle novità. Che sia sempre così? Se poi penso a certi suoni che ho sentito quando qualche persona parla in arabo dico chiaramente che sono preoccupato. Ce la farò ad apprendere tutta questa serie di particolari e di informazioni decisamente e palesemente diverse da quelle europee? Poi c’è questa cosa che non ho capito bene della differenza tra la ta e la tha, o meglio tra la e . Si, lo so, per gli studenti bravi si tratta della differenza tra una t normale e una t dentale, come quella degli inglesi nell’articolo determinativo the. A chiacchiere siamo tutti bravi. Comunque, non voglio insistere molto su questa faccenda. Ho altre preoccupazioni di comprensione a cui badare. Termino con un’altra osservazione proposta dalla Veccia, la quale dice che: “queste quattro lettere si distinguono solo per i punti detti diacritici, ossia di distinzione”. Il corsivo è suo ed è straordinario come abbia chiarito con poche parole tutto quello che c’è da chiarire per il neofita. Li chiama “punti di distinzione”, nel senso, penso, che distinguono con il loro numero e la loro posizione alcune lettere dalle altre. Ragguardevole! La Veccia è straordinaria. Non c’è che dire. Saluti e al prossimo esercizio. Penso che la prossima volta sarò costretto a risolvere un esercizio sulle vocali lunghe, tipo aa, ii, uu che la Veccia, traslitterando correttamente, indica con ā, ī, ū. Speriamo bene.
Lezione precedente

Lezione successiva

domenica 22 febbraio 2009

Il festival di Sanremo è finito: abbasso il festival.

Riconosciamo che anche quest’anno non siamo riusciti a vedere con continuità il festival della canzone italiana di Sanremo. Non ce l’abbiamo fatta a violentarci ancora una volta per vedere in tv la sagra dei vizi all’insegna della peggiore italianità televisiva. Nonostante l’aumento degli ascolti noi non siamo soddisfatti di come siano andate le cose, né nella conduzione, né nella organizzazione. Ci rendiamo conto che criticare il festival è uno degli sport preferiti dagli italiani e come la nazionale di calcio ogni italiano si sente autorizzato a pensarla diversamente dagli altri. Tuttavia, la domanda che ci poniamo da decenni è sempre la stessa: possibile che non esista una formula alternativa per organizzare e trasmettere un festival più modesto, più semplice, meno esibizionistico, che duri di meno e, soprattutto, che venga presentato con più garbo da un presentatore meno ruspante e romanesco di quello attuale? Se continua così il prossimo anno rischiamo di far presentare il festival a Claudio Amendola in una cornice da trasmissione televisiva tipo I Cesaroni, magari parlato in romanesco e con modi grossolani. Possibile che non si riesca a trovare una formula differente che permetta di diminuire i costi astronomici, ridurre il superfluo, presentare una rassegna canora più decente all’insegna della moderazione e, soprattutto, che duri due sole serate in cui si parli e si faccia ascoltare musica in maniera meno provinciale e più interessante? E’ proprio impossibile riproporre, con un presentatore più elegante e meno dialettale, un festival come quello in cui vinse Gigliola Cinquetti? Questo festival l’hanno presentato in tanti e in tutte le salse. Manca il condimento più indovinato di tutti e cioè che abbia il senso della misura. Perché non si fa una prova e lo si organizzi finalmente all’insegna della modestia, del bon ton e, soprattutto, dell’ironia? Enzo Tortora sarebbe andato molto meglio di tutti gli altri mediocri presentatori che l’hanno sbeffeggiato e provincializzato fino al punto da farlo diventare una Domenica In da salotto. Perché ci si ostina a intervistare cantanti e attori stranieri in cui il presentatore non solo non sa parlare e non sa comprendere decentemente l’inglese ma fa anche figuracce comiche nella pronuncia e nella sintassi di una lingua che non è la sua? Più in generale, possibile che non si capisca che è giunto il momento di fare una inversione a 180 gradi nella conduzione e nella organizzazione del festival? E, soprattutto, possibile che nessuno riesca a comprendere che "Sanremo è Sanremo" solo e soltanto se saprà veicolare contenuti intelligenti, di tipo valoriale, come la sobrietà, l’eleganza dei modi, la semplicità, la pubblicità a fatti e idee positive che aiutino gli italiani a comprendere che il mondo di oggi ha bisogno di più cultura e di meno gag da Bagaglino?

giovedì 19 febbraio 2009

Presidenti del Consiglio e di “Mediaset” come Pinocchi con i nasi lunghi.

Collodi fu un genio. Creò il suo Pinocchio sulla base di un’idea vincente di burattino dal naso lungo. A nostro parere però la grandezza di Collodi non sta nell’idea del burattino di legno, quanto in quella di bugiardo incorreggibile. L’invenzione eccezionale di Collodi risiede pertanto nella sua bravura di scrittore in grado di rappresentare, in un burattino, l’accoppiata “bugia-naso lungo” che è, se ci pensate bene, una straordinaria idea di modello negativo di bambino capriccioso. Quando da giovani leggemmo il capolavoro di Collodi e conoscemmo le caratteristiche sconvenienti della personalità di Pinocchio, centrate su capricci e bugie, decidemmo che mai e poi mai avremmo stimato persone del genere, soprattutto politici che avrebbero accettato l’idea di basare alcuni tratti della loro personalità pubblica sulla capacità di realizzarsi in un’idea di società amorale in cui l'etica fosse considerata un dettaglio. Fino al 2001 mai ci era venuta in mente l’idea di associare a Berlusconi l’etichetta di Pinocchio. Pian pianino, però, le similitudini di comportamento fra i due sono diventate sempre più manifeste e palesi fino al punto di non poterle non riconoscere come caratteristiche affini. Ieri sera, per esempio, dopo le nobili dichiarazioni di Veltroni, relative all’assunzione di responsabilità della disfatta elettorale in Sardegna e le conseguenti sue dimissioni da segretario del PD, ci saremmo aspettati che il capo del governo, forte della sua vittoria elettorale, facesse una telefonata al capo dell’opposizione. Invece il nostro Presidente Pinocchio, acido e vendicativo, ha recitato la parte del Pinocchio irritato dicendo che aveva intenzione di telefonare a Veltroni ma che dopo avere ascoltato le sue dichiarazioni non lo ha fatto. Come vedete Silvio Berlusconi, il Capo del governo italiano che ha il più grande conflitto di interessi che esista nell’intero sistema planetario, perché capo del governo e contemporaneamente capo dell’impero televisivo Mediaset, è sempre lo stesso, ovvero usa armi comunicative sottili e ipocrite per fare il contrario di quello che avrebbe dovuto fare. Insomma, non fa sconti a nessuno e, soprattutto, non fa prigionieri. A noi non sono mai piaciuti i tipi che manifestano e usano con arroganza e furbizia levantina le loro capacità connesse con i ruoli di padroni del vapore e della vaporiera. Probabilmente l’errore di Veltroni è stato quello di essere stato troppo garbato e onesto nella critica al governo Berlusconi. Davanti a un centro-destra arrogante, pigliatutto, affamato di potere perchè uscito dalle caverne del digiuno della politica, con totale mancanza di buone maniere e di lungimiranza, l’ormai ex Segretario Veltroni ha rappresentato un’anomalia nel panorama politico italiano. Peccato. Ci dispiace che sia andato via, sebbene crediamo che “chi è causa del suo mal pianga se stesso”. Soprattutto non ci piace che possano ritornare i dinosauri dell’ex PCI a riprendere a tessere la tela della politica massimalista ambigua e inaffidabile. Noi che in tutta la nostra vita abbiamo sempre combattuto il credo politico-sindacale del comunismo, pagando di persona con la emarginazione nei luoghi di lavoro, ci dispiace che un ex-comunista trasformatosi nel tempo in un socialista riformista lasci il ponte di comando della politica dell’opposizione. Crediamo che alla base della sconfitta della sua scommessa politica ci sia stato un grave errore di sottovalutazione, riassunto nel suo progetto di partito democratico onnicomprensivo. A nostro avviso non è possibile, in Italia, mettere insieme in uno stesso partito “il diavolo e l’acqua santa”. I due tronconi dei cattolici rutelliani da una parte e degli ex-comunisti dalemiani dall’altra non possono stare, a nostro giudizio, insieme. In alcun modo è possibile far convivere, con politiche comuni e condivise, i due tronconi dell’ex PCI e dell’ex DC. Piuttosto, sarebbe auspicabile, per la chiarezza delle posizioni, che entrambi ricostituissero i loro vecchi riferimenti, ricreando le condizioni di far convergere nel nuovo PSI riformista coloro che la pensano come veri socialisti all’europea e nella nuova DC coloro che la pensano come i moderni democristiani popolari europei. E’ l’unica maniera per fare chiarezza e dare risposte concrete alla società italiana. Non è irrilevante poi il fatto che una simile evoluzione potrebbe mettere a nudo la Santa Alleanza tra Vaticano e Berlusconi che, a nostro giudizio, sta portando il paese a condizioni politiche populiste di matrice sudamericana. L’Italia non merita di avere una simile rappresentanza che mantiene contemporaneamente i monopoli e i conflitti di interesse in maniera così vistosa e nociva.

martedì 17 febbraio 2009

Prolegomena a uno studio didattico-comunicativo della lingua araba.

Inizia oggi su questo blog un'autentica avventura culturale da non sottovalutare. In forma gratuita e speriamo gradevole inizia il proprio cammino un corso linguistico relativo all’apprendimento dell’arabo.
E’ un progetto ambizioso ma anche semplice e alla portata di tutti. Chiunque potrà seguirlo e qualunque persona potrà interagire durante tutte le fasi del corso e durante le singole lezioni intervenendo nella pagina dei commenti. Naturalmente il corso è gratuito e si avvale di due figure che assumono la veste di maestro il primo e studente il secondo. L’unica condizione che viene richiesta è che venga salvaguardata la serietà degli interventi. E’ anche gradita la registrazione dei partecipanti inviando al webmaster il proprio nome, cognome e indirizzo di posta elettronica con una mail il cui oggetto sia “iscrizione al corso”. Tutto qua.
E adesso passiamo a illustrare alcune premesse che caratterizzano il corso. Le premesse a un progetto culturale relativo allo studio di una lingua straniera possono essere molte, diverse e variegate tra di loro, sia per scopi, sia per completezza. Basta confrontare la prefazione di Remo Cantoni al racconto di Franz Kafka nel suo capolavoro Il castello nell’edizione della Medusa-Mondadori e la premessa alla “Storia d’Italia” di Indro Montanelli per avere un semplice esempio concreto di diversità. In genere, le premesse servono agli autori per informare i loro lettori delle caratteristiche e delle finalità di un loro scritto.
La nostra premessa serve per informare chi ci legge che entrambi gli autori, nei loro rispettivi ruoli di maestro uno e di studente l’altro, hanno il desiderio comune di esprimere il piacere di studiare la lingua araba con tutto ciò che questo studio implica nella conoscenza della cultura, della storia e delle tradizioni dell’area geografica in cui quella lingua è nata e si è diffusa. Nel nostro caso, poi, le motivazioni sono anche di tipo religioso, vista l’enorme importanza e la robusta correlazione che esiste tra lingua coranica e contenuto religioso del libro sacro per i musulmani, che è il Corano. “Piacere” qui significa diletto, amore, gioia, soddisfazione, svago e persino godimento che si può provare nell'apprendere la lingua araba.
Attenzione che il piacere non riguarda solo l’obiettivo, cioè il conoscere la lingua per saper tradurre e comunicare. Non solo. Qui “piacere” è anche lo studio vero e proprio della lingua, cioè l’apprendimento sistematico e continuo delle idee e dei concetti relativi alle strutture fonetiche, morfologiche, grammaticali e sintattiche della lingua araba. Ma è piacere anche l’avanzare nella conoscenza quotidiana, giorno per giorno, con fatica, con impegno, con concentrazione ma, soprattutto, con contentezza. Naturalmente, noi non crediamo di essere soggetti speciali e unici nel panorama dell’apprendimento di una lingua. Siamo convinti che chiunque affronti lo studio di qualsiasi lingua può provare le medesime sensazioni che descriviamo noi. Non abbiamo, sia chiaro, il monopolio del piacere dello studio. Vogliamo solo tentare di comunicare questo nostro desiderio a coloro che ci seguiranno in questa avventura. In ogni caso, “il verbale” di questo piacere potrà rimanere in rete come testimonianza del nostro interesse. Non sappiamo dove arriveremo. Non abbiamo esperienza in questo campo. E’ possibile che falliamo. Vogliamo tuttavia tentare di mettere alla prova la nostra capacità di provarci. Se ci riusciremo sarete voi, cari “lettori-navigatori” della rete, i nostri giudici. Per parte nostra faremo del nostro meglio e, come si suol dire in questi casi, noi “ce la metteremo tutta”. Qui si parrà la "nostra" nobilitate, per dirla col Sommo Poeta.
Intanto, vi informiamo che il nostro strumento principale di lavoro per conseguire questo obiettivo, che è, insieme, scopo didattico, educativo e culturale, è un libro. Forse questo libro può essere definito, per noi italiani che siamo connazionali dell’Autrice, “il libro” per antonomasia che ci permetterà di vivere l’avventura singolare e insieme straordinaria di imparare la lingua araba. Lo scopo del viaggio di piacere nei meandri della grammatica e della sintassi araba è il commento e lo studio dell’unico e irripetibile libro italiano che è la “Grammatica teorico-pratica della lingua araba”, pubblicato nel 1937 dalla grandissima ed eccezionale figura di glottologa e linguista che fu la signora Laura Veccia Vaglieri. Qui di seguito pubblico la copertina del testo che io posseggo. Chi volesse avere una copia gratuita del testo, edizione pubblicata nel 1951, può scaricarla a questo URL di slideshare.




(Manuale di studio: Laura Veccia Vaglieri, Grammatica teorico-pratica della lingua araba, Vol. 1, Roma, Istituto per L’Oriente, 2001)







Chi invece volesse leggerla in internet ecco il link. Il suo uso, e il suo "abuso", sarà il nostro mezzo di locomozione, ovvero di spostamento lungo i sentieri erti e ripidi, ma interessanti, dell’insegnamento e dell’apprendimento dell’arabo. Chi vivrà, vedrà.
E adesso, prima di concludere, una breve risposta a una possibile domanda: “per quale motivo l’arabo”? Per tre buone ragioni.
In primo luogo, perché è una lingua interessante, ricca di aspetti intriganti, coinvolgenti, bella e artisticamente dotata di disegni e forme di rara bellezza artistica.
In secondo luogo, per la sua importanza come lingua veicolare nel mediterraneo, e non solo. Chi si sente mediterraneo perché nato e cresciuto in un paese geograficamente a ridosso di quello nord-africano e crede nell’importanza delle proprie radici, cercando in queste il senso della propria appartenenza a tradizioni e specificità culturali che hanno come riferimenti cultura, storia, letteratura, arte, cinema, scienza, cucina, etc. non può non vedere nella cultura araba e, dunque, nella lingua araba, importanti elementi e fattori di senso caratteristici del proprio modo di essere e di vedere la vita.
Infine, ma non per questo di meno, l’arabo perché permette di leggere direttamente senza mediazione alcuna il Corano per capire qualcosa della cultura araba leggendo il libro sacro dei musulmani come la Bibbia lo è per le altre due religioni monoteistiche.
Tre ragioni, tre scopi, tre elementi di riflessione su noi stessi, in un mondo sempre più votato all’indifferenza e alla trivialità dei media predominanti, come la becera TV, e in una società che ha smarrito la bellezza dei valori più importanti della vita nei quali c’è la lettura di narrativa, poesia e il senso lato la lingua araba che permette di veicolare idee che riguardano un intero universo dall’oceano atlantico all’oceano indiano. Vi sembra poco? E adesso al “lavoro”.
Aleko e Zeno
Programma del corso
Lezione 1
Lezione 2
Lezione 3
Lezione 4
Lezione 5
Lezione 6
Lezione 7
Lezione 8
Lezione 9
Lezione 10
Lezione 11
Lezione 12
Lezione 13
Lezione 14
Torna alla lezione iniziale

lunedì 16 febbraio 2009

Meglio tardi che mai.

Il detto “meglio tardi che mai” va benissimo in riferimento alla notizia pubblicata dalla stampa nazionale che ieri, nella Città del Vaticano, per la prima volta, dopo 367 anni dalla morte di Galileo Galilei (1564-1642) e dopo 377 anni dalla scomunica dello scienziato più famoso d’Italia, è stata celebrata una messa solenne in suo ricordo dalle gerarchie cattoliche vaticane. Un fatto epocale che è passato inosservato. Noi siamo convinti che in questi quasi quattro secoli di storia dopo la scomunica a Galileo, l’ostentazione di superiorità della Chiesa cattolica e la presunzione di non riconoscere alla scienza di essere colei che doveva spiegare i fatti naturali le ha fatto perdere molto in autorevolezza, tanto in fascino e di più in prestigio. L’incapacità e l’altezzosità nel non comprendere che era molto meglio riconoscere l’errore della scomunica già qualche secolo fa piuttosto che adesso, all’ultimo momento, ha prodotto una vera e propria emorragia di simpatie e di stima nelle posizioni della Chiesa a proposito del rapporto fede-scienza. Tra le tante cose che mettono in evidenza l’errore di valutazione della Chiesa c’è da dire che Galileo fu un vero e convinto credente della fede cattolica. E nonostante questo è stato punito per aver semplicemente detto che Scienza e Religione sono due cose diverse e che si doveva lasciare alla scienza lo studio dei fatti scientifici e alla chiesa tutto il resto. Galileo fu un eccellente cattolico ma questo non gli bastò e dovette abiurare e rimanere solo durante la sua vecchiaia consumata in Arcetri. Adesso Galileo è stato definito dall’officiante in Vaticano addirittura “divin uomo”. Noi che abbiamo fatto qualche piccolo studio di scienza fisica e che abbiamo seguito nel tempo la testardaggine delle autorità cattoliche nel non riconoscere al grande toscano i pregi e le virtù umane, scientifiche, spirituali e religiose che possedeva in abbondanza proviamo grande sofferenza nel ricordare quanto siano state dure le azioni della chiesa cattolica nei decenni precedenti alla nomina del grande Giovanni Paolo II che fu, lo ricordiamo, il primo Papa che ebbe il coraggio di riconoscere le grandi doti dello scienziato toscano. "Meglio tardi che mai" è vero, ma si poteva fare prima. A questo link la copertina del libro B.Brecht, Vita di Galileo, Torino, Einaudi, 1963 che fu, per gli studiosi di fisica degli anni ’60 del secolo scorso, un evento teatrale e culturale di grande portata nella storia della scienza.

sabato 14 febbraio 2009

Licenziamenti e guadagni televisivi volgari: un rapporto scellerato.

Il “caso Englaro” annovera come appendice il “sottocaso Mentana”. Stiamo parlando di Enrico Mentana, ex direttore del TG5 e adesso, dopo le dimissioni, anche ex conduttore del programma Matrix. Com’è noto, l’ex giornalista della rete berlusconiana per eccellenza è stato “dimissionato” in tronco. Mentana si è offeso perché la televisione di Berlusconi non ha differito la diretta della trasmissione spazzatura il Grande Fratello la sera della morte di Eluana. Questo il fatto di oggi che commentiamo, come al solito, con le nostre opinioni. Siamo indignati contro le reti televisive Mediaset che hanno mostrato, in questo delicato e luttuoso momento, un cinismo e un senso degli affari che fa sbalordire. Da un lato il proprietario della televisione più “deficiente” dell’intero continente europeo manda in onda, la stessa sera della morte della giovane Englaro, la peggiore trasmissione televisiva che si possa immaginare in questi casi, piena di violenze, parolacce, atti sessuali seminascosti sotto le coperte ed altre volgarità del genere. Dall’altra si bombarda il paese che è un delitto togliere l’idratazione al corpo martoriato e irriconoscibile di Eluana e si fanno trincee e guerre mediatiche e politiche sul diritto alla vita, rischiando lo scontro istituzionale con il Presidente della Repubblica, perché quest’ultimo non ha accettato di firmare una patente violazione della Costituzione, relativamente alla decretazione d’urgenza. E’ serio tutto ciò? Che cosa dicono i sostenitori della spiritualità religiosa a proposito della palese incoerenza di un Presidente del Consiglio che è proprietario di una provocatoria e trasgressiva televisione? E’ o non è incoerente un simile e ondivago atteggiamento? A detta dei dirigenti Mediaset si è trattato di un calcolo, dovuto al fatto che una televisione privata deve fare incassi per sopravvivere. Come se il rispetto per un simbolo, come quello personificato dalla dolce e sfortunata ragazza, non valesse più della scelta di guadagnare qualche centinaio di migliaia di euro in più. Certe volte, caro Confaloniere, i simboli non hanno prezzo. Eluana, a nostro parere, non meritava questo oltraggio. Berlusconi, ovvero l’unico e autentico Pinocchio fattosi uomo politico sulla Terra, è bravissimo a fare soldi mentre mostra di essere un disastro quando si propone di fare gli interessi della parte più povera del paese proprio nel momento in cui questo ne avrebbe più di bisogno. E mentre noi parliamo e parliamo di idratazione e di disidratazione i nostri euro-parlamentari fannulloni di tutti i partiti, la cui maggioranza appartiene però al partito del Presidente del Consiglio, guadagna ben 35000 (trentacinquemila) euro al mese facendo assenteismo indecente e palese a spese della collettività italiana. Stante tutto ciò il nostro Pinocchio, miliardario capriccioso, invece di proporre una legge mirata a far diminuire agli assenteisti euro-fannulloni le ricche prebende percepite, che fa? Non ci crederete, ma a detta del giornale spagnolo El Pais, si dedica a scrivere canzoni per Sanremo e a fare contemporaneamente soldi e ascolto con le sue televisioni private. E’ questo il nuovo modello di fare politica che gli italiani hanno votato? Per il nostro Pinocchio, volubile e incontentabile, il detto popolare “rubare nel commercio non è peccato” ha sicuramente una valenza appropriata. La frase fu detta molti anni fa dalla sorella di un curato di un piccolo paese siciliano che adulterava il vino venduto nella bottega di famiglia per guadagnare di più. Mentre lei vendeva in bottega un vino scadente spacciato per vino di qualità, il nostro Pinocchio fa ammannire dal suo compagno di studi scolastici, il volpone Confalonieri, trasmissioni televisive vergognose e improponibili (come il GF e Scherzi a parte) con denari facili incassati dalla pubblicità televisiva e guadagnati, guarda caso, con il condizionamento del suo ruolo politico. E poi fa orecchie da mercante quando si sente dire che la sua figura di magnate della TV e di Presidente del Consiglio è al centro di un colossale conflitto di interesse. Ora che sta calando il sipario sul caso Englaro è venuto il momento di etichettare come cattivi compagni tutti coloro che si sono distinti con arringhe parlamentari e violente prediche contro il povero papà di Eluana, fatto soffrire peggio di un condannato a morte. Solo la Chiesa cattolica, con la sua coerenza e il suo senso della misura, è indenne dalla critica ed ha il diritto di criticare. Tutti gli altri attori, soprattutto i mediocri giornalisti savonarolesi pseudo-religiosi della carta stampata che si muovono nel sottobosco della politica del centro berlusconiano, lo hanno fatto solo per interesse e calcolo politico. Dovrebbero scusarsi con Beppino Englaro per la loro viltà a combatterlo ad armi impari. Che si vergognino per averlo amareggiato tanto.

martedì 10 febbraio 2009

Anche gli uomini di fede, se vogliono, possono piacere.

La notizia che commenteremo oggi riguarda un prete. Un prete speciale perché sta poco nelle parrocchie e molto nelle strade. Anche questa è una missione e di questi tempi, forse, se ne sente più bisogno dell’altra relativa alla predicazione nelle chiese. Questo prete lo vogliamo chiamare un religioso d’azione, di quelli tosti, impegnati, che non mollano. Qualche anno fa lo abbiamo criticato per una sua asprezza di fede, al limite del codice penale, che ci colpì negativamente. Oggi lo ringraziamo di esistere e abbiamo messo nel dimenticatoio gli eccessi di fede allora professati con tanta asprezza che non ci piacquero. Si chiama don Ciotti ed è protagonista da alcuni anni in Sicilia di lotta intelligente alla mafia. Ha avuto in dono dallo Stato un’azienda di calcestruzzi confiscata dalle autorità ai boss mafiosi che adesso fa funzionare di nuovo, dando lavoro e fiducia nello Stato a decine di operai in modo positivo e intelligente. Gli operai sono increduli e tornano a credere nella dignità del lavoro e nelle imprese umane sotto l’egida dello Stato e, perché no, della Chiesa. Quella chiesa che ci piace molto, per l’impegno non solo nel sociale ma soprattutto nell’etica al servizio del bene comune. Non ci piace invece la chiesa del nuovo papa tedesco Ratzinger, la chiesa del papa teologo che privilegia il ritorno all’antico, che reintroduce la logica preconciliare, la chiesa della messa in latino, che ha la capacità di annullare i grandi risultati conseguiti da due papi straordinari come Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, che hanno lavorato per anni inutilmente. Non ci piace la chiesa che parla troppo di teoria della fede, la chiesa che si presta a volere a tutti i costi di nuovo i preti lefreviani negazionisti dell’olocauso all’interno. Questa chiesa la sentiamo fredda, elitaria, estranea, cinica, conservatrice, che annulla le grandi conquiste introdotte dai papi precedenti. Noi pensiamo che c’è bisogno di molti preti alla don Ciotti nella nuova chiesa, uomini che riescono a far amare l’impresa religiosa, impegnata a pulire al proprio interno, dedita a collaborare con le autorità politiche per ridare fiducia e dignità a quel pezzo sfortunato d’Italia, chiamato meridione, che è la vergogna nazionale peggiore che si possa immaginare e lo strumento preferito con il quale si fanno gli interessi dei detrattori della nazione. Ci chiediamo perché queste notizie non vengano esaltate dall’informazione? Ci chiediamo perché questi progetti non vengano aiutati dalle autorità politiche nazionali? Perché la Presidenza del Consiglio, il nostro Pinocchio primo cittadino d’Italia, non si rende protagonista con lo stesso vigore e livore con i quali attacca in continuazione i suoi avversari politici a consolidare prassi e abitudini del genere? Cosa ha fatto e cosa fa il nostro Presidente del Consiglio per sviluppare più efficacemente la cultura della confisca dei beni mafiosi con leggi sempre più severe nei confronti dei criminali e dei loro sostenitori più o meno omertosi che si annidano nei gangli vitali della vita sociale e politica delle città siciliane? Grazie a don Ciotti il progetto di rinascita dell’azienda confiscata è realtà. Ma quanta fatica e quante contraddizioni. I media del tempo ricordano che il prefetto di allora, Fulvio Sodano, si ammalò per essere stato rimosso e cacciato via dal governo Berlusconi a causa dei suoi provvedimenti che permettevano di liberare la strada ai provvedimenti favorevoli al progetto. Ci sono “mille” notizie giornalistiche su questo caso ai quali il nostro Pinocchio non ha mai replicato. Eccone alcune [1] [2] [3] [4] [5]. Come mai? Chi è il nostro Presidente del Consiglio? E' l’uomo della Provvidenza che fa gli interessi dei poveri, lo Zorro della giustizia che combatte i criminali, che aiuta i bisognosi, che interviene nella legislazione parlamentare creando leggi etiche a favore di coloro che soffrono e che si impegnano a migliorare il paese o esattamente l’opposto? Per adesso i suoi comportamenti ondivaghi hanno fatto capire che è l’opposto, soprattutto osservando l’informazione televisiva che da quando è ritornato ad essere Capo del governo è incredibilmente imbavagliata e impregnata di cultura monopolistica. Non ci credete? Basta vedere come vengono proposte le notizie nei telegiornali della RAI e di Mediaset. Praticamente sono fotocopie a senso unico. Eppure dovrebbero essere aziende concorrenti, o no? Mi sbaglio io, non capite voi o sono i giornalisti comunisti che dicono cose diverse da quelle che dichiara Berlusconi alla stampa? Un vero disastro che non ha precedenti nell’intero sistema planetario. Peggio di così non si può.

lunedì 9 febbraio 2009

Un confronto al massacro e la mancanza di alternative ai radicalismi.

Di fronte al confronto drammatico tra i difensori della “possibilità di scelta” e i fautori del “diritto alla vita” che sta avvolgendo oggi l’Italia noi cittadini moderati che crediamo nel confronto civile e democratico siamo attoniti per la piega che stanno prendendo gli eventi e preoccupati per l’evolvere della situazione dal punto di vista politico. Mai in passato si era giunti a tanto. I toni sono troppo accesi per avere fiducia sia al governo, sia all’opposizione. E quello che ci preoccupa di più in questa vicenda è che mancano i pompieri per spegnere e viceversa abbondano gli incendiari che attizzano. Dove sono andati a finire i Padri provinciali e i Conti Zii che spegnevano fiammiferi per evitare incendi distruttivi? Ci dispiace, ma dobbiamo dare un giudizio di immaturità politica ad entrambi i sostenitori delle due modalità di contrapposizione per non essere stati in grado di rimanere “tra le righe”, con un confronto sereno e composto.
Vogliamo rimarcare adesso due aspetti. Il primo riguarda la Chiesa cattolica e il secondo il governo. Omettiamo di intervenire sull’opposizione perché non ha avuto molta voce in capitolo. In merito al primo aspetto crediamo che la vicenda Englaro dal punto di vista della Chiesa cattolica è un caso esemplare. Siamo del parere che l’unica protagonista che non ha mai barato nella vicenda ed è stata coerente in tutti i momenti della tragica vicissitudine sia stata la Chiesa cattolica, la quale ha sempre rivendicato la sacralità della vita e la completa opposizione a qualsiasi deriva eutanasica. Da questo punto di vista crediamo che la Chiesa cattolica abbia ragione nel sostenere che esiste, se non si interviene con una legge, la possibilità di una deriva del genere. Altra cosa è la modalità scelta per conseguire l’obiettivo. Solo su questa questione si può discutere, ma fino ad un certo punto perché, com’è noto il Vaticano, con i Patti Lateranensi è uno Stato straniero che può sfruttare a suo piacimento l’ambiguità del suo doppio ruolo interno ed esterno allo Stato italiano e come tale non si può fare molto. In merito al secondo punto non ci piace per niente la sfida fatta dal Presidente del Consiglio al Presidente della Repubblica e alla Costituzione. Invece di canalizzare tutte le sue risorse e i suoi sforzi sulla crisi economica e finanziaria e lasciare al Parlamento l’interesse per una legge mirata sul caso del testamento biologico sta creando guai e gaffes a ripetizione. Ricordiamo che noi siamo del parere che in questo momento la Presidenza del Consiglio dovrebbe impegnarsi totalmente nell’individuare forme di aiuto ai drammi che stanno vivendo le centinaia di migliaia di lavoratori che stanno perdendo il posto di lavoro piuttosto che muovere corazzate e carri armati per ottenere una vittoria di principio che non modificherà nulla della vita della sfortunata ragazza. Dovrebbe essere il Parlamento a legiferare. Punto e basta. Su questo secondo punto vogliamo tuttavia insistere perché riteniamo che il nostro Presidente del Consiglio, nel bene e nel male, lo merita. Novello Pinocchio, eccolo di nuovo in azione sul terreno che più lo aggrada: la sceneggiata napoletana. Lui che è milanese prova un piacere da matti a recitare come Mario Merola riprendendo la polemica preferita che è quella contro i comunisti, contro il Presidente della Repubblica, contro l’opposizione, contro la magistratura. Tutti colpevoli di non permettergli di fare quello che desidera. Da vero Pinocchio fa i capricci. Adesso si è messo in mente di voler cambiare la Costituzione, salvo il giorno dopo, su consiglio del Cardinal Richelieu, ritrattare e dare la colpa alla stampa “comunista”. Il Presidente del Consiglio non cambierà mai. Con la scusa di “non poter non” dare la vita ad Eluana il nostro Pinocchio ha trasformato il caso di un soggetto in fin di vita in un conflitto istituzionale senza precedenti tra il Suo governo e il Presidente della Repubblica. La doppia negazione da Lui adoperata non è un caso e rappresenta un classico del suo modo di vedere le cose. Non dice: "posso e voglio". No. Dice: "non posso non volere" e “non posso non fare”. Un modo populistico di colpire l’attenzione della gente, del suo popolo al quale chiedere di intervenire se le cose si complicano. Non contento di questa dichiarazione, inusuale e fuori controllo, ha contestato il ruolo dello stesso Presidente della Repubblica, annunciando “la volontà di governare a colpi di decreti legge” senza il controllo della Presidenza che gli impedisce di fare le “cose giuste”. Naturalmente “giuste” a suo uso e consumo. E in un crescendo rossiniano ha aggiunto di essere pronto a "rivolgersi al popolo" per cambiare la Costituzione. Sono tutte affermazioni sue, fatte alle televisioni che tutti abbiamo ascoltato con le nostre orecchie, e come prevedibile, il giorno dopo, da vero Pinocchio, ha smentito attribuendo ai “faziosi” giornalisti di sinistra che il suo pensiero è stato travisato. Il suo naso, continuando così, dovrebbe raggiungere lunghezze chilometriche inusitate, stabilendo nuovi record da Guinness dei primati. In tutti questi anni non ci risulta che il nostro Pinocchio abbia fatto alcuna esternazione sul caso Englaro. In pratica, in tutti questi anni, del caso della povera giovane il nostro Pinocchio se ne è altamente infischiato. Improvvisamente, dalla mattina alla sera, ha annusato l’aria ed ha capito che era possibile in questa occasione sferrare un attacco contemporaneo su più fronti ai suoi avversari di sempre: all’opposizione, alla Presidenza della Repubblica e all’attuale Costituzione, che a suo dire gli impediscono di governare con i decreti legge. Lo scontro rischia la rottura degli equilibri costituzionali e Pinocchio questo lo sa. Minacciando plebisciti popolari vuole creare le condizioni per realizzare, ancora più in grande, il ruolo che ha sempre avuto in Mediaset: quello del padrone del vapore e della vaporiera. A nostro giudizio non gli deve essere consentito. Per il resto in questa vicenda non vincerà nessuno. Anzi. Tutti abbiamo perduto, compresi noi che da anni combattiamo la nostra battaglia solitaria, nelle forme e nei contenuti, di richiedere ai governanti più autorevolezza e onestà, alla sola condizione di esserne degni sul piano etico e morale. Ma la cosa, avrebbe detto a questo punto il grande giornalista Indro Montanelli, è molto difficile.

venerdì 6 febbraio 2009

Sviluppi inverosimili del caso Eluana.

A proposito del mio post di qualche giorno fa sulla sfortunata vicenda della ragazza in coma da diciassette anni mi scrive Marco che mi invia il seguente intervento.
“Carissimo Zeno ti scrivo per esprimere la mia contrarietà verso il tuo pensiero in relazione alla vicenda Eluana. La cosa più assurda di questa questione è che l'arbitrio giusto o sbagliato di un giudice possa essere considerato idoneo a colmare un vuoto legislativo come l'assenza di una legge sul testamento biologico. Di questo passo è possibile prospettare un futuro con possibili casi come quelli di Eluana dove la mancanza di un consenso espresso e la discutibile presenza di un consenso tacito possano giustificare l'interruzione della vita di una persona”.
Rispondo a Marco, ma anche agli altri che sono intervenuti in questa materia così delicata e difficile, dicendo che se le cose fossero come afferma Marco penso che la posizione critica della Chiesa cattolica nei confronti dell'atteggiamento del padre di Eluana sarebbe giusta ed anch'io la penserei come Marco. Invece, il ragionamento di Marco funziona a metà, perchè si inceppa quando afferma che "l'arbitrio di un giudice si può considerare idoneo a colmare un vuoto legislativo". In realtà il provvedimento della magistratura non vuole colmare un vuoto legislativo ma deve riempire il vuoto legislativo lasciato dal legislatore. Come si vede c'è una profonda differenza tra il “volere” e il “dovere”. Se il Parlamento avesse votato una legge con la quale si fosse detto chiaramente cosa era necessario fare o non fare in questi casi, a quest'ora noi non ci sogneremmo di polemizzare, anche se in forme garbate, sulla vicenda. Il Parlamento aveva il dovere di colmare il vuoto legislativo con qualunque tipo di legge, avanzata o tradizionalista, ligia al dettato religioso o fortemente laica. La questione nasce perchè il vuoto legislativo esiste ed è palpabile. E poi le cose sarebbero potute andare diversamente se la magistratura avesse detto: “no, non si può fare”. Invece i giudici hanno detto “si, si può fare”. Vorranno pur dire qualcosa questi dati di fatto, o no? Dunque, le cose stanno diversamente da come prospettate da Marco. Permettetemi tutti adesso di aggiungere alcune considerazioni al sempre gradito commento di Marco o di qualunque altro interlocutore che desidera porre in modo civile e corretto il confronto delle idee. A mio parere è scorretto chiamare la vicenda in esame come il “caso Eluana”. In realtà la vicenda della ragazza in coma vegetativo da diciassette anni, viste le sue condizioni fisiche e psichiche di incapacità totale a esprimersi ed agire, non riguarda la sua persona ma quella del padre. Dunque, correttamente la vicenda avrebbe dovuto chiamarsi il caso “Beppino Englaro”, cioè il caso di un anziano signore che si è trovato, suo malgrado, in questa tragica vicenda schiacciato da dei macigni che gli altri gli hanno lanciato contro. La ragione di questo spostamento di attenzione e di ruolo non è solo formale o di metodo. E' una questione di merito, ovvero di sostanza che cambia le carte in tavola di entrambi gli schieramenti che stanno conducendo tra di loro una guerra totale non solo giuridica e formale ma anche mediatica e politica. Perché il fatto, lasciatemelo dire, ha valenza politica. Quello che lascia perplessi in tutta questa vicenda è la guerra di religione che si è innescata in modo strumentale via via facendo, perchè il fine non è la vita della ragazza ma il “principio” che essa sottende. Cosa volete che possa rappresentare la vita o la morte di una persona che praticamente non vive più da lustri davanti ai drammi collettivi si centinaia di vite umane che muoiono in guerra come a Gaza oppure migliaia di bambini in Africa che muoiono di fame perché non hanno cibo per sopravvivere. Questi si che sono drammi, perbacco! La vogliamo smettere di fare una nuova guerra dei Trent’anni per un caso che non meriterebbe far sprecare neanche un millimetro cubo di inchiostro su un giornale? Si comprenderà abbastanza bene che se la ragazza verrà lasciata morire si costituirà un pericoloso precedente per la posizione della Chiesa cattolica. Viceversa, se la ragazza verrà lasciata vivere costituirà un altro precedente che valorizzerà la posizione della stessa Chiesa cattolica. In altre parole sembra che la questione non sia la vita privata di una ragazza in fin di vita ma lo scontro tra due “massimi sistemi”, fra due Stati che sono arrivati alla battaglia finale. Ora la domanda che ci si dovrebbe porre correttamente a questo punto è quella che riguarda il fatto se è corretto costringere un padre, con il suo patrimonio affettivo di emotività dolorosamente messo in discussione dalle polemiche, ad essere il capro espiatorio di uno “scontro di civiltà” fra chi sostiene la tesi che la ragazza anche se in coma deve continuare a vivere fino a morte naturale, perchè lo dice la Bibbia, e chi invece vuole farla finita in ogni caso. Il tutto condito con una decisione della magistratura che sarà anche sbagliata ma che è una decisione vincolante per la vita di un paese di diritto. Se noi partiamo dal fatto, come sta facendo il panzer savonarolista Sacconi, che basta agitare un qualunque libro di religione, che oggi è la Bibbia e domani potrà essere il Corano (a proposito personalmente vi consiglio di studiare l’arabo), perché non si accettino le decisioni della magistratura allora la prossima riforma del codice civile e penale in Italia sarà quella che vedrà codificata la “legge della jungla”. E’ questo quello che si vuole? Come si può vedere in tutto questa gigantesca gazzarra la ragazza non ha voce in capitolo. Anzi, non l'ha mai avuta. Per essa vogliono parlare laicisti radicali da una parte e conservatori cattolici dall'altra. Entrambi non si rendono conto che non si vive così in una società moderna. Si vive in tutt’altra maniera, rispettando le leggi, confrontandosi nelle sedi competenti, colmando i vuoti legislativi e quando le leggi non piacciono modificandole opportunamente. Così fanno all’estero, che sono più civili di noi, dove buon per loro non è in funzione il Diritto giurisprudenziale che viene applicato in Italia, patria della “Scienza del Diritto”. Salvo poi a essere inutile, come è successo con l’avvocato Azzeccagarbugli quando saputo che il cliente Renzo era l’avversario di Don Rodrigo lo buttò fuori di casa con tutti i galletti. E nel frattempo i vescovi lefreviani, dopo aver negato l’Olocausto, dicono addirittura che il Concilio Vaticano II fu il più grande disastro della storia della Chiesa. Siamo vicini alla disgregazione totale?

martedì 3 febbraio 2009

Danni e riparazioni: si perde sempre e comunque.

Il Presidente del Senato Renato Schifani all’indomani del vergognoso episodio di razzismo, definito dal Presidente della Repubblica "raccapricciante", ha promesso come risarcimento un lavoro all’immigrato indiano bruciato vivo da tre teppisti italiani. Vorremmo ricordare al Presidente del Senato che il problema vero del razzismo in Italia non è dare un lavoro agli immigrati presi di mira da bulli di quartiere ma impedire che si faccia strada nel paese la concezione brutale dell’uccidere per noia o per vendetta un cittadino immigrato. In ogni caso noi cittadini che non abbiamo nulla a che fare con questa teppaglia coccolata e viziata da genitori inetti, pretendiamo che il potere politico prenda provvedimenti concreti per evitare che si verifichino di nuovo brutture del genere. Pertanto consigliamo al Presidente del Senato i seguenti suggerimenti al Parlamento:
1) far cambiare la norma penale del reato di razzismo, introducendo più severità e certezza nella pena ed eliminando qualunque possibilità di perdonismo o di riduzione di pena futura;
2) rendere obbligatoria la frequenza scolastica di tutti i giovani fino a 18 anni. Finché costoro potranno bighellonare indisturbati ad annoiarsi con i loro amici bulli il problema non sarà mai risolto;
3) colpire severamente chi si macchia di veicolare idee razzista e xenofobe, obbligando i soggetti a riparare alla violenza verbale e/o fisica con forme di volontariato imposte per legge e con risarcimenti civili di notevole entità;
4) adottare come linea generale di governo provvedimenti legislativi che sviluppino la convivenza e l’integrazione per i lavoratori immigrati regolari, sanzionando severamente i comportamenti razzisti sia di tipo isolato, sia soprattutto quelli fatti da organizzazioni politiche che si richiamano a qualunque ideologia, le quali dovrebbero immediatamente essere messi fuori legge.
Solo così si potrà voltare finalmente pagina e cominciare a vergognarsi di meno di essere italiani. La frase *italiani brava gente* è falsa! Lo dimostrano i comportamenti messi in atto dagli italiani in tutti i conflitti sia militari, sia civili. Personalmente stiamo vivendo il dramma di cittadini che si vergognano di appartenere a un paese dove il Primo Ministro è latitante su questa questione. Forse è impegnato a seguire di più Kakà e Beckam? Ma mi faccia il piacere, avrebbe detto Totò.

lunedì 2 febbraio 2009

L’Italia di oggi: una classe politica inadeguata incapace di saper affrontare le sfide della modernità.

Un clima di intolleranza e di odio attraversa l’Italia di oggi. Questo è il senso del post odierno che esplicita le nostre opinioni. Non passa giorno che ogni mattina sui giornali non si leggono notizie da brivido: stupri a ripetizione da nord a sud del paese, immigrati picchiati e uccisi, alcuni addirittura bruciati, negozi ebraici e asiatici dati alle fiamme, giovani abbruttiti dalla noia e dalle droghe che picchiano selvaggiamente e abusano povere donne deboli e indifese e altre brutte cose di questo genere. Insomma, un clima di terrore che ricorda una cieca caccia alle streghe, il tutto per vendetta e ritorsione contro immigrati alcuni dei quali per parte loro, approfittando delle maglie larghe della nostra giustizia, hanno preso il nostro paese per un nuovo far west. Il risultato è un clima di intolleranza e di odio che è la logica conseguenza dell’ultimo decennio di avvilente politica italiana che ha permesso a una fetta minoritaria di italiani e di immigrati a delinquere nelle forme più brutali senza che il Parlamento potesse intervenire per prendere delle decisioni e far cessare questa rozza violenza, esercitata sui più deboli. Come si verifica spesso in Italia si va “dalle stelle alle stalle”, ovvero dal “perdonismo” più esasperato alla massima "vendetta”. In verità, chiamare “politica” l’attività parlamentare e di governo di questi ultimi dieci anni è troppo. Vogliamo denunciare in modo esplicito e risoluto l’involuzione che sta subendo la società italiana in merito alla degenerazione razzista, attribuendo la paternità e la responsabilità al principale imputato, che è l’attuale classe politica di governo del nostro paese. L’unica cosa seria che possiamo fare per mettere con le spalle al muro i veri responsabili di questo ritorno degli italiani alla inciviltà e alla regressione etica è denunciare con nome e cognome chi è il reale colpevole. Il vero e unico responsabile di questo “ritorno alle caverne” degli italiani è la classe di improvvisati e avidi uomini delle istituzioni repubblicane che hanno trovato nella “nuova politica” la ragion d’essere del proprio modo di fare denari e potere. Non ci sono altre ragioni. Si tratta di una gigantesca e immorale corsa al guadagno facile di uomini di tutti gli schieramenti, di sinistra, di centro e di destra che si è manifestata con la discesa in campo nella politica di Silvio Berlusconi in lotta con una sinistra becera e fallimentare uscita a colpi di indagini giudiziarie nei primi anni del 1990. In questi ultimi lustri si è formata in Italia una classe di uomini politici mediocre e amorale che con la complicità furbesca del duo più rappresentativo, individuato dalla coppia Berlusconi-D’Alema e dal codazzo di dirigenti politici dei partiti che li hanno sostenuti, ha portato il paese a una gigantesca trasformazione antropologica degli italiani permettendo di far crescere in loro gli appetiti e gli istinti più deplorevoli di cui sono stati capaci. Una classe politica, a tutti i livelli, piena di uomini inadeguati nelle capacità e improvvisati nei ruoli ha permesso a costoro di impedire una corretta navigazione della società nel mare delle crescenti esigenze di trasformazione imposte dalle regole dell'economia mondiale e dalla globalizzazione. Mentre gli altri paesi, a fatica, individuavano soluzioni ai problemi nuovi, noi italiani non siamo riusciti a risolvere nessun nodo legato alla modernizzazione del paese. Nulla è stato fatto. Non è stata gestita correttamente né l’immigrazione, né la crisi economico-finanziaria, né la crescita famelica della criminalità, né la ricerca e lo sviluppo scientifico e tecnologico del paese, né i problemi di bioetica, né l’abuso dei programmi spazzatura della televisione, né i problemi educativi della scuola, né la moralità della vita politica e pubblica dello Stato, né il resto. L’elenco è lungo. Tutti i problemi sono stati lasciati incancrenire e abbandonati al loro destino senza regolarli con politiche appropriate. Anzi, di più. Tutti i problemi sono stati considerati da costoro merce di scambio e scorrerie nel far west della politica degli interessi. Il centrodestra con la nuova rappresentanza del leghismo e del berlusconismo da una parte, il centrosinistra con la nuova rappresentanza delle scassate sinistre massimaliste nei governi locali nelle giunte regionali e con l’esperienza negativa del governo Prodi, il nuovo cattolicesimo con il neo-estremismo dogmatico del duo Bagnasco-Ratzinger, tutti hanno portato il paese all’infarto economico e sociale. Queste le ragioni della brutta piega che ha preso la società italiana in questi ultimi anni. Corollario di questo teorema ci sono le conseguenze di questo modo di intendere la politica. L’incapacità di regolare la società, la precarizzazione del lavoro e la deregulation nel campo della politica sociale ed economica hanno aumentato il divario tra ricchi e poveri, producendo nuovi emarginati e un vero e proprio disastro sociale. La reazione violenta dei più deboli, che sono le fasce più violente e mal-educate della società italiana, è lì a testimoniare questa catastrofe e i pessimi fatti che i giornali riportano in prima pagina sono la fotografia impietosa dello sfacelo della società italiana. Si assiste così a un neo-nazismo di ritorno che sta facendo tornare di attualità uno dei periodi più bui degli anni ‘30, e cioè la discriminazione, il razzismo, la xenofobia e la violenza contro il diverso di matrice fascista. Complimenti a Berlusconi, a D’Alema, a Bossi, alla galassia massimalista dell’estrema sinistra e ai novelli Savonarola Grillo e Di Pietro. Proprio bravi. Ma non nel senso di coraggiosi, ma nel senso manzoniano del termine.

domenica 1 febbraio 2009

Xenofobia e protezionismo nel Regno Unito: i professori sono diventati cattivi maestri?

Qualche anno fa se qualcuno avesse detto che nella avanzata e progredita società inglese si sarebbe fatto uno sciopero di protesta contro un gruppo di operai di una ditta italiana vincitrice di una commessa nel Regno di Sua Maestà Britannica non ci avremmo creduto. E invece questo fatto, increscioso e allarmante, si è verificato appena l’altro ieri, nel North Lincolnshire dell’isola britannica. Che dire? Gli operai inglesi che hanno fatto lo sciopero hanno tenuto a precisare che la manifestazione non è razzista. Intanto, però, hanno gridato slogan contro gli operai di un altro Stato membro dell’UE, mica contro i pirati che attualmente aggrediscono le navi vicino al Corno d’Africa. E poi, per rincarare la dose, hanno detto che gli operai italiani non sanno lavorare bene e commettono degli errori nel lavoro. Insomma, un piccolo capolavoro di ipocrisia e di difesa protezionistica del lavoro autoctono. Probabilmente volevano nascondere le vere ragioni discriminatorie con questa dichiarazione. “La ragione, dicono gli operai, è che i britannici vogliono salvaguardare il lavoro inglese, in terra inglese, per i lavoratori inglesi, come ha detto il Primo Ministro Gordon Brown. Il resto, dicono, non interessa”. Questa la notizia di oggi che commenteremo con le nostre opinioni. Crediamo che la querelle stia prendendo una brutta piega. C’è in Europa un vento sfavorevole alle conquiste del mercato unico europeo e molti paesi, in modo strumentale e ostile, stanno mettendo in atto politiche restrittive verso i partner europei che è, diciamolo a tutto tondo, contrario allo spirito dell’Unione. La questione poi sta diventando ancora più grave perché la Gran Bretagna, con la sua velleitaria politica economica espansionistica, è creatrice di falle enormi nella propria finanza a causa dell’immane indebitamento delle banche di Sua Maestà guidate per un decennio dall'allora Cancelliere dello Scacchiere che, guarda caso, è proprio l'attuale Primo Ministro inglese. La sua moneta, cioè la sterlina, che per anni ha sbeffeggiato l’euro dicendo che mai e poi mai aderirà alla moneta unica, sta precipitando a valori da “discesa libera alpina” e il confronto con l’euro è impietoso. Se non si corregge la rotta, le conseguenze saranno destabilizzanti non solo per l’economia inglese ma anche per le altre economie europee. Una prima personale valutazione riguarda il fatto che gli inglesi, a causa della crisi, stanno perdendo la testa. I lavoratori inglesi, invece di riconoscere alla società francese proprietaria degli stabilimenti di trasformazione del greggio la capacità di avere investito, magari con leggerezza e/o con entusiasmo, i propri denari creando occupazione indigena, si scagliano contro l’anello debole della catena che sono gli operai della ditta italiana che, sembra, riescono a fare lo stesso lavoro degli altri in modo più economico e adeguato. Che dire poi del fatto che in Germania, Spagna, Francia e in altri paesi europei ci sono decine di migliaia di lavoratori inglesi che svolgono lavori simili a quello dei lavoratori italiani discriminati in questa vicenda? Che facciamo, adesso, impediamo la libera circolazione della manodopera in Europa? E’ perfettamente inutile che si vada a fare uno sciopero contro trecento lavoratori italiani e portoghesi nella raffineria del Lincolshire di proprietà della Total quando la crisi investe tutto il mondo e non è dovuta agli italiani o ai portoghesi. Per non parlare poi delle furbate del Primo Ministro inglese che a Davos parla di “rischio protezionismo che deve essere combattuto a tutti i costi” e a Londra parla di “lavoro inglese per i lavoratori inglesi”! Il problema è che con queste mezzucci da quattro soldi di politica protezionistica non si va da nessuna parte, perché se si comincia così va a finire che anche gli altri faranno lo stesso e rischiamo di ritornare con le dogane alle frontiere tra S.Marino e la Regione Emilia-Romagna. E' questo quello che si vuole? Ciò che lascia perplessi è che il governo inglese, abusivo nella persona del suo Primo Ministro - perché votato capo del governo non si sa come e con quale procedura democratica quando sostituì il dimissionario Tony Blair - è incapace di intervenire con politiche di sviluppo. Sembra che l’economia inglese sia in una fase di implosione tale da non consentirle alcuna possibilità di adeguare richieste di nuove assunzioni contro licenziamenti. Al solito, in questi casi l’anello debole è l’Italia, soprattutto l’Italia dell'allegro e ottimista Silvio Berlusconi, invisa all’intero mondo perché immersa fino al collo di conflitti di interessi tra la sua azienda televisiva e le sue prerogative di Capo dell'secutivo. L’Italia ha una sola alternativa per continuare a galleggiare. La condizione è che il governo italiano intervenga con un progetto credibile di assunzione di responsabilità, come sta facendo il nuovo Presidente statunitense Obama nel campo delle energie alternative che ha varato un megapiano proprio in questo campo, per creare le consizioni della ripresa. Ma si sa che se Gordon Brown non ride, il Cavaliere Silvio Berlusconi, primo ministro di una italietta da ridere in cui le sue preoccupazioni principali sono Kakà e Beckam, non può fare altro che piangere. E siccome lui non sta mai al gioco, farà piangere al posto suo l’intero paese e i più deboli. E poi accuserà la stampa che non è stato capito. Peggio di così solo Pecoraro Scanio riuscì a fare col governo Prodi. Come dire: “dalla padella alla brace”.

Support independent publishing: buy this book on Lulu.