giovedì 31 luglio 2003

Il mio settimo viaggio nelle capitali dell'Unione Europea: Berlino.

Berlin (27 Luglio - 31 Luglio 2002)

Premessa.
Questo resoconto di viaggio viene scritto col proposito esplicito di lasciare traccia di un viaggio che mi ha letteralmente emozionato come in nessun'altra capitale dell'Unione Europea da me visitata. Troppe sono state le emozioni che ho provato per essere lasciate nel dimenticatoio dei ricordi. Mi voglio invece qui adoperare per richiamare i punti salienti della mia visita con il corollario di pensieri, idee, riflessioni, immaginazioni e, perché no, anche di fantasticherie che caratterizzano i miei viaggi all'estero.
Ho detto che mi sono emozionato, volendo intendere che durante la mia visita alla bella capitale tedesca mi sono commosso tanto che ho pianto, e ripetutamente, in alcuni luoghi rievocativi di fatti storici accaduti durante e dopo la seconda guerra mondiale. Non è facile scrivere un resoconto di viaggio che riguarda Berlino dopo la riunificazione. Si rischia la banalizzazione. E' innegabile che la stupefacente capitale tedesca è una città particolare che possiede un fascino tutto suo, unico, fedele a un cliché che la rappresenta come la città ex-capitale del nazismo prima e del comunismo dopo, ma in realtà essa è, e ha tutte le ragioni per esserlo, la "capitale del futuro" in Europa. E' necessario pertanto prendere atto che il mio diario di viaggio soffrirà non poco nel rievocare inevitabilmente i due tratti problematici e complessi della storia e della politica (nazismo e comunismo), in grado da soli di rendere inefficace qualunque ricostruzione.
Dalla Brandenburger Tor ad Alexanderplatz, dal Reichstag alla Unter den Linden (ovvero Sotto i tigli), etc. tutto sprigiona ricordi incancellabili di storia, società, politica, arte, musica, architettura, scienza e cultura. La Germania è la terra di Bach, di Goethe, di Shelling. E' il luogo dove vissero il monaco rivoluzionario Martin Lutero e il grande fisico tedesco Max Plank. È la città dove nacquero Ernst Lubitsch, Leni Riefenstahl, Marlene Dietrich ed Herbert Marcuse. In questa cornice, il mio bellissimo ed emozionante viaggio a Berlino, il settimo nell'UE, è stato per me uno dei viaggi più densi di emozioni e di ricordi incancellabili che io possa rievocare e dovuti alla sua straordinaria unicità. Un viaggio raro e prezioso, esclusivo, irripetibile, perchè questo viaggio, anche se dovessi rifarlo in futuro, perderebbe per sempre i connotati che lo hanno caratterizzato quando l'ho effettuato io, adesso, perchè la capitale tedesca è ancora in divenire e non già definitivamente assestata, come lo sarà probabilmente tra qualche decennio.
La Berlino che ho visto nel 2002, da appena tre anni di nuovo capitale della Germania riunificata, non è più quella prima del muro, ma non è neanche quella che sarà in futuro. So solo che essa è ancora una capitale in evoluzione, un cantiere, piena di gru e di impalcature di ricostruzione che lasciano ancora intravvedere alcune tracce della Berlino del tempo e non della Berlino che sarà. Quando tra qualche decennio penserò alla mia visita nella bella capitale della Germania riunita, sono sicuro che riproverò le medesime forti emozioni che ho provato durante la visita. Basterebbe solo ricordare la incredibile e straordinaria rivoluzione della riunificazione tedesca, cioè quel fatto epocale e unico che ha permesso alla Germania federale del tempo di riunire due paesi in uno solo, nel giro di poco tempo. Adesso, non esiste più nè la RFT, nè la RDT (o meglio la DDR) ma una e una sola Germania. Semplicemente straordinario. In un mondo che va al contrario, cioè che separa un solo paese come, per esempio, nel caso della ex-Cecoslovacchia, in due nuovi stati, la Repubblica Ceca e quella Slovacca, trovare un esempio di riunificazione tra due paesi ex nemici di per se ha un valore epico e liberatorio.
Nel piccolo museo dei ricordi in Friedrichstraße 43, a fianco al Checkpoint Charlie, per esempio, dopo aver visto seduto su una vecchia sedia di legno il documentario della "caduta del muro" in un vecchio televisore a tubo catodico ho pianto come non mi succedeva da anni. La mia capacità di immedesimazione nelle stanze spoglie del museo mi ha messo in condizioni psicologiche oserei dire drammatiche.La commozione mi prese in modo potente anche nel vedere nel piccolo museo, chiamato Mauermuseum Haus am Checkpoint Charlie, la piccola macchina utilitaria, chiamata Trabant, sezionata a dovere per evidenziare come avrebbe dovuto rannicchiarsi una persona per tentare di ingannare i gendarmi della RDT e passare dall'altra parte del muro. Tutte le pareti della vecchia casa adattata a museo, con pavimenti di legno del tempo, sono tappezzate di foto ricordo che rappresentano al tempo stesso sia una educativa ricostruzione storica del dramma vissuto dai berlinesi in quegli anni, sia anche una lucida ricostruzione museale dei fatti realmente accaduti a testimonianza che spesso la politica causa drammi umani inenarrabili. Alla stessa maniera la commozione mi prese quando ordinai uno strudel di mele e un cappuccino nel bar all'angolo, di fronte al museo che conserva ancora i tavoli e i tratti architettonici del periodo comunista. Sensazioni indescrivibili e difficilmente narrabili a chi non è uno scrittore o un giornalista che mi fecero comprendere come dovette essere terribile la vita dei cittadini contrari al nazismo a Berlino negli anni del Novecento, governati dal nazionalsocialismo prima e dal comunismo poi. La stessa sensazione provata quando J.F.Kennedy pronunciò il famoso "Ich bin ein Berliner".
Dunque, Berlino è la mia settima tappa nel tour delle quindici capitali dell'UE. Quando decisi di andare a Berlino avevo da poco preso coscienza delle difficoltà di realizzare il mio sogno di visitare tutte le capitali degli Stati dell'Unione Europea che allora non erano quindici come adesso ma alcune di meno. Avevo chiaramente in mente di visitare con un certo ordine tutte le capitali ma ancora non avevo deciso bene quando andare a Berlino. In verità la visita alla bella città tedesca, oggi "del divenire" e del futuro, era stata da me accuratamente posta a quel tempo negli ultimi viaggi del tour perchè avevo timore della lingua. La sola idea di trovarmi nella città del Reichstag alle prese con la difficilissima lingua di Johann Wolfgang von Goethe mi terrorizzava. Come avrei mai potuto comprendere anche le più banali frasi di saluto, con quelle parole lunghissime di cui non riuscivo a memorizzare nemmeno la prima metà delle lettere contenute nelle parole? Tutti quei grafemi dalla pronuncia difficile, con dieresi e simboli greci (come la beta) messi insieme l'uno dopo l'altro, con una intonazione per me di difficile articolazione labiale mi incutevano paura e rassegnazione. Ero sicuro che non ce l'avrei mai fatta a comprendere per sopravvivere. "Meglio rimanere attualmente al sicuro", mi dissi, visitando i più comprensibili e accessibili paesi mediterranei o, meglio, visitare le conosciutissime isole britanniche dalla lingua shakespeariana più nota e facile da dominare. Con questi pensieri traboccanti di incertezze e di preoccupazioni mi misi a leggere il manuale di viaggio del Touring Club Italiano su Berlino capitale (qui presente alla fine della pagina nella bibliografia) a conferma della mia decisione. Sarà stato l'approccio semplice e familiare della guida alla descrizione dei luoghi più interessanti da visitare, saranno state le bellissime foto dei tesori architettonici, urbanistici e artistici della bella capitale del fiume Spree, saranno stati i sogni e le fantasticherie di poter vedere direttamente la Alexanderplatz, il Reichstag e la Brandenburger Tor, fatto sta che cominciai a vedere la città sotto una luce diversa e, soprattutto, con fiducia e sicurezza abbracciarla come un'amica conosciuta. Alla fine di una lettura ripetuta e impegnativa della guida di viaggio si può dire che avevo "in pugno" la città. Conoscevo la topografia a menadito, la partizione tra una Berlino dell'ovest e una dell'est, le principali strade, i collegamenti con l'aeroporto, la metropolitana, i percorsi più noti dei bus cittadini e tutto quello che era necessario per essere abbastanza autonomo da non dipendere da nulla e da nessuno. Non è poco. L'autonomia in una città straniera della quale non si comprende la lingua è un "valore" fondante per il viaggiatore forestiero, in grado di conservare durante la visita tranquillità, equilibrio e fiducia in se stesso. Così presi la decisione di partire non appena si sarebbe presentata l'occasione. Quando? Pensai che dopo la doppia tappa iberico-lusitana, programmata in successione una dopo l'altra in tempi diversi, avrebbe potuto essere il momento giusto. Ma a darmi il "la" per una partenza anticipata fu la visita a Vienna. Wien è stata un sogno. Una città bellissima. E nella città del Danubio si parlava tedesco! Dunque, a Berlino si poteva andare, si doveva andare. E così, alla fine di luglio del 2002, ad appena sette mesi dall'entrata dell'euro come nuova unità monetaria continentale partii per una delle più affascinanti e appassionanti visite che io ricordi. Questo diario di viaggio vuole essere una piccola e timida ricostruzione di quei bellissimi e struggenti momenti di scoperta e di conoscenza.
Primo giorno.
Il mio settimo viaggio nell'UE inizia come al solito con la partenza dall'aeroporto di Roma Fiumicino, E' la mattina di sabato 27 luglio 2002. Non vi nascondo le forti emozioni che hanno preceduto l'orario di partenza da Roma. Sono turbato come non mai, e la mattina viaggio da casa verso l'aeroporto con i nervi tesi e i muscoli tirati per l'emozione. Si, sono emozionato come uno scolaretto che va a fare la sua prima gita fuori porta. Naturalmente i ricordi non possono dare la vera misura delle sensazioni che ho provato in realtà quel giorno. In ogni caso all'aeroporto arrivo molto in anticipo. Alle ore 7.00 in punto, sono alla stazione ferroviaria di Fiumicino Aeroporto. Sono in anticipo. Scendo dal treno e imbocco il tunnel per andare al Terminal B dell'aerostazione dove ci sono i voli internazionali.Mi aspetta un aereo della compagnia italiana Volare Airlines con partenza alle ore 9.00 per Berlino (TXL) Tegel. Il volo di ritorno è dallo stesso aeroporto di Berlino (TXL) Tegel per Roma Fiumicino (FCO) il 31 luglio 2002, nel pomeriggio alle ore 17.40 con arrivo a Roma Fiumicino alle ore 19.55. Rapide formalità al check-in e alle 9.00 l'aereo si libera in volo con me seduto vicino al finestrino. Non ho foto personali da mostrare in questo viaggio, ma nella mia mente è così ben impresso che non lo dimenticherò mai. Il viaggio è piacevole perchè sull'aereo ci sono dei monitor che trasmettono un programma televisivo di scherzi effettuati in diverse città d'Europa. A intervalli di tempo costanti compaiono anche, sullo stesso monitor, alcune caratteristiche tecniche del volo, con note scientifiche relative alla velocità dell'aereo (800 km/h), alla sua altezza (10000m) e alla temperatura esterna dell'aria (-48°C). Atterro a Berlino Tegel alle 12.40 in perfetto orario. Pochi minuti di attesa per il bagaglio e sono pronto a tuffarmi nell'avventura tedesca della visita alla bella capitale della Germania riunificata. Ho studiato molto bene la guida del Turing Club Italiano e so che all'uscita dell'aerostazione Berlin Tegel fa capolinea l'autobus 128 dell'azienda trasporti di Berlino BVG, che fa il percorso Alt Tegel-Alt Mariendorf, collegando con frequenti corse Flughafen Tegel con il centro di Berlino, in particolare con Alexanderplatz per poi proseguire oltre. Sarà facile pertanto scendere a una delle comodissime fermate situate in fondo alla Unter den Linden. In aeroporto acquisto la "welcome card" valida per tre giorni al prezzo di 18 euro. La card mi offre la possibilità di utilizzare tutti i mezzi di trasporto e non solo. Prendo il bus 128 quasi subito. Esco sul piazzale dell'aerostazione salgo sul bus e successivamente attraverso alcune superstrade (se non ricordo male la Mullerstrasse e la Chaussee Strasse), e mi inoltro verso il centro città. Osservo con attenzione il paesaggio, i colori, lo stato delle strade asfaltate, i muri dei palazzi, la segnaletica, i prati verdi e il traffico che scorre ordinatamente nelle superstrade. Tutto pulito e in ordine. Tutto molto tedesco. La struttura occidentale dell'architettura dei palazzi conferma che mi trovo in un mondo che conosco bene, occidentale appunto, europeo, come quello che si può incontrare in una qualsiasi città dell'Europa dell'ovest. Ho il tempo di provare stupore nel vedere a qualche chilometro dall'aeroporto, sulla Tempelhofer Damm, che è la strada per Berlino centro, il logo di un'azienda casearia italiana (Francia Mozzarella GmbH) che produce mozzarelle nel Lazio e di chiedermi come mai questa azienda casearia dell'Agro Pontino fosse qui nel cuore della Germania, che quasi subito mi trovo vicino alla fermata di Aleksanderplatz.Da lontano avevo osservato, con piacere rassicurante, la sagoma del gigantesco Forum Hotel, con la linea snella ed elegante della torre Tv ad esso vicina. Scendo dall'autobus e con emozione supero a piedi con la mia valigia alcuni palazzi e un sottovia, presentandomi all'entrata del maestoso edificio.L’hotel nel quale alloggerò per cinque giorni si chiama proprio Hotel Forum, per la precisione Forum Hotel Berlin. E' un enorme albergo. In pratica un immenso vespaio di stanze, che ha più di mille camere situate in un grattacielo di 37 piani e, alla sommità, una terrazza al 40° piano. Si trova vicino alla Torre della televisione, il centro di Berlino di una volta, ed è localizzato nel cuore di Berlino Est. Per l'esattezza si trova in Alexanderplatz, 7 a poche decine di metri dalla piazza omonima. Ho subito pensato che non mi sarei mai aspettato di avere la fortuna di alloggiare in un albergo situato nella piazza più famosa della capitale tedesca. "Alexanderplatz" è anche il titolo di un famoso film del regista tedesco Rainer Werner Fassbinder, mentre con lo stesso nome lo scrittore Alfred Döblin ha pubblicato il romanzo molti anni prima. Più famosa di così questa piazza non poteva essere. Ma io ho premura di visitare le attrazioni storiche, in particolare la Unter den Linden; per cui non mi attardo molto a visitare la hall dell'hotel che è immensa come mostra la foto più in basso.Lo farò più tardi. Adesso non vedo l'ora di arrivare in camera per darmi una "rinfrescatina" e immediatamente dopo uscire a passeggiare nella desiderata "via dei tigli". Alla Reception l'impiegato si ricorda di me a causa di una lettera che avevo inviato qualche settimana prima alla Reception, nella quale chiedevo un trattamento particolare. Ecco il testo della missiva:
Sehr geehrte Herren,
Ich heiße Vincenzo Calabrò und unterrichte Physik in einem neusprachlichen Gymnasium in Rom. Neulich habe ich bei Ihrem ausgezeichneten Hotel ein Einzelzimmer für 5 Tage gebucht (von 27 bis inklusive 31 Juli 2002).Ich werde mit einem Flug von Rom am Berliner Flughafen "Tegel" um 12.40 Uhr ankommen. Ich hoffe ins Hotel um 3.00 Uhr nachmittags zu sein. Ich bitte Sie ein sehr steifes Bett im Zimmer zu legen, weil ich an Rückenschmerzen leide.
Im Falle, daß Sie dieses steifes Bett nicht hätten, können Sie ein Brett unter die Matraze stellen? Ich sage Ihnen meinen Dank im voraus.
Viele Grüße
.
Capisco che pubblicare note personali di questo genere possa far sorridere. Sarà. Penso comunque che queste note facciano interamente parte del viaggio, sebbene possano apparire sciocche e superficiali. E visto che non sono abituato a pubblicare bugie o alterazioni della verità è una mia scelta farle conoscere a chi mi legge. Coincidenza vuole che il protagonista del film "Alexanderplatz", seduto in un bar davanti a tre bicchieri di birra si pone la stessa domanda circa il proposito se bere alcuni bicchieri di birra sia fare "pensieri sciocchi e superflui". Dopo un po' si dà la risposta, affermando che "molti pensieri" in realtà sono superflui. Dunque, ciò che può apparire non necessario o inutile alla fine può essere ciò che la vita richiede che si faccia in quel momento. Alla Reception sono gentili e mi hanno messo a disposizione una camera al 27° piano, dalla quale ho potuto godere un ampio e bellissimo panorama, orientato verso la parte est della città alla quale io ero molto interessato. Avrei dedicato una giornata di visita a piedi nella parte est, e pertanto ero piacevolmente incuriosito a osservare il via via di gente nelle strade della parte orientale della vecchia Berlino. In particolare la finestra della mia camera dava sulla larghissima e famosa Karl Marx Allee, il viale principale della ex-Berlino Est, a quell'ora pieno di macchine. Sulla stessa via si trova la Moskva Haus che intendo visitare. La camera è una stanza abbastanza luminosa, non molto grande con una vista splendida sulla città, ottenuta da una finestra chiusa con il vetro antiproiettile per motivi di sicurezza. Ricordo che l'Hotel Forum è l'albergo in cui ai tempi della DDR di Walter Ulbright prima e di Erich Honecker dopo avrebbero alloggiavato i membri del Politburo sovietico e degli altri paesi del "Patto di Varsavia" quando fossero venuti a Berlino per i loro summit politici. Stiamo parlando di uomini politici e di partito i cui nomi sono famosi e conosciuti a chi negli anni '60, '70 e '80 ha seguito l'andamento della politica internazionale del blocco dell'est. Si tratta di Krusciov, Brežnev, Suslov, Andropov, Cernenko, Gomułka, Dubcek, Ceausescu, Živkov, ecc... Le porte delle camere, compresa la mia, sono tutte blindate e non è possibile entrare se non si ha la chiave. E' noto che ciò corrisponde alla verità a causa del fatto che i membri sovietici del PCUS non si fidavano del personale dell'hotel e pretendevano camere con porte blindate. Che tempi. Ed adesso io occupavo una di quelle camere. Da non crederci.
Mi rinfresco in bagno, e dopo pochi minuti sono in strada ad assaporare il piacere della località turistica che presenta valori diversi delle coordinate geografiche. Qui siamo infatti a 52°31′07″ di latitudine nord e a 13°24′30″ di longitudine est. Mica male come posizione centroeuropea. Roma ha invece 41° 53′ 35″ nord e 12° 29′ 00″ est. Il che vuol dire che Berlino è rispetto a Roma a 11° circa di latitudine più in alto verso il polo nord e ad appena 1° di longitudine est maggiore di quella della città eterna. In pratica le due capitali sono quasi sullo stesso meridiano ma si trovano sfalsate su paralleli differenti di ampiezza 11°. Esco e mi dirigo con passo risoluto verso l'inizio della Unter den Linden, il prestigioso viale alberato di tigli più famoso al mondo. Sulla sinistra, dopo una Galerie anonima di cui non ricordo il nome e il sottopasso della ferrovia, vedo l'altissima Fernsehturm (Torre della televisione) un vero spettacolo della statica delle costruzioni avveniristiche che, insieme alla sagoma dell'Hotel Forum, rappresentano per me un riferimento sicuro per orientarmi in questi primi momenti di assoluta iniziazione alla topologia delle strade e ai palazzi berlinesi. Sono nella lunga Karl Liebknech Straße e percorro la bella via sul marciapiede sinistro dove si trova la Marienchirke. A pochi passi, sulla destra, c'è la spettacolare Cathedrale barocca luterana di Berlino. Continuando a camminare vedo prima sulla sinistra il Municipio in mattoni rossi (Rotes Rathaus) con la sua sagoma inconfondibile e subito dopo, in curva, l'inizio della Unter den Linden con il Deutches Historisches Museum. L'intera Unter den Linden a questo punto era a mia completa disposizione per osservarla e "calpestarla" a mio piacimento con interesse e curiosità. Pensate che l'entusiasmo mi ha fatto arrivare a piedi fino alla Porta di Brandeburgo. In ordine ho visto il museo Neue Wache nel quale era in mostra al centro della sala la statua raffigurante la donna vittima della violenza nazista. Dentro la sala c'è una statua illuminata dall’alto da una specie di grande apertura circolare. La scultura rotondeggiante mi ricorda la scultura Maternità di Fernando Botero. Commovente. Subito dopo lo storico edificio della Humboldt Universität con le sue bellissime statue classiche e il suo mercatino dei libri usati all'ingresso. Mi fermo per osservare alcuni titoli di libri posti sulla bancarella e noto che il titolare era un signore, di nazionalità russa, che vendeva libri usati in lingua tedesca. Guardo con interesse un libretto che è il Manifesto del partito comunista di Karl Marx e Friedrick Hengels. Lo compro perchè lo voglio regalare. Il venditore era curioso di sapere di quale nazionalità fossi. Mi guardava con interesse cercando nella sua mente di indovinare da quale nazione potessi provenire, ma non ha avuto il coraggio di chiedermelo, forse per via della sua discrezione o della difficoltà di parlare una lingua diversa dal tedesco e dal russo. Quando gli ho dato la moneta di 1 € con l'effige sul retro dell'Uomo nuovo di Leonardo ha capito immediatamente che ero italiano e mi ha subito sorriso, tutto soddisfatto e compiaciuto. Chissà se ha indovinato. Molto probabilmente mi ha scambiato o per uno spagnolo o per un francese. Di solito sono queste le nazionalità che mi affibbiano all'estero quando gli interlocutori non hanno appigli a cui aggrapparsi. A proposito di euro ricordo che la nostra moneta è entrata in vigore nei paesi dell'eurozona all'inizio dello stesso anno e ancora la gente non è completamente abituata.
Sull'altro lato della Unter den Linden vedo un palazzo da poco oggetto di manutenzione accurata che spicca nel mezzo del degrado delle facciate degli altri palazzi limitrofi. E' l'Ambasciata russa dell'ex URSS, con tutte le pareti esterne e le finestre rimesse a nuovo in modo attento e spettacolare. Il cancello, dipinto in nero con i bordi in ottone dorato, mi ricorda quello di Buckingham Palace a Londra. Mentre osservo questa imponente facciata mi incrociano un gruppo di russi che parlano animatamente. Sono in cinque dall'età media di circa cinquant'anni. Da alcune espressioni linguistiche adoperate e, soprattutto, da una certa intonazione, oltreché da una serie di gesti e di segni assunti dai loro volti, mi convinco che stanno inveendo contro i politici e il potere della nuova Russia, i quali hanno trasformato i cittadini russi che vivevano a Berlino Est, direttamente e incredibilmente, da padroni a poveracci. Credo di essere vicino alla verità se faccio questa affermazione. Il loro mi è sembrato un vero e proprio grido di dolore per la velocità del cambiamento in pejus subito nel loro status di russi-berlinesi dalla caduta del muro in poi. "Dalle stelle alle stalle" dice un vecchio adagio contadino e probabilmente è stato così.
Alle 18.00, stanco e con una notevole dose di acido lattico nelle gambe, mi siedo in un bar a bere una kleines Bier vom Faß helles. Il cameriere, nonostante il mio disarmante e incerto tedesco mi comprende e mi sorride. Ma non tutte le ciambelle riescono col buco perchè a pochi passi dal bar vedo la Porta di Brandeburgo in condizioni da procurarmi un infarto. Purtroppo tutte le colonne sono recintate e coperte da teli per la ristrutturazione. In pratica, si vedono solo i cavalli che emergono da una antipatica recinzione. Che delusione! Non poter vedere nella sua intera bellezza uno dei colonnati più famosi al mondo mi produce tristezza per l'enorme sfortuna di essere incappato nel momento sbagliato. Faccio buon viso a cattiva sorte e mi sposto a una fermata dell'autobus. A quell'ora non posso più continuare a girare per Berlino senza riguardo per la mia salute. Sono stanco e ho un po' di fame. Le mie membra reclamavano il giusto riposo. E' giusto concludere la giornata in albergo. Decido pertanto di rientrare in hotel con l'autobus. L'attesa è breve perchè dopo pochi minuti la sagoma di un mezzo pubblico si materializza. Salgo con l'intento, nelle poche fermate, di continuare l'osservazione interessata del viale e dei palazzi affacciati sulla Unter den Linden. Scendo alla fermata di Alexanderplatz davanti al palazzo vicino all'albergo. Sono le 19.30 ed entro lì vicino in un Internet cafè gestito da turchi. Si chiama Media Point am Alexanderplatz e si trova in Panoramastraße,1. Il prezzo del collegamento è decisamente da strozzini: mezz'ora uguale 2 €. Ci si mettono anche i turchi adesso a far lievitare il prezzo della mia breve vacanza. Faccio buon viso, entro e mi collego in rete. Per l'intera mezz'ora combatto con una strana e difficile tastiera che ha i caratteri giusti in posti diversi e i caratteri sbagliati ovunque. Il risultato è una quantità enorme di errori ortografici e di tempo perduto.All'uscita mi dirigo direttamente in hotel dove c'è un ristorante interno. Il ristorante è grande: vedo una sala enorme con un numero di tavoli impossibili da contare. Non c'è molta gente ma i pochi che cenano sono volutamente rumorosi. In effetti c'è la sezione self service nella quale io scelgo una piacevole e gustosa zuppa di vegetali con formaggio, delle patate al forno con della carne, che mi sembra essere una specie di spezzatino di vitello con sugo. Ho fame e la presenza nel menù di una minestra mi rassicura sulla possibilità di digerire il tutto senza troppi problemi. Mi è successo altre volte di avere mangiato per cena delle gustose e appetitose pietanze che ho poi pagato caro la notte. Il risultato? Forti dolori di stomaco e veglia notturna. Io questa notte voglio invece dormire, e bene, anche perchè la stanchezza accumulata durante la giornata e la entusiasmante novità della mia presenza nel cuore della Germania reclamano la giusta ricompensa di una notte da trascorrere riposando senza incubi digestivi.
Secondo giorno. Oggi è domenica e a Berlino c'è calma. Meno auto di ieri in strada e negozi chiusi. Ma è mattina e io ho voglia di vedere e toccare con mano le "cose berlinesi". Lo dico a tutto tondo: sono affamato di berlinesità. Esco dall'hotel e faccio una visitina nella piazzetta sotto la Torre della televisione, alta 368m! C'è sentore di domenica di paese. Alcune famiglie e molti giovani sono in strada, come nei paesini di montagna nei giorni festivi, e passeggiano vicino a un mercatino di cose economiche. In un angolo vedo un tavolinetto con alcune persone. Mi avvicino e vedo un signore che fa il gioco delle "tre carte". Dalla lingua deduco che è russo. Vedo con chiarezza i due compari che intervengono al momento giusto vincendo alcune puntate come "specchietti per le allodole", anzi per i polli di turno. Tutto il mondo è paese. Abbandono la postazione sicuro che questa mattina qualche gonzo ci lascerà le penne. Mi incammino di nuovo lungo la Karl-Liebknech Straße e raggiungo l'inizio della Unter den Linden. Di fronte all'Università Humboldt e dietro la Staatopera c'è Bebelplatz, il largo spiazzo nel quale avvenne il rogo dei libri nel maggio del 1933. Nel centro della piazza c'è una targa commemorativa sul pavimento che ricorda il traumatico evento. La raggiungo e mi metto con i piedi vicino ad essa e osservo la piazza. Mi immagino come è stata la scena del rogo dei libri. L'ho vista in televisione ricostruita con una scenografia che incute paura. Che scena tremenda. All'angolo della Französische Strafße, si trova la Katholische Kirche ovvero la Cattedrale cattolica St. Hedwigs (Santa Edvige). Essendo domenica noto che sta per iniziare la messa. Decido di ascoltarla e mi siedo. L'officiante deve essere il Cardinale di Berlino perchè ha in testa il galero, ovvero il cappello ecclesiastico di colore rosso. L'architettura della Cattedrale è bella, solenne e piacevole da vedere. L'interno avrebbe bisogno di una adeguata ristrutturazione. I fedeli sono in numero adeguato, non pochi ma neanche molti. La celebrazione è molto formale e severa sia nella voce del Cardinale, sia nei toni musicali prodotti dall'organista. I fedeli partecipano con molta attenzione e concentrazione. L'organo, in cima alla volta, suona una musica imponente, che fa vibrare le menti e i cuori dei presenti. Non capisco le cose dette dal celebrante perchè parla in tedesco. Se non conoscessi la liturgia commetterei sicuramente delle gaffes nei tempi della ritualità e della gestualità della messa.
Il tempo vola e tra un pensiero relativo a ciò che provavo in quei momenti di solennità nella chiesa del mio paesello natio quand'ero un ragazzino e altro giungiamo al termine della liturgia. Noto però un fatto insolito. I fedeli non escono tutti dalla chiesa come si fa normalmente al termine di una celebrazione. Rimangono quasi tutti seduti al loro posto. Non capisco perchè. In effetti dopo pochi minuti, in alto, vicino al maestoso organo, c'è un signore anziano con i capelli bianchi, che deve essere l'organista, che inizia di nuovo a suonare. Tutti ascoltano in religioso silenzio e alla fine, dopo circa un quarto d'ora, battimani per l'organista che con diversi inchini ringrazia. Non ho alcun dubbio a dichiarare la mia stima per questo paese, ricco di storia e di contraddizioni. Di un fatto sono certo: che Italia e Germania hanno qualcosa in comune. Come italiano non posso non ammirare la cultura tedesca. Abbiamo troppe cose in comune e siamo troppo distanti in altre. Come si possono dimenticare i legami esistenti tra i nostri due mondi paralleli quando esistono alcuni tratti e fatti storici comuni di identità? Penso all'umiliazione di Canossa di Enrico IV, allo "stupor mundi" di Federico II a Palermo, a Carlo V che inviò in Italia un terribile esercito di Lanzichenecchi e al capestro d'oro appeso alla sella di Frundsberg per impiccare il papa Giulio dei Medici, all'immagine straordinaria di Goethe adagiato, con un gran cappello, nella campagna romana, e tanto altro ancora.
E' l'ora di pranzo. Non ho fame. Prima di decidere cosa fare mi succede una singolare coincidenza proprio nella Unter den Linden. A un incrocio, mentre aspetto il verde di un semaforo, davanti a me sull'altro lato della strada riconosco la sagoma di una mia collega di lavoro, insegnante di IRC, con al suo fianco un bel giovane, mano nella mano. Incredulo la guardo negli occhi per essere sicuro che fosse lei. Mi riconosce. Rimane di ghiaccio, stupita più di me, probabilmente per il fatto che non voleva essere riconosciuta. Non credeva ai suoi occhi, quando la saluto. "Il mondo è piccolo", le dico. Visto il suo disagio, con una scusa la saluto quasi subito mentre il suo compagno si era allontanato sull'altro lato della strada.
C'è caldo e così decido di farmi una passeggiata nella vicina Unter den Linden per cercare qualche bar nel quale rinfrescarmi con un buon bicchiere di birra locale fresca e qualche fetta di torta e un po' di frutta. Il mio desiderio è appagato totalmente perchè trovo, al numero 69, l'ottimo Cafè Lebensart che mi permette di sedermi sotto un ombrellone sul marciapiedi a un tavolo con quattro sedie. Non ci sono molti tavoli e il mio è l'ultimo che era libero. Mi siedo e ordino una Berliner Pils, un Bavern apfel, ovvero una fetta di torta alle mele, e una Fruchtsalat/Erdbeermark cioè, una macedonia di frutta, al costo di 9,45 euro. Sotto un ombrellone per ripararmi dal caldo e con un bicchiere di birra fresca osservo il via vai della gente che cammina quando arrivano due signori e una signora che cercano un tavolo libero vicino al mio. Li guardo distrattamente e capisco il loro imbarazzo. Senza alcun preavviso uno dei due mi chiede in tedesco qualcosa che non capisco. E' un signore sui settanta anni, piuttosto basso, capelli bianchi, con una camicia a fiori stile anni '60. Ha il viso di una brava persona. Sebbene in difficoltà cambia lingua e in uno stentato inglese mi chiede se sono disponibile a far sedere loro tre al mio tavolo. Acconsento, facendoli felici. Si siedono e parlano un po' in tedesco. La loro conversazione è quasi tutta monopolizzata dai due uomini. La donna non è per niente loquace e interviene raramente. Dopo alcuni minuti il mio interlocutore si rivolge a me e mi chiede se sono francese. Rispondo di no. Inglese? No. Spagnolo? La risposta è ancora no. Stupito per la mia serie di risposte negative alla fine mi chiede di dove io sia. Rispondo in tedesco "alla J.F.Kennedy" dicendo che sono italiano e, aggiungo, abito a Roma. Alla parola Roma mi copre di complimenti, e mi fa presente che lui è di Berlino est e che ha sempre considerato gli italiani persone simpatiche che stima molto perché ha avuto modo di conoscere molti miei connazionali emiliani. Rispondo che anche per me è la stessa cosa, che mi trovo a Berlino per motivi turistici e che sono semplicemente rapito dalle bellezze della città. Credo che a momenti stesse per commuoversi, tanto era felice per avere avuto, a suo parere, la fortuna di incontrami. Mi ricorda che sono stato gentile ad accordare loro il permesso di sedersi al mio tavolo e che l'altro uomo era suo fratello e la donna sua cognata, di nazionalità greca dove vive con suo fratello ad Atene. Dopo un po' mi salutano calorosamente e vanno via. Che piacevole incontro. Un bel momento di coinvolgimento emotivo che mi ha messo di buon umore. "E' inutile" mi dico, "la brava gente non ha bisogno di alcun passaporto speciale. Si trova ovunque, a tutte le latitudini e longitudini; come anche quella cattiva". In questi casi tra buoni e cattivi la statistica non sbaglia quasi mai. Bene. Penso che la giornata sia ideale per effettuare adesso una visita allo Zoologischer Garten, cioè allo zoo di Berlino.
Lo scopo è di vedere un po' Tiergarten con il relativo Viale del 17 giugno, in tedesco Straße des 17 Junie, e la bellissima Colonna della Vittoria nel mezzo del rondò di Tiergarten, costruita dopo pochi anni dell'inizio dell'Unità d'Italia nel 1861. Voglio lasciare nella mia mente un buon ricordo di questa parte della visita alla bella capitale tedesca. A parte il fatto che lo zoo di Berlino mi ricorda il triste e noto film Christiane F. Noi i ragazzi dello zoo di Berlino che è stato per me un vero e proprio turbamento, mi voglio fermare l'intero pomeriggio nel cosiddetto polmone verde della capitale tedesca perchè l'ho sempre associato ai grandi raduni di popolo per grandi eventi pacifici di politica e di musica. Mi reco alla bellissima porta di entrata nella Budapester Straße con il magnifico arco e statue di elefanti e leoni che la circondano. Ho in mente un itinerario precostituito. Eccolo. Si tratta dello Schloss Bellevue, poi del Kongresshalle (Haus der Kulthuren der Welt),del Sovjetisches Ehrenmal,della Platz der Republik e, dulcis in fundo, del famosissimo Parlamento tedesco chiamato Reichstag. Ho qualche difficoltà a trovare il monumento ai caduti sovietici durante la seconda guerra mondiale, perchè il viale che porta a questo monumento e la zona vicina sono solitari e poco invitanti. Non si vede nessuno nelle vicinanze e più mi inoltro nel verde del parco allontanandomi dalla zona affollata più cresce in me l'ansia di essere solo in mezzo a possibili pericoli che avrebbero potuto verificarsi in quei luoghi solitari e poco raccomandabili da un momento all'altro. Non è piacevole da viaggiatore solitario come me incontrare cani randagi o, peggio, soggetti violenti dalle brutte intenzioni. Per cui in situazioni analoghe cerco sempre di mantenermi calmo ma nello stesso tempo di velocizzare al massimo la visita. Rimango in totale silenzio nell'osservare il monumento. Non c'è nessuno nelle vicinanze e l'intero blocco monumentale è in pratica senza controlli. Guardo la statua montata su un piedistallo che denota scarsa attenzione sul piano della conservazione. La base è sporca di vernice rossa e vi sono dei graffiti scoloriti sulla facciata principale. Mi sarebbe piaciuto avere vicino a me una guida in grado di darmi tutte le informazioni possibili su questa opera che, immagino, sia stata costruita con grande impegno di spesa dalle autorità del luogo. Fa tristezza osservare simboli storici e politici che vengono dimenticati lasciandoli all'incuria del tempo.
E' quasi sera quando mi avvicino al portale occidentale del palazzo del Reichstag. Avevo programmato questa visita per il giorno dopo, ma visto che mi trovo a due passi ne approfitto per visitarlo adesso. Nonostante l'ora insolita (sono le 20.00 di una magnifica serata) sono fortunato perchè è ancora possibile visitare l'edificio. Su un cartello posto alla base della scalinata d'entrata c'è scritto che gli orari di visita sono ogni giorno dalle ore 8.00 alle 24.00 (entrata fino alle ore 22.00). Capito? Si può entrare tutti i giorni, ripeto tutti i giorni, dalle otto della mattina fino a mezzanotte! Vi sembra lo stesso al Parlamento italiano? No comment. Trovo una fila ordinata di circa un centinaio di persone davanti a me, che si snoda dal prato verso la cima della scalinata, fino all'ultimo gradino della terza e ultima rampa. Guardo in alto e vedo scritto sull'architrave frontale dem deutschen volke, cioè "Al popolo tedesco". Bella frase. Sono percorso da un piacevole brivido di felicità pensando a come sia facile qui in Germania visitare il Parlamento mentre a Roma è così maledettamente difficile. Si prova una sensazione mista di orgoglio ad essere europei e di invidia umana ad essere italiani. Constatare come obiettivi simili siano facili da raggiungere all'estero e quasi impossibili in Italia è una delle cose che mi irrita di più del nostro paese. La folla che mi precede è variopinta. Sono quasi tutti turisti. Sono belli, eleganti, di tutte le età e tutti disciplinatissimi nella coda. Provo una bella sensazione di appartenenza a questa specie umana così ben darwinianamente sviluppata.Devo superare un doppio sbarramento, l'ultimo dei quali è un autentico check-in molto rigoroso, come in aeroporto. Vengo caricato da una gentile hostess, con un'altra ventina di visitatori, in un super-ascensore con in mano il depliant del Presidente del Parlamento che ci fa salire al piano superiore da dove si vede l'interno della sala del Parlamento. La grande cupola del Reichstag è di vetro trasparente e produce un effetto spaziale. Sembra di essere su una modernissima astronave, come la Enterprise del famoso Capitano Kirk. Sono emozionato. Sento il cuore battermi forte. Vedere e toccare con mano da vicino un simbolo della politica internazionale e un luogo dalle mille implicazioni storiche e politiche famose mi mette addosso una specie di entusiasmo che mi è difficile controllare. Guardo la fila ma non ho il tempo di osservare le persone perchè la visita è contingentata. Dovremmo sbrigarci per permettere al turno successivo di salire su ma l'ansia di vedere più cose mi trattiene. In un angolo scorgo una scala che porta in terrazzo e la salgo rapidamente insieme ad altri visitatori. Vengo immesso nel terrazzo del Reichstag da dove si vede un bellissimo panorama, soprattutto a quell'ora serale. Il sole sta tramontando e il mio orologio segna le 21. Qui fa buio più tardi che a Roma per via della maggiore latitudine. Faccio un rapido giro del terrazzo guardando con interesse a nord il Grattacielo della Charithé e, lateralmente verso ovest, una delle quattro Torri del palazzo del Reichstag, la Cancelleria, il cantiere della Platz der Republik davanti al palazzo del Reichstag, lo Schloss Bellevue sede ufficiale del Presidente della Repubblica (il nostro Quirinale), la già vista Siegessäule (colonna della vittoria) e il monumento sovietico ai caduti. Mi sposto sul lato sud. Qui le cose da vedere sono in numero maggiore. Da sud verso est si vedono, lo stretto grattacielo della Torre di Debis del nostro Renzo Piano, una mongolfiera ancorata su Postdamer Platz, l'area del monumento agli ebrei sterminati in tutta Europa, la Brandenburger Tor, il famoso Hotel Adlon, il grattacielo Alex Springer, la cupola del Deutscher Dom e alla sua sinistra, come a Piazza del Popolo a Roma la cupola gemella del Französischer Dom, la già visitata Cattedrale di S. Edvige dove ho ascoltato la messa, la Torre televisiva alta 368 m, la Cupola del Berliner Dom nel Lustgarten, il mio albergo Hotel Forum e per concludere lungo il fiume Spree la rimodernata stazione della Friedrichstraße. Ho dovuto più volte confrontare il pieghevole che ho preso alla reception per essere sicuro di non sbagliare. Il fatto è che Berlino oggi nel 2002 è un gigantesco cantiere aperto su tutta la città. L'idea che mi faccio è di una città in divenire che a regime sarà una delle più belle città d'Europa con il massimo delle possibilità di vita per i suoi abitanti. Mi sarebbe piaciuto, in una seconda vita, abitarci e viverci a condizione però di conoscere bene la lingua tedesca. Purtroppo non c'è una seconda vita e, fatto più improbabile, non credo di essere grado di imparare bene la lingua del grande Goethe perchè non mi riconosco le capacità necessarie in grado apprenderla. Se dovessi suggerire a qualcuno una città dove trovare le migliori condizioni per avere successo nel mondo del lavoro e una bella vita con i propri figli, direi senz'altro Berlino. Questa città ha delle potenzialità enormi: i futuri tedeschi potranno essere orgogliosi di esserci nati. Mi viene improvvisamente sete (e fame) e girando lo sguardo noto che c'è l'indicazione di un bar ristorante. Stupito dal cartello in quel luogo entro attraverso una porta e mi trovo nel ristorante del Parlamento tedesco. Guardo il menù esposto all'entrata della sala e vedo che i prezzi sono non certo da self service. Ma io ho fame e qui c'è la possibilità di cenare in un ristorante permettetemi di dirlo con enfasi "unico" al mondo. Non credo che potrò approfittare dello stesso locale altre volte. Pertanto non mi faccio alcuno scrupolo ed entro. Penso che comunque vada una qualunque pietanza e una birra non potrà costarmi più di 20-30 €. Un cameriere mi saluta e mi invita a sedermi a un tavolo. L'interno è abbastanza piacevole, forse un po' buio a quell'ora vespertina. I tavoli sono tutti ordinati e le tovaglie di un bianco lindo. Mi siedo a un tavolo decentrato e il cameriere un po' infastidito dalla mia presenza mi chiede in tedesco qualcosa. Dico in inglese che desidererei cenare e lui mi dà il menù chiedendomi in inglese di dove sono. Dico "Rome from Italy". Non l'avessi mai detto. Cambia improvvisamente espressione e diventa disponibilissimo, quasi amabile. Mi dice che ha lavorato come cameriere a Milano e che ama l'Italia. Non me lo faccio dire due volte perchè ricambio anch'io il complimento dicendo che sono entusiasta della sua città.A questo punto preso da una ventata di generosità mi fa alzare e mi invita a seguirlo nella terrace, un bel locale riservato, dal quale si può vedere un panorama mozzafiato. Mi consegna a una giovane cameriera, che si chiama Bianca Thiel, dicendomi che di lei mi posso fidare e si congeda. La cameriera mi porta su suggerimento dello chef Speisen, Lammlandchen e una Konig Pilsener. In realtà mi regala un piccolo antipasto di vegetali tagliati a forma di fiammifero con erbette locali conditi con olio aromatizzato veramente gustoso che io mangio, mio malgrado, con lentezza volendolo invece divorare per la fame. Un cestino di ottimo pane caldo e diversi tipi di burro completano il coperto. Il piatto principale è veramente speciale: una specie di arrosto di "agnello di fattoria" gustosissimo (sarà la fame?) con contorno di cestini di patate e purè in un manto di erbette profumate. Una vera e propria squisitezza. Nella terrace ci sono oltre me una coppia anziana. Tutta l'intera terrazza è a mia disposizione. Guardo con velata malinconia il panorama e con sguardo triste la bellezza del disco rosso del sole che tramonta al di là dell'orizzonte. Lì in fondo si vedono benissimo la Torre della Tv e l'Hotel Forum che "mi aspettano". Una vera estasi di profumi, gusti e paradisiache visioni che non dimenticherò facilmente. Sono le 22.30 quando, dopo aver pagato e preso la ricevuta fiscale, esco dal palazzo del Parlamento che è già buio. Ma sono a due passi della Porta di Brandeburgo e di PariserPlatz, e in giro ci sono molti turisti. Un salutare autobus mi risparmia tempo e fatica per andare a dormire felice e contento della intensa giornata nella mia camera blindata.
Terzo giorno. Oggi è lunedì e voglio fare visita a diversi luoghi della città. Ho l'intera giornata a disposizione e la devo consumare bene perchè domani è il penultimo giorno di permanenza a Berlino. Poi non avrò più tempo. Dunque, al "lavoro". Per prima cosa desidero completare la conoscenza di tutto ciò che si trova ad Alexanderplatz, luogo simbolo della Berlino del tempo che fu. Uno degli elementi architettonici della piazza è l'ex Centrum-Warenhauses che adesso si chiama Galeria Kaufhof. Dalla pubblicità in stile DDR della facciata principale del palazzo mi immagino un "Grande magazzino" scarsamente illuminato, all'antica, anni '60, tipo UPIM, con un'offerta qualitativa scadente. In verità i diversi piani dell'edificio mi richiamano alla mente un magazzino vecchio e superato, che ancora vive d'inerzia e che porta per intero il peso dei suoi anni. Probabilmente tra qualche anno sarà sostituito da qualche moderno ed efficientissimo centro commerciale iper-tecnologico, pieno di vetri, cristalli e specchi. Tuttavia, ai miei occhi il Grande magazzino si trova in Alexanderplatz e questo basta per dargli un tocco di finezza anche senza averlo. Alexanderplatz, con il suo gioiello del tempo, il famoso orologio rotante, è sempre stata la piazza degli scambi economici e dei commerci. Dunque, il Grande magazzino-Emporio calamita sempre l'interesse dei visitatori affamati di immagini del luogo. Esco e passeggio per la piazza. Vedo alcuni barboni ubriachi già dal mattino, seduti sulle panchine da soli o in coppia, che bevono alcoolici da bottiglie aventi una etichetta di decenni fa. Mi chiedo in inverno come possono sopravvivere al freddo delle temperature polari berlinesi. In un angolo della piazza c'è una piccola trattoria, come quelle che si vedevano una volta alle "feste dell'Unità" nei piccoli centri italiani. Serve grossi wurstel riscaldati con patate fritte. L'aria che si respira è di tipo familiare, da piccolo centro. Mi fa tenerezza. Manca solo un suonatore di fisarmonica per completare il quadretto di festa del villaggio. L'atmosfera che si respira scandisce tempi lenti, da paese piuttosto che da città. Nessuno ha fretta. Il tempo è come sospeso, bloccato al rallentatore e tutto ciò mi dà una sensazione di nostalgia di tempi perduti per sempre. Mi sento bene, in perfetta sintonia con l'ambiente circostante. Tutto mi sembra familiare. E' come se fossi vissuto sempre qua. Una ragione di questa mia sorprendente sensazione è dovuta forse al fatto che la piazza presenta un colore bianco sporco, un colore tipico delle piazze romane lastricate con travertino. E poi la gente che cammina in strada mostra lineamenti e caratteristiche antropologiche che non hanno nulla a che vedere con il normotipo del tedesco alto e biondo. Certo, la Berlino del 2002 è ancora piena di persone che certamente non provengono da Amburgo e, quindi, la pelle chiara e la peluria bionda qui è raro incontrarla. Sul lato est della piazza c'è un centro commerciale. L'insegna pubblicitaria reclamizza SATURN. Attraverso lentamente la piazza e i binari della linea del tram ed entro. Anche qui come nella Galleria Kaufhof non si respira aria di shopping selvaggio e confusione, come a Roma o Milano. Il tutto è contenuto, molto tedesco, rimane sottotono, grigio, piacevolmente normale e "fuori moda", che invoglia a vedere le vetrine e la gente che vi transita. Non trovo nulla di interessante ed esco di nuovo nella piazza. C'è la fermata del tram che ospita un vagone dal quale salgono e scendono in maggioranza donne anziane che tirano dritte per la loro strada. Il tram riparte sferragliando verso la Karl Marx Allee che si trova sul versante nord della grande piazza. Osservo il grande viale che funge da arteria principale di collegamento con la parte est della città. Domani mattina lo percorrerò interamente per visitarlo a dovere.Da questo viale il 1 maggio 1945 arrivarono i carri armati russi. Dopo feroci corpo a corpo, il Reichstag viene preso e un soldato vi si arrampica sul tetto, spiega la bandiera rossa e la issa nel cielo grigio. Berlino cessava di essere nazista. E' da questa via larghissima che arrivarono quei due soldati russi. Adesso è tutto un altro mondo. Quelle immagini epocali, di portata storica non si vedono più se non sui libri di storia. Adesso, c'è soltanto un pallido ricordo di quei fatti e la Berlino di oggi è la migliore ricetta per fare scomparire dalla faccia dell'Europa la parola guerra. Mi sento di dire con enfasi "viva Berlino, viva la nuova capitale tedesca finalmente riunificata, viva la pace". Ma tutte queste idee che mi passano per la mente, alla gente che transita qui velocemente, nella Alexanderplatz del 2002, interessano poco. Cambiamo pensieri mi dico. Gironzolo ancora un po' e poi prendo la U-Bahn. Scendo le scale buie, sporche di graffiti e vernice, con qualche lattina di birra vuota per terra. Mi inoltro nel breve tunnel di entrata e vedo che non ci sono impiegati della Metro. Praticamente non c'è nessun impiegato al quale eventualmente rivolgersi. Timbro il biglietto che avevo comprato fuori ma altri che mi precedono non lo fanno. Entrano ed escono senza pagare il biglietto. Non c'è alcun controllo. Sono meravigliato da tanta fiducia che l'azienda dei trasporti berlinese nutre nei confronti di tutti i cittadini che viaggiano sui suoi treni. Nello stesso tempo sono anche perplesso perchè l'interno non è pulito, si vedono delle chiazze di urina per terra e la stazione sembra quasi abbandonata. La luminosità è scarsa e c'è poco movimento. Comincio ad essere un po' nervoso, perchè vedo giovani distesi per terra che non mi rassicurano. Mi dirigo alla banchina e non vedo l'ora che passi il treno. Dico tra me che non prenderò più la metro a questa fermata. Decido che è giunto il momento di andare a vedere il Checkpoint Charlie con tutto il corollario di emozioni che inevitabilmente ruoteranno intorno al tema del muro di Berlino e della riunificazione delle due ex-Germanie. Il "muro", i Vopos, i numerosissimi atleti dello sport della DDR vincenti nelle olimpiadi e in tutte le manifestazioni mondiali, il ponte di Glienicker Brücke dove venivano scambiate le spie (celebri i due film di spionaggio The Ipcress File e Funeral in Berlin con Michael Caine), il bacio sulla bocca tra Brežnev e Honecker, etc., c'è tutto un universo di fatti e situazioni degne di un triller di Alfred Hitchcock da immaginare. Ebbene questa mattina vedrò finalmente di esaudire il mio desiderio più che decennale di vedere tutto quanto ho precisato prima. Prendo la metro U-Bahn e scendo alla stazione di Kochstraße. Ricordo che per "Check Point Charlie" si intende l'unico transito automobilistico possibile esistente, al tempo delle due Germanie, tra il settore orientale presidiato dai soldati russi e quello occidentale presidiato dai soldati americani. In pratica, nel piccolo museo annesso si raccontano quasi trent'anni di fatti, di "vita e di morte" che interessarono i due mondi e gli uomini che vi parteciparono. Ancora prima di arrivare al punto di arrivo vicino alla casa museo lungo la strada che porta al Checkpoint Charlie vedo uno scenario da anni '50. Le case vicine al museo sembra che non siano mai state oggetto di interventi di ristrutturazione edilizia. Le facciate dei vecchi palazzi presenti nel quartiere si presentano come quelle che vedevo in Italia in certe città del meridione nei primi anni '60. Pareti scrostate, strade poco curate, marciapiedi in disuso, e tanti graffiti sulle pareti degli edifici abbandonati. Vedo su una paletta del tipo pubblicitario la foto di un giovanissimo soldato russo e, soprattutto, trovo il famoso cartello scritto nelle quattro lingue degli occupanti dei quattro settori della città di Berlino, ovvero in inglese, in russo, in francese e in tedesco. Ho letto questa frase decine di volte nei giornali e altrettante volte le ho viste in tv. "You are leaving the american sector". Il triste annuncio mi ricorda il passo di Dante Alighieri quando nella Divina Commedia annuncia: "perdete ogni speranza o voi che entrate". Una sensazione di inquietudine mi prende nel vedere cose che avevo immaginato tante volte nella copiosa filmografia ma che non avevo sperimentato direttamente nel luogo autentico. Avverto un brivido, ma poi, pensando che ormai è solo una rievocazione storica museale, mi viene da sorridere piacevolmente. Che bella cosa è la pace e quanto è brutta la guerra. Mi sento di affermare che la postazione la immaginavo più grande. Invece, si tratta di un piccolo posto di frontiera di una decina di metri quadrati circa, con una capannina e una ventina di sacchi di sabbia sul selciato. Un luogo simbolico, certo, senza alcuna pretesa di rappresentazione veritiera dell'ambiente. Sul tettuccio della casettina spicca la scritta US ARMYCHECKPOINT e sul pennone, a lato, la bandiera a stelle e strisce statunitense. Mi sposto sul marciapiedi e mi fermo davanti alla Haus am Checkpoint Charlie. L'entrata è permessa dalle 9 alle 19. Pago il biglietto, che mi costa 5,25 €, ed entro. Ci sono delle scale e mi trovo in un ambiente di casa completamente disadorna. Al primo piano ci sono diverse stanze con alcune mostre per stanza. In una c'è il tema dominante del Muro di Berlino e della città di Berlino come città di frontiera.Ci sono foto, manifesti e locandine varie, oltre ad articoli di giornali ritagliati in lingua inglese e tedesca. Pubblico qui sotto una foto famosa e conosciutissima. E' la foto di un soldato della ex-DDR chiamato vopos con elmetto e moschetto addosso che approfittando della distrazione dei suoi amici soldati comunisti fugge nella parte occidentale di Berlino saltando un reticolato di ferro spinato.Questa foto mi ha sempre colpito perchè nel mio immaginario c'era l'idea che il sistema orientale dovesse essere perfetto e quindi impenetrabile a fughe di qualunque tipo. La cosa che più mi colpisce nel visitare le quattro mostre è che tra le tante foto di giovani che protestano contro il regime comunista di Walter Ulbricht vedo chiaramente anche una pattuglia di giovani italiani del Partito Radicale Italiano. Diciamo la verità: tutto mi sarei aspettato tranne che vedere nella casa-museo del Checkpoint Charlie italiani che manifestano contro il regime comunista. Ci sono solo foto in bianco e nero terribili nella loro carica di emotività che sono in grado di scatenare. La mia scoperta è suffragata da una prova che riguarda la conferma dell'episodio datami direttamente da uno dei protagonisti della manifestazione Antonio Stango. Le sue parole testuali sono le seguenti: "I giovani radicali in questione, il giorno 9 giugno 1989, sono io, Leonid Pljusc e Pina Pasquale. Avevamo concordato l'iniziativa con Herr Hildebrandt, fondatore e allora direttore del museo del Muro al Check Point Charlie. Fummo arrestati dopo circa tre ore dalla polizia della DDR (dodici agenti, che ci portarono via di peso per la gioia di fotografi e cameramen tedesco-occidentali). Interrogati individualmente un una prigione di Berlino Est, fummo poi espulsi la sera stessa: ci portarono in un cunicolo sotterraneo e ci dissero di andare avanti da soli. Raggiungemmo una fermata della metropolitana di Berlino Ovest". E poi aggiunge che: "una analoga manifestazione a Berlino Est, se ben ricordo, fu organizzata dal partito radicale anche nell'estate del 1982". Nel museo più di tutte mi colpisce una piccola auto utilitaria che era stata sezionata a dovere per mostrare come il corpo di una persona si potesse nascondere tra il sottofondo dell'auto e la sua struttura esterna. Una serie di foto sconcertanti relative a una scena di sequestro della piccola auto da parte dei militari vopos che avevano scoperto il trucco ingegnato da una vecchia signora proprietaria della macchina per far passare il confine a un uomo nascosto nel sottofondo, mi fa tanta impressione. Immaginare quei momenti in cui i militari circondano l'autovettura e fanno di tutto per trovare l'uomo nascosto nel sottofondo è veramente terribile. In un'altra stanza erano presenti delle opere artistiche sul tema del muro di Berlino.Di lato c'è una piccola stanza con il pavimento in legno, come in tutta la casa, dove è sistemato un piccolo televisore che fa vedere il famoso documentario della televisione tedesca relativo al primo passaggio in massa dei berlinesi dell'est nella parte ovest di Berlino. Guardo distrattamente il video e penso subito che si tratta del solito programma polpettone, ripetitivo, che non vale la pena di vedere. L'audio è in inglese ed io stimolato dalle immagini approfitto dell'unica sedia libera posta di fronte al televisore e mi siedo. Sono con altre cinque o sei persone, tutti sistemati a raggiera, che vediamo le immagini. Si tratta di persone per lo più di mezz'età ma anche di qualche anziano, tutti vestiti in modo semplice e spartano. Preso dal momento delicato mi immedesimo e seguo attentamente le immagini proposte con intensità e partecipazione. Trascorrono i minuti ed io vengo preso dagli eventi. Era il 9 Novembre 1989 quando Günter Schabowski, funzionario del SED nella RDT, diventò famoso perchè alle ore 18,30 annunciò a un giornalista italiano, Riccardo Ehrman dell'ANSA, che le restrizioni nel passaggio da Est a Ovest di Berlino erano state revocate. Vedo una giovane donna che chiede a un soldato "perchè non mi vuoi fare andare là dove c'è la libertà? Perchè mi impedisci di passare"? Le lacrime cominciano ad uscirmi copiosamente dagli occhi. Faccio fatica a resistere a non asciugarmi con un fazzoletto. Non voglio farmi vedere, ma nessuno è interessato a me. Rimango incollato là per più di mezz'ora ininterrottamente trattenendo il respiro fino alla fine. Giuro che non ho mai pianto in quel modo senza ragioni di egoismo o di dolore. Riprendo il giro delle stanze e trovo un'altra mostra da Gandhi a Walesa sulle lotte per i diritti dell'umanità. Naturalmente gli scritti sono in tante lingue e manca, come al solito, l'italiano. Guardo i visitatori e mi chiedo se anche loro hanno provato quello che ho provato io in questi momenti. Mi sarebbe piaciuto condividere con qualcuno le sensazioni di pietà umana che ho generato dentro di me. Intanto si è fatto tardi: sono le due del pomeriggio ed io sono stato là per più di due ore senza accorgermene. Dovevo assolutamente bere un caffè per riprendermi. Esco in strada dove c'è la capannina del checkpoint con gli inamovibili sacchi di sabbia per terra e cerco un bar da qualche parte. Vedo di fronte all'entrata del museo, dall'altra parte della strada, all'angolo destro del palazzo, un vecchio bar stile primi anni '900, l'Adler Cafè.

Il palazzo ha pochi piani e molte finestre e presenta una facciata poco curata, vetusta, di colore grigio scuro. All'interno ci sono dei tavoli in stile retrò in legno massiccio. Guardo da una parte del banco una vetrina con all'interno delle torte di mele. Penso che uno strudel con un cappuccino fosse la maniera migliore di mettere qualcosa sotto i denti e contemporaneamente riprendermi con il caffè presente nel latte. E' una buona scelta perchè è tutto ottimo. Bevo il caffelatte con calma osservando la poca gente che entra nel caffè. Sensazioni forti mi prendono nell'osservare ciò che mi sta intorno. L'atmosfera del locale mi ricorda il film Alexanderplatz con me seduto al tavolo ma senza birra. Venire a Berlino è stata una decisione saggia. Sono molto contento e soddisfatto della scelta fatta. Da qualche parte ho sentito la parola "Ostalgia" che è un neologismo formato dalle due parole tedesche "Ost" (Est) e "Nostalgie" (Nostalgia). E il ricordo del periodo storico delle due Europa, quella dell'ovest e quella dell'est, quasi quasi sta diventando una nostalgia vera e propria perchè se è vero che la guerra fredda ha prodotto fatti negativi, è anche vero che contemporaneamente c'era un altro modo di avvertire il senso della vita. Lo dice anche un vecchio adagio che afferma che "si stava meglio quando si stava peggio" a rafforzare l'idea che la mancanza di benessere produce sempre nelle popolazioni grandi momenti di generosità e di altruismo che si manifestano in atteggiamenti di comprensione e di vicinanza tra le persone. Adesso mi voglio spostare, velocemente, nel centralissimo quartiere chiamato Kreuzberg. Questa zona della città di Berlino contiene una popolazione di immigrazione turca, tanto da essere stata soprannominata "la piccola Istanbul". Mi piace nei miei viaggi fare visita a qualche zona urbana di immigrazione. Mi fa capire un po' meglio le condizioni di vita dei ceti meno abbienti. La zona è molto popolare. Vedo numerosi giovani hippies e noto le insegne scritte su colori in cui predomina il giallo, con parole in lingua turca. Le strade sono in pessime condizioni e la manutenzione è praticamente assente. Sento nell'aria un odore tipicamente orientale, speziato, piacevole che mi mette addosso una gradevole sensazione di ricordi. Ho ancora in memoria le stesse sensazioni quando sono stato a Istanbul nella bella città turca sul Bosforo per circa una settimana nel 1986. Stessi odori, stesse sensazioni. Mi viene il desiderio di mangiare qualche Kebab Döner turco. Sono tentato ma l'idea di trovare, anche se a prezzi economicissimi, in mezzo al pane pezzetti di pollo, cipolle, fettine di cetriolo, lattuga e salsine varie, magari con intrugli all'aglio, mi fa svanire il desiderio di mettere sotto i denti qualcosa. Non c'è molto da vedere, perchè le strade sono praticamente tutte uguali. La gente è tipicamente mediterranea, con capelli nerissimi e altezza molto più bassa di quella indigena. Lascio il quartiere per andare adesso in un'altra parte della città che ho sfiorato in precedenza, per visitare la Berlin Gedächtniskirche, nella Kurfürstendamm. Si tratta di una chiesa, o meglio, di una porzione di chiesa che è rimasta in piedi dopo il gigantesco bombardamento effettuato su Berlino dall'aviazione alleata alla fine della seconda guerra mondiale. E' chiamata, appunto, "Chiesa della rimembranza" o del ricordo e si trova su un lato della piazza circostante. Devo dire che quando arrivo nella Kurfürstendamm con la linea 2 della metro e vedo ciò che rimane oggi della chiesa rimango di stucco. In pratica è rimasta solo la base di un pezzetto del prezioso rudere cristiano con la punta mozzata inserita tra due edifici moderni a nido d'ape. Per certi aspetti mi ricorda la stessa immagine, presente in un famoso quadro del pittore realista sovietico Vassilij Jacovlev del 1946, dal titolo "Ritratto del maresciallo Georgij Žukov", in cui nella parte bassa a destra, vicino alla coda del cavallo, si intravvedono le rovine di chiese e palazzi della Berlino bombardati dall'aviazione alleata. Curiosa coincidenza. Entro immediatamente all'interno della chiesa, diventata nel frattempo una specie di "piccolo museo" in cui turisti di tutto il mondo si affannano per entrare, e mi guardo intorno. Sono rimasti pochi mosaici e qualche volta. Esco un po' scosso dalla visione di ciò che è rimasto di una delle più belle chiese di Berlino e mi immergo nel traffico della via che mi permette di visitare la bella piazza antistante la chiesa, mi sembra la Breitscheidplatz. C'è un centro commerciale, dove spicca l'onnipresente insegna della SATURN, con alle spalle il grattacielo del Centro Europa, targato Mercedes. Passeggio un po' nella piazza e poi mi siedo sotto la pensilina degli autobus alla fermata, sull'altro lato della Kurfürstendamm. Non ho intenzione di prendere l'autobus. Lo farò dopo. Adesso voglio solo gustare il via vai dei berlinesi, guardando un po' in giro il movimento di persone e il traffico. La piazza di fronte a me è attraversata da gente che cammina velocemente. E' una bellissima giornata di sole ed io ho un abbigliamento intonato alla circostanza, molto tedesco nei due colori giallo e arancione della camicia e del pantalone e un paio di mocassini color marrone chiaro. Mi ricorda il colore della tappezzeria dei treni tedeschi, sempre puliti e con colori sgargianti sul giallo-oro. Questa coppia di colori mi ha sempre colpito per l'originalità dell'accostamento e perchè contrasta in modo consistente con il colore azzurro che è il colore dominante dell'italianità non solo nello sport ma anche nella moda e nella società. Per omaggio ai colori della bandiera tedesca quest'oggi mi sono vestito, caso quasi unico, con colori che non metto mai riuscendo ad apparire agli occhi dei cittadini berlinesi come un anonimo indigeno. Forte di questa mia dotazione cromatica molto "germanica" mi metto a guardare la gente, scruto qualche giovane che cammina e, soprattutto, rivolgo lo sguardo alle persone anziane, alle prese con i mille problemi dell'età avanzata, sempre con sacchetti della spesa in mano e alla perenne ricerca di un po' di fresco. Gli anziani mi fanno tenerezza a qualunque latitudine e longitudine. A un certo punto vedo un giovane sui quindici, forse sedici anni, che si ferma all'improvviso e ad alta voce chiama un altro ragazzo della sua stessa età. Trovo strano questo comportamento esibizionistico e non certo riservato di un giovane autoctono. In genere nei paesi dell'Europa settentrionale la discrezione è la caratteristica comune di tutti i popoli che vi abitano. Lo osservo attentamente. Ha capelli nerissimi, ciglia folte, un blue-jeans e una camicia a fiori molto tedesca. Parla ad alta voce con il suo omologo, sghignazza un po' e dopo pochi minuti si salutano baciandosi sulle guance. L'atteggiamento mi ricorda quello di un giovane immigrato siciliano o turco. In effetti, dopo un po' si avvicina verso la fermata dove ci sono io. Ho così modo di osservarne meglio l'aspetto e di indagarne il comportamento. Ha un modo di fare e una camminata tipicamente latina, da piccolo bullo. Dopo un po' lo vedo salutare con il braccio un altro giovane dicendogli un italianissimo ciao. Non ho più dubbi: la mia ipotesi della immigrazione si rivela esatta. E il giovane, prima ancora che io possa osservarlo meglio con più attenzione, prende "al volo" un autobus in modo non certo riguardoso e si dilegua. Con la mente penso a una delle conseguenze dell'immigrazione di meridionali italiani o turchi in Germania. Penso cioè che dopo decenni di permanenza sul suolo tedesco alcuni loro figli si saranno integrati in forme e maniere non sempre adeguate. Questi giovani hanno studiato e studiano in scuole tedesche, si avvicinano alla cultura tedesca e, pertanto, non sono più assimilabili con la cultura dei loro padri. In pratica risultano una miscela di emarginazione e di integrazione nella società tedesca. Chissà come sarà casa sua e chissà chi saranno i suoi genitori, mi chiedo. L'impressione che ne ricavo è di un giovane sbandato, che consuma il suo tempo muovendosi per la città in modo irrituale, caotico, senza una precisa meta. E' possibile invece che io mi stia sbagliando e, viceversa, il giovane sia perfettamente integrato e inserito nell'ambiente in cui vive e mostra in privato una buona capacità di programmare il suo futuro in modo chiaro ed lungimirante. Probabilmente non dovrei permettermi di dare giudizi avventati senza avere elementi e dati concreti sui quali basare ipotesi valide. Certe volte mi sorprendo a fare pensieri che non dovrei. Ma tutto si è svolto in modo così veloce e anomalo che l'idea di un giovane solitario e sradicato è stata quella che si è affacciata per prima nella mia mente. L'autobus sul quale il ragazzo è salito sta per scomparire alla mia vista in fondo alla Kurfürstendamm. Sicuramente, penso, è un giovane che non incontrerò mai più nella mia vita. Decido che è l'ora di proseguire nella mia passeggiata per le strade di questa parte di Berlino. E visto che mi trovo vicino alla Potsdamer Platz penso che per svagarmi da una giornata intensa di visite e di pensieri, alcuni dei quali fuori luogo, mi muoverò verso la piazza berlinese del futuro, che qualcuno definisce già con una certa libertà di intenti una specie di Defense parigina o di Eur romana. A regime, sarà un gioiello, con grattacieli di tutte le forme e dimensioni. Vedo molte gru che lavorano ininterrottamente ma vedo anche alcuni palazzi nuovissimi che sono già a regime perchè completati per intero. C'è una specie di enorme Centro commerciale che sembra accattivante. Entro e visito alcuni piani. Questa enorme costruzione contiene una notevole quantità di negozi di diversa tipologia, sale di ristoro, uffici, arte e persino un cinema. Bevo un bicchiere di birra fresca in uno di questi bar ed esco fuori perchè non provo alcun interesse a stare lì dentro. Mi dirigo all'interno della parte già costruita del complesso edilizio. In fondo alla via Alte Potsdamer, sullo spiazzo, c'è la Marlene Dietrich Platz. Al n.2 ho letto da qualche parte che c'è una casa in cui ha abitato Marlene Dietrich. Ma nella piazza non si vedono targhe o ricordi della famosa diva tedesca per cui penso che sia una di quelle invenzioni che piacciono tanto ai turisti per poter affermare agli amici, al loro rientro a casa, di aver visitato l'ultima dimora di quel famoso attore o della tal altra celebre attrice come se si trattasse di uno scoop. Io penso che quasi certamente alla piazza è stato dato il nome della Dietrich per renderla un po' familiare in un luogo di Berlino tutto sommato anonimo e freddo. Per rimanere in tema di cinematografia Berlino mi ricorda Eva Renzi, un'attrice nata proprio qui a Berlino che ha interpretato la parte di Monica Ranieri nel film L'uccello dalle piume di cristallo (1970) di Dario Argento. Eva, in quegli anni, mi sorprese per le notevoli doti interpretative messe in mostra nel film e per avere interpretato ruoli di giovane donna emancipata e moderna, difficili da trovare nei film italiani di quel tempo. Come ultimo itinerario del giorno voglio vedere la Friedrichstraße ovvero la via dello shopping e dei negozi più famosa di Berlino. La bella via berlinese è intitolata a Federico I re di Prussia. E' uno degli assi commerciali più trafficati della città, e si trova a nord del Checkpoint Charlie. In verità il motivo per cui vado in questa strada è duplice. Da un lato perchè è la zona degli edifici commerciali e non posso non visitare la "via tedesca" al commercio e al lusso con tutte le sue implicazioni di tipo estetico, architettonico e commerciale, Dall'altro perchè in ogni mio viaggio vado sempre in un centro commerciale per vedere le differenze più significative che possono esistere tra la visione straniera e quella italiana dei centri commerciali. In questa via c'è poi la conosciutissima Les Galeries Lafayette all'isolato 207, che mi interessa osservare e trovare un self service gradevole dove mettere sotto i denti qualcosa di gustoso e contemporaneamente economico. Non starò molto ma una passeggiata la desidero fare. La via è bella e diritta. Il manuale di viaggio mi dice che è lunga 3,5 km ed è una delle vie più vive della capitale. Ci sono alcuni palazzi che avrebbero bisogno di essere messi a nuoco ma nel complesso si presenta bene. Ci sono molti negozi di lusso con i loro prodotti di bellezza e di moda che espongono prodotti italiani e francesi. Entro nella galleria Lafayette che propone prodotti e accessori in stile francese. Ho già visitato Parigi nel 2001. E' stato il mio quarto viaggio nella CEE e sono rimasto entusiasta della visita alla bella città della Senna. L'idea di mangiare qualcosa di francese non mi dispiace. Mi fermo al reparto gastronomico, per motivi non certo culturali e mangio qualcosa di veloce. All'uscita ho desiderio di prendere un gelato. Di solito ho dei gusti che privilegio sempre. A seconda della giornata di caldo scelgo tra un gelato a base di frutta e uno a base di uova. Tra questi ultimi i gusti che preferisco sono nocciola e pistacchio. Perchè nocciola e pistacchio? Per diverse ragioni. Quella che maggiormente mi preme sottolineare qui è che da bambino ho vissuto parte della mia giovinezza a cavallo di due paesi, il primo lungo le pendici dell'Etna e il secondo nella parte centrale dei Nebrodi. L'economia di questi due paesi è praticamente monopolizzata dalla raccolta del pistacchio e della nocciola. Dunque, si tratta di una ragione affettiva che esplicita le mie radici di uomo che ama le tradizioni. Bene. Entro in una gelateria e mi metto in coda. Quando arriva il mio turno dico sottovoce: "einen kegel von einem euro haselnuss und pistakien". Sono sempre stato convinto che la frase sia sbagliata ma in quel momento non avevo altra scelta. E poi quella traduzione del pistacchio in pistakien mi è venuta leggendo il nome in tedesco del gusto proposto ai clienti. La ragazza che mi ha servito ha capito subito che non ero un tedesco doc e, invece di correggermi, mi guarda con interesse e mi dice: italien? Alla mia sorpresa mi fa capire in inglese che solo gli italiani, di solito, scelgono questa coppia di gusti. E, aggiunge, che secondo lei "è una delle migliori scelte". Ringrazio con un ripetuto "danke schön" e un grande sorriso.
Quarto giorno. E' già martedì. La data della partenza si avvicina inesorabilmente e io comincio ad essere un po' inquieto. Ho ancora tanto da vedere e non riesco a mettere a segno tutti gli obiettivi che mi sono proposto di conseguire. Adesso che ho superato abbondantemente i primi giorni di disagio per essere vissuto in una città straniera differente dalla mia per lingua, storia e approccio pragmatico alla vita, comincio a sentirmi a mio agio. E' una bella sensazione. Tutto mi è familiare. E' come se fossi vissuto sempre qui, nella luterana Germania. E pensare che avevo una paura da matti nel fare questo viaggio. Ah se da studente avessi imparato bene la lingua tedesca! Giuro che probabilmente avrei potuto vivere definitivamente qui, per tutto il resto della mia vita. Mi trovo tanto bene che questa mattina non ho portato con me la solita guida completa di tutte le informazioni sulla città, ma solo una semplice cartina topografica che mi hanno dato alla Reception dell'hotel qualche giorno fa. Mi sono abituato così bene trotterellando da una parte all'altra della capitale che ormai la conosco a memoria. Mi sento di poter affermare che a questo punto Berlino non ha più per me alcun segreto. Naturalmente esagero ma mi piace crederlo. Mi concentro adesso sulla frenesia che mi ha preso negli ultimi giorni di migliorare sia la "produttività" degli spostamenti nella città sia di aumentare la quantità di luoghi da visitare. Berlino mi sta diventando sempre più piacevole. Oggi è il 30 luglio. Decido finalmente di andare nella parte est della Berlino ex-comunista. Mi aspetto di vedere con maggiore calma e più in profondità le strade, i grandi viali delle parate comuniste, la Moskva haus, le stradine, le trattorie, il planetario, ed entrarci dentro con maggiore profondità. A proposito, ma come ha fatto l'azienda dei trasporti a mettere in comune il servizio viaggiatori nell'intera capitale quando le due Berlino non condividevano nulla in comune? Mi immagino le prime settimane della riunificazione quando, probabilmente, i vertici delle due aziende dei trasporti delle due Berlino si sono incontrati per mettersi d'accordo su come fare per permettere una piena integrazione delle risorse e dei mezzi a loro disposizione. Sulla stampa italiana non è filtrato nulla di questi fatti, ma a mio parere è stato sicuramente un evento epocale e nello stesso tempo un'impresa ciclopica che ha suscitato sicuramente l'entusiasmo della municipalità berlinese tutta e degli addetti ai lavori. Immagino le strette di mano dei cugini dell'ovest Berliner Verkehrs-Betriebe a quelli dell'est BVG (Ost) all'inizio e la stessa stretta di mano quando alla fine del percorso da cugini sono diventati fratelli. Sicuramente c'è stata emozione e orgoglio in questa impresa. Complimenti all'azienda riunificata della U-Bahn che è l'attuale Berliner Verkehrsbetriebe (BVG) per ciò che è riuscita a realizzare. Mi viene l'idea di andare a vedere nella prima mattinata il planetario che si trova in direzione ortogonale rispetto alla Karl Marx Allee, altra strada che visiterò con molta attenzione subito dopo. Il planetario "Carl Zeiss" (Zeiss-Großplanetarium Berlin) si trova nella Berlino est, nel quartiere di Prenzlauer Berg. Potrei andare a piedi per la Prenzlauer Allee e, in fondo a destra, all'intersezione con la Diesterwegstrasse imboccare la strada che immette nella costruzione sferica del Planetario immerso in mezzo al verde. Ma voglio vedere un po' com'è fatta la rete dei trasporti berlinesi dell'altra Berlino. Così ad Alexanderplatz prendo la metro e dopo la fermata di Rosa Luxemburg, Senefelderplatz,‎ Eberswalder Straße scendo a Schönhauser Allee e mi avvio a piedi per la ‎Prenzlauer Allee. Al n. 80 c'è lo spettacolo del cielo che mi aspetta. In effetti c'è un po' di differenza nella qualità dei treni e, soprattutto, nella architettura e nelle facciate dei palazzi e delle strade. Non dico nulla di straordinario se confermo l'idea che questa parte della città è veramente povera in tutto. All'uscita della fermata arrivo al planetario. La ferrovia passa a poche decine di metri ed io entro nel parco che circonda la sfera astronomica. All'entrata vedo due classi di bambini della scuola primaria di diversa età. Stanno aspettando l'apertura del planetario per entrare. Mi metto in coda e li osservo. Nonostante la loro giovane età (4-7 anni, non di più) sono tutti bambini educati, silenziosi, disposti ordinatamente su due file con le rispettive insegnanti a capofila. Alle 9.00 in punto entriamo tutti insieme. Pago il biglietto ed entro nella sala con la volta semisferica. Le luci sono ancora accese e il soffitto sembra apparentemente un normale tetto. I bambini si seggono alla mia destra. Vedo le maestre che si spostano e raccomandano attenzione e silenzio. Dopo pochi minuti si spengono le luci e una voce in tedesco introduce la visione delle stelle. C'è un sottofondo di luce abbastanza chiaro che mi fa vedere le reazioni dei bambini nel momento in cui il soffitto diventa nero con le stelle nelle costellazioni visibili in modo egregio. I bambini fanno ripetutamente un ohoohoo di stupore. Guardano meravigliati la "volta celeste" del bellissimo planetario ed io non so decidere se per me il vero spettacolo sono le piccole luci del soffitto che simulano le stelle o i visi acqua e sapone dei bambini che affascinati dall'incanto della musica in sottofondo guardano con stupore in alto. Mi vengono alla mente le molte volte che sono entrato in un planetario. A Londra nel 2000 ho visto il planetario più fantascientifico di tutti. Anche a Parigi nel 2001 ho visto qualcosa del genere ma meno formidabile del primo. Ma a Londra e Parigi non c'erano bambini ma tanta gente adulta e le sale erano piene come quelle di un cinematografo dove tutti osservavano le immagini senza stupore. Qui siamo in pochi. Oltre me e la scolaresca ci sono alcune mamme dei bambini che mi sembrano le più interessate a vedere il soffitto che simula la volta celeste piuttosto che controllare i loro figli. Un bellissimo e indimenticabile spettacolo. Il bagno di berlinità relativo al territorio dell'ex Berlino est continua. Dopo il planetario vado nella zona limitrofa verso Alexanderplatz ma sempre nel territorio della vecchia ex-DDR. Ho fatto delle scoperte meritevoli di considerazione. Ho visto per esempio che questa parte della città è piena di negozietti con nomi emiliani, che però stanno chiudendo. Qui nella Berlino Est ci sono molti piccoli ristoranti dai nomi italiani. Entro in alcuni di questi ma noto che i giovani che lo gestiscono parlano tedesco e non sanno una sola parola di italiano perchè, probabilmente, sono i figli o i nipoti dei vecchi proprietari dell'Emilia rossa. Certo i giovani di questi ultimi anni si sono potuti adattare facilmente la nuova realtà del paese riunificato, i più vecchi invece non sono stati tanto contenti dell’apertura del muro. Hanno subito intuito che con l’arrivo del capitalismo sarebbero stati tagliati fuori dai giochi, e quasi sicuramente è stato proprio così. I tavoli mostrano una desolante povertà. Sono in stile "Festa dell'Unità" che potevano andare bene nel periodo di Honecker ma non più adesso. Ho camminato un po' tra queste strade. Cosa dire in sintesi? In primo luogo che gli edifici sono per buona parte abitati ancora dalle famiglie di ex comunisti della passata DDR, che sono in difficoltà economiche gravi perchè sono diventati tutti disoccupati e le loro case sono in una fase di abbandono. D'altronde chi dovrebbe sostenere le spese per il miglioramento degli immobili? Ho visto un locale, che doveva essere stato molto importante nel passato il cui nome, in cirillico, era Pasternak. Retaggio russo. In realtà è un ristorante russo, ПACTEPHAK, che serve pietanze russe per tedeschi nostalgici del realismo sovietico. In secondo luogo l'abbigliamento degli indigeni è veramente modesto. Quasi tutti gli edifici presentano muri sporchi di graffiti peggio che a Roma. Probabilmente in queste persone c'è alla base una condizione di rancore e di rabbia per essere stati costretti a passare, dalla mattina alla sera, dal mondo conosciuto e sicuro del comunismo a quello incerto e sconosciuto del capitalismo. Sembra poco? Mi sposto adesso nella Karl Marx Allee, quella che una volta era chiamata la Stalin Allee, ovvero la strada più ideologica dell'intera Germania e insieme una metafora della nostalgia del mondo ex-comunista. La percorro quasi interamente. E' un viale enorme, largo circa 90 m. Una cosa pazzesca, per l'ordine di grandezza delle larghezze delle strade italiane. Per attraversare il viale, nei pochi punti dove c'è un semaforo, si impiega un'eternità, col rischio che il verde diventi rosso e che le macchine travolgano qualunque essere animato si sposti davanti a loro. Mi metto sul lato sud del marciapiede e osservo le case. Sembra che non ci abiti nessuno. Dove saranno? Si nascondono dietro i vetri? O fanno finta di non esserci? Osservo attentamente le facciate delle case sicuramente meglio delle altre ma qui tutto sembra fermo e immobile da anni. L'impressione che ne ricavo è come se guardassi un'istantanea fotografica di decine di anni fa. Il viale è, come si suol dire in questi casi, un vero museo all'aria aperta di architettura del realismo socialista. Guardo in fondo e mi sembra che non finisca mai. Penso ironicamente che camminando sempre diritto in fondo al viale si raggiungono prima la Polonia e poi l'ex-URSS e, dunque, Mosca. Può sembrare uno scherzo, ma in realtà da questa strada arrivarono realmente i carri armati sovietici per piantare sul Reichstag la bandiera rossa. L'autore fu il soldato del Daghestan Abdulkhakim Ismailov e l'immagine a lato è entrata nella storia diventando il simbolo della liberazione dal nazismo e della sconfitta di Hitler. Sui lati si ergono dei giganteschi casermoni popolari tipici delle costruzioni del comunismo. Andare a passeggio lungo questo larghissimo viale, come sto facendo io in questo momento, è alquanto intrigante perché pare di essere ritornati indietro di circa mezzo secolo. Nulla è in disfacimento sia chiaro, ma tutto fa rivivere il nesso tra storia e passato. Il primo reperto storico che incontro è il ristorante Moskau. La palazzina è piena di finestroni di vetro e mi appare abbandonata. Le ampie vetrate sono sporche e completamente impolverate. L'insegna Mockba è scritta in cirillico e questa palazzina fu il ritrovo dei comandanti russi dell'esercito sovietico nella DDR e fu frequentata moltissimo dalla nomenclatura sovietica di partito. Adesso tutto non sembra più avere valore. Che tristezza. Supero alcuni caseggiati e subito dopo vedo una targa in marmo sulla parete di una rientranza del palazzo. E' una targa di commemorazione a Walter Ulbricht. Si vede perfettamente la forma del suo viso. La scultura con il logo della DDR fuoriesce dalla parete ed è in buono stato. Ci sono molte parole in tedesco che non capisco ma sicuramente si tratterà di una rievocazione storica. In lontananza vedo due giovani che mi guardano. Sono vestiti con jeans sdruciti e capelli lunghi. Li vedo puntare verso di me. Mi irrigidisco un po' e cerco di capire che cosa potrebbe accadermi se non faccio nulla. Penso che potrebbero avere intenzioni non pacifiche. Sveltisco il passo e con un certo batticuore raggiungo il semaforo dove con una andatura da marcia olimpica alla Abdon Pamich attraverso il viale e passo dall'altra parte. Con la coda dell'occhio vedo i due giovani fermarsi e desistere. Il manuale di viaggio che ho lasciato in albergo parla esplicitamente di fare attenzione nella parte est di Berlino dai giovani arrabbiati perchè sono state commesse delle rapine e consiglia di stare alla larga. Per sicurezza vado oltre, mi immetto nella parallela alla Karl Marx Allee e percorro qualche palazzo per poi rientrare dall'altra parte sul viale in senso inverso. La visita a questa parte della città è a questo punto finita Mi dirigo alla Torre della Tv perchè voglio visitarla salendo su in cima all'altezza di 368 metri. Nel frattempo penso alle tante cose viste e rifletto sulla questione della nostalgia dei tempi passati. In pratica ho visto la Moskva Haus malridotta, abbandonata e desolata. Ho pensato al delirio di potenza provato dai sovietici di allora che si mostravano dalla vetrata di questo ritrovo gustando la loro forza politica e militare e l'ho confrontata con quelle che i russi di oggi provano nella nuova Berlino. Un abisso di differenza. La mia impressione è che i russi sono diventati quasi ininfluenti proprio nella città che avevano conquistato. In questi lunghi giorni di mia permanenza a Berlino ho potuto fare delle riflessioni e sono pervenuto a delle conseguenze che riguardano la vita nella città di Berlino ma anche quella di noi europei nella nuova Europa, dopo più di sessanta anni dalla fine della guerra. Per me Berlino è sempre stata una città bella, desiderata e mitizzata. Devo però aggiungere che a me piace non solo Berlino ma tutta l'Europa. Dico tutta. A mio parere l’Europa è come il maiale che veniva ucciso una volta per le festività natalizie e non si buttava via nulla. Alla stessa maniera mi piacciono tutte le nazioni europee, piccole e grandi, famose e dimenticate, ricche e povere, presuntuose e umili. Le vorrei tutte nell’UE, dico tutte, senza tralasciarne alcuna e poi stare tutti insieme, ascoltare la musica di tutti, leggere la narrativa di tutti, vedere l’arte di tutti, mangiare i piatti tradizionali di tutti e, soprattutto, essere allegri con tutti. E’ prematuro? Sono troppo esigente? Sarà, ma ci spero tanto. Che dire in conclusione di questa visita alla parte est della Berlino di un tempo? Sicuramente sono contento di esserci stato. Probabilmente fra qualche decennio questa parte della città sarà stata rimessa interamente a nuovo, come a Potsdamer Platz. Non ci saranno più differenze tra ovest ed est di Berlino. Chi percorrerà la futura Karl Marx Allee non noterà alcuna differenza con la Friedrichstraße. Nel frattempo arrivo alla base della Torre. Pago il biglietto e vengo impacchettato con altri passeggeri su un enorme ascensore che ci porta in cima nella parte sferica della Torre. I bordi del pavimento sono arrotondati e trasparenti perchè di vetro. Da quassù vedo le strade come se fossi su un aereo. Fa impressione a questa altezza vedere il panorama di Berlino. Semplicemente spettacolare. Mi attardo un po' e allo scadere della mezz'ora scendo di nuovo con l'ascensore sul più sicuro basamento della terra ferma.
E' pomeriggio quando esco dall'hotel per consumare la mia ultima serata berlinese. Domani pomeriggio ritorno a Roma e dunque queste sono le ultime ore che intendo sfruttare fino in fondo. L'idea è semplice: prendo l'autobus 100 che è una specie di circolare del centro che mi permette di osservare senza meta tutto ciò che c'è lungo il tragitto dell'autobus. E siccome c'è la possibilità di andare anche all'Aeroporto Tegel una piccola visitina per verificare tempi e modi della partenza non è una cosa sbagliata. L'intero pomeriggio vola via attraverso le immagini dal finestrino dell'autobus. La mia card mi permette di spostarmi su tutti i mezzi in circolazione nella capitale. Spendo così tutte le ore fino a sera quando stanco e soddisfatto rientro in albergo.
Quinto e ultimo giorno. Il tempo a Berlino trascorre troppo velocemente. Questa è la mia massima del giorno! Oggi sto male perchè è la giornata della partenza. Mi rimane un ultimo obiettivo programmato: l'Osservatorio astronomico della scienza. Si trova a due passi dal monumento al soldato russo morto in guerra, vicino Treptow Park. Arrivo nel parco ma mi è difficile localizzare la struttura. La trovo dopo un po' di pellegrinaggio da una parte all'altra nel verde. Ne valeva la pena perchè per me, che mi interesso di scienza, tutto ciò che è tedesco mi richiama alla mente percorsi e figure di straordinaria importanza scientifica.
Adesso posso dire di avere visto circa l'80% di tutto ciò che mi era possibile vedere. Sono soddisfatto. Mi rimarrà impressa per sempre questa bella sensazione di avere fatto una vacanza indimenticabile, forse più di Parigi e probabilmente anche di Londra. Sicuramente più di Madrid e di Lisbona, senza togliere nulla a tutte queste città che considero belle e straordinarie. E' evidente che non si possono fare paragoni. Soprattutto a caldo, anche perché sono località diverse, con visite effettuate in tempi diversi e in condizioni differenti. Una cosa e' certa: che prima sconoscevo quasi completamente il mondo germanico. Cosa dire di più? Parodiando una celebre frase dialettale milanese posso dire che Berlin l'e' un gran Berlin.
Sono le 14 quando prendo l'autobus per andare all'aeroporto. Il volo è previsto alle 17.40. Arrivo in grande anticipo ma la visita dell'aeroporto è un altro elemento che accomuna i miei itinerari di viaggio. All'arrivo non mi è stato possibile vedere alcunché perchè avevo premura di andare in albergo. Ma adesso ho tutto il tempo per visitare l'intero complesso dell'aerostazione. Al chek-in non vedo molti italiani in giro e ciò la considero una stranezza. Di solito i miei connazionali sono allegri, vocianti, alcune volte molesti e si fanno notare per essere poco discreti. Non ci faccio caso e mi siedo nell'area di partenza in attesa dell'imbarco. Non ci sono molte persone che aspettano e sono tutti stranieri. Mi seggo e mi immergo nella lettura di un giornale. Dopo un po' mi guardo intorno e non c'è più nessuno vicino a me. Tutti spariti. Mi allarmo. Guardo l'orologio e vedo che sono le 17.20. Comprendo che sto per perdere l'aereo. Guardo il tabellone e vedo che non c'è più scritto Rom ma Stockholm. All'ultimo momento hanno cambiato il gate! Gli avvisi all'altoparlante probabilmente informavano i passeggeri che c'era stato un cambiamento. Ma la dannatissima lingua tedesca mi ha impedito di comprenderlo. Vivo minuti di angoscia alla ricerca affannosa del nuovo gate. Il tempo stringe. Non vedo nessun box informazione e tutto di corsa mi lancio verso il corridoio da cui ero arrivato. Un annuncio in inglese mi fa capire che dal nuovo gate sta per chiudersi il cancello. Arrivo quando stanno proprio per chiudere il cancello di imbarco e tutto trafelato porgo il mio biglietto aereo con il passaporto. Uno sguardo severo della hostess che con voce severa mi informa che sono il "solito italiano" che manca di puntualità. Anche questo mi doveva accadere. Ciao Berlino: non ti dimenticherò mai.

Elenco dei report di viaggio delle capitali europee già pubblicati.

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BIBLIOGRAFIA LETTERATURA DI VIAGGIO

Manuali e guide di viaggio adoperate.




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