mercoledì 22 dicembre 2004

Quando si dice che le cose vanno al rovescio.

Ivrea. Una fredda mattinata invernale. Una scuola superiore. Una professoressa entra in aula, vede un crocefisso appeso a una parete dell’aula e si arrabbia. Rifiuta il simbolo religioso, lo strappa dalla parete e lo sbatte sulla cattedra. Fin qui i fatti. Adesso i commenti. Inevitabili. Alla faccia della tolleranza! Gli atei, e lo dimostrano i fatti, quanto a discriminazione e intolleranza non scherzano. Essi sono quasi sempre più “clericali” dei religiosi. Nonostante il crocefisso sia stato appeso e voluto dagli studenti, l’insegnante non ha avuto né il coraggio, né l’intelligenza di accettare il desiderio profondo e sincero di una classe costituita da giovani che si sentivano bene con quel simbolo. Ah! Poveri noi! Quando entrano in funzione i giacobini laici, di discriminazione sono lastricate tutte le strade della loro vita. Che vergogna. Reagire in quella maniera scomposta e indegna di una professione come quella del maestro! Se io fossi un insegnante farei di tutto per accontentare i desideri profondi dei miei studenti. A una sola condizione: che studiassero seriamente e che trovassero nella cultura i segni della civiltà dell’uomo. Il fatto che al muro possa essere appeso o meno un crocefisso, a me come autore di una proposta culturale non interesserebbe. Non è un simbolo religioso quello che avrebbe o meno reso più significative ed efficaci le mie lezioni.

martedì 21 dicembre 2004

Bel colpo! La regione Lazio approva la legge di tutela del dialetto.

Finalmente! Adesso che è legge la proposta di studiare le “lingue laziali” le cose cambieranno. Oh, perbacco, se non cambieranno. Con l’arrivo nelle scuole dell’«ora di romanesco» la vita a Roma e nelle altre città del Lazio sarà finalmente, almeno sotto il profilo culturale, molto più degna di attenzione di quella attuale. Che la legge era sentita e che produrrà degli effetti rimarchevoli da tutti i punti di vista (scolastico, economico-finanziario, sociale, politico, culturale) viene compreso dal fatto che la legge è stata votata all’unanimità: tutti i rappresentanti di tutti i partiti hanno votato a favore. Un evento storico. Un terremoto educativo. Un avvenimento che ha dell’eccezionale. Finalmente anche a Roma si potranno conoscere, e in profondità, le radici della cultura della “lazialità”, vero motore culturale dell’Italia moderna. Una nuova vita, un nuovo Rinascimento appare all’orizzonte di chi vive nell’Urbe. Poche parole per commentare l’evento. «Francia o Spagna, purché se magna» è sempre stato questo il motto romanesco che finalmente potrà essere studiato nella sua immensa e incomparabile profondità culturale nelle scuole medie e superiori della città di Roma. Un messaggio significativo di vasta portata formativa, di crescita intellettuale e di civiltà è a portata di mano di tutte le scuole: è lo strumento educativo per eccellenza che finalmente porterà gli studenti romani ad essere più bravi di come sono attualmente, maggiormente consapevoli del carico di civiltà di cui sono portatori, e profondamente coscienti della grande responsabilità che essi hanno perché romani, ovvero “gente de roma”. Diciamo la verità: si sentiva da troppo tempo l’esigenza di ridurre di un’ora nella scuola lo studio dei curricoli nazionali a favore di un segmento di curricolo regionale. Un’ora in meno che cosa sarà mai! Via! Un’ora in meno alla settimana di Italiano o di Matematica non potrà fare male a nessuno. Non produrrà asini; al massimo qualche studente non azzeccherà un congiuntivo o non saprà fare una radice quadrata, tutto qua, mica morirà qualcuno! Il dialetto, invece, ci potrà dire tante cose. Potrà permettere di parlare del territorio con maggiore consapevolezza, potrà farci comprendere meglio certi comportamenti del popolo, delle sue tradizioni, delle sue radici, della vita e della visione del mondo che la comunità romana esprime e per cui è famosa nel mondo. Lo ha detto un professore di Dialettologia di un’Università romana. Personalmente dubito fortemente che con lo studio del dialetto i futuri cittadini di questa città saranno profondamente diversi da quelli di oggi. Il 22.05.04 avevamo scritto che generalmente nella società romana coesistono anche persone «accomunate da una rozza, arrogante e prepotente concezione della vita che si può tradurre in forma sintetica con la battuta che “il romano prende in giro tutti e fa fessi gli altri”. […] Una pericolosa miscela di autoesaltazione mitica di tutto ciò che ha a vedere con la parola Roma. Eredità vecchia di secoli e sorprendentemente ancora in uso, sopravvissuta al nuovo che incalza ma che non scalfisce riti e ritmi di una modalità di approccio alla vita di tipo arretrato, di basso profilo, che ricorda la “gente de cortello”, di duelli rusticani, di passioni elementari e di codici improntati a una morale arcaica. Quello dell’onore, sostituito di recente dall’esasperato tifo calcistico per la propria squadra, sono modalità di vita e quadri culturali in grado di condizionare chiunque non sia in grado di distinguere dove finisce la propria libertà e inizia quella dell’altro, dove termina la tradizione e dove inizia il localismo, ovvero quella forma esacerbata di campanilismo deteriore, tipico delle società chiuse. Ancorati a una morale che esiste solo in certi strati della società romana, presente quasi sempre o nelle borgate, in periferia, o in alcune ristrette zone centrali della città, è conseguenza di un falso senso dell’onore e di una falsa idea di solidarietà. La si riconosce da piccoli particolari come la gestualità, la mimica, la cadenza dialettale, i tipi di discorsi che vengono affrontati, il senso di solidarietà esistente solo tra simili e quasi mai per gli altri, dal nepotismo dilagante e chiave di successo economico, dall’abbigliamento, dall’uso sfrenato ed accentuato della moto superaccessoriata o dal fuoristrada, simboli di potenza e di presunta superiorità degli interessi del gruppo. Interessi che riguardano il desiderio di vedere affermata la superiorità della propria tradizione, mai palesata in forme di modestia, di altruismo disinteressato. Ma il massimo dell’idea deteriore di “romanità” la si nota nella sistematica attività di demolizione e nella non accettazione delle idee moderne di civiltà che vanno dalla correttezza e dall’onestà nell’amministrare la cosa pubblica al consenso nel concetto di norma valida per tutti. Gli aspetti negativi di questo modo di intendere la vita cittadina vanno dal completo disfacimento dell’idea di accettazione dei codici di comportamento, come del codice stradale nella guida degli automobilisti, alla totale assenza di interiorizzazione di regole civili di convivenza. In breve, si può dire che si va dagli abusi edilizi, peraltro effettuati in maniera sfrontata, ai reati più disparati che vedono spesso connivenze tra corruttori e burocrati, che è l'aspetto più odioso che si possa verificare. Dalla mancanza di rispetto delle norme di convivenza civile (buttare i sacchetti dell’immondizia nelle strade, svuotare le cicche dei portasigarette ai bordi delle strade, non rispettare i diritti di precedenza come nelle code sia in auto, sia negli uffici pubblici e privati) alle tragedie quotidiane del rifiuto esplicito ed arrogante delle norme di comportamento della sicurezza stradale (non rispetto della distanza di sicurezza tra autoveicoli, il sorpasso a destra come una costante della superiorità sugli altri, il percorrere i marciapiedi con le moto, il posteggiare su doppia e tripla fila, il passare con il rosso, ecc…). Ogni regola, pensata e scritta per produrre una società civile, qui a Roma, è vissuta come una corsa alla deregulation, in cui ci si diverte a non rispettare le buone regole di cittadinanza. Dal biglietto non obliterato sugli autobus e sulla metro alla sigaretta fumata in luogo pubblico, dalla gomma masticata e abbandonata sulla strada allo stereo e alla TV suonati a tutto volume, dal parcheggio delle auto che creano ostacoli alla circolazione al mancato rispetto del semaforo rosso, dalle manovre spericolate sui motorini agli elettrodomestici vecchi e non più funzionanti abbandonati sui marciapiedi. Insomma, la negazione dei doveri espressa da una cultura della cittadinanza irresponsabile che sta purtroppo alla base di una modalità del “non essere”. L'intreccio perverso, poi, tra chi dovrebbe controllare che non si verifichino reati e chi li commette è un'altra costante della vita sociale e politica della capitale. Impiegati, funzionari, vigili, dirigenti ministeriali, burocrati privati e pubblici di tutte le specie, negozianti, liberi professionisti, tutti accomunati da un’idea: quella di turlupinare gli altri. Truffe di tutti i tipi: truffe di privati ai danni di privati. Truffe di privati ai danni dello Stato. Truffe di mascalzoni che operano nel pubblico ai danni dei cittadini più deboli. Si potrebbe fare un elenco interminabile.[…]La spiegazione non è semplice. Non si tratta di un problema di tempi o di economia o di finanza ma di modalità di visione della vita e, dunque, è un problema che i sociologi definiscono ambientale, ovvero antropologico. Il romano è un soggetto che negli anni passati ha sempre vissuto in un habitat che dal punto di vista dei rapporti sociali è senz’altro definibile degradato. I vincoli classici della cultura e degli stili di vita scandinavi qui non sono mai riusciti ad essere né compresi, nè accettati. Il romano è sempre stato abituato a una esperienza di vita che, secondo Bateson, si potrebbe chiamare di “tipo precibernetico”. Con questa accezione si intende qui indicare l’atteggiamento di chi si dimostra incapace di comprendere l’importanza della vita inserita in un sistema complesso, relazionale, collettivo, sociale, collegiale, in cui, cioè, l’uomo si trova immerso in una panoramica di vita di tipo sistemico. A causa di una concezione ristretta e limitata ad aspetti inerenti alle difficoltà della sopravvivenza, il romano si è sempre mosso nella città come predatore, prendendo quanto gli serviva sul momento e senza preoccuparsi per niente delle conseguenze derivate dalla propria condotta. La ragione di ciò ha profonde spiegazioni antropologiche. In poche parole si tratta di uno stile di vita improntato all’unità di sopravvivenza che si riferisce alla famiglia e/o al gruppo.[…]». Ci basta, per concludere, riportare il giudizio di delusione che diede Stendhal nel suo soggiorno romano intorno al 1816. Stendhal rimase scandalizzato sia per lo stato di conservazione di alcuni teatri di Roma, sia per la mediocrità di certe manifestazioni culturali e religiose alle quali assistette nel suo mese di soggiorno romano. Diciamo la verità: di questa legge sulla “romanità” o sulla “ciociarità” e simili, in questo momento, non se ne sentiva proprio il bisogno. Non si è ancora capito bene che ci troviamo tutti su una nave senza timone, che sta colando a picco senza che nessuno si sia reso conto della tragedia immane alla quale stiamo silenziosamente andando incontro. Noi siamo contrari a questa legge per due motivi. La prima è che non si insegue Bossi e la Lega Lombarda sul terreno del campanilismo. Lasciamo ai “polentoni” queste armi politiche superate e fuori dal senso della storia. Non è più tempo di lotte politiche a suon di vessilli e carrocci. La seconda ce lo dice una frase in dialetto romano. Questa volta in dialetto appropriato, non la patacca di quello che vogliono spacciare per cultura: in latino, che è il vero dialetto di Roma che tutti dovrebbero conoscere. Vino vendibili suspensa hedera non opus est.

domenica 19 dicembre 2004

I soliti furbi.

Il Ministro Marzano, tanto per intenderci quello che per evitare i black out di energia elettrica in estate propose di risparmiare spegnendo le luccioline dei led dei televisori, ha affermato che sta emanando un decreto col quale inviare all’estero le scorie nucleari residue ottenute dal funzionamento delle precedenti centrali di Caorso e Trino Vercellese, dismesse anni fa. Saranno trattate, ha detto, in Francia e in Inghilterra. Immediatamente i furbi dei due schieramenti di questo paese, tutti contrari allo smaltimento e allo stoccaggio delle scorie in Italia, si sono messi in moto. In pratica, se la godono perché così non hanno più la patata bollente di smaltire, in qualche Regione e Comune d’Italia, le scorie. La conseguenza di questa decisione è che centinaia di milioni di euro, in questo momento importantissimi per il bilancio della finanziaria, prenderanno il volo arricchendo i due paesi europei ai nostri danni. Bel colpo! L’immagine dei populisti italiani ha ricevuto un ottimo imbellimento. Trovata geniale per chi non è stato in grado di risolvere l’evento in casa, perdendo posti di lavoro e impoverendo il paese. Un paese che si ritiene uno dei più industrializzati del mondo non riesce a prendere una decisione politica per individuare un’area del paese in cui trattare le scorie. Bella classe politica di governo e bella opposizione. Intanto francesi e inglesi gongolano perché hanno fatto un affare. Il bello è che in Italia sono scontenti quasi tutti. Anche quel capolavoro del partito dei verdi, vera e propria piaga nazionale formata da individui che camuffano, sotto il perbenismo dell’attività di protezione dell’ambiente, politiche estremistiche e rivoluzionarie, è insoddisfatto. Dicono che tra venti anni le scorie dovranno ritornare in Italia. Incredibile! Prima hanno messo a ferro e fuoco il paese per uscire dal nucleare e ora non si sa cosa vogliono. A sentire questi soloni, di destra e di sinistra, i pazzi sono cinquantanove milioni di francesi e sessanta milioni di inglesi che hanno deciso di lavorare le scorie sul loro territorio. Mentre noi siamo stati i furbi. Vero classe politica italiana?

venerdì 17 dicembre 2004

Bari o dilettanti?

E così il centrodestra ha barato. In un modo o nell’altro ha fatto una cosa che non avrebbe dovuto fare: tentare di imbrogliare.
Questo governo aveva detto molto chiaramente che la legge inerente al nuovo ordinamento giudiziario della magistratura era una legge ineludibile, necessaria e, fra tutte quelle possibili, la migliore. Invece, è stata bocciata e rimandata alla Camera dal Presidente della Repubblica per palese incostituzionalità. Fatto grave. Gravissimo. E non è la prima volta che succede a questa maggioranza. Ora delle due l’una: o la legge è stata approvata sapendo che non era costituzionalmente corretta, oppure la legge è stata approvata sapendo che era anticostituzionale. Vediamo la differenza di ragionamento nei due opposti casi. Se i deputati del centro-destra, i capigruppo e l’intero governo (compreso il Vicepresidente Follini) non sapevano che era anticostituzionale mi chiedo cosa fanno tutti questi Signori, dilettanti della politica, in Parlamento? Si tratterebbe in questo caso di incapaci superpagati che non dovrebbero essere in quel luogo, a fare quel lavoro. Se questi Signori sono degli inetti, ignoranti e incompetenti vadano a fare i Consiglieri comunali in qualche piccolo comune. Almeno là, dilettanti come sono, non produrrebbero danni gravi. Se, viceversa, sapevano che le norme che stavano approvando erano suscettibili di anticostituzionalità, il fatto è ancora più grave perché si tratterebbe di deputati immorali, spudorati e imbroglioni che stavano approvando una legge indecente che avrebbe svilito, in modo scandaloso, lo Stato. In ogni caso ne esce una sola considerazione conclusiva: la maggioranza politica che ci governa è dannosa per il paese. Ma se il centrodestra non ride, il centrosinistra piange. Anzi, fa piangere. Qui, invece di iniquità e di imbroglio ai danni dei cittadini, vi è la inaffidabilità politica di un intero schieramento alternativo che riguarda due categorie: il metodo e il merito. Nel metodo, perché i leader dell’opposizione, invece di sentirsi uniti e abbracciati in un unico slancio a difesa della moralità del Paese contro la maggioranza immorale berlusconiana si fanno la guerra su fatti e personalismi che francamente fanno cadere le braccia. Nel merito, perché vengono fatte delle proposte politiche bislacche, che sono di un estremismo che c’è da vedere nero nel prossimo futuro. E intanto la Spagna se la ride. Ieri è stata affidata a Saragozza l’organizzazione dell’Expo 2008. La città spagnola ha battuto alla grande la città di Trieste. Non è vero che il motivo è che gli spagnoli sono più bravi degli italiani. Il fatto è che all’estero, quando si parla di inaffidabilità di un paese, sono tutti concordi nel ritenere che in quel paese si parla la lingua di Dante. Paradossi della cultura e conseguenze funeste di una classe politica incapace e inaffidabile.

giovedì 16 dicembre 2004

Spettacolo penoso.

Bari o dilettanti?Il centro-destra, nonostante i litigi all’interno della loro coalizione, realizza l’obiettivo di legislatura, consistente nel fare leggi ad hoc per aiutare coloro che commettono reati e non vogliono andare in galera. La legge in dirittura d’arrivo alla Camera permette di non andare più nelle patrie galere ai criminali che riescono a tirare per le lunghe i processi andando facilmente in prescrizione. Diciamo la verità: il governo Berlusconi sta realmente realizzando il programma elettorale che si era imposto producendo un corpus legislativo invidiabile tutto volto a stracciare il precedente più serio ordinamento penale. Il centro sinistra non è da meno. Pensate che con un coup de teatre unico nel suo genere, è riuscito a superare tutti i più famosi record di masochismo al mondo, perché è riuscito a creare una polemica violenta tra i capigruppo dei partiti dell’opposizione e un altro leader che appartiene allo stesso schieramento proprio nel bel mezzo della votazione della legge su esposta.
Devo dire che abbiamo una maggioranza e un’opposizione di cui vantarci. Siamo "orgogliosi" di essere governati da politici di tale "eccellenza". Peccato che nessuno all’estero li vuole. Dicono che impressionano ... di immoralità.

mercoledì 15 dicembre 2004

Italia Germania: una eccezionale intesa cordiale fra due paesi che si amano ma che in questo momento “fanno a botte”.

La Germania aspira a un seggio permanente all’Onu e l’Italia, per non sentirsi declassata, si oppone. Cosa sta succedendo ai due “grandi” paesi ammalati d'Europa? Sebbene in modo garbato, i due litiganti si stanno facendo una vera e propria guerra diplomatica. Ricordiamoci del detto che dice: "i tedeschi amano gli italiani ma non li stimano, gli italiani stimano i tedeschi ma non li amano". Ma che razza di europeisti sono questi mediocri governanti che si combattono per ottenere un seggio permanente col quale far finta di essere importanti a livello mondiale? Non sarebbe meglio smetterla di giocare a essere gli USA o l'ex URSS e lavorare per migliorare l'efficacia di una politica estera dell'Unione Europea? Ma tanto è inutile: con questi mediocri primi ministri, siano essi di sinistra o di destra, va sempre bene il proverbio contadino: “i lupi cambiano il pelo ma non i vizi”.

giovedì 9 dicembre 2004

Del condono

Che cos’è “il condono” di cui tanto si parla in questi ultimi due anni del governo Berlusconi a proposito delle recenti leggi finanziarie? Quella che segue è una piccola e modesta riflessione in ordine al significato da dare a questa semplice parolina che ha risolto alcuni problemi monetari all’attuale maggioranza di centro-destra.
Chi ha partorito l’idea di condono come elemento finanziario per “fare cassa”, certamente non può essere definito un individuo integerrimo sul piano etico e morale. Ma, si sa che in politica, certe categorie filosofiche non hanno senso. E allora vogliamo affrontare questo tema per cercare di capire il significato da dare a questo sostantivo maschile singolare e a fare una piccola chiacchierata intorno a un problema che molti sentono come un’ingiustizia. “Con dono” significa che si dà un dono, che si fa un regalo, ovvero un favore a un altro. E’ una remissione, totale o parziale, di una pena o di un debito. Significa provvedimento che permette di liberare da un determinato obbligo, soprattutto penale o economico, una persona che riceve un beneficio. Chi lo ha finora ideato nelle diverse leggi finanziarie parte dal presupposto che i cittadini di questo strano paese si suddividono in due categorie: cittadini perbene e cittadini spudorati. Questa partizione è assolutamente indispensabile per comprendere cos’è avvenuto nella mente dell’ideatore del condono per giusticare la sua esistenza nell'apparato normativo del Parlamento. Per colui che lo ha reso attuabile, il condono costituisce addirittura un assioma, perché parte dalla convinzione che esso rappresenta un asserto che non possiede carica etica o forza morale e che, viceversa, è soltanto uno dei tanti strumenti della “finanza creativa” che tanto stanno a cuore all’attuale maggioranza di governo. Orbene, cos’è dunque il condono nell’accezione finanziaria di questo governo? Condono è uno strumento giuridico che permette a chi comanda di incassare, sotto forma di tasse, una cifra rilevante e sicura senza scontentare apparentemente nessuno. Esso permette al cittadino non certo probo, immorale e spudorato, che appartiene alla seconda categoria della partizione sopra riportata, di conseguire ben tre piccioni con una sola fava. Il primo piccione è che chi lo condivide, e soprattutto lo mette in pratica, non rispetta una norma di legge e commette un reato sapendo perfettamente che non avrà su di lui conseguenze penali. Il secondo piccione è che consente, a chi lo adopera, di sanare un abuso di legge sfruttando degli sconti per renderlo più appetibile. Il terzo piccione è quello che permette di violare una norma di legge pagando il dovuto solo molti anni dopo in cui si è commesso l’illecito. Il condono pertanto è la negazione dell’accettazione di una norma. E’ il contrario del senso etico dei cittadini onesti e costituisce, a tutti gli effetti, una via astuta e subdola adoperata dai furbi per aggirare la legge, fregare gli onesti e non rispettare i codici di comportamento previsti per tutta la collettività. Vi sembra poco? Noi diciamo che questo modo di procedere dei pubblici amministratori, a colpi di piccone contro l’Etica e la Morale, martellando con sistematicità contro la legge morale è sbagliato e che non pagherà. Chi lo professa e lo teorizza è un immorale e va contro natura, perché non considera tutti i cittadini uguali, ma alcuni “più uguali di altri”, che fregano i primi. E sappiamo come andò a finire con il comunismo: George Orwell nel suo inquietante romanzo, chiamato 1984, identifica ed estremizza alcuni aspetti del potere che possono essere ritrovati non solo nella dittatura stalinista alla quale si ispirò, ma anche nella nostra democrazia, come ad esempio la relazione tra potere e strumenti di comunicazione (Tv, radio, giornali). Chi la fa, l’aspetti dunque, e soprattutto, mediti su come si possono perdere le prossime elezioni apparentemente senza ragioni: perché non capisce cosa voglia dire etica e morale. Qui non prohibet cum potest, jubet.

giovedì 2 dicembre 2004

Riforma della giustizia o ingiustizia delle leggi di riforma?

Sulla questione della legge di riforma della giustizia votata in via definitiva dal Parlamento abbiamo qualcosina da dire. I media hanno informato l’opinione pubblica della novità, con vistosi titoloni sui giornali e mediante cromatiche didascalie nei telegiornali. Carta stampata e televisione si sono buttati nella mischia dell’informazione, come al solito, con violenza e presunzione, senza argomentare seriamente e sinteticamente sulle novità della riforma. La conclusione sembra essere una sola, perentoria e assoluta: la legge è “un grande successo”, oppure è “un grande disastro”. In tutto questo grande rumore il cittadino medio è disorientato e non ha capito nulla di questa riforma. Quello che non si comprende è in cosa consiste il trionfo sventolato dagli uni o lo scempio sbandierato dagli altri. Com’è possibile che ci sia una così grande differenza di opinione? Vediamo come stanno bene le cose perché fin qui il copione era previsto e prevedibile. Si sa che i giornali considerano l’indipendenza e l’autonomia come la scarlattina: fanno di tutto per non averla. Dunque, giornali e televisioni fanno tutti informazione parziale e prezzolata. Diciamo la verità: la stragrande maggioranza dei cittadini non ha capito nulla perché (e questo è grave) né la cosiddetta stampa libera, né l’altra, cosiddetta di partito, hanno fatto chiarezza. Il guaio è che non si rendono conto che governo e opposizione, parlamentari della maggioranza e parlamentari della minoranza, si scambiano messaggi criptici in cui si intendono solo tra loro, mentre i cittadini non capiscono nulla. Siamo dell’opinione che solo pochi dei 57 milioni di cittadini italiani sanno di cosa si parla effettivamente in questa legge di riforma e la quasi totalità degli italiani non sa, né è in grado di capire, in cosa consiste la differenze nel passaggio tra la vecchia e la nuova legge. Noi abbiamo capito solo una fatto elementare che è il solo aspetto che discrimina una buona da una cattiva legge. Lo poniamo in forma di domanda. Per il cittadino che si rivolge alla magistratura (per tutelare un suo diritto civile, leso da altri) cambia qualcosa con la nuova legge? Noi crediamo di no. Noi pensiamo che non è cambiato nulla. Assolutamente nulla. Passando dal civile al penale e sempre per lo stesso cittadino, la nuova legge porterà dei vantaggi alla collettività, nel senso che i processi saranno più snelli e veloci e le sentenze arriveranno in tempo utile? Noi crediamo di no. Che non è cambiato nulla da come era prima. Forse che con la nuova legge i condannati per reati di qualunque tipo rimarranno in carcere fino all’esaurimento della pena detentiva? No! Sarà sempre lo stesso. Si uccide e dopo pochi anni si è fuori, liberi di reiterare il reato. Riteniamo che non è cambiato nulla. E allora perché tanto can can per qualcosa di trascurabile? La morale della storia è la solita: una maggioranza di governo alla frutta che non sa più cosa fare e una opposizione allo sbando che non sa essere d’accordo su nulla si accapigliano perché non sono in grado di legiferare seriamente con leggi chiare e precise con le quali si costruisce una società giusta, onesta, trasparente, in cui gli imbroglioni vengano messi in carcere e le persone oneste messe in grado di vivere onestamente con un lavoro dignitoso. Viceversa, questi pagliacci della politica stanno portando il paese al declino, alla distruzione. Ci sono intere città nelle mani della criminalità in cui si uccide come se fossimo a Bagdad in piena guerriglia islamica. Ma c’è ancora un piccolo particolare, rilevante, da sottolineare. Dicono le cronache che la magistratura sia sdegnata da questa legge. Mi domando perché un giudice dovrebbe essere sdegnato da una legge votata dal Parlamento sovrano? Ma non dovrebbero essere loro, i magistrati, a vigilare che le leggi vengano rispettate? Dicono che varrà minata l’autonomia della magistratura. Noi non abbiamo mai creduto alle favole: da quando in qua la magistratura in Italia è stata autonoma? Una carrellata di sentenze sono state sempre caratterizzate da giudizi di parte in cui la sentenza normale è sempre stata l’essere una sentenza di parte. Con tanti saluti all’autonomia. In verità la magistratura italiana è stata ed è politicizzata. Non si potrebbe definire diversamente una magistratura che si divide al suo interno in correnti politiche, portatrici di ideologie e di linee discriminanti sotto il profilo della diversità di visioni politiche del mondo che, fatto grave, interferiscono pesantemente con il suo ruolo. Come vogliamo chiamarle le correnti di “Magistratura indipendente” e di “Magistratura democratica” se non politiche? E che dire del fatto che una delle associazioni organizza incontri su politica e diritto con la partecipazione di attori e comici schierati in modo unidirezionale in politica? Cosa c’entra tutto ciò con un organo istituzionale, autonomo e indipendente che dovrebbe evitare di schierarsi politicamente per il delicato ruolo che svolge all’interno della società? Cosa ne direste se il Presidente della Repubblica organizzasse un incontro con qualche attore schierato discutendo di politica ed evidenziando preferenze ideologiche per uno schieramento o per l’altro? La magistratura dovrebbe essere inflessibile con la criminalità, dovrebbe concentrare risorse e intelligenze per perseguire i mascalzoni e lasciasse perdere le divisioni politiche interne ad esse. Semplicemente non dovrebbe interessarsi di politica. Se un giudice volesse far politica si dimetta: potrà fare allora e solo allora quello che crede. O no? Totò avrebbe concluso: ma mi faccia il piacere!

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