venerdì 23 dicembre 2016

Berlusconi e il proverbio chi è causa del suo mal pianga se stesso.


Siamo stati restii fino all’ultimo se pubblicare o meno questo post su Berlusconi. Avevamo quasi dimenticato che il padrone di Mediaset esistesse ancora dopo la sua condanna definitiva del Tribunale di Milano e la sua inevitabile fuoriuscita dal Parlamento per indegnità. Decenni di sue scorrettezze politiche per conflitto di interesse e di sue invasate imposizioni al Parlamento, una delle più disonorevoli è stata la mozione a difesa della “nipote di Mubarak”, hanno prodotto in noi irritazione e sdegno per qualunque cosa quest’uomo insolente abbia fatto e continua a fare.
Oggi facciamo un’eccezione, perché le notizie della scalata a Mediaset del colosso francese Vivendi, società francese attiva nel campo dei media e delle comunicazioni, ci impone di fare chiarezza sulla vicenda.
L’episodio dimostra in modo inequivocabile che Berlusconi è nei guai, perché dopo essersi preso molte zucche pregiate a prezzi di svendita sul territorio nazionale adesso rischia di perdere tutto il cocuzzaro per la scalata ostile di Vivendi sul suo gioiello di famiglia Mediaset, il famoso “giocattolo di borsa” che gli ha permesso di diventare il più ricco italiano di tutti i tempi e scorrazzare per decenni nel panorama televisivo e finanziario italiano al limite del codice penale con il portafoglio pieno.
Adesso rischia di perdere moltissimo. Se avessimo davanti Berlusconi gli chiederemmo perché non si è cautelato in tempo in borsa mantenendo il 51% della proprietà di Mediaset? Perché ha voluto rischiare scendendo al 38,8% del capitale della sua azienda? Ha voluto fare altri affari furbeschi e adesso è costretto a pagare per il suo essere ingordo?
Se adesso avesse avuto la maggioranza assoluta delle azioni non avrebbe avuto nulla di cui preoccuparsi e non avrebbe dovuto gridare allo “scandalo”, come dice lui, dell’assalto dei galli francesi. E per favore finiamola con la favola della “difesa della italianità” del gruppo televisivo privato. Se ne può fare a meno. Un noto proverbio afferma che “chi è causa del suo mal pianga se stesso”. Se le cose stanno così Berlusconi è “bello e morto” come venne descritto Pinocchio da uno dei dottori che lo visitò al capezzale.
E poi diciamo la verità: anche se la francese Vivendi dovesse fare l’Opa e pigliarsi tutta Mediaset forse, per noi italiani, sarebbe meglio perché così finirebbe una volta per tutte questa odiosa cappa ricattatoria posta sulla politica da questo infido individuo che ha avvelenato la vita politica italiana per un quarto di secolo alterando mercati, politica e finanza italiani.

sabato 10 dicembre 2016

Referendum, ingiustizie e democrazia perduta.


Siamo ritornati alla casella iniziale, come nel gioco dell’oca. Il Referendum ha dato il suo verdetto: quelli del No hanno vinto, salvando la “Costituzione più bella del mondo”. Renzi invece, e tutti quelli del Si, ha perso. L’azzeramento di una classe politica rampante personificata da Renzi è sotto gli occhi di tutti. Quello che rimane difficile comprendere è per quale strano motivo un governo cade senza essere sfiduciato in Parlamento e, soprattutto, senza che in ballo ci sia stata la sua politica e la visione della società che esso sottintendeva sotto la lente del popolo.
Si dice che il Si è stato battuto, dunque per la proprietà transitiva anche Renzi, che deve andare a casa. Ma non ci risulta che il quesito referendario dicesse “volete voi mandare a casa il premier Renzi”? A noi ci risulta che si votava sull’eliminazione del bicameralismo paritario e altro.
Siamo perplessi, non perché Renzi non meritava di essere sfiduciato. Al contrario, Renzi nel tempo si è dissociato sempre di più dal ruolo di cittadino consapevole di avere un mandato di rinnovamento della classe politica e si è rivelato alla fine come un sistema di potere di bassa qualità in grado di mettere nei posti chiave della società i suoi uomini. Per carità, così fan tutti ma Renzi non poteva e non doveva farlo proprio perché si è presentato come il rottamatore della vecchia politica e dei dinosauri politici. Dunque, il Referendum ha tolto in modo netto tutte le giustificazioni del renzismo.
Renzi ha perduto non perché le sue ragioni non fossero valide ma perché si è alienato la fiducia degli italiani. Novello Berlusconi come quello autentico - che si era desintonizzato dai cittadini dicendo con sfrontatezza che gli italiani stavano bene e che gli aerei per i viaggi e i ristoranti erano sempre pieni di gente che si divertiva - Renzi ha lasciato correre con pigrizia ingiustificata temi delicatissimi sul piano sociale e politico.
Ne ricordiamo qualcuno: l’immigrazione incontrollata e delinquenziale, la criminalità finanziaria del sistema bancario aiutato politicamente e finanziariamente in modo vergognoso dalla Presidenza del Consiglio, amministratori che hanno fatto perdere ai poveri correntisti tutti i loro risparmi, conti pubblici e spesa fuori controllo, debito pubblico alle stelle senza aver fatto nulla per diminuirlo, criminalità mafiosa e microcriminalità affamate e assetate di delitti senza che sia stato fatto nulla per fermarle, politica di sicurezza folle e inefficace (se mai ce n’è stata una) certificata dalle centinaia di casi di omicidio e femminicidio e, ultimo in ordine di tempo, il caso scandaloso della studentessa cinese scippata dai criminali e morta nell’umano gesto di rincorrere i suoi aguzzini) e mille altre ingiustizie prodotte sempre dai più forti sui più deboli.
Qui non c’entra nulla il referendum e il suo significato costituzionale. Qui è entrato in ballo l’ennesimo scempio del “senso della giustizia”. Si è permesso a una pletora di “furbetti del quartierino” mai condannati, a causa di un sistema giudiziario obsoleto e inefficace, di scalare immeritatamente i ruoli dirigenziali di tutte le specie pubbliche e private per sfruttare col massimo di utilità e cinismo il potere del loro ruolo nella società.
Onorevoli e senatori che con le loro lobbies hanno creato poteri personali e clan familiari ai danni dei cittadini, amministratori mascalzoni che hanno sempre beneficiato della protezione del potere politico, dirigenti che hanno spremuto le casse dello Stato per soddisfare sete di potere e denaro in tutti i gangli della società, etc. C’è da aggiungere un altro aspetto, e cioè che il problema dell’Italia di oggi non è tanto la classe politica che è pessima ma la società civile che si è imbarbarita nel tempo fino a diventare rozza e primitiva. Abbiamo la “più bella Costituzione del mondo” ma anche il più inutile e costoso Parlamento del mondo, polverizzato in 23 gruppi politici che si fanno convocare al Quirinale dal Presidente della Repubblica e non hanno nemmeno il tempo di prendere un caffè. Un Parlamento che ha messo in evidenza una autentica transumanza ignobile di parlamentari trasformisti da un partito agli altri. Ben 245 parlamentari in questa legislatura hanno cambiato casacca perché votati onorevoli in un partito e subito dopo transitati disonorevoli in un altro.
Renzi ha perduto perché si è alienato la società in sincronia e in sinergia con i suoi complici più o meno mimetizzati da circensi di dubbie qualità parlamentari che dall’opposizione hanno giocato lo stesso ruolo del governo in Parlamento: demolire l’idea stessa di democrazia. Tutti complici anche quando fingevano di fornire accuse e proposte irragionevoli e provocatorie (ricordiamo i cinque milioni di emendamenti proposti dalla Lega Nord in Parlamento sulla discussione di riforma). Con i loro lauti stipendi e vitalizi i nostri illustri parlamentari hanno dato una giustificazione ai Berlusconi prima e ai Renzi dopo, imponendo di mungere lo Stato per i loro squallidi interessi.
Una vergogna mai terminata che si è manifestata in tutta la sua gravità nella recita che tutti vogliono andare a votare e far decidere il popolo sovrano. Senza una legge elettorale valida è tutto un gioco e una manfrina inutile per prendere in giro i cittadini: i più deboli, i giovani e i senza lavoro ancora ad aspettare che si realizzi l’art. 1 della Costituzione. Mentre Lor Signori con lo champagne si stanno preparando al gioco del Carnevale del nuovo anno.

martedì 6 dicembre 2016

E adesso?


Renzi è stato sconfitto con una sola lettura e senza alcun ping pong. Il cosiddetto "popolo sovrano" ha emesso il suo verdetto: bocciatura totale della sua Riforma costituzionale e conseguenti dimissioni da Capo del governo. Questo il fatto che intendiamo brevemente commentare.
Rare volte nella politica italiana è apparso dalle urne un giudizio così netto di bocciatura. Le cronache dicono che una analoga bocciatura è avvenuta alcune decine di anni fa a un altro politico toscano che dovette dare le dimissioni per aver perduto il referendum sul divorzio: Amintore Fanfani. Non è nostra intenzione fare raffronti politici. Diciamo solo che entrambi i politici toscani sono simili nel temperamento e nella personalità.
Il fatto importante però è un altro. L'Italia non ha e non avrà mai una stabilità politica vera con un premier in grado di rappresentare l'intero paese. Perchè? La risposta è sempre la stessa: perchè gli italiani non sono un popolo ma un suq di mercanzie di popolo e non si sentono rappresentati da una sola persona perché non hanno la cultura dei popoli democratici nordeuropea.
Gli italiani sono politicamente sintonizzati a far trionfare vizi atavici del nostro Paese: l’immobilismo, la palude, l'anarchia, l'individualismo, la tendenza a dedicarsi all'imbroglio, pensano al proprio orticello e non sono in grado, anche volendo, di dedicarsi con onestà e senso etico al bene comune. Naturalmente tutto ciò deve essere inteso in senso statistico, non assoluto. Le eccezioni, come si dice in gergo, confermano la regola.
Hanno una visione tribale della politica, che loro eufemisticamente definiscono "per correnti", che si è mantenuta invariata dall'era dei Comuni ad oggi, con qualche cambiamento di facciata e di adeguamento ai nuovi tempi e alle nuove tecnologie.
C’è un rischio in tutto ciò e cioè che il primo Masaniello o comico che passa dietro la commedia della rete e della democrazia digitale (favola che nasconde attraverso i clic dei mouse di un gruppetto di elettori certificati un vuoto di etica e di competenze colossali) possa prendere il potere e far prevalere la sua natura di destra post-fascista al governo del paese.
Noi siamo sempre stati antifascisti e anticomunisti. Da sempre. Continueremo ad esserlo anche adesso. Ma siamo anche anti populisti. Dietro all’ideologia degli slogan che "destra e sinistra sono tutti uguali" si nasconde una smisurata sete di potere qualunquista pericolosa più del referendum bocciato.
Da questo osservatorio non avremo peli sulla lingua a denunciare il plagio di una visione di nuovi furbetti del quartierino che vogliono prendersi “cocuzze e cocuzzaro” nascondendo la loro visione politica anarchica e di potere.
Se il referendum ha avuto il senso di eliminare la prospettiva dell'uomo solo al comando è altrettanto pericoloso lasciare ai vuoti e demagogici populisti di un'ala del suq politico italiano la rappresentanza dell'intera nazione. Raggi docet.

sabato 3 dicembre 2016

Referendum costituzionale e schifezze varie.


Un bellissimo strumento musicale messo nelle mani giuste può far diventare uno spartito una sinfonia musicale stupefacente. Un bellissimo strumento politico invece messo nelle mani sbagliate diventa certamente una schifezza e solo una schifezza.
Ecco il problema degli italiani in questo scorcio di anno del 2016: al referendum di domani 4 dicembre 2016 se non viene trovata la risposta giusta si rischia di portare il paese alla rottura dell’idea comune di popolo. Di questo si tratta. La trasformazione del referendum da strumento politico ad accorgimento tecnico per scardinare il governo è un pericolo gravissimo.
Il referendum di per se è un bellissimo strumento politico che potrebbe migliorare molto la vita dei cittadini ma se utilizzato male e per fini diversi da quello istituzionale per cui è stato concepito può diventare uno stupro a tutti gli effetti della mentalità politica della popolazione italiana.
Alla voce Referendum il dizionario della lingua e della civiltà italiana del De Felice recita:
«forma e istituto di democrazia diretta per cui tutto l’elettorato decide con il voto su problemi dell’ordinamento costituzionale e giuridico dello Stato».
Da nessuna parte c’è scritto che un referendum serve per "mandare a casa" un Presidente del Consiglio col suo governo. In tutte le nazioni del mondo i referendum valgono per quello che chiedono ai cittadini, come ha ben detto Emidio De Felice nel suo dizionario. Solo in Italia le regole non valgono. Qui, “dicesi” referendum «quell’istituto elettorale che fa apparentemente votare i cittadini su un quesito costituzionale con lo scopo sottinteso di servire e far dimettere il Capo del governo». Ma vi pare normale questo fatto? A noi sembra una imposizione fuori da qualunque regola.
Il referendum dovrebbe essere, a nostro parere, un evento bellissimo, affascinante perché dovrebbe risvegliare nei cittadini il desiderio, la consapevolezza e la coscienza della partecipazione diretta alle scelte politiche del paese in sinergia col Parlamento. Dovrebbe essere una festa, una cornice di festeggiamento a un evento che unisce e non divide.
In Italia tutto questo non vale perché Referendum significa altro.
Come abbiamo potuto notare in questo ultimo mese di campagna referendaria, referendum significa vomitare dalla parte del no improperi, accuse indimostrabili e offese di tutte le maniere mentre da parte del si tentativo malriuscito di chiedere di discutere del cosiddetto “merito” della riforma, senza apprezzabili risultati. Alla fine purtroppo quello che conta non è il risultato del dibattito - cioè conoscenza, sapere e partecipazione della riforma costituzionale - ma cosa farà il Presidente del Consiglio se perde.
Tutti i partiti e i loro onorevoli hanno in questa campagna referendaria mostrato il lato peggiore di se stessi e hanno confermato che in questo paese non basta una riforma costituzionale, anche la più bella possibile, perché il livello socio-culturale dei suoi cittadini è così mediocre, inadeguato e carente che saltano le stesse regole. Si tratta di una gigantesca vergogna nazionale in cui quasi tutti i contendenti sono caduti nel trappolone dell’astuzia dei capi popolo demagoghi e populisti ai quali non interessa un fico secco del dopo voto. La dimostrazione sta nell'invito a votare con "la pancia". Per rimanere in tema è semplicemente stomachevole.
Finalmente è finita. Non se ne poteva più. Ma che fatica e quanta frustrazione ha portato con se questo terremoto culturale e metodologico che ha distrutto una ordinata vita sociale in un cumulo di macerie alla stessa maniera di un terremoto sismico.

giovedì 24 novembre 2016

Due cose per cominciare.


L’Italia prima di una crisi economico-finanziaria soffre di una crisi ancora più grave. Si tratta di una crisi di identità che ha origini lontane e che si è aggravata sempre più con la crisi della attuale globalizzazione.
La crisi di identità riguarda un paese incompiuto, non completato nei suoi fondamenti di valori, di popolo, di senso. Vero è che il paese ha una Costituzione tra le più belle del mondo ed è altrettanto vero che ha istituzioni che almeno teoricamente sono funzionanti. Ma è tutto di facciata.
In realtà oltre la siepe il buio, oltre la forma il vuoto, oltre l’apparenza la disvalorietà di qualunque fattore di coesione nazionale. Insomma, ci tiene uniti non la comunanza di un popolo, ovvero l’«idem sentire» dei cittadini come ha detto qualcuno, ma l’obbligo di stare insieme.
E’ evidente che in queste condizioni si permane in uno stato di provvisorietà e di incertezza dai quali non se ne esce. Sarebbe necessario uno scatto di orgoglio, una accelerata su come sentirci più uniti, una ragione che superasse le divisioni.
Il referendum costituzionale e il conseguente imbarbarimento della campagna elettorale è un campanello di allarme che ci informa che si sta superando la soglia oltre la quale si rischia di sbriciolare le ragioni per le quali un popolo sta insieme. Questo fatto poi mina addirittura, in modo irreversibile, la tenuta dello Stato per l’enorme debito accumulato e per l’incapacità del potere politico di combattere la criminalità e di punire i colpevoli di reati che quotidianamente intossicano i cittadini.
L’immigrazione, l'ingiustizia dei tribunali con l'inefficienza e la durata pazzesca delle sentenze, nonchè i forti squilibri economici degli italiani fanno il resto. Che fare? Non vogliamo entrare nel discorso politico-parlamentare perché non si riuscirebbe a mettere d’accordo due soli parlamentari su 630 deputati tanto è avvelenata l’aria che si respira nel Parlamento. La soluzione non potrà mai essere veloce e indolore. Non sappiamo neanche se esiste. Certamente si potrebbe provare. Una attività legislativa che potrebbe metterci nella giusta via dovrebbe partire a nostro avviso da due esempi che desideriamo proporre alla riflessione di chi ci legge. Primo esempio. Giappone, gigantesca voragine con un cratere di 30 metri inghiotte una strada: la ricostruzione è avvenuta in una sola settimana nonostante che si siano verificati interruzioni di corrente e di forniture di gas e di acqua!
Secondo esempio. Stati Uniti: in meno di una settimana la magistratura ha condannato un politico accusato di corruzione mandandolo in galera per 15 anni!
Ecco cosa avrebbe bisogno l’Italia per ripartire! Esempi concreti e condivisi di efficacia straordinaria. Finchè non si realizzeranno esempi come questi saremo destinati all’irrilevanza e all’imbarbarimento della nostra società.

martedì 22 novembre 2016

Politica mondiale e sghignazzate.


Oggi desideriamo criticare due politici che hanno letteralmente trasformato in negativo la politica internazionale di quest’ultimo anno. Non sembri un pregiudizio. Si tratta solo di scoperchiare le pentole del diavolo che essi hanno riempito con degli ingredienti della peggiore politica che si potesse immaginare e cucinare. In un periodo di forti contraccolpi di tutti i tipi nel mondo la coppietta di cui vogliamo parlare si presenta da sola. Eccola qui. Si tratta del duo più famoso: Donald Trump e Nigel Farrage. Osservate la foto. Non è un autoritratto effettuato con uno smartphone ma una foto ufficiosa, la prima che il neo Presidente degli Stati Uniti ha voluto fare con un politico straniero (mica tanto) dopo il trionfo elettorale.
Qui non parleremo di populismo, né di ricchezza, né di identità nazionale e neanche di spiritosaggini e di battute che li riguardano. Sono temi che non ci appassionano e che non significano nulla. Significa molto viceversa il contesto nel quale si articolano le cose dette e soprattutto significa molto il loro programma politico conseguito totalmente, se è vero che sono riusciti ad ottenere l’impensabile fino a qualche anno fa.
Guardate lo sfondo della foto: tutto in oro. Non sappiamo se sia di oro massiccio o di verniciatura ma non è questo il problema. Una foto con una parete del genere ci ricorda le abitazioni degli emiri o dei monarchi alla Re Sole. Per noi che amiamo la sobrietà è bruttissimo. Francesco d’Assisi si sarà rivoltato nella tomba.
Osservate la risata di entrambi. No, non è una risata. E’ una sghignazzata di quelle che si fanno nei pub dopo pinte e pinte di birra ingurgitate una dopo l’altra o in un saloon di una cittadina del Texas tra avventori cow boy o mandriani di mucche che fanno le spacconate. E per par condicio potrebbe sembrare la risata sguaiata in un’osteria romana di due avventori che brindano a base di litri di vinello bianco dei Castelli romani trangugiati nel mentre si canta uno stornello romanesco. La similitudine dei tre casi è perfetta.
Meno perfetto è invece il risultato delle votazioni dei britannici e degli statunitensi che credevamo fossero popoli seri. Evidentemente sono cambiati. Si dice che il voto libero non è criticabile. E’ possibile sotto il profilo politico e sociale ma non certamente dal punto di vista psichiatrico. Qui non è in ballo la sovranità popolare delle due nazioni di lingua inglese. Il duo è libero di pensarla come la vuole. Qui è in ballo il funzionamento dell’intero pianeta per quanto concerne la politica e le sue ricadute nella vita di miliardi di cittadini. In un mondo globalizzato non si può erigere un muro e coltivare il proprio orticello senza pensieri. I loro programmi sono letteralmente disgustosi negli obiettivi e nei mezzi per ottenerli.
Ma torniamo alla foto. Guardate il gesto della loro mano. Quella di Trump è il gesto del “go on”! ovvero del “e vai” siamo i più forti. Non pretendiamo il bon ton ma a quei livelli di ruolo è inopportuno. Ma loro non lo capiscono e se ne vantano. Farrage poi sghignazza ancora di più con la bocca spalancata del “li abbiamo fatti fuori tutti” e il suo vicino è l’uomo del K.O. Per non parlare dell’abbigliamento: alla camicia di Trump manca la cravatta, forse l’ha data a Farrage che ne ha usato un pezzo per allungare la sua abbondantemente oltre il consentito.
Il mondo è nelle mani di due soggetti del genere. Triste vicenda del viale del tramonto di quello che fu la più grande democrazia del mondo, faro di civiltà del passato. Il presente è un’altra cosa.

domenica 20 novembre 2016

Referendum e imbrogli.


Il M5S ha detto di fare attenzione perché è molto probabile che all’estero ci saranno degli imbrogli con le schede elettorali relative al referendum costituzionale. Partiamo da qui per fare un’analisi più generale della vicenda in modo tale che si elevi un tantino sopra il particulare della votazione referendaria.
Il problema dell'Italia di oggi non è il referendum costituzionale del 4 dicembre prossimo. Il vero problema dell'Italia sono gli italiani. Detto in parole differenti il referendum dovrebbe essere un altro e cioè se “gli italiani vogliono o meno diventare finalmente a pieno titolo cittadini di una nazione vera” oppure se continuare a nascondere la triste verità di essere una pseudo-nazione divisa su tutto e costituita da un’accozzaglia di individui messi insieme per trarre il massimo profitto col minimo di responsabilità.
Solo in Italia esiste una moltitudine di persone che considera la Nazione uno strumento utile ai propri interessi. Solo in Italia questa moltitudine manca totalmente di senso civico e morale e opera in modo tale da piegare a proprio interesse il senso dello stare insieme di un paese. Un altro popolo al loro posto avrebbe potuto far diventare lo Stivale un paese ricco, senza debito e ascoltato nel mondo. In verità il cosiddetto “sistema Italia” ha meticolosamente depredato lo Stato di tutto, procurando alla collettività un debito gigantesco sia sotto il profilo finanziario e, soprattutto, sotto il profilo della sfiducia degli italiani che non si fidano dei propri connazionali e ognuno pensa per sé infischiandosene delle regole. Il solito burlone attribuisce ad Einstein l’aforisma che “il mondo è quel disastro che vedete, non tanto per i guai combinati dai malfattori, ma per l'inerzia dei giusti che se ne accorgono e stanno a guardare”. Scherzando si dice la verità.
La cosa più sgradita però è un’altra: tutti fanno finta che “il debito” non esista, soprattutto i politici che l'hanno procurato sono in testa a questa corsa all’ipocrisia e ad accollare il guaio agli altri. D'altronde c’è un detto storico che dice : “abbiamo fatto l'Italia adesso ci rimane il compito di fare gli italiani”. Ciò dimostra proprio questo vuoto civico e civile che amareggia il paese.
Ebbene, uno dei tanti problemi che affliggono gli italiani è l’essere bugiardi. Dicono sempre bugie. Sfidiamo tutti a ricordare di trovare un solo italiano da loro conosciuto, oltre naturalmente loro che si sentono sempre onesti per grazia divina, che non abbia a che fare con le bugie. Attenzione, bugie al plurale non al singolare. Si perché gli italiani sono sempre recidivi, come i fedeli che si vanno a confessare dal sacerdote e dichiarano che quella è stata sicuramente l’ultima volta che hanno commesso quei peccati. Da domani si cambia, come il fumatore che ha deciso di togliersi il vizio.
Tutti gli italiani mentono. Mente il commerciante quando afferma che nel commercio non esiste il peccato. Mente il bancario quando vende titoli truffa all'ignaro cliente che crede di investire bene i suoi soldi e si ritrova poi con una vera e propria spazzatura bancaria in mano. Mentono i politici quando presentano firme false relative alle liste dei candidati alle elezioni. Mente il vicino di casa del condominio che ristruttura abusivamente l'appartamento nascondendo al Comune l'abuso. Mentono i benzinai che imbrogliano sulla qualità della benzina e truccano l’erogatore del combustibile. Mentono i salumieri che spacciano per vero grana padano un formaggio avvelenato proveniente dalla Cina. Mentono spudoratamente di nuovo i politici quando intervengono nei processi legislativi e dicono una cosa per poi votare una legge al contrario. E mentono i sondaggi degli italiani. Qui mentono sia i sondaggisti che modellano i risultati, sia gli intervistati che non vogliono dire la verità per paura di essere scoperti. Il prossimo referendum a sentire questi soloni è perduto in partenza. E’ da sei mesi che la stampa martella la sconfitta del si e la vittoria del no, mentre secondo noi è possibile che si verifichi qualunque risultato con qualunque percentuale.
La dimestichezza con la bugia caratterizza un popolo di sessanta milioni di cittadini tutti imbroglioni compresi i falsi invalidi, i commercialisti alle prese con le dichiarazioni dei redditi dei propri assistiti, gli avvocati che difendono i loro clienti, ma anche i preti pedofili che ricordano la parola di Gesù a loro modo acciocché si "facciano venire loro anche i bambini". Hanno più dimestichezza gli italiani con l'imbroglio che qualunque altro popolo con la pratica del segreto. Nel Bel Paese la privacy è tanto osannata che le finestre delle case sono protette non solo da vetri col merletto della tendina come nei paesi luterani ma contemporaneamente da tapparelle, persiane, grate e vetri antiproiettili installati non per il solo motivo di coibentazione ma principalmente per aumentare la segretezza degli “affaracci propri”. In Italia il cattolicesimo ha convissuto con l'imbroglio fino al punto di farsi confessare “religiosamente” i peccati e assolvere i fedeli come se i reati comunicati non fossero mai stati commessi secondo il motto “libero Stato in libera Chiesa”: peccato e peccatori sostenuti a vicenda quando conviene.
In questo momento i sondaggi danno il no al 54%. Vedremo la mattina del giorno dopo se questo post è l'ennesima bugia di un italiano che lo ha scritto per mentire.

venerdì 11 novembre 2016

Le ragioni dell’ipocrisia della classe politica mondiale.


Sui media si trovano spiegazioni di politici, giornalisti ma anche di semplici cittadini che hanno analizzato, a nostro parere correttamente, le ragioni della crisi mondiale addebitando alla globalizzazione i motivi di questa crisi. Peccato che i politici siano in questa vicenda degli ipocriti.
É evidente che la globalizzazione è da considerare, per la sua stessa accezione, portatrice di un aumento incredibile degli scambi commerciali mondiali e di migrazioni bibliche. Allo stesso tempo non c’è alcun dubbio che la globalizzazione ha prodotto forti asimmetrie ed energici squilibri a causa delle differenze notevoli del costo del lavoro e dei sistemi di welfare. Tra l’altro è altrettanto vero che i leader politici e le loro politiche non solo non hanno fatto assolutamente nulla per moderare lo sfruttamento e le disuguaglianze delle classi sociali più deboli ma addirittura, come iene, hanno permesso ai loro sistemi finanziari di lucrare guadagni scandalosi.
Dunque, la politica non ha alcun alibi per tirarsi fuori dai disastri sociali commessi alla globalizzazione. Rimane pertanto intatto il progetto delle élites politiche mondiali di razziare le risorse dei paesi del mondo, unico mezzo per mitigare la crisi della globalizzazione. Da questo punto di vista è miope l’idea che non si cerchi di cambiare il fallimento delle politiche finora realizzate e, soprattutto, è clamoroso il fallimento delle istituzioni mondiali della politica (Onu ed UE), del commercio (Fmi), delle agenzie di rating e del sistema bancario internazionale che invece di vigilare e colpire a randellate i monopoli e i santuari finanziari li hanno viceversa agevolati.
Semplicemente vergognoso poi è stato il “ponziopilatismo” di Obama e dei maggiori capi dj governo del mondo che a parole hanno dichiarato di volere democrazia, equità e giustizia e nei fatti invece hanno agevolato il mascalzonismo finanziario internazionale, favorendo i flussi di denaro e di ricchezza della finanza in poche e vergognose mani. Cos'altro aggiungere se non chiamare tutti costoro ipocriti e correi di peccati?

mercoledì 9 novembre 2016

Elezioni americane e prospettive politiche.


In Italia quando qualcosa è indigeribile si dice che sono “cavoli amari”. L’amarezza è sempre associata a qualcosa di sgradevole. Gli statunitensi in questi casi esprimono incredulità, dicendo “oh my God”.
In effetti con l’elezione di Donald Trump a Presidente Usa entra a gamba tesa nello scenario mondiale qualcosa di nuovo e di imprevisto. “È la democrazia bellezza!” Da oggi la politica mondiale non sarà più la stessa. È da vedere però se sarà meglio o peggio di prima perché il bello della democrazia è che chiunque in essa può diventare qualcuno, anche Presidente degli Stati Uniti.
Che succederà adesso? Probabilmente nulla, forse cambierà molto. Non lo sappiamo. Certo nessuno si aspetta che non ci saranno novità. Vedremo se le novità miglioreranno la vita dei cittadini del mondo intero o meno. L’accoppiata brexit-Trump può diventare una tempesta in grado di cambiare gli equilibri e gli scenari della politica europea e mondiale. Ma siamo proprio sicuri che sarà un fatto negativo?
Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel romanzo Il Gattopardo fa dire a Tancredi “cambiare tutto per non cambiare nulla”. Sarà così oppure il contrario? E se addirittura cambiasse in meglio tutto?
Noi facciamo un solo auspicio: se con l’elezione di Trump migliorassero le relazioni internazionali e ci si incamminasse per un mondo più in pace sarebbe già un elemento positivo in grado da solo di dare fiducia al mondo intero. Aspettiamo di saperne di più.

martedì 8 novembre 2016

Elezioni statunitensi pessime.


Il titolo dice tutto. Ci ricorda la massima virgiliana “lucani boni, apuli mali, siculi pessimi”. Alla fine anche i lucani alla luce dei cattivi diventano scarsi. Certo se partiamo dall’ipotesi che alcune volte nella vita è meglio accontentarsi allora tra i due contendenti si sceglie non il migliore ma il minore dei mali. Hillary Clinton è tra questi mali minori ma gli Stati Uniti d’America dovevano e potevano portare in finale due soggetti migliori. Non ci sono mai piaciuti gli spacconi. Abbiamo provato sempre sensazioni sgradevoli quando abbiamo pensato a certi cattivi compagni di scuola che in modo odioso hanno voluto sempre imporci una visione estremista delle cose.
A quel tempo si trattò di volere manifestare la propria superiorità fisica oppure la propria capacità a comandare o a imporre modelli di relazioni inaccettabili. Adesso si tratta mutatis mutandis di imporre strategie politiche e sociali aggressive come lo furono le reiterate imposizioni a spartire la merenda del cestino con i bulletti di scuola, veicola idee favorevoli alla lobby delle armi, incoraggia atteggiamenti razzisti, e tante altre cose simili.
Se noi fossimo un cittadino statunitense voteremmo Clinton, sebbene come già detto siamo dell’idea che la candidata democratica sia a nostro parere inadeguata al ruolo di Capo del governo Usa a causa di una personalità non certo spiccata e consona alla causa.
Ma noi non votiamo e dunque non siamo preoccupati di noi ma dai cittadini americani che potrebbero eleggere, come Berlusconi in Italia tanto per intenderci, un soggetto millantatore e pericoloso. Non riusciamo a comprendere come si possa rischiare di dare i codici nucleari a un soggetto del genere.
Accanto alle spacconate Trump aggiunge una miscela pericolosa di provocazioni e di idee estremistiche che potrebbero portare a una deriva autoritaria grave. Speriamo che perda.

sabato 5 novembre 2016

Un paese sull’orlo di una crisi irreversibile.


USA ovvero United States of America. Da sempre un simbolo di libertà e di democrazia. Un simbolo e un potente stimolo di possibilità dati a tutti i cittadini di qualunque tipologia di questo grande paese per realizzare se stessi in modo completo, anche sul piano economico. Anche, non solamente come purtroppo è diventato oggi.
Decenni fa gli States erano considerati un modello non solo economico per tutto il pianeta. Oggi non è più così e probabilmente non lo sarà in futuro. Lo Stato più influente del mondo che salvò l’Europa dal nazismo, che fu il salvatore della guerra fredda con l’Urss, che permise la rinascita di istituzioni come l’Onu, che permise a un uomo di colore di diventare Presidente Usa per due mandati consecutivi ormai è su una china inarrestabile di crisi generale.
Lo strumento che ha permesso di chiarire questa svolta sono le imminenti elezioni politiche statunitensi. Durante la campagna elettorale si sta assistendo allo sgretolamento sistematico dell’immagine degli Usa ben più di quanto possa essere stato lecito pensarlo e soprattutto ben al di là di quanto possa essere definito “fisiologico”.
L’entrata in scena a gamba tesa di Donald Trump ha scoperchiato questo gigantesco pentolone in cui ribollono stati d’animo che di positivo non hanno nulla. Scandali, finanza ai limiti dell’inaccettabile, salvezza delle banche e condanna degli uomini, la riproposizione di atteggiamenti razzisti nei confronti dei poveri di colore, la caccia ai terroristi islamici, la contrapposizione politica tra i due candidati alla carica di Presidente e tanto altro hanno ormai convinto il mondo intero che gli Usa non sono più il faro della democrazia mondiale.
"C’è del marcio in Danimarca" avrebbe detto il nostro Totò. E il marcio sta uscendo fuori nei dibattiti e nelle contrapposizioni della campagna elettorale. Intendiamoci lo è anche in Italia per il referendum costituzionale. I due paesi durante questa campagna elettorale stanno dando il peggio di sé.
La campagna politica di Trump è tutta una corsa sorprendente di dichiarazioni che fanno emergere sempre di più i mali della società statunitense che finora, per diversi motivi, erano rimasti nascosti. La stessa dichiarazione del candidato repubblicano che se perderà non riconoscerà la vittoria della sua avversaria la dice lunga sulla crisi ormai strutturale del paese.
Nella politica estera ci sono tutti i motivi di questa crisi. Dalla contrapposizione con la Russia di Putin, dagli errori della gestione della politica mediorientale, dalla cecità di aver permesso l’espandersi del terrorismo islamico del Daesh nei paesi dell’area siro-irachena emerge una costante che è l’aumento incontrollato di errori di gestione della politica mondiale degli Usa. Se aggiungiamo i fattori endogeni interni il risultato è una perdita di credibilità gigantesca nel riconoscimento dello status di primo della classe che non c’è più.
La crisi economica e finanziaria di tutti i paesi cosiddetti ricchi e la imponente incapacità di gestire le politiche migratorie hanno determinato un allargamento della forbice tra le classi sociali tra ricchi e poveri. Il problema è tristemente noto in Italia ma dagli Usa non ci aspettavamo una così forte sottovalutazione.

mercoledì 19 ottobre 2016

L’Unesco e la risoluzione del litigio israelo-palestinese.


Il titolo di questo post è chiaro: ci sono due paesi che tengono in ostaggio la politica estera internazionale. Questi due paesi sono Israele e la Palestina. Puntualmente, ogni volta che decidono di litigare scelgono un tema, si buttano a capofitto infischiandosene delle conseguenze e ci riescono benissimo. L’ultima è di ieri. L’Unesco ha preso la decisione di definire patrimonio culturale una certa zona storico-religiosa di Gerusalemme Est senza citarla nella lingua ebraica. Tutto qui. Leggendo i giornali si trovano due interpretazioni talmente differenti da rimanere sbigottiti. Noi non vogliamo entrare in una diatriba che è funzionale alla polemica esistente in entrambi i paesi. Punto. Nessuno può impedire la nostra libertà e quella di tutti i cittadini del mondo a rifiutarsi di essere impelagati in un conflitto che entrambi i contendenti, in modo disonesto, non vogliono affrontare e risolvere. A nostro giudizio sta tutto qui il problema: questi due paesi tengono in ostaggio l’intero pianeta costringendo tutti i paesi a schierarsi da una parte o dall’altra. Nel mentre è corretto chiedere “chi è contro chi” è totalmente scorretto chiedere la stessa cosa quando entrambi hanno deciso di non fare intenzionalmente la pace. E ciò è confermato dalle dichiarazioni di ieri che lo fanno capire senza ombra di dubbio. La risoluzione è “anti-Israele” dice l’uno. No risponde l’altro: è una dichiarazione “pro-Palestina”. E così prendono in giro non solo tutti i cittadini del mondo ma anche la loro intelligenza perché non si rendono conto che la loro guerra è un insulto alla Pace e alla ragione umana. Le loro dichiarazioni sono piene di bugie perché entrambi alterano la verità: essi non vogliono la pace perché non hanno fiducia in se stessi e negli altri. Questa è la tremenda e agghiacciante verità che emerge osservando i loro comportamenti. Volete un esempio di questa amara verità? Basterebbe indire un referendum consultivo in entrambi i paesi con la domanda: volete che tra Israele e Palestina “scoppi” la pace? Ebbene siamo dell’opinione che la stragrande maggioranza direbbe no. Assolutamente no! Le sistematiche liti da cortile sono inaccettabili al mondo in quanto rendono l’Onu e l’Unesco che è una sua emanazione ostaggio della loro mentalità di persone inadeguate e litigiose. Portano poi ricadute negative perché coinvolgono come è avvenuto tragicamente in passato anche le vite di ostaggi che non hanno colpe e diventano vittime inermi e innocenti della loro collera. In poche parole sono stolti che credono di avere ragione. E dire che sarebbe facilissimo risolvere tutti i loro problemi in maniera rapida e indolore. Basterebbe un po’ di fiducia, un pizzico di generosità e una robusta dose di disponibilità per perseguire - con una attività educativa entusiasmante in grado di renderli amici oltrechè concittadini di uno stesso grande paese, entusiasti di vivere insieme in modo pacifico e gioioso – la pace, quella vera non quella fasulla alla quale attualmente si appellano. Invece per colpa di questo conflitto e dei testardi e inaffidabili politici di entrambi i due paesi che li dirigono, il mondo ha subito, subisce e purtroppo subirà ancora in futuro altre conseguenze nefaste. Lo diciamo con preoccupazione ma anche a chiare lettere: i due contendenti sono responsabili al 50% delle loro liti e e delle loro guerre. Nessuno dei due ha il 100% di ragioni [vedi precedente post]. È una vergogna che non esista un Ente internazionale che li colpisse duramente con delle dure sanzioni per questa squallida vicenda di tenere in ostaggio il mondo intero e di umiliare la ragione umana.

venerdì 7 ottobre 2016

Chiarezza sul Referendum, please.


Non ci sbilanciamo troppo ma pensiamo che alla prossima consultazione referendaria sulla riforma costituzionale vincerà il si. Possiamo sbagliare ma è un nostro convincimento basato sul fatto che gli italiani non dicono la verità, soprattutto quando davanti a un sondaggista devono sbilanciarsi su come la pensano. Il Referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre 2016 obbliga chiunque, interpellato a dire la sua, a schierarsi: si o no. Non è ammesso alcun ni. L’obbligo a chiarire di quale idea si è dà tremendamente fastidio all’italiano medio.
Non stiamo parlando qui della pattuglia rumoreggiante di italiani, sia dalla parte del no sia dalla parte del si, che cerca lo scontro. No, qui stiamo parlando della cosiddetta “maggioranza silenziosa”, cioè della enorme fetta della popolazione che non appare sui media, che esiste ma non si nota, che non vuole apparire perché pensa che per cautelarsi sia necessario non solo nascondere il proprio pensiero ma addirittura barare.
Ricordate i famosi sondaggi che alle europee davano Renzi al 31% quando poi stravinse col 41%? Eppure tutti i sondaggi avevano previsto una forchetta di oscillazione di due punti percentuali, cioè (31±2) cioè da un minimo del 29% a un massimo del 33%? Una vera disfatta dei sondaggisti di tutti gli orientamenti. Non si salvò nessuno. Alla fine diedero la colpa a questa fetta degli italiani. E a nostro giudizio non hanno avuto torto. Perché?
Perché la maggioranza degli italiani sono come i fedeli che vanno in chiesa ogni domenica ma seguono poco il Vangelo. Ligi a tutto, seduti sempre allo stesso banco, fedeli come i Carabinieri fanno finta di essere attenti ma in cuor loro pensano a come fare il migliore investimento finanziario per guadagnare di più, oppure a come trovare elusioni e vantaggi scaricando i costi sulla collettività per trarre guadagni più o meno illeciti, a come fare lobby per trarre vantaggi, etc.
Attenzione gli italiani ipocriti non sono solo i cattolici. Sono trasversali. Ricordano la vecchia Democrazia Cristiana che si definiva un partito interclassista. Dunque, italiani comunisti, libertari, progressisti, modernisti ma anche conservatori, tradizionalisti, moderati e conformisti, tutti ipocriti e volti a nascondere le proprie idee nel nome di una privacy che interessa loro per convenienza non certo perché spiriti liberi. Sconoscono l’etica e non si sono mai posti alcuna domanda sull’importanza degli aspetti valoriali della vita.
In conclusione l’idea che ci siamo fatti finora è che il si vincerà con ragionevole sicurezza nonostante tutta l’opposizione sia concorde nel non riconoscere a Renzi alcunché di valido. E che si ritorni al ping pong o che non si sopprima l’inutile Cnel oppure che si lasci inalterato il litigio fra Regioni e Stato centrale (gli altri due motivi sono inefficaci e superflui) a costoro non interessa nulla. In effetti i Brunetta, i Salvini, i Grillo, quelli di SeL/SI e il compatto gruppetto della minoranza Pd hanno ragione di protestare per la formulazione del titolo sulla scheda.
Infatti avrebbero voluto un titolo più chiaro, più sintetico, meno parziale e più comprensibile. Il titolo a loro parere avrebbe dovuto essere il seguente: “Volete che il Presidente del Consiglio, Capo di un governo non votato dai cittadini e illegittimo, sia mandato a casa”?
Ecco come stanno le cose. Purtroppo. Te capì?

mercoledì 5 ottobre 2016

Il primato dei peggiori primati.


In Siria è in atto una delle campagne belliche più spietate e mai viste di macelleria umana di tutta la storia nell'indifferenza mondiale. Su Aleppo stanno piovendo bombe come se fossero confetti sugli sposi in un matrimonio.
I Grandi della Terra, cioè i peggiori individui pieni di sfrenata ambizione che dicono di fare politica per il bene comune delle loro nazioni, sono in prima fila in questa mattanza. Per inettitudine o per bramosia di potere si stanno macchiando di crimini planetari.
Chi sono costoro? Sono i cosiddetti Capi di governo delle nazioni più “evolute”, a cominciare da USA e Russia, passando per Francia e Gran Bretagna, fino ad arrivare al massimo della follia delinquenziale personificata da tutti i gruppi armati islamisti e musulmani sciiti e sunniti nonché ribelli siriani, Daesh in primis.
Ebbene noi non ci stiamo a far finta di nulla. Siamo arciconvinti che si tratta di personaggi miseri, spregiudicati e criminali che direttamente o indirettamente stanno massacrando inermi e civili, bambini e anziani, ospedali e scuole per puro spirito di potere. Hanno abbandonato qualunque legge e regola internazionale usando addirittura gas chimici e bombe incendiarie sulle abitazioni civili. Che vergogna!
Che un giorno si sappia che costoro con nome e cognome sono stati gli assassini di povere vittime siriane. Il piccolo Aylan è una di queste.

domenica 2 ottobre 2016

Le ragioni dell'uno e i torti dell’altro possono essere discussi con soddisfazione da entrambi.


L’eterno contrasto di idee tra gli uomini è da considerare una tragedia o piuttosto un patrimonio di valore? E’ questa, alla fine della maratona televisiva proposta dal direttore de La7 Mentana, la domanda che mi sono posto con legittima ragione a mezzanotte di ieri l’altro, dopo quattro ore di dibattito. Anticipo la risposta: il contrasto delle idee è da considerare un valore.
Mi rendo conto che la mia idea potrebbe essere intesa in senso contrario come disvaloriale e sciagurata piuttosto che di valore, con la sbrigativa motivazione che “chi non la pensa come me sbaglia”. A mente fredda però le cose stanno in modo diverso da come la possa pensare un soggetto che dà giudizi immediati di convincimenti affrettati e superficiali.
Vediamo brevemente di chiarire perché e soprattutto cerchiamo di capire per quale ragione non si può ridurre il giudizio con il classico paradigma calcistico del 2-0 o al massimo di un 2-1.
Prima di tutto, se proprio dobbiamo individuare un vincitore quello è stato l’arbitro dell’incontro Enrico Mentana. Lui è sicuramente il vero vincitore perché è riuscito nell’impossibile. E’ riuscito a far confrontare per ben quattro ore i due principali attori della campagna referendaria sul no e il si alla riforma costituzionale senza imporre veti oppure orientamenti. Mentana è riuscito a proporre ai cittadini un programma di vera informazione e di cultura.
Un inciso prima di iniziare: perché non alla Rai ma alla tv La7 che è una televisione privata? Forse sarebbe il caso che Presidente e Amministratore Delegato della Rai si nascondessero per il clamorosa disastro della loro penosa gestione della televisione di Stato.
Dico subito che dal loro punto di vista i due partecipanti hanno vinto entrambi. Indipendentemente dalle risposte più o meno veritiere che hanno dato su fatti parziali, un giudizio non può non essere proposto se non globalmente. Non si può spacchettare il dibattito in dieci-venti parti e dare un giudizio finale come somma di 10-20 giudizi parziali da sommare in modo aritmetico o peggio algebrico.
Io ho visto due vincitori e nessun perdente. Capisco che saremo una infima parte a proporre un simile risultato ma la penso così e lo spiegherò tra poco. Ho visto due vincitori e nessun perdente perché il dibattito, spesso tra sordi, è stato effettuato tra due mondi agli antipodi ed è riuscito nonostante tutto a far arrivare al telespettatore un messaggio pedagogico importante, e cioè che il confronto delle idee anche se abissale può permettere di arricchire chi lo segue se opportunamente condotto. I due mondi portati allo scontro dialettico tra loro sono quello politico e quello tecnico. Ma proprio per questa incomunicabilità il risultato è stato eccellente e paradossalmente vincente per entrambi. In poche parole, la discussione ha permesso al telespettatore di conoscere finalmente i veri motivi dell’altro, nella sua più intima e stringente valenza culturale.
Devo dire che se prima del confronto ero portato a considerare con certezza che una delle due tesi avesse tutte le ragioni per ottenere il mio sostegno adesso dopo la trasmissione non ne sono più sicuro, segno che il senso del dubbio si è insinuato improvvisamente come quando una mattina ci si sveglia col raffreddore senza poterlo allontanare immediatamente. Attenzione. Questa tesi riguarda entrambi i contendenti.
Se fossi renziano dopo la trasmissione non vedrei più Renzi come il possessore della verità del si. Alla stessa maniera se fossi zagrebelskiano alla fine del dibattito non vedrei più il costituzionalista come il vero detentore della verità. Insomma sono diventato dubbioso. Non è una brutta cosa ma è un fatto che sicuramente giova secondo la prospettiva di una maggiore riflessione su fatti così importanti del vivere sociale di un cittadino. Ecco alcuni motivi dei miei dubbi.
Un governo che duri 5 anni è innaturale e antidemocratico o è necessario e auspicabile per la governabilità del paese? E’ tirannico e oligarca un paese in cui l’opposizione fa ostruzionismo con milioni di emendamenti su disegni di legge che vogliono dare più diritti ai cittadini o è democratico e libero un paese in cui una minoranza non deve avere la maggioranza schiacciante con la quale si prende “cocuzze e cocuzzaro”? E’ uscito vincente Renzi per la sua velocità e sicurezza delle risposte o è uscito vincente Zagrebelsky per la sua analisi razionale equilibrata e competente? Le vere risposte risolutive dei dubbi sono state quelle che hanno confuso pacatezza e signorilità come elementi di debolezza oppure sono stati quelli che hanno confuso pacatezza e signorilità come elementi di forza? Ha vinto la tartaruga che propone una dotta lezione costituzionale, giuridica e di sintassi del testo del referendum oppure ha vinto la soddisfacente proposta di evitare di rimandare all’infinito le soluzioni della politica in maniera da evitare la palude dove i tempi biblici del potere legislativo sono imposti da cattive lobbies? Ha vinto Renzi il politico che batte il costituzionalista oppure ha vinto Zagrebelsky che ha battuto il politico? Ha vinto colui che ha mostrato più sensibilità e preoccupazione per la caduta del senso giuridico della Costituzione modificata in peggio o colui che si è preoccupato di dare una prospettiva politica più efficace e stabile all’azione di governo? Possono due mondi così differenti e così diversi di linguaggio e sintassi sullo stesso tema adoperare due approcci differenti spiazzanti o è meglio lanciare una monetina in aria e far vincere la tesi di uno dei due? E’ accettabile che ognuno dei due imposti un dibattito in cui vuole costringere l’altro a parlare sul proprio terreno con le proprie categorie e i propri paradigmi?
Queste sono alcune domande che mi sono posto alla fine del dibattito. C’è da rimanere dubbiosi ma soddisfatti di un dibattito incalzante, ricco di spunti politici e giurisprudenziali che ha appassionato.
A mio giudizio è sembrato un dibattito civile e necessario da portare come modello quello che due visioni opposte della società si siano confrontati civilmente proponendo un raffronto sebbene difficile e complesso ma pedagogico e didattico di come ci si dovrebbe confrontare tra persone civili con toni, maniere e soprattutto con argomentazioni in cui sono banditi volgarità e arroganza.
Grazie a Mentana che ha sacrificato il proprio Io come conduttore per evitare appesantimenti e stravolgimenti di senso nella discussione. Nulla è più fastidioso che interrompere l’intervento di un oratore costringendolo a lasciare a metà la sua analisi per rispondere a domande improprie. «Il vero dialogo» disse Zygmunt Bauman «non è parlare con gente che la pensa come te». Evidentemente, dopo questo dibattito, votare no perchè Renzi è antipatico o perchè è del Pd mi fa vergognare. Te capì?

domenica 25 settembre 2016

"Occhio per occhio, dente per dente" nella lotta al lavoro.


In Svizzera il Canton Ticino ha votato il referendum "Prima i nostri", proposta dal partito populista di destra Udc con il 58% dei voti. I cittadini elvetici hanno chiesto e ottenuto che si pongano limiti contro i 60000 lavoratori frontalieri tra i quali la maggioranza è proprio italiana. “Il lavoro prima a noi” è stato lo slogan della campagna referendaria. Adesso ci sarà la contromossa italiana.
"Occhio per occhio dente per dente" sarà la giusta risposta alla decisione svizzera di limitare il lavoro agli italiani. Il Governo Renzi sta passando alle contromisure che si prevedono essere dure e franche. Il progetto sarà quello di far dichiarare la guerra al Canton Ticino dalla Lombardia, che in tema di leghe se ne intende a cominciare dal fatto che anche noi abbiamo una Lega non ticinese ma lombarda.
In poche parole, il Governatore della Regione Lombardia Maroni, farà fare lo stesso referendum a insaputa di Renzi che non interverrà a livello di governo centrale e farà finta di niente (come sempre) perchè distratto dal suo referendum sulla riforma costituzionale.
A referendum vinto i lavoratori svizzeri si vedranno costretti a rimpatriare dalla Lombardia in Canton Ticino perchè al loro posto verranno, per decisione di mafia e 'ndrangheta, i lavoratori siciliani e calabresi che li sostituiranno. La proposta "Prima i Nostri", questa volta con la enne maiuscola, permetterà di beneficiare di ben 6 posti liberi al posto degli analoghi transfrontalieri svizzeri che saranno costretti a lasciare il lavoro a Milano. Ben detto e ben fatto! Così il mondo intero prenderà atto come le cose cambieranno se a decidere sarà la Lega di Salvini. Te capì?

sabato 3 settembre 2016

Scenari M5S non impossibili ma probabili.


La Giunta Raggi al Comune di Roma sta preoccupando molti. Noi siamo tra quelli. Fantasticando sulle possibili conseguenze del corto circuito politico-amministrativo municipale romano abbiamo immaginato il seguito politico nazionale.
Anno 2018. Dopo la bocciatura della Riforma costituzionale voluta da Renzi l’esecutivo, per volere del Presidente della Repubblica, non si è dimesso e con un nuovo voto di fiducia alle Camere ha transitato il Paese alle elezioni nazionali con le proteste di Brunetta.
Dunque si è votato. Dopo una campagna elettorale tiratissima con polemiche al veleno tra Pd e M5S, dalle elezioni è uscito un verdetto favorevole al M5S perché ha conseguito la maggioranza assoluta in entrambe le Camere, sebbene al Senato la maggioranza sia risicata: appena un voto in più dell’intera opposizione. Felicità dei grillini e orecchie tese degli investitori stranieri stanno caratterizzando questa fase della politica italiana.
Dopo due mesi dal voto però il nuovo Presidente del Consiglio incaricato Di Maio non ha ancora potuto portare il nuovo governo in Parlamento per la fiducia perché i suoi propositi sono in contrasto con il Direttorio nazionale formato da quattro Saggi: Grillo, Casaleggio jr, Di Battista e Fico. I quattro contestano al Presidente incaricato la lista dei ministri. Già siamo alla nona modifica dopo che l’ottava proposta di Di Maio al direttorio ha ricevuto il no con conseguenti dimissioni di cinque ministri incaricati.
Le cose si stanno mettendo male per due motivi principali. Il primo è che lo spread ha raggiunto quota 500 e la tendenza è quella del fuggi fuggi gnerale dei capitali stranieri dall’Italia.
Il secondo è che i motivi di litigio sono tali che il direttorio è spaccato a metà: da una parte Grillo e Di Battista e dall’altra Casaleggio e Fico. Non essendoci una maggioranza nel Direttorio si continua a litigare, soprattutto per lo stipendio dei ministri di 19999 euro lordi, che è ritenuto troppo basso e uguale a quello di un ausiliario al catasto di Genova. Gli uscieri del Parlamento hanno dichiarato uno sciopero a oltranza perché si rifiutano di accettare la proposta di uno stipendio da bidello della scuola Elementare di Voghera di 14444 euro lordi.
Intanto gli spagnoli alla sesta elezione hanno votato ancora una volta senza trovare una maggioranza valida. Lo spread della Spagna tuttavia è diminuito fino a raggiungere quota 1, a ridosso di quello tedesco e il Pil spagnolo viaggia su valori cinesi del 9%. Il 90% dei turisti americani, asiatici e del nord Europa fanno le vacanze in Spagna.
Il Presidente della Repubblica Mattarella ha emesso in questi ultimi giorni un comunicato con il quale fa appello alle forze politiche di suggerire al M5S alcuni nomi per i ministri dimissionari ma il movimento grillino si è rifiutato di ascoltare suggerimenti e consigli, forte della maggioranza al Parlamento e dichiarando che le difficoltà incontrate sono frutto dei Poteri forti che ostacolano il cambiamento. La ricerca di sostituti continua al grido : "onestà, onestà". Intanto l’Autorità anticorruzione di Cantone ha informato il Presidente del Consiglio incaricato che è da rivedere al ribasso il prezzo del caffè alla bouvette di Montecitorio che ha raggiunto i 55 centesimi, prezzo troppo costoso e mai visto in 70 anni di vita della Repubblica.
Al Parlamento europeo il capogruppo del Pd Pittella afferma che in Italia non c'è da preoccuparsi perchè Renzi farà una proposta di modifica dell'Italicum per raggiungere la coesione del partito con la sinistra di Bersani.
Da notizie ufficiose si viene a sapere che molto probabilmente Grillo si dimetterà dal Direttorio e al suo posto verrà nominato Dario Fo che ha dichiarato che non accetterà la proposta finchè non avrà ultimato la sua nuova commedia dal titolo “Chiarezza seria”. Travaglio è irritato con il M5S perchè lui si sarebbe aspettato che il prezzo della tazzina di caffè a Montecitorio non avrebbe dovuto essere superiore a 44 centesimi di euro. Si rimane in attesa di un miracolo.

venerdì 26 agosto 2016

Incapacità del “Sistema Italia” a produrre cultura come ponte fra Italia e Paesi del Nord Africa.


Com’è noto in Italia la lingua araba non ha mai avuto quell’interesse che invece è esistito con copioso successo in Francia, in Inghilterra, in Russia, in Germania e in Spagna. In poche parole se non fosse stato per uno sparuto gruppetto di arabisti italiani, tra i quali spicca nitido il nome di Laura Veccia Vaglieri, si potrebbe benissimo affermare che la lingua araba in Italia è stata ed è una perfetta sconosciuta. D’altronde un detto italiano è quello che di una persona che non si capisce cosa dica suona pressappoco così: “che parli arabo”?
L’aspetto più interessante, tuttavia, è il contrario. Nei paesi arabi alcune lingue come il francese e inglese sono talmente conosciute che in alcuni casi si verifica il paradosso che esse hanno sostituito la lingua madre. In Marocco e in Tunisia come anche in tanti altri paesi arabi questo stato di cose è ormai appurato. Lo spagnolo e il tedesco un po’ meno e comunque in forme più o meno adeguate. Per quanto riguarda l’Italia invece stiamo messi molto male perché l’interesse per l’italiano, dopo la caduta del colonialismo e con la nascita della Repubblica, è stato sempre debole ed è attualmente inesistente, nonostante molte università abbiano dipartimenti per la lingua araba e dispongano di finanziamenti.
E delle opere scritte da italiani in Italia e tradotte in arabo come va? Neanche qui va meglio. In teoria dovrebbe andare in modo migliore, in pratica si nota un vuoto linguistico che impedisce qualunque respiro letterario italiano nei paesi arabi. Parlare delle ragioni ci porterebbe lontano. Piuttosto diciamo che qualche indagine è stata fatta, non da italiani ma da arabi, in genere docenti di arabo in qualche università italiana. Dai pochi elementi conosciuti di questi studi è emerso che sono state tradotte in forme variegate di “minimo di adeguatezza linguistica” circa 200 opere letterarie. Sono molte? A noi sembra di no. Il perché è da ricercare nel fatto che di queste 200 opere circa un centinaio sono inadeguate per diversi motivi quali la non brillantezza della traduzione, la preferenza bizzarra e di difficile comprensione della scelta degli autori tradotti, la distribuzione carente nelle librerie delle città arabe, la mancanza di canali pubblicitari come Premi e Saloni riguardanti esplicitamente questo canale, per non parlare del fatto che la ricerca linguistica araba essendo iperdominata dai due colossi linguistici di Francia e Inghilterra relegano ed emarginano le traduzioni italiane, cosicché le nostre opere di italica bellezza sono come le belle statuine ridotte a rango di copie di qualità inferiore.
A chi dobbiamo, nonostante tutto, il piacere di avere fatto conoscere almeno un minimo accettabile il filone letterario italiano nei paesi arabi? Non certo a centinaia di traduttori. Si tratta di poche unità ai quali il Bel Paese dovrebbe mostrare gratitudine e riconoscenza. E invece nulla di tutto ciò. La letteratura italiana è purtroppo ai margini della cultura araba e come tale non credo che potrà cambiare molto nel futuro, a causa di una forma di inadeguatezza della politica estera culturale italiana.
Tutti i governi italiani di questi ultimi decenni non hanno fatto assolutamente nulla per permettere a studenti arabi di conoscere la nostra identità letteraria e pochissimo hanno fatto per gli studenti italiani, peccando di una atavica avarizia e penalizzando il rapporto diretto con il sistema scolastico arabo. Si tratta del solito andazzo superficiale ed effimero tipico dei mediocri politici italiani che non hanno contezza nemmeno dell’idea che l’Italia si trovi al centro del Mediterraneo dal quale si ha a due passi una fascia di paesi arabi che va dall’Oceano Atlantico a partire dalla Mauritania e dal Marocco fino all’Egitto escluso, passando dall’Algeria, dalla Tunisia e dalla Libia.
Una serie considerevole di errori di sottovalutazione dei governi e delle istituzioni hanno portato l’italiano ad essere emarginato nella realtà letteraria e culturale araba. Dobbiamo a due libici e a un giordano se tra quelle 200 opere letterarie circa esiste una specificità culturale che è possibile leggere nella lingua coranica. Chi sono stati questi signori da onorare? Presto detto: Khalifa Muhammad al-Tillisi e Hassan Osman della Libia e Issa al-Naouri della Giordania. Poco. Molto poco. Se si pensa che la Lega Araba (una specie di Unione Europea) conta 22 membri capirete subito che è troppo poco il fatto che due soli paesi abbaino espresso interesse per la traduzione. E poi di queste 200 opere ad essere veramente letti sono pochissimi autori del panorama letterario italiano: Pirandello, Verga, Calvino, Moravia, Eco, Pavese, Vittorini e qualcun altro. Nulla che possa eguagliare francesi e inglesi e anche tedeschi e spagnoli che spadroneggiano in qualità e quantità con i loro autori nelle librerie arabe.
Per colorire un po’ questo scritto ci viene da pensare che il sistema italiano spreca denaro della collettività nei trattamenti pensionistici di ex dirigenti andati in pensione, i quali con furbi accorgimenti da Azzeccagarbugli fra le pieghe della normativa esistente sono riusciti a trovare cavilli giuridici che hanno fatto loro percepire da decenni enormi risorse prelevati dai bilanci pubblici dell’Inps. Il danno è duplice: da una parte si tolgono risorse al paese e dall’altro non si possono finanziare attività linguistiche e progetti reciproci tra Italia e paesi arabi. Come vogliamo chiamare questi politici che accettano la politica del “fatto compiuto”? Capaci? Intelligenti? Brillanti? Fate voi.
Ci permettiamo per concludere facendo la scelta di un solo nome tra i tre traduttori arabi in grado di riassumere notevoli doti di umanità e grande cultura dello stesso. Si tratta del libico Khalifa Muhammad al-Tillisi uno dei più grandi scrittori, poeti e uomini di cultura della Libia moderna. In particolare fino a qualche anno fa il suo vocabolario italiano-arabo fu una delle opere di divulgazione più importanti fra le due lingue. Questo Signore fu uno dei pochi uomini che cercò sempre di salvaguardare il bene comune della letteratura dei due paesi: da una parte come protagonista di opere prime in arabo e dall’altra come ottimo traduttore dall’italiano all’arabo. Ai nostri governanti, ai nostri primi ministri, ai ministri della P.I. e ai più o meno magnifici Rettori delle nostre università vorremmo dire con chiarezza che a nostro giudizio essi non sono stati all’altezza del compito. Piuttosto, dovrebbero vergognarsi per la loro cecità e inerzia in un campo così delicato e importante come quello delle lingue e pertanto della comunicazione in una zona geografica strategica qual è quella del Mediterraneo.

sabato 13 agosto 2016

Atleta italiana sventola la bandiera dell’UE in sede di premiazione olimpica.


Si fa un gran parlare del gesto di Elisa Di Francisca alle Olimpiadi di Rio de Janeiro, dove la schermitrice marchigiana durante la premiazione come medaglia di argento invece di sventolare la bandiera italiana del suo paese ha sventolato quella dell’Unione Europea con le 12 stelle su sfondo blu. La stampa ha colto subito il gesto e a seconda del pensiero politico che esprimono i rispettivi editori ha lodato o disapprovato il gesto. Premesso che il gesto della schermitrice italiana è stato finora unico nel panorama della storia delle olimpiadi sembra opportuno spendere qualche parola per dire la nostra su questa faccenda. Noi abbiamo provato gioia per il gesto. Siamo dell’avviso che l’atleta italiana è stata coraggiosa.
Il fatto che mai si era verificato un episodio del genere qualcosa deve significare. Ebbene consideriamo l’atto come un gesto di amore non tanto verso l’UE quanto verso gli ideali di unificazione del continente e di solidarietà con tutti i giovani d’Europa. Non sappiamo quanto sarà necessario aspettare ancora affinché il gesto venga ripetuto. Siamo convinti che qualcun altro la farà. Non sappiamo quando, non sappiamo da parte di chi. Sappiamo solo che siamo ottimisti e che sarà un’altra persona coraggiosa che lo ripeterà come esempio e modello di atleta coraggioso/a di alto valore storico e politico.
Ci rifiutiamo di fare polemiche sterili sia con coloro che si dichiarano anti EU e anti euro, sia con coloro che credono in un nazionalismo sfrenato, sregolato ed esagerato. Non è il caso di dare patenti di validità a piccoli estremisti di destra e di sinistra che vagheggiano di italianità e solo di questa in una visione piccolo borghese di neofascismo conservatore e illiberale.
Rimane il fatto che il gesto della brava schermitrice è un piccolo passo che diventerà un grande cammino in futuro per gli europei. Noi siamo ottimisti a pensare che in fondo in fondo si è trattato di ricordare a tutti che l'Europa è il sogno e la realtà delle generazioni del dopo guerra e il futuro per i nostri giovani. Noi italiani dobbiamo solo ringraziare sia la De Francisci sia l’Unione Europea per la loro esistenza che ci hanno salvati la prima da una premiazione incolore e cinerea e la seconda da un possibile disastro economico. Il resto è noia.

martedì 2 agosto 2016

Inviti interconfessionali: rifiuti e responsabilità.


Sull’invito dei cattolici ai musulmani di venire nelle loro chiese come occasione di solidarietà dopo l’ultimo avvenimento tragico terroristico dell’uccisione di padre Jaques Hamel a Nizza avremmo molte cose da dire. Tra le tante scegliamo quella più sgradevole: la denuncia che tutti sono corresponsabili moralmente dell’omicidio.
L’accusa è fondata ed è basata sul fatto che politici, religiosi di tutte le fedi, atei e sconsiderati opinionisti del più e del meno si sono cimentati in tutti questi anni nella “politica dell’indifferenza” o, peggio, nella “politica del rifiuto”. Nonostante il fenomeno della globalizzazione lo avesse fatto intendere e prevedere a tutti, sebbene i fenomeni delle migrazioni bibliche lo avessero certificato e malgrado la presenza di decine di milioni di immigrati nell’UE lo avessero confermato nessuno ha voluto prendere l’iniziativa per evitare la didattica della mattanza dei terroristi islamici. A cominciare dall’afatico ONU, a seguire con la insipida Commissione Europea, e a concludere con i mediocri Capi di governo cosiddetti più potenti del mondo (G7,G20) tutti Pilati irragionevoli. Più volte su questo blog lo abbiamo gridato non ultimo qui in ricordo di Aylan il bambino siriano trovato morto annegato sulla spiaggia turca, ma nessuno ha mai agito con incisività.
Se esistesse un Tribunale Supremo mondiale tutti costoro dovrebbero essere processati per complicità. Un solo esempio per tutti. Come si può ridurre la diffidenza di milioni di musulmani che vivono nelle occidentali e laiche città europee se ogni occasione è stata buona per ghettizzarli ed emarginarli impedendo loro di farli “abbeverare” alla cultura occidentale, iniziandoli ai confronti e alla critica se non li si è mai invitati?
Adesso si scopre che è possibile l’incontro delle fedi cristiana e musulmana per scopi di fratellanza. Perché non lo si è fatto prima? Mercoledì 6 agosto 2003, ben 13 anni fa, su questo blog abbiamo pubblicato un post dal titolo Un autentico incontro religioso in cui abbiamo affrontato il tema dell’incontro tra scienza e fede. Pubblichiamo di seguito metà del post originale che si trova a questo link su questo blog.

Limitiamo la nostra riflessione alla sola religione e poniamoci una semplice domanda: perchè le grandi religioni monoteiste (per esempio quella cristiana e quella musulmana) non riescono a incontrarsi neanche sul loro terreno comune che è la fede? Io credo che sarebbe estremamente positivo proporre un incontro reciproco di preghiera sul terreno della religiosità. Come? Semplice. Permettendo, rispettivamente, una volta all'una e un'altra volta all'altra, di ospitare in un proprio luogo istituzionale una funzione religiosa. In altre parole, permettendo alla religione musulmana di svolgere, in una chiesa cattolica, un raduno di fede musulmana e alla religione cattolica di svolgere, in una moschea, una messa. Sarebbe bellissimo vedere una cosa del genere. Sarebbe straordinario vedere una chiesa cattolica, di Venerdi', senza banchi, senza immagini e con i tappeti sul pavimento, mentre in una moschea, di Domenica, un crocefisso con la croce e i fedeli che pregano. Penso che in un solo colpo verrebbero eliminati secoli di incomprensioni e di incomunicabilità.

Ieri in molte chiese francesi e italiane alcune migliaia di musulmani hanno partecipato da ospiti alla messa domenicale. Perché non lo si è fatto prima? Noi lo avevamo previsto che questa è l’unica modalità per spogliarsi della diffidenza e per far nascere un seme di speranza per una nuova religiosità che sia patrimonio di tutte le fedi. Capiamo che i tempi non erano maturi ma le grandi figure religiose e politiche dov’erano 13 anni fa mentre noi proponevamo l’incontro tra le due religioni di Gesù e di Muhammad? Possiamo capire che quella cattolica italiana era al tempo impegnata a realizzare la visione berlusconiana del potere e quella laica andava a braccetto con i senza se e senza ma ma i politici, tutti i politici del tempo dov’erano? E’ un miracolo se con l’intera mediocre classe politica l’Italia ancora non sia affondata nel più oscuro e profondo pozzo dell'indifferenza spirituale.

giovedì 28 luglio 2016

Brexit oggi. In futuro non si sa. Potrebbe esserci una Brentrance.


Più volte sono stato tentato di scrivere qualcosa circa l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Tanta è stata la mia delusione a questo sgradevole passo del Regno Unito che non ho avuto finora la forza e il coraggio di farlo. Cercherò nei limiti del possibile di comunicare il mio stato d’animo oggi, che è passato un mese circa dal funesto evento.
Non mi piace il neologismo Brexit. Lo trovo insopportabile e provocatorio. Bretagna+Exit vuole essere la decisione del popolo del Regno Unito nel referendum per l'uscita dall'Unione Europea. Comunque la si veda questa questione non mi convince. Che dire del fatto che in Scozia la maggioranza ha votato per il Remain ma siccome la Scozia è una parte dello Stato della Gran Bretagna deve fare buon viso a cattiva sorte?
A me che ho sempre visto l’UE come il sogno di tutti quegli europei che si sono riconosciuti nell’idea di unificazione del Continente introdotta dai padri fondatori dell’attuale UE, appare intollerabile prendere atto di questa sconfitta storica dell’unità europea. Se potessi paragonare l’evento con un crostaceo, lo vedrei come un granchio che cammina all'indietro, senza accorgersi che invece di avvicinarsi a una meta si allontana.
Riconosco a tutti i membri dell’UE il diritto di scegliere se rimanere o andarsene. Ci mancherebbe altro. Tuttavia questo riconoscimento non può essere considerato una scelta di libertà. Al contrario, considero la decisione presa dai sudditi di Sua maestà la Regina per primo una forzatura e un errore, e in secondo luogo uno schiaffo doloroso sulla guancia degli europei e un modo di esprimere tutte le bassezze in politica dell’animo umano.
E poi mi sembra una beffa il programma del nuovo Primo Ministro Teresa May che afferma con vigore e determinazione che ella trasformerà il Brexit in “un successo”. Come è possibile trasformare in un successo qualcosa che a quattrocento milioni di europei appare come un fallimento? Sono del parere che si tratti di un’offesa a tutti gli europei che si sono visti sfilare senza poter fare nulla uno dei paesi più importanti dell’Europa dall’UE. Ebbene il primo ministro afferma che la riconquistata libertà farà bene al suo paese. Altro terribile schiaffo agli ideali di unificazione.
Più passa il tempo e più mi sento tradito da una maggioranza britannica che ha fatto prevalere a mio parere una logica di egoismo ma anche di provocazione. Non entro nel meccanismo della qualità dei sostenitori della Brexit. Ci sarebbe tuttavia molto da dire sulle qualità degli argomenti dei sostenitori medesimi dell’uscita del Regno Unito dall’UE. Mi interessa viceversa prendere atto di una sconfitta personale perché mai e poi mai avrei immaginato cosa più cattiva di questa.
Penso che i britannici siano stati bravissimi “a fare e farsi” del male. Chi vivrà vedrà. Auguro agli inglesi, si gli inglesi e non i britannici in questo caso, che non abbiano a pentirsene in futuro. L’Unione Europea li ri-accoglierebbe come il vecchio babbo accolse il figliol prodigo: con qualche protesta magari da parte di qualche Stato ma con la felicità di avere di nuovo vicino il figlio che aveva preteso la parte di eredità, spesa stupidamente a far bisboccia con gli amici. Su questo punto potrebbero esserci però dei problemi nel riaccogliere gli amici inglesi.
Non so come finirà questa storia ma gli scozzesi e i nordirlandesi che hanno votato in maggioranza per il Remain non credo che vorranno vivere da impotenti nelle non certo generose mani di uno Stato che è stato grande in passato ma che adesso è diventato piccolo, perché ostaggio di cittadini egoisti e provocatori.

venerdì 10 giugno 2016

Continua la reiterazione di errori entropici del giornalismo italiano.


Eccolo qui l’ennesimo scivolone dell’ennesimo giornalista italiano. Al solito, eccellenti penne giornalistiche de La Repubblica vogliono a tutti i costi inserire nei loro pezzi d’Autore la parolina magica «entropia» e come al solito sbagliano, commettendo l’errore di scambiare l’entropia per l’aumento di entropia. In simboli matematici scambiano S con ΔS. S è l’entropia di un sistema termodinamico, che può benissimo riguardare un soggetto biologico, come un uomo.
Il giornalista si chiama Marco Belpoliti e oggi sul quotidiano La Repubblica è pubblicato un suo commento dal titolo “E il corpo reale chiede il conto al corpo mediatico”. Si tratta di un articolo sul malore di Berlusconi.
L’articolo è bello e piacevole. Peccato che ci sia la sbavatura riguardante l’entropia. Dice Belpoliti: “Arrestare l’entropia è stato il grande sogno di quest’uomo […]”. Avrebbe dovuto scrivere : “Arrestare l’aumento dell’entropia è stato il grande sogno di quest’uomo […]”. L’entropia non si può arrestare. Essa è quella che è. Ciò che si può diminuire è l’aumento di entropia relativo al processo termodinamico della vita biologica del corpo di Berlusconi. E’ l’aumento di entropia che si può rallentare, ridurre, frenare, moderare, diminuire ma mai azzerare nei processi irreversibili reali della vita di un uomo, anche se si chiama Berlusconi. In simboli ciò che si può ridurre è ΔS e non S ! A quando il prossimo scivolone del prossimo giornalista?

lunedì 9 maggio 2016

Scivoloni entropici a “Il Giornale”.


Eccolo qui, l'ennesimo giornalista che si improvvisa scienziato e pontifica. La mania di molti giornalisti ignoranti di fisica di entrare a gamba tesa nei propri articoli adoperando un sostantivo che ha a che fare con la scienza comincia ad essere irritante. E' quello che è successo al giornalista economico Gian Maria De Francesco del "Giornale", il quale nel suo lungo articolo contro la candidata Virginia Raggi afferma: "Il grillismo di Raggi, in fondo, è così: in superficie par di riconoscervi il motto «legge e ordine» ma andando a fondo si scorge una malsana passione per l'entropia [...]".
A nostro avviso si tratta di uno scivolone giornalistico che l'ottimo polemista avrebbe potuto e dovuto evitare, perchè in questi casi non basta conoscere il significato della grandezza fisica entropia studiata al liceo (indicata in fisica con la lettera S) ma è necessario ancor più conoscere le ragioni del suo uso prima che in politica nei principi della fisica. E qui casca l'asino, perchè il Nostro invece di mostrare cautela nell'uso del sostantivo entropia ne abusa con leggerezza, commettendo un errore concettuale macroscopico.
La "malsana passione per l'entropia" scritta da lui nell'articolo non significa nulla nella scienza e suppongo anche nella politica. Quello che conta nella scienza non è l'entropia (in assoluto) ma l'aumento di entropia in un processo termodinamico. I fisici parlano di variazione di entropia, indicandola con il simbolo ΔS. Com'è noto in termodinamica, in un processo irreversibile non esiste la possibilità nè di lasciare inalterata l’entropia né, a maggior ragione, di farla diminuire. Dunque, il Nostro avrebbe dovuto scrivere: la "malsana passione per l'aumento dell'entropia".
Omettendo di chiarire che malsana non è l'entropia (nome femminile che finisce col suffisso "a”) ma l'aumento dell'entropia (l'aumento è maschile tanto che finisce col suffisso "o") ha praticamente mostrato un deficit di conoscenza prendendo, come si suol dire in questi casi, "fischi per fiaschi".
Avere una entropia S=1 J/K o averla a un milione di J/K, non ha molto senso in termodinamica. Quello che invece è importantissimo conoscere è che se un processo fisico fa aumentare l'entropia di 1 J/K è una cosa accettabile, mentre se la fa aumentare di 1000 J/K la prospettiva relativa all’ordine è molto più brutta.
Manifestare un aumento del disordine elevato significa produrre cambiamenti peggiorativi dal punto di vista dell’ordine. Al di là degli aspetti fisici più o meno rilevanti, tra le tante cose, non si capisce bene poi perché la Raggi sia con un aumento di entropia piuttosto che con l’entropia sarebbe una candidata inadeguata mentre, per esempio la Meloni, invece no. Che c’entra l’entropia o l’aumento di entropia con i candidati di una elezione a sindaco di Roma?
A proposito J/K è l'unità di misura dell'entropia nel Sistema Internazionale di misura. Tanto per essere precisi. Te capì?

sabato 7 maggio 2016

Immigrazione, diritti, valori ma anche doveri.


Il papa: «l'UE sia madre. Migrare non è un delitto». Ricevendo il premio Carlo Magno alla presenza delle autorità dell’Unione Europea papa Francesco ha affermato che «non è buona cosa erigere muri. E’ buona cosa invece costruire ponti».
La sua dichiarazione ci trova d’accordo ma proprio per questo motivo non è corretto lasciare una asserzione a metà: non giova a nessuno e produce ambiguità. D’altronde la frase di Francesco non può non essere seguita da qualche condizione. Altrimenti si rischia di aggiungere alla sfida la sconsideratezza.
La diversità e la tolleranza sono valori. Questi valori, tuttavia, devono essere inquadrati in una prospettiva legislativa europea che dia senso alla affermazione che il fenomeno della migrazione abbia valenza positiva. Permettere e incoraggiare l'immigrazione in modo sconsiderato e senza regole è a nostro parere un disvalore. Facciamo un esempio per farci capire meglio e per chiarire il senso di questo post.
Ammettiamo che un paese europeo aprisse le porte ai migranti senza porre regole e doveri. Cosa succederebbe? Ne abbiamo visto qualche avvisaglia alcuni mesi fa con la Germania che nel giro di qualche settimana si è vista invadere, con un esodo biblico, da mezzo milione di profughi provenienti dalla parte sud-orientale dei confini dell’UE.
In poco tempo, seguendo la logica sconsiderata della migrazione “senza se e senza ma”, avremmo in questo paese europeo dieci-venti milioni di immigrati provenienti da ogni parte del mondo. Cosa succederebbe a quel punto? Tutta la vita di quello Stato verrebbe scombussolata e sottoposta a una rivoluzione in grado di produrre una autentica guerra civile di proporzioni gigantesche.
Domanda: è questo quello che vuole il Papa? No di certo. Dunque, immigrazione si ma con le regole. E le regole devono essere fissate dalla politica non certo da sacerdoti, da rabbini o da qualche imam. Ci mancherebbe altro! Contingentamento annuale, possesso di requisiti legali, carta dei diritti ma anche dei doveri e degli obblighi dei migranti, partecipazione obbligatoria a corsi di integrazione linguistici, culturali oltre che politici e sociali. Insomma una cosa seria, fatta col cervello a mente fredda e non con le provocazioni dei muscoli o l’anarchia dei centri sociali. Pertanto bene ha fatto il papa a invocare la maternità dei diritti dei migranti ma anche rigorosa applicazione di regole, aggiungiamo noi. Migrare non è un delitto ma neanche un uovo pasquale. Disse Salomone: “I pensieri dei giusti sono equità, i propositi degli empi sono frode”. Indovinate chi è Salomone e chi sono gli empi in questo caso. Te capì?

sabato 30 aprile 2016

1986: come eravamo quando l'Italia si connetteva a Internet


Premessa

Raccontare la prima volta in cui si è usato Internet sta diventando una manìa. Molti siti web e altrettanti giornali cartacei propongono ai lettori di “dire la loro” e di descrivere la prima volta del collegamento internet con la rete. Il trentennale dell’evento marca un interesse che va al di là della rievocazione storica e rappresenta una interessante maniera di ricordare i “bei tempi” passati, ovvero gli inizi di quella che è stata chiamata l’Era digitale.

Quando? come? con chi? con che cosa? sono alcuni degli avverbi e dei pronomi che mi vengono in mente nel momento in cui le domande pretendono delle risposte per descrivere l’emozione della prima volta che ci si è collegati in internet nella propria vita. Successivamente le domande incalzano maggiormente e pretendono risposte che non riguardano più l’evento ma colui che l’ha prodotto e in quale contesto: chi fu, che cosa fece, in che occasione lo fece, perché lo fece.
Con queste premesse sono del parere che vale la pena di dire anche la mia, non fosse altro che per contribuire a conoscere le ragioni di un utilizzatore della seconda ora come me. La prima ora tocca di diritto ai veri pionieri della ricerca universitaria antesignana.
Presa la decisione nasce la domanda: da dove comincio? Non è facile rispondere. Un dilemma del genere non può essere affrontato fornendo una data, la più precisa possibile, informando con quale fornitore d’accesso, con quale modello di computer e con quale modem è stata definita la connessione. Sarebbe troppo banale ridurre una domanda così importante e pregna di significato nelle sue potenzialità socio-culturali alla sola data e ora. Credo invece che oltre alla data sia necessario aggiungere approfondimenti e considerazioni relativi al perché e al come, oltre naturalmente al quando del collegamento, in quale contesto e con quale grado di consapevolezza.
Dunque, niente risposta secca, tipo il «29 marzo 1996, alle ore 16.00 da casa mia o dall’ufficio». Piuttosto desidero ragionare argomentando adeguatamente le ragioni dell’evento anche a costo di entrare nel privato di me stesso per descrivere fatti ed eventi che nonostante le tre decine di anni di uso e abuso di internet trascorsi nessuno ricorda più.
L’aspetto che più mi preoccupa, tuttavia, è che le nuove generazioni non si pongono alcuna domanda sul pionierismo dei primi adepti tra i quali mi ci pongo d’ufficio per i motivi che spiegherò più avanti e, fatto più ragguardevole, sui primordi dell’era informatica. E’ come se fossero distratti dalla tecnologia piuttosto che essere attratti dalla storia della tecnologia.
I giovani di oggi abituati a navigare con i loro gingilli tecnologici esagerati chiamati smartphone, veri e propri gioielli della tecnica contemporanea, assuefatti a ram dell’ordine dei giga byte, educati a colpi di sistemi operativi android o iOS9, avvezzi a memorie di dischi rigidi dalle dimensioni dell’ordine delle decine di giga byte e a schermi video da milioni di pixel racchiusi in alcune decine di cm2 , non possono comprendere cosa abbia significato per noi utilizzatori della seconda ora del secolo scorso possedere all’inizio unità centrali e periferiche limitate in modo considerevole con il problema gigantesco di comprendere “la logica” che questi dispositivi sottintendevano e di cui erano portatori.
Nonostante i due miliardi di utilizzatori di internet di oggi, le sensazioni provate da noi principianti della prima ora a collegarci in rete, anche volendo, non sarebbero né possibili né ripetibili. Ricordare il solo rumore, o meglio, il suono melodioso della connessione del modem con quei caratteristici fischi mi fa venire ancora oggi la pelle d’oca. A collegamento avvenuto sembrava di essere entrati in un eden idilliaco o addirittura di avere vinto alla lotteria, tanto forte fu l’emozione di esser riusciti a entrare in quel mondo virtuale che a quei tempi era una assoluta novità.
Intendiamoci: i ricordi che qui desidero riportare alla mente non hanno la pretesa di riconoscimenti postumi, né di ammissioni di essere stato uno dei primi. Gli antesignani della prima ora erano fuori della nostra portata perché erano “addetti ai lavori” nelle università o nei centri di calcolo come a Pisa che hanno letteralmente inventato internet ai primordi della esistenza della rete. Noi l’abbiamo utilizzata, sebbene in condizioni primordiali, e niente di più. Più modestamente qui desidero raccontare le ragioni di un utilizzatore che ha lavorato a quel tempo con la rete nell’insegnamento e nella formazione scientifica liceale. Ritengo utile parlarne non solo per aderire all’invito di ricordare “quei tempi” ma soprattutto perché mi preme descrivere l’ambito e il contorno, con i loro limiti, di raccontare le modalità, l’uso e i frutti ove ci siano stati di quell’evento. Insomma, in sintesi mi interessa motivare il “perché” piuttosto che il “quando”. Ma procediamo con ordine.

Introduzione

Il quotidiano La Repubblica descrive in un articolo le premesse di questa domanda. Intanto il titolo : «1986-2016: trent'anni fa il primo "ping" che collegò l'Italia a Internet». Successivamente l’incipit dell’articolo: «Internet in Italia è arrivato dal cielo. Il primo messaggio che ci avrebbe collegato a quella che doveva diventare la grande rete del mondo è partito da Pisa, in via Santa Maria, dove allora c’era la sede di un istituto del Consiglio Nazionale delle Ricerche, il Cnuce. Da lì è passato su un cavo telefonico della Sip (l’attuale Tim) fino alla stazione di Frascati dell’Italcable, la società che gestiva le chiamate internazionali, da dove è stato dirottato al vicino Fucino, in Abruzzo. Qui da un’antenna di Telespazio, ancora oggi in funzione, è stato sparato verso il satellite Intelsat IV, che orbitava sopra l’Atlantico, ed è sceso in picchiata verso la stazione satellitare di Roaring Creek, che la Comsat aveva aperto due anni prima in Pennsylvania. Era il 30 aprile 1986. L’Italia si era collegata a Internet. E non se ne accorse nessuno».

1 - Il contesto storico-professionale e la nascita dell’informatica.

E’ vero. Quello che colpisce dell’incipit è che nessuno dei cittadini italiani non addetti ai lavori, ma anche molti, utilizzatori inconsapevoli come me delle risorse della rete, si rese conto dell’evento epocale che fu internet e il fatto passò inosservato. Proprio così. Nessuno a quel tempo fu in grado di immaginare le conseguenze di quel primo passo telematico nel futuro della nostra vita e della nostra storia alle soglie del terzo millennio. La storia italiana di internet in Italia iniziò dunque nel 1986. Un anno che ricordo benissimo perché insegnavo Fisica per il quattordicesimo anno consecutivo come docente di ruolo ordinario, di cui solo gli ultimi due a Roma, presso l’allora Liceo Sperimentale XXIV di Roma. Era un liceo sperimentale con tre indirizzi: classico, linguistico e scientifico. Notevole era il curricolo che proponeva agli studenti. Si trattava di una rara maxi sperimentazione prevista dai Decreti Delegati della scuola, con programmi, orari e attività innovative per quei tempi.
Nell’anno scolastico 1985-86, dunque in Italia si lanciò il primo ping, che è l’acronimo di Packet internet groper, cioè un programma utilizzato per misurare il ritardo di trasmissione dati delle connessioni a internet da postazione fissa, vale a dire il tempo necessario per trasmettere dati di piccole dimensioni verso la destinazione, espresso in millisecondi (ms).
Un anno prima del primo ping da insegnante che credeva profondamente nell’uso del laboratorio di fisica e nella funzione formativa dell’attività sperimentale di laboratorio nella formazione scientifica ero già a conoscenza dell’esistenza di internet. Ne avevo sentito parlare prima a uno dei tanti congressi dell’AIF, l’Associazione degli Insegnanti di Fisica italiani, con l’intervento di specialisti universitari durante l’annuale congresso e poi sui giornali di tipo scientifico come “Le Scienze”. In più nel 1983 in una scuola romagnola, ivi presente per partecipare a un convegno nazionale sulla formazione scientifica secondaria superiore, vidi in essere un piccolo laboratorio, con quattro postazioni nei quali c’erano dei pc - naturalmente non collegati tra loro - che proponevano dei semplici programmi in linguaggio basic. Cercai di capirne qualcosa ma non ebbi molta fortuna. L’unica cosa che compresi fu che quel “giocattolo” a mio parere nascondeva qualche potenzialità che mi sfuggiva. E così ritornai ai miei interessi laboratoriali non digitali col proposito che appena possibile avrei approfondito la questione.
Devo dire la verità: nonostante io avessi a gran cuore il laboratorio e le apparecchiature elettroniche con le quali svolgevo gli esperimenti di fisica nel laboratorio del mio liceo credevo che quell’attività informatica fatta di matematica e informazioni non potesse rivoluzionare molto il futuro della scienza e della didattica scientifica liceale. Viceversa, ero convinto che potesse innovare la tecnica di laboratorio proprio perché apparecchiatura elettronica di laboratorio.
Nel 1968 da studente al terzo anno della facoltà di Fisica all’università avevo avuto una esperienza di lavoro con le schede perforate del centro di calcolo IBM della mia facoltà. In questo centro avevo preparato la relazione di un esperimento di fisica riguardante l’interpolazione della traiettoria circolare di un fascio di elettroni che ruotavano su una traiettoria circolare di raggio r da misurare indirettamente perché sottoposti a un campo magnetico ortogonale al piano del cerchio. Avevo pochissima esperienza nel settore computazionale. Mi erano familiari termini e lessico come programmazione, linguaggi di programmazione, schede perforate, metodo dei minimi quadrati ed elaborazioni elettroniche. Conoscevo e adoperavo nella mia attività prima di studente universitario e successivamente di docente la mia calcolatrice programmabile della Texas Instrument TI-55. Viceversa, mi erano sconosciuti termini come hardware e software.
Nonostante le mie conoscenze e competenze scientifiche erano di rilievo, sentire parlare di termini informatici come unità centrale, ram, rom, processore, drive, hard disk, periferiche, etc. mi produssero ansia da apprendimento. Erano parole strane e mai sentite prima. Che un dispositivo elettronico potesse poi essere contemporaneamente hard e soft, ovvero duro e soffice, mi sembrava contraddittorio nei termini. Tuttavia “dentro” il personal computer non si trovavano oggetti sconosciuti “non identificati” ma erano allocati concretamente resistori, condensatori, induttori, reostati e regolatori di correnti e tensioni tutti elementi di circuiti elettrici ben conosciuti che io adoperavo con i miei studenti di quinto anno di liceo scientifico nel corso di elettromagnetismo classico. C’erano anche trasformatori e, soprattutto, c’era uno schermo (monitor) che mi ricordava i primi televisori a tubo catodico del tipo ctr, piccoli, in bianco e nero. Tutto questo mi affascinava senza che potessi avere consapevolezza e padronanza diretta del funzionamento dell’aggeggio. Che l’apparecchio avesse poi una tastiera che richiamava alla mente la mia macchina da scrivere Olivetti lettera 32 poi mi dava il senso della familiarità.
La ragione a quel tempo di questa mia confidenza con l’informatica risiedeva nel fatto che nel 1985 sono stato uno dei primi docenti a Roma a frequentare un corso nazionale indetto dal Ministero della P.I. chiamato “di prima formazione” all’informatica (allora più che di internet e di telematica si parlava di informatica, curioso neologismo che era l’incrocio tra Informazione e Matematica). Il corso ebbe la durata di un anno nell’ambito del PNI , ovvero del Piano Nazionale di Informatica. Ricordo che non esistevano in circolazione libri di informatica in italiano. Pertanto informarsi e conoscere qualcosa di più preciso era impossibile alla gente comune. Certo, nei centri universitari più avanzati i più fortunati avevano già conoscenze di base e appetiti conoscitivi più adeguati e consistenti dei miei.
Ricordo che a Roma, non certo una cittadina qualunque, nessuna libreria aveva un settore di informatica, per il semplice fatto che al tempo non esisteva l’informatica, almeno come la conosciamo adesso. Tra le tante cose era impensabile vendere al pubblico pubblicazioni in lingua straniera che trattavano temi inintelligibili e misteriosi come quelli dell’’informatica. Silicon Valley era ancora lontana dal suo apparire. Probabilmente le case editrici non sapevano cosa fossero. In ogni caso queste ultime erano concentrate a fare affari d’oro con la gallina dalle uova d’oro della stampa, o meglio, della ristampa dei libri di testo scolastici che cambiavano copertina ma i contenuti rimanevano sempre gli stessi, obsoleti e nei programmi. La stessa Microsoft con il suo guru Bill Gates era appena uscita dal garage dei primi esperimenti.
La prima versione indipendente del sistema operativo Microsoft Windows ancora non esisteva sul mercato commerciale. La famosa versione 1.0 distribuita nel 1985 forniva un sistema operativo chiamato MS-DOS. E stiamo parlando degli USA che detenevano il monopolio della innovazione scientifica, tecnica e addirittura spaziale dell’informatica con i lanci dei missili Saturno. Ricordo ai distratti che non esistevano ancora i cellulari e chi voleva telefonare poteva solo adoperare il vecchio gettone telefonico della Sip magari racchiuso insieme e impilato ad altri nella famosa confezione di plastica trasparente da 15 gettoni.

2 - Gli albori dell’informatica e la partecipazione al corso del PNI

Le poche informazioni relative alla struttura hardware e software di un personal computer erano contenute in due dispense di un centinaio di pagine in lingua inglese che la svedese Ericsson aveva messo a disposizione a noi corsisti tramite un accordo con il Ministero della Pubblica Istruzione. Vi si descrivevano in breve, e senza tanti fronzoli in un inglese molto elementare, la struttura hw di un pc, del sistema operativo Microsoft versione 1.0 e della utilizzazione dello stesso pc con due programmi : il primo un editor di testo cioè un programma di videoscrittura chiamato WordStar antenato di word e il secondo un foglio elettronico lotus 1-2-3 avo di excel, il tutto in rigorosa interfaccia a caratteri, con zero finestre e niente immagini. C’era anche un programma che sfruttava il linguaggio Pascal.
Il primo personal computer che utilizzai era dotato di microprocessore Intel 8088 a 4,7 MHz, con 16 Kbyte di RAM, espandibili a 640, come ho già detto senza disco rigido, con due drive per floppy disk da 5.25" a 160Kb, un monitor bianco e nero e sistema operativo PC-DOS 1.0, ceduto in licenza all'IBM dalla Microsoft.
Fu il programma di calcolo Lotus1-2-3 però che mi fece comprendere le grandi potenzialità dell’informatica e di quell’aggeggio strano con dischetti e tastiera. Durante il corso l’insegnante tutor su mia richiesta fece una applicazione pratica molto semplice del suo uso, elaborando in men che non si dica con una serie di comandi a video una tabella di dati che io avevo preparato esplicitamente per verificarli sullo schermo. Si trattava di una tabella di dati dell’allungamento di una molla con pesetti applicati a una sua estremità. La tabella era formata da dieci coppie di valori del peso applicato y e del conseguente allungamento x. Il numero delle coppie di valori avrebbero dovuto rappresentare, in un grafico cartesiano che fino a quel momento veniva disegnato su un foglio di carta millimetrata, una retta passante per l’origine. Il numero dieci poi era un piccolo stratagemma per poter elaborare i dati facilmente anche a memoria nel calcolo del valor medio e della deviazione standard.
Lotus elaborò i dati e grande fu la mia meraviglia quando vidi disegnata, in un batter d’occhio sul monitor, la retta passante per l’origine del sistema di assi cartesiani che univa i punti relativi alle coordinate cartesiane delle coppie di valori “peso-allungamento” che venivano qui chiamati in senso matematico con i simboli x ed y. Lotus 1-2-3 calcolò velocemente anche i dieci rapporti “forza-allungamento” della legge di Hooke permettendo di ottenere valori pressoché costanti del valore della costante elastica della molla e confermando esplicitamente la relazione di proporzionalità diretta tra y ed x. Se aggiungiamo anche la possibilità di usare WordStar con i suoi comandi racchiusi tra accenti circonflessi per scrivere la relazione relativa alla elaborazione degli stessi dati adoperati enorme fu il mio entusiasmo per le conseguenze pratiche della operatività efficace messa a frutto dal dispositivo elettronico. Fu in quell’anno che compresi l’utilità dell’informatica applicata all’insegnamento della fisica e da quel momento feci sempre il possibile per adoperarla nella didattica della fisica del liceo scientifico.
Non posso non ricordare qui un altro elemento tecnico che mi convinse ancora di più delle potenzialità di questo nuovo dispositivo elettronico e cioè l’uso abbastanza facile di un pc che a quell’epoca era senza disco fisso, con due drive A e B. In uno si inseriva il disco da 5” contenente il S.O. e nell’altro si inseriva un altro disco sempre da 5” per l’applicazione di laboratorio desiderata che consisteva nella descrizione visiva a monitor di esperimenti di fisica delle case editrici di apparecchiature di laboratorio Leybold-Heraeus e Phywe e di alcune loro rappresentanze s.r.l. a Roma come la ELItalia, Laziolibri e B.C.D. Sistemi. Si trattava di uno dei primi modelli di pc della IBM.
Non passò molto tempo che comprai il mio primo computer che fu il PS2 ovvero Personal System/2 della IBM. Si trattava del modello più recente, l’M30 del 1987, processore 8086 a 8 MHz, un lettore floppy disk da 3,5" e 1,44 MB di memoria esterna. Con quel pc mi “feci le ossa” per la mia preparazione di base del computing informatico.
Ricapitolando posso dire che l’anno della svolta per il digitale fu il 1981, quando IBM mise sul mercato i primi PC con MS‑DOS. E’ la stessa Microsoft che racconta tra l’altro il senso dell’innovazione introdotta con il suo lavoro . Si può dire che l’introduzione del pc con il sistema operativo dos permise di rendere chiaro a tutti che questa scelta rappresentava una svolta rivoluzionaria nella storia del progresso scientifico in quanto veniva offerto al pubblico un linguaggio completamente nuovo. «Digitare "C:" seguito da un certo numero di comandi piuttosto criptici diventò parte delle attività quotidiane. Il mondo scoprì il tasto "barra rovesciata" (\)»

3 – Gli anni pre-internet a Roma

Questi furono i presupposti e gli albori del processo di informatizzazione che mi riguardarono direttamente in quei primi anni dell’informatica a Roma. Naturalmente da soli non bastano per fare il salto di qualità che dall’informatica hanno portato successivamente alla telematica e, dunque, a internet. E’ necessario pertanto chiarire questo passaggio che è un nodo importante e complesso dell’evoluzione del digitale.
Prima però desidererei proporre alcune considerazioni critiche a proposito delle sensazioni che provavano a Roma tutti coloro che come me si interessavano di “sapere scientifico”.
Per mettere meglio in evidenza quanto la città di Roma sia stata assente da qualunque forma di aiuto e di sviluppo della formazione della cultura di rete dei cittadini, si può partire dall’indifferenza totale delle istituzioni locali a favorire una alfabetizzazione anche minima dei suoi abitanti. L’unica ricaduta positiva sulla cittadinanza fu la decisione dell’assessorato comunale alla cultura di dare "il via libera" all’uso di una bbs cittadina. Per il resto buio pesto.
Possiamo riassumere queste considerazioni dicendo che Roma in quegli anni fu una città sorda all’innovazione. Ovunque mi muovessi per chiedere disponibilità e ascolto per le esigenze dei giovani studenti che rappresentavo ho raccolto solo rifiuti e opposizioni alle mie richieste. La città aveva eretto un gigantesco muro di gomma che impediva formazione ed educazione informatico-telematica. Roma è sempre stata una gigantesca dispensatrice di cultura politica, letteraria, artistica e musicale ma di cultura scientifica neanche a parlarne, nonostante fosse la sede dell’Accademia dei Lincei. Le rare attività di divulgazione che organizzava erano confinate nell'università La Sapienza e vi partecipava una ristretta cerchia di adepti che venivano mal sopportati al di fuori dei luoghi istituzionali. Nulla a che vedere con Milano, Firenze, Padova, Torino dove Comuni, Provincie e Regioni organizzavano numerosi corsi di alfabetizzazione informatica. Negli stessi licei a Roma era difficilissimo organizzare attività scientifiche di supporto agli studenti perché venivano viste dalle autorità scolastiche come stravaganti. Potei constatare personalmente questa indifferenza perché dal 1989 al 2006 fui nominato dall’AIF coordinatore regionale delle Olimpiadi della Fisica nel Lazio e nella città di Roma. A questo link vi è una adeguata informazione circa il progetto Olifis a Roma e come l’ho intesa esplicitare lungo l’intero periodo di 17 anni di attività. Mentre all’estero e negli USA l’interesse per la cultura scientifica di rete cresceva esponenzialmente, a Roma la vita scorreva monotona e addormentata e da nessuna parte si lasciava intuire che stesse avvenendo una potente e fruttuosa rivoluzione culturale, oltre che industriale e scientifica. Nulla faceva prevedere che saremmo arrivati all’abuso di internet e dei social network come quello che si vede oggi per esempio entrando in una carrozza della metropolitana di una qualsiasi città. Almeno il 90% dei viaggiatori sono tutti immersi a utilizzare i loro smartphone per comunicare sui social come whatsapp, facebook, twitter, e-mail, internet, etc.. Dall’uso all’abuso il passo è stato breve e forse deleterio per la società contemporanea per la innaturale estraneizzazione dei cittadini da una sana e corretta socializzazione vis à vis e non tramite la rete. Ma ritorniamo di nuovo alle considerazioni precedenti, relative alla necessità di dover transitare da una pista conoscitiva limitata all’uso delle risorse del solo personal computer a quello di altri pc o server collegati in rete.
Lo sviluppo della conoscenza informatica per transitare al sapere telematico non fu né veloce, né indolore. Soprattutto fu parte di una ulteriore e strategica fase della terza rivoluzione industriale. L’innovazione, ancora una volta, costrinse tutti gli utilizzatori come me a effettuare un’ennesima transizione: dall’informatica alla telematica o meglio dalla utilizzazione statica alla navigazione dinamica con un ulteriore impegno conoscitivo. Non bastava più la semplice conoscenza dell’informatica, dei programmi dell’hardware e del software. No. Era necessario un passo conoscitivo ulteriore e più in là nel futuro. Dalle “certezze” della semplice informatica si doveva passare alle “incertezze” della più complessa conoscenza della cultura digitale di rete che fu il paradigma più avvincente del successo di internet. Tutto sommato fino a quel momento il pensiero informatico fu abbastanza semplice e prevedibile perché proponeva la formazione di strutture mentali in grado di dominare agevolmente l’uso del software residente nel pc, ma che non poteva sfruttare risorse fuori del pc. Non fu facile passare da un campo all’altro, cioè “dal residente al remoto”, perché altra cosa fu iniziare a padroneggiare concetti ancora più astrusi di rete, client e server, scheda di rete, hub, router, lan, accesso remoto, indirizzi IP, ftp, html, http, tcp , isp, porte, ip, protocolli di rete, smtp, pop, telnet, etc.. Qui le idee furono ancora più rivoluzionarie perché non se ne vedevano concretamente i risultati se non con l’inizio dei fischi della connessione. In poche parole il suono della connessione fungeva da iniziatore della navigazione in internet. Per chiarire meglio i presupposti del primo collegamento in internet ritengo utile iniziare con una piccola e breve sintesi di elementi di storia della telematica.

4 - I primi passi della cultura di rete.

Premesso che prima del 30 aprile 1986 internet si chiamava Arpanet e che l’Italia fu il quarto paese europeo dopo Inghilterra, Germania e Norvegia a effettuare il primo collegamento in rete, da Pisa, mi sembra opportuno ricordare che in Italia esisteva il Videotel sulla falsariga del Minitel francese che faceva in un certo senso messaggistica primordiale con collegamento a un modem a 1220 baud, ovvero a 1,22 kbps.
Parlare di videotel significa anche parlare delle BBS, acronimo inglese che significa Bulletin Board System, cioè bacheche elettroniche ovvero sistemi tipo mailing list che utilizzando un software primitivo attraverso un modem e una linea telefonica realizzavano concretamente un sistema di scambio di file e di messaggi. Una di queste bbs che fu un punto di aggregazione sociale interessante perché proposta dal comune di Roma e chiamata bbs.comune.roma.it merita una menzione perché permise a migliaia di utilizzatori di adoperarla senza che i membri componenti si conoscessero.
Altre BBS romane furono : Virtual Mondo, IperAudio, Galactica, Cyberspace, Mercurio, No Way Out, Alfa, etc.. Per quei tempi fu una vera e propria scoperta di come la rete potesse permettere una comunicazione fino a quel tempo impossibile solo immaginarla. Io sono stato un utilizzatore convinto e consapevole di questo nuovo canale di comunicazione. Personalmente ne ho conosciute e frequentate due. La prima BBS del LISIS (040-398091) col dominio M.LIS.TRIESTE.IT era una bacheca elettronica dove si parlava di Olimpiadi della Fisica messa a disposizione da una brava insegnante di matematica e fisica di un liceo giuliano. La seconda si chiamava BBS Lario (031-267390) anche qui l'autore era un insegnate di matematica e fisica, questa volta lombardo.
Nel 1987 si registrò in Italia il primo dominio richiesto dal CNR (.it) e dopo quattro anni nel 1991 apparve internet con il suo World Wide Web (la celeberrima sigla www) che diede inizio all’uso della rete. Nel 1994 internet fu reso disponibile commercialmente con i primi provider italiani (Video On Line ne fu il primo) e successivamente Microsoft Italia a Milano (ricordo che Microsoft aprì una filiale italiana fin dal 1983), Rds a Roma, Italia On Line a Milano, Tin (Telecom Italia Net) su scala nazionale, etc. con un eccellente modem per quei tempi che acquistai dalla USR Robotics, dalle caratteristiche tecniche di “modem voice esterno” a 33,6 kbps con il client gratuito di posta elettronica Eudora light 3.01 .
Rilevante e necessaria è l’osservazione che a quel tempo in Italia esisteva una miope tassa sul modem, da pagare alla SIP, per l’uso della linea telefonica. Si trattava di un vero e proprio sopruso in cui il concessionario nazionale SIP esercitava il vecchio vizietto italiano di approfittare dello status di monopolista e spillare denaro ai clienti che volevano adoperare internet. In più questa truffaldina concezione di divorare denaro degli utilizzatori ebbe una ricaduta negativa sullo sviluppo della telematica in Italia facendo "precipitare" l’Italia agli ultimi posti della graduatoria di utilizzazione della rete negli anni successivi. La tassa all’epoca fu di 190 mila lire /anno e, di fatto, sovraccaricava considerevolmente il prezzo della connessione raddoppiandolo.
Pubblico adesso la lettera del maggio 1989 che ho inviato all’Autorità scolastica per realizzare uno dei primi progetti telematici di comunicazione nel settore scolastico. Convinto delle potenzialità della rete e avendo studiato le tematiche relative ai collegamenti telematici sentivo che era necessario dare inizio alla fase di utilizzazione delle tecnologie di rete. Pertanto chiesi l’aiuto economico mediante autorizzazione alla dirigenza scolastica.

Al Preside del Liceo Classico Sperimentale XXIV – Roma
Roma, 16/05/1989
OGGETTO: Richiesta di allacciamento alla rete ITAPAC per accedere ai sistemi di banche dati per scopi educatici e didattici.
Egregio Sig. Preside,
è noto già da tempo il concetto di "Villaggio Globale" che considera il mondo contemporaneo «un immenso globo interconnesso, dove tutti parlano di tutto con tutti, all’interno del quale si annullano le distanze fisiche e culturali». Si sa che ciò è stato possibile in virtù dei grandi successi conseguiti dall'informatica e dalla telematica in molti campi del sapere. Il mezzo informatico è diventato, si voglia o no, un protagonista assoluto nella vita dell'uomo contemporaneo e si prevede per il futuro una presenza ancora più massiccia in tutti i gangli vitali della nostra attività.
Con queste premesse, a dir la verità poco rassicuranti, che possono produrre inquietudine e smarrimento nell'individuo che vive nella società di oggi sempre più convulsa e dominata dalla tecnologia, mi permetto di chiederLe un attimo di riflessione in merito alla possibilità che il nostro Liceo, attraverso un Suo autorevole intervento, possa diventare un protagonista non passivo e di primo piano nel panorama delle scelte di politica scolastica che interessano i bisogni reali dei nostri giovani che opereranno nella società futura.
Come Ella saprà, uno dei servizi telematici che più sta ottenendo successo nel settore dell'informazione è senza dubbio quello della comunicazione in rete e, tra questo, della posta elettronica.
Lo scambio di messaggi fra utenti lontani nello spazio e nel tempo è stata una delle prime applicazioni sviluppate sulle reti di computer che ha subito incontrato il favore degli utenti del mondo scolastico. Debbo aggiungere, per dovere di completezza, che questo servizio non solo è attualmente ben visto dalle competenti autorità ministeriali, ma addirittura è esplicitamente incoraggiato dallo stesso Ministro della P.I., il quale suggerisce alle singole Unità Scolastiche l'uso di questo servizio per fini didattici e culturali.
Da alcuni anni la SIP, attraverso una società appositamente creata per questo (ITAPAC), opera nel settore dell'informazione offrendo servizi di messaggistica elettronica scritta di tipo telematico (VIDEOTEL ecc.), attraverso i quali si garantisce la possibilità di comunicare con Banche Dati di ogni parte del mondo. I sistemi di Banche Dati on line, ormai diffusi capillarmente in tutto il mondo occidentale, rappresentano uno degli aspetti più utili e interessanti della telematica. Questi sistemi, infatti, consentono di ridurre i tempi e i costi del reperimento di documentazione e informazione spesso importanti nel mondo della scuola, e in particolare in quelle scuole, come la nostra, dove operano docenti di due indirizzi specifici, linguistico e scientifico.
La "filosofia" di queste Banche dati è quella di permettere di scambiare messaggi e software di pubblico dominio, fornendo ai docenti che lo richiedono (docenti di matematica e fisica che hanno seguito i corsi nazionali di informatica, docenti di lingua straniera, ecc.) un punto di riferimento costante nella loro successiva attività di sperimentazione nelle rispettive scuole.
Attraverso le Banche dati e BBS (Bulletin Board System) molti docenti di diverse discipline possono scambiare documenti, unità didattiche, software e possono comunicare tutta una serie di esperienze didattiche e di attività professionali che altrimenti rimarrebbero circoscritte alle singole realtà scolastiche, o, nel migliore dei casi, ad una ristretta area geografica costituendo solo nicchie inascoltate.
Mi vengono in mente, per esempio, le possibilità che si aprono alle nostre classi del triennio linguistico di scambiare esperienze scolastiche con analoghi Licei inglesi, francesi, tedeschi e spagnoli; oppure le possibilità che si offrono al nostro Liceo di informare il "resto del mondo" nella concezione del Villaggio globale (Mac Luhan, La galassia Gutenberg: nascita dell'uomo tipografico, Toronto, University of Toronto Press, 1962) della stessa esistenza del nostro Liceo, con le sue peculiarità e unicità, in maniera tale da essere un insostituibile punto di riferimento privilegiato nel panorama delle maxi sperimentazioni italiane. L'alternativa sarebbe, come è facile convincersi, quella di essere condannati all'anonimato, alla limitatezza e, pertanto, alla mediocrità che è proprietà eminente di coloro i quali non hanno nulla da dire.
Come realizzare questo progetto? E' semplice: provvisti di un Modem (apparecchio che si può acquistare per la modica somma di £ 300.000) e di un personal computer (ne abbiamo 10!), si inoltra una domanda alla SIP, la quale fornisce l'allacciamento alla rete speciale di connessione telefonica ITAPAC col pagamento di £ 50.000 come canone di concessione governativa, più una tassa ministeriale di circa £ 30.000 a bimestre, e, infine, una cifra che oscilla tra le 12 e le 25 mila lire all'ora nei soli momenti, naturalmente, in cui si utilizza il collegamento. Il sistema è attivo 24 ore al giorno. Nella speranza di essere riuscito a chiarire i termini della questione e nell'assicurare sin d'ora la mia disponibilità per ulteriori delucidazioni, sono certo che Ella non mancherà di prendere nella dovuta considerazione la proposta in questione.

La lettera non convinse l’Autorità scolastica e non se ne fece niente ma, alla stregua di semi lanciati nel terreno, lasciò crescere all’interno del liceo piante di consapevolezza culturale dovute al fatto che il solco per la semina della cultura di rete era già stato scavato.

5 – I vari avvicendamenti hardware e i successivi sistemi operativi

Nel 1990 l’obsolescenza del mio primo pc iniziava ad essere troppo manifesta per non abbandonarlo e sostituirlo con un computer più adeguato. Acquistai pertanto un pc della Compaq, modello DeskPro 286. Le sue caratteristiche innovative furono che utilizzava un processore Intel 80286 a 12-MHz con memoria di 640 Kb di RAM standard e un dischetto più maneggevole da 3.5 pollici a 1.44 Mb e, finalmente, un disco rigido di 40 Mb con uno schermo a 14 pollici. Il sistema operativo era Windows 3.1 . Non che avesse specifiche eccezionali, tuttavia rispetto al Ps/2 fu un miglioramento di un certo rilievo.
Ricordo che entrambi i pc (IBM e Compaq) da me usati nel periodo 1987-1995 disponevano l’unità centrale in maniera orizzontale che fungeva da base di appoggio dello schermo e che i processori adoperati si differenziavano nella frequenza, passando da 8MHz a 12 MHz. Senza ombra di dubbio e secondo i parametri del tempo il lavoro con il nuovo pc fu più fluido e veloce.
Nel 1994 tuttavia anche questo secondo pc cominciò ad essere insufficiente nelle sue specifiche tecniche. Maturai la convinzione che era necessario comprarne un terzo, questa volta decisamente più potente, magari non assemblato da una casa produttrice specifica ma costruito su misura per le mie esigenze. Nel frattempo mi convinsi che era possibile effettuare il primo collegamento telematico che non potè avvenire a causa della difficoltà di disporre di un fornitore d’accesso a portata di mano. Nonostante fossi a conoscenza che avrei potuto sfruttare come provider il servizio di Microsoft Italia i cui server fisicamente si trovavano a Milano e che da lì a poco avrebbe chiuso il servizio, non riuscii a effettuare alcun collegamento in rete.
Il vecchio Compaq nel 1995 non mi permise di collegarmi, anche se per pochi minuti, in internet. Non potei insistere perché non avevo le necessarie autorizzazioni. Non passò molto tempo che le mie ambizioni furono però realizzate. Agli inizi del 1996, nel mese di gennaio, un nuovo pc con Windows 95 a interfaccia grafica fu il successivo passo. Assemblato in un laboratorio romano di via Centocelle il mio nuovissimo pc era dotato di un processore Cyrix 166+, una memoria RAM di 32 MB, un disco rigido di 200 MB e un mouse senza filo che costituì una vera e propria novità e per sistema operativo Windows 95. Modernità originalità e cambiamento furono gli aggettivi che caratterizzarono questo mio nuovo pc. Una caratteristica per tutti fu che non necessitava del prompt DOS per poter lavorare. Fu questo il pc che mi permise di entrare in rete da lì a poco.
Windows 95 rappresentò per il mondo pc un salto in avanti enorme perché fu assai migliore del predecessore windows 3.1. Io non ne fui impressionato più del dovuto poiché avevo già conosciuto e lavorato col precedente pc che prevedeva l’uso dell’ambiente a finestre. Tuttavia tutti gli utilizzatori apprezzarono questa nuova versione del s.o. e lo utilizzarono in massa, me compreso.
Quasi tutte le immagini che corredavano manuali e fogli illustrativi allegati a win95 mostravano in larga parte un pc posto vicino all’immagine di un mappamondo (simbolo di internet), collegato a una linea telefonica e allacciato alla rete che simboleggiava il collegamento in Internet con tutte le parti del mondo. L’icona richiamava alla mente la libertà di collegamento con tutto il pianeta e divenne il simbolo del desiderio della connessione di centinaia di milioni di utilizzatori.

6 - Il momento tanto desiderato del primo collegamento in internet.

Il mio primo abbonamento fu con RDS, un fornitore di accesso romano improvvisato, praticamente sconosciuto. Nulla a che fare con i provider nazionali. La mia prima storica connessione è avvenuta il 29 marzo 1996 di pomeriggio a casa mia. Il costo per un trimestre fu di 60000 lire + Iva pagate in contanti in un anonimo negozietto di vendita di personal computer di via Tuscolana a Roma. Il modem che avevo comprato in precedenza fu un USR Robotics voice esterno a 33 kbps (o 33000 baud). Il collegamento internet avvenne dopo tanti tentativi di connessioni mancate per difficoltà di impostazione della connessione internet. Era necessario inserire nel computer i parametri corretti del server in uscita SMTP, di quello in entrata POP3, username, password e soprattutto il numero di telefono del provider che avrebbe permesso il collegamento. Non so quante volte ho ricevuto sullo schermo risposte del genere: “Connessione impossibile. La connessione al server è stata reimpostata”. “Impossibile contattare il server “, etc..
Ebbene dopo tanti tentativi il primo collegamento fu veramente emozionante, sebbene sia stato preceduto da interminabili momenti di autentica frustrazione. Le lucette rosse del modem lampeggiavano festanti. Il suono di handshake del modem - il famoso piiripii - che produsse la connessione ebbe la proprietà di farmi provare una emozione indescrivibile perché era come se ci fossero dei violini che producessero la melodia della connessione. Quei fischi erano autentica musica per le mie orecchie che in quel momento concretizzavo la connessione. Il semplice vedere che si era stabilita una connessione in rete, certificata dalla presenza sulla barra delle applicazioni nell’area di notifica del piccolo monitor, rendeva tutto magico.
Il film Wargames aveva stimolato in me più volte il piacere di connettermi in rete e finalmente l’evento si verificò, solo che io non raggiunsi alcun supercomputer del NORAD nel 1983 come fece nel film il giovane protagonista David che invece riuscì a superare le protezioni del Ministero della difesa (DEFCON) degli Stati Uniti d'America rischiando di provocare la terza guerra mondiale. In realtà la mia fu semplicemente una connessione nella poverissima rete italiana. Intendiamoci: a connessione avvenuta non successe assolutamente nulla anche perché allora le connessioni internet si pagavano “a tempo” e alcuni minuti di connessione in più voleva dire che era necessario sborsare soldi in quantità ragguardevole.
Lo schermo presentò una serie di schermate con una home page del motore di ricerca Altavista (acquistato successivamente dalla Compaq), alcune righe di parole illuminate che scorrevano lentamente per definire la pagina in lettura. Lanciai il browser che era a qual tempo Netscape Navigator con il classico logo di una N maiuscola in bianco, avente per sfondo un cielo illuminato di un segmento sferico del globo di colore nero. Era la versione 2 che mi permise di aprire pagine internet di indirizzi, chiamati con l’acronimo URL (Uniform Resource Locator). Questo magico mondo non durò molto perché la competizione tra Netscape ed Explorer portò alla detronizzazione del primo browser a favore di quello della Microsoft chiamato Explorer. Il resto fu un succedersi di avanzamenti e progressi molto veloci che portarono internet e i browser a diventare una parte essenziale della vita di tutti noi.

Allo scadere dei tre mesi il successivo provider fu Italia On Line il cui dominio è tutt’ora lo stesso di oggi chiamato iol.it sebbene adesso Iol sia stata acquisita da molti anni da Infostrada-Wind. Comprai il kit internet dal codice 854MXJ952PLM versando in anticipo con un bollettino postale la somma di 219000 lire il 7 maggio 1998 sul c/c 31763204 intestato a Iol – s.p.a. Via Lorenteggio 257 20152 – Milano . Devo dire che il servizio è stato costante e adeguato per tutto questo lungo periodo. Agli inizi ho utilizzato molti programmi per la rete alcuni dei quali non sono mai cambiati e li adopero ancora oggi a quasi vent’anni del mio primo collegamento. Eccone un campionario a iniziare dal 1997 : Eudora Light per la posta elettronica poi sostituita dalla versione Pro, Agent come newsreader per i newsgroup, Pirch per le chat, PGP5.5 per la crittografia, WS_Ftp95 per il trasferimento di file in download e upload, NetTerm per Telnet, E-mail remove per rimuovere e-mail dai server (protezione antispam), ACDSee come browser di immagini, FirstClass® come client di collegamento con un server contenenti risorse professionali alla Regione Lazio, Viceversa come software in grado di sincronizzare file e cartelle per il backup, Visual IRC come client per chattare con una lavagna nella risoluzione di problemi di fisica in rete, Fiat Lux per ricerche bibliografiche di libri in biblioteche OPAC pubbliche internazionali e altri di minore importanza.
A questo proposito aggiungo che scopo non secondario della mia attività di ricerca nel campo della didattica della fisica è stata lo studio e la sperimentazione di modelli e metodi di utilizzo educativo di risorse anche informatiche, cioè applicate sia nella didattica teorica, sia nel laboratorio di fisica agli esperimenti di fisica assistiti al computer, e in secondo luogo telematiche, progettate con l'intento di comunicare e collaborare con gli allievi alle attività di studio mediante programmi che sfruttano le potenzialità della rete.

7 - Oltre il primo collegamento: gli sviluppi della cultura di rete

Era inevitabile che il discorso a questo punto scivolasse sulla questione dell’uso delle risorse della rete nel mondo della educazione e della formazione scolastica di cui io sono stato un referente nella città di Roma. Infatti, quasi subito dopo la prima connessione in internet risultò naturale da parte mia effettuare una riflessione in merito allo sviluppo di internet e della telematica da utilizzare nell’ambito della formazione scientifica. Come docente di Fisica dopo otto anni dal precedente ritornai alla carica nei confronti delle autorità scolastiche con una nuova lettera per proporre il “Progetto di informatizzazione e sviluppo della cultura della rete” nel liceo.

Roma, 2 Maggio 1997
Al Preside del Liceo Sperimentale Statale “B.Russell” di Roma.
Oggetto: Richiesta di abbonamento annuale per accesso alla rete Internet e per l’offerta dei servizi gratuiti (software necessario per creare e gestire il proprio Sito Internet) nell’ambito della iniziativa comunitaria “Web for Schools”.
Il sottoscritto, in relazione alla attuazione della seconda fase del “Progetto Informatica” approvato dal Consiglio d’Istituto di cui faccio parte, che prevede la mobilitazione di una serie di energie e di risorse per cooperare in modo fattivo con la Scuola affinché quest’ultima possa esprimere al meglio tutta la propria potenzialità, nella prospettiva di realizzare un collegamento con il Sistema Internet onde fruire dei servizi estremamente interessanti che vengono resi disponibili alle singole scuole, come la realizzazione di infrastrutture telematiche per la erogazione di servizi concernenti l’istruzione, la formazione, l’aggiornamento permanente, chiede alla S.V. di portare all’attenzione del Consiglio d’Istituto per la necessaria approvazione l’iniziativa del collegamento con Internet affinché il nostro liceo possa essere attore protagonista di attività tipiche della scuola media superiore di tipo sperimentale a forte componente culturale e con una spiccata predisposizione per l’innovazione didattica, specie quella supportata dall’impiego delle tecnologie telematiche.
L’iniziativa dovrebbe realizzare i seguenti obiettivi: accesso assistito alla rete Internet; possesso e utilizzazione di una Casella Postale Elettronica (e-mail); possesso di uno spazio di 1 MB su un server per la creazione e la gestione di un sito web del nostro liceo; possesso del software necessario per creare e gestire il sito; spazio per l’introduzione e l’utilizzo delle nuove tecnologie didattiche; offrire a tutti gli studenti maturandi la possibilità di accedere gratuitamente alle risorse Internet per affinare la loro preparazione in vista delle prove scritte e orali degli esami di maturità. Relativamente all’ultimo punto, i nostri allievi troverebbero sul Web di Internet un insieme di informazioni generali come la spiegazione delle modalità con le quali si svolge l’Esame di Maturità; la composizione delle diverse Commissioni d’Esame, istituto per istituto; degli spunti di riflessione per la preparazione delle prove scritte e di quelle orali suggeriti da esperti di tutte le discipline.
Si ricorda altresì che l’operazione “Esami di Maturità ’97 su Internet” è già attiva dal 1° Aprile 1997 e si protrarrà fino al 30 Giugno 1997 senza oneri aggiuntivi. Per attivare il collegamento - comprensivo di tutti i servizi elencati - è necessario richiedere via fax a una Società specializzata tramite un foglio di carta intestata della nostra scuola dei Numeri Seriali relativi alla nostra Scuola e il versamento di un abbonamento annuale completo di accesso Internet mediante un bollettino postale di £ 300.000. Il sottoscritto è disponibile a fornire tutti i necessari chiarimenti.


Questa volta la risposta che avevo tanto desiderato otto anni fa per collegare il liceo con la piattaforma ITAPAC ci fu; fu positiva e venne realizzata. La scuola si dotò di un laboratorio informatico con 10 personal computer inizialmente isolati e successivamente collegati in rete con una semplice lan e, infine, in internet. Non intendo descrivere qui i particolari del progetto. Chi volesse leggerlo lo trova al punto [2] a questo url http://spazioinwind.libero.it/vincal/progetti_elenco.htm chiamato «Progetto telematica: come utilizzare le nuove tecnologie nell'ambito della comunicazione in rete».
Quello che mi preme sottolineare è tuttavia che all’inizio dell’anno scolastico, per l’esattezza nel settembre 1997 con Tin (Telecom Italia Net), la questione collegamento in internet era già stata superata brillantemente perché divenne normalità quotidiana avere a disposizione un laboratorio informatico in rete. Nell’ottobre del 1998 ottenni l’incarico dalla Regione Lazio, presso il Centro di Formazione regionale “M. Mezzelani” di Roma, di impartire un corso di 60 ore sulle reti, il web e la posta elettronica con un programma di elementi di telematica applicata dal titolo : “dal mondo della carta e matita al computer”. I destinatari furono un folto numero di persone adulte (15 per la precisione) da “formare” nel campo della formazione regionale in telematica. Il corso consistette nel mettere al centro delle attività “informatica e telematica”, teoria del modem, client di posta elettronica, funzionamento delle reti, etc..
Il corso partì in settembre del 1998, si svolse presso la Società Meccanica Generale s.r.l. di Via Ostiense 131/L. Il corso si propose di abituare i corsisti non solo ad apprendere e adoperare con padronanza e significatività i client di posta elettronica ma anche (se non soprattutto) di educarli all'importanza dello strumento telematico e al ruolo determinante che la telematica svolge più in generale nella società contemporanea.
Grande ne fu il successo perché a ciascuno dei 15 partecipanti feci attribuire un account di posta elettronica dell’allora dominio statunitense hotmail.com . Ricordo come se fosse oggi la felicità dei corsisti e la loro emozione quando utilizzavano la web-mail in aula, scambiavano messaggi e-mail tra di loro e con me con il loro primo indirizzo di posta elettronica gratuito personale, apprendendone l’efficacia e l’utilità nella loro futura attività professionale.
L’attività di insegnamento della telematica continuò a ritmi veloci per tutta la fine degli anni ’90. Ogni anno i miei studenti ebbero l’opportunità di imparare a usare la rete e internet come strumenti culturali di apprendimento e di conoscenza. Il 20 maggio 1998 pubblicai in rete con il provider Italia On Line il mio primo sito web, costruito inizialmente con il programma Microsoft Word e successivamente riprodotto con Frontpage. La Home page è tuttora in rete e dopo diciotto anni è rimasta identica a quella iniziale. La si può vedere al seguente url: http://users.romascuola.net/vincal/ .
L’incalzare dei progressi della telematica mi imposero ulteriori interventi di progettazione e di adeguamento della didattica di cultura di rete che produssero la costruzione del sito che considero il mio più grande successo come docente dal titolo: Un sito web al servizio degli studenti raggiungibile in internet all’url : http://spazioinwind.libero.it/vincal/ .
Non è il caso qui di ricordare i tanti contatti che ho avuto con centinaia di utilizzatori, insegnanti e studenti, ricercatori e professionisti di tutto il mondo in relazione ai temi affrontati per preparare al meglio gli studenti di maturità scientifica. L’attività continuò incessantemente negli anni successivi con la organizzazione nel febbraio del 2001 l’incarico di proporre a studentesse di maturità dell’Istituto Commerciale “Carlo Levi” di Roma un corso di sei ore di E-commerce su reti, prenotazioni Sigma, Chioski e tecniche di e-commerce. Si rafforzò l’impegno relativo alla produzione dei seguenti siti web:
1. “Progetto 17 esperimenti: il piano inclinato di Galileo Galilei” raggiungibile all’url: http://digilander.libero.it/vincal1/
2. “Corso di Fisica e Laboratorio in una terza classe di liceo scientifico” raggiungibile all'url: http://xoomer.virgilio.it/iwwcal/
3. “Dalla scitala lacedemone alla firma digitale: piccola storia della comunicazione protetta” raggiungibile all'url: http://web.tiscali.it/vincal/

Conclusioni

I trent’anni di internet che ci troviamo alle spalle rappresentano certamente un buon biglietto da visita per la rivoluzione digitale compiuta a Roma e in Italia. Certamente guardandomi indietro quella avvenuta è una rivoluzione sebbene modesta all’inizio ha rappresentato una semina efficace di conoscenze e metodologie valide fino adesso.
Se si pensa alle colossali trasformazioni che sono avvenute in questo campo e che ancora rimangono da fare nel mondo si ha la esatta percezione della rivoluzione che si è verificata nell’ultimo decennio del ‘900. Avere oggi due miliardi di cittadini di tutti i continenti connessi in rete è un buon traguardo. Ma ancora non basta. Il successo finora maturato a livello mondiale non è ancora sufficiente per tutta l’umanità e molta strada si dovrà ancora fare. Sicuramente il progresso scientifico e tecnologico continuerà a manifestarsi in tutte le sue polivalenti sfaccettature sia positive che negative ed è chiaro il messaggio che la rivoluzione non è ancora terminata. In Italia siamo ancora indietro.
La realizzazione di una società digitale rappresenta per la società umana un obiettivo che deve garantire democrazia, libertà di pensiero e certezze professionali per una maggiore quantità e qualità dei cittadini dell’intero pianeta in grado di poter viaggiare verso una società mondiale interconnessa e garante dei diritti personali di tutti.
Le potenzialità di internet e della rete sono consistenti. Da queste potenzialità possono discendere vantaggi notevoli per tutti. Dipenderà dalle future generazioni raccogliere la sfida che noi utilizzatori della prima e della seconda ora (di una certa età del secolo scorso) abbiamo messo in atto. Non sprechiamo quanto fatto. In bocca al lupo a chi proseguirà su questa strada.

Bibliografia

La bibliografia che riporto di seguito riguarda solo libri in lingua italiana stampati entro l’anno 2000, da me comprati e letti durante il periodo d’oro dei primi lavori dell’uso didattico della rete. E’ ordinata cronologicamente per anno. Di tutti i volumi sotto riportati ho un grosso debito culturale contratto con il tredicesimo della lista, di M. Calvo e Altri, perché ho seguito un corso di aggiornamento completo con uno degli autori, il prof. Roncaglia dell’Università di Viterbo, che ha costituito l’ossatura della mia formazione nel campo dell’uso di Internet e più in generale della cultura di rete.

1- Baldini M., Storia della comunicazione, Roma, Newton & Compton, 1974;
2- Berretti A. Zambardino V., Internet Avviso ai naviganti, Roma, Donzelli, 1982;
3- Zou Luciana, L'informatica, Roma, Newton Compton, 1995;
4- P.Ghisalandi, Oltre il multimedia, Milano, F.Angeli, 1995;
5- L.Guglielmi-E.Redi, Posta elettronica e FTP, Milano, Jackson libri, 1995;
6- L.Tomassini, Da Gutemberg al Multimediale passando per Internet, Radio & Data Communications, 1996;
7- G.Bonelli, Posta elettronica, Milano, Tecniche Nuove, 1996;
8- L.Lamb-J.Perry, E-mail a portata di mano, Milano, McGraw-Hill, 1996;
9- P.Attivissimo, Internet per tutti, Milano, Apogeo, 1996;
10- R.Ridi, Internet in biblioteca, Milano, Bibliografica, 1996;
11-B.P.Kekoe, Lo zen e l'arte di Internet, Milano, IlSole-24ore libri, 1996;
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