sabato 5 novembre 2016

Un paese sull’orlo di una crisi irreversibile.


USA ovvero United States of America. Da sempre un simbolo di libertà e di democrazia. Un simbolo e un potente stimolo di possibilità dati a tutti i cittadini di qualunque tipologia di questo grande paese per realizzare se stessi in modo completo, anche sul piano economico. Anche, non solamente come purtroppo è diventato oggi.
Decenni fa gli States erano considerati un modello non solo economico per tutto il pianeta. Oggi non è più così e probabilmente non lo sarà in futuro. Lo Stato più influente del mondo che salvò l’Europa dal nazismo, che fu il salvatore della guerra fredda con l’Urss, che permise la rinascita di istituzioni come l’Onu, che permise a un uomo di colore di diventare Presidente Usa per due mandati consecutivi ormai è su una china inarrestabile di crisi generale.
Lo strumento che ha permesso di chiarire questa svolta sono le imminenti elezioni politiche statunitensi. Durante la campagna elettorale si sta assistendo allo sgretolamento sistematico dell’immagine degli Usa ben più di quanto possa essere stato lecito pensarlo e soprattutto ben al di là di quanto possa essere definito “fisiologico”.
L’entrata in scena a gamba tesa di Donald Trump ha scoperchiato questo gigantesco pentolone in cui ribollono stati d’animo che di positivo non hanno nulla. Scandali, finanza ai limiti dell’inaccettabile, salvezza delle banche e condanna degli uomini, la riproposizione di atteggiamenti razzisti nei confronti dei poveri di colore, la caccia ai terroristi islamici, la contrapposizione politica tra i due candidati alla carica di Presidente e tanto altro hanno ormai convinto il mondo intero che gli Usa non sono più il faro della democrazia mondiale.
"C’è del marcio in Danimarca" avrebbe detto il nostro Totò. E il marcio sta uscendo fuori nei dibattiti e nelle contrapposizioni della campagna elettorale. Intendiamoci lo è anche in Italia per il referendum costituzionale. I due paesi durante questa campagna elettorale stanno dando il peggio di sé.
La campagna politica di Trump è tutta una corsa sorprendente di dichiarazioni che fanno emergere sempre di più i mali della società statunitense che finora, per diversi motivi, erano rimasti nascosti. La stessa dichiarazione del candidato repubblicano che se perderà non riconoscerà la vittoria della sua avversaria la dice lunga sulla crisi ormai strutturale del paese.
Nella politica estera ci sono tutti i motivi di questa crisi. Dalla contrapposizione con la Russia di Putin, dagli errori della gestione della politica mediorientale, dalla cecità di aver permesso l’espandersi del terrorismo islamico del Daesh nei paesi dell’area siro-irachena emerge una costante che è l’aumento incontrollato di errori di gestione della politica mondiale degli Usa. Se aggiungiamo i fattori endogeni interni il risultato è una perdita di credibilità gigantesca nel riconoscimento dello status di primo della classe che non c’è più.
La crisi economica e finanziaria di tutti i paesi cosiddetti ricchi e la imponente incapacità di gestire le politiche migratorie hanno determinato un allargamento della forbice tra le classi sociali tra ricchi e poveri. Il problema è tristemente noto in Italia ma dagli Usa non ci aspettavamo una così forte sottovalutazione.

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