domenica 29 aprile 2018

Un piccolo rifiuto, una grande lezione.


Al contrario del Principe di Condè io non ho dormito l’intera notte prima di agire. Dopo la decisione ho trovato un incoraggiamento postumo da un proverbio, che dice: a rubar poco si va in galera, a rubar tanto si fa carriera. Certo in questi casi c’è sempre una vocina dentro di me che mi dice: “chi te lo ha fatto fare? Perché devi perdere sempre”?
Convivo frequentemente con questa domanda da tempo immemorabile e mi sovviene tutte le volte che devo compiere un sacrificio dal punto di vista economico. Anche questa volta, lentamente e implacabilmente, la vocina si fa sentire nella mente ma so che scomparirà dalla mia memoria non appena sarà trascorso quel po’ di tempo necessario per dimenticarla, com'è successo sempre, senza eccezione, nella mia vita. Quasi sempre alla fine sono rimasto consapevole di aver fatto la scelta giusta. Questa scelta ha a che fare con una specie di “elaborazione del lutto” in cui il caro estinto non è una persona ma la perdita di denaro che avrei potuto guadagnare facilmente e che viceversa, per principio, ho perduto. Per conciliare la perdita alla fine mi rivolgo con autoironia alla ineluttabilità della morte ricordando il luogo comune che “tutti dobbiamo morire”. E morire da persone oneste, a mio parere, è meglio che morire da persone disoneste, anche nel piccolo e a costo di sacrifici economici.
Questa lunga premessa era necessaria per comprendere meglio e giustificare alcuni miei comportamenti che nascono dal mio più profondo modo di concepire e interpretare la vita.
In breve tutto nasce dal fatto che un po' di tempo fa ho preso la decisione di cambiare la mia auto. Dopo più di cinque anni di vita e con sessantamila chilometri percorsi la mia macchina non mi dava più sicurezza su diversi fronti. Senza ormai garanzia e con i pneumatici consumati e fuori norma decido di acquistarne una nuova. Mi presento dal rivenditore che mi fa una valutazione dell’usato poco appetibile. Decido di affidarmi al "fai da te" con un annuncio su internet. Pochi giorni dopo ricevo alcune proposte tutte scartate per il basso prezzo offerto e una sola interessante presentatami da un cinesino che, dopo aver fatto una verifica delle condizioni dell'auto da commissione d'esame tedesca tanto è stato pignolo, valuta l’auto ben cinquecento euro più di quella del rivenditore. Decido pertanto di accettare.

E qui casca l’asino. Il cinesino mi dice candidamente ma fermamente che non ha intenzione di pagarmi con bonifico bancario. Pretende di pagare in contanti perché afferma “così fan tutti”, come nella celebre opera scritta da Mozart, il cui frontespizio del libretto è nell'immagine sopra. Io non sono d’accordo perché chiedo la tracciabilità del pagamento prima della firma all’Agenzia delle Entrate per il passaggio di proprietà. Dopo un tira e molla di alcuni giorni mi informa che al massimo è disposto a pagarmi il 50% con bonifico e il rimanente in contanti. La mia decisione è dolorosa: rifiuto la sua proposta e con la coda tra le gambe consegno al venditore in permuta l’usato, col cuore gonfio di amarezza e una perdita secca di 500 euro.
Piccola notiziola: il cinesino mi informa che ha sempre fatto affari pagando sempre in contanti e che io sono un "tipo strano" perché non faccio come tutti gli altri. Preciso che vivo a Roma e che in un certo senso avevo previsto questa statistica. Ai suoi occhi sarò apparso poco affarista, per niente pragmatico e mi saluta svogliatamente con un moto di stizza stampato sul suo viso.
Il fatto che io non abbia dormito la notte precedente alla decisione palesa una conclusione di vita comune tutto sommato accettabile. Infatti non mi sento di essere come il giovane Luigi II di Borbone-Condé, detto poi Grand Condé, che a detta di Achille Campanile nel suo libro Vite degli uomini illustri fu si grande condottiero ma che fu ricordato successivamente non per le sue doti militari ma perchè aveva dormito profondamente la notte avanti la battaglia di Rocroi.

sabato 28 aprile 2018

La deriva del principio di autorità.


Ho letto un breve articolo sul quotidiano che leggo abitualmente. Non ha importanza quale quotidiano sia, né chi lo ha scritto. E’ importante che cosa c’è scritto e soprattutto quali riflessioni induce.
Ebbene il tema è di quelli squisitamente sociologici che ha il merito di innescare un ragionamento intorno alle responsabilità della politica nella vita della società italiana. Non ho alcun motivo da nascondere se dico che il valore dell’articolo da solo eguaglia il costo dell’intero abbonamento annuale al giornale.
Il tema è interessante. In breve si tratta di un padre che accompagna il figlio tredicenne ad arbitrare una partita di calcio di ragazzini juniores della sua stessa età. La partita è finita 4-0. In questi casi si dice che non c’è stata storia. Un risultato del genere di solito lascia zitti tutti. Vincitori e vinti capiscono che qualunque critica contro l’arbitro sarebbe fuori luogo, anche perché non ci sono stati né rigori negati, né espulsioni traumatiche. Dunque eventuali critiche non avrebbero avuto senso.
E invece le cose non sono andate così. Particolare stupefacente è che la contestazione che c’è stata è venuta dai vincitori e non dai vinti. Ometto i particolari che aggiungono sconcerto ai motivi della contestazione e che appaiono chiaramente strumentali.
Ed è proprio questo il senso dell’articolo: le contestazioni all’arbitro da chi non te li aspetti, per ragioni peraltro ingiustificabili.
In Italia oggi si contesta tutto, anche l’incontestabile. Ed è qui che scatta la trappola nella quale politici e istituzioni negli ultimi decenni di politica nazionale hanno ingabbiato gli italiani, modificando geneticamente il loro dna e costretto con le loro polemiche e beghe politiche l’intero paese ad essere ostaggio di politiche insulse basate sulla polemica.
I cittadini di questo paese ormai hanno deluso tutte le aspettative sulle quali si sono basati i nostri padri costituenti fondatori della Repubblica e della “più bella Costituzione del mondo”.
Il problema denunciato dal giornalista non è tanto la violenza manifestata dai tifosi di calcio. Il problema gravissimo è che si è perso il senso del rispetto dei ruoli, perché non esiste più la accettazione di un sistema sociale basato sulle regole e sul rispetto del principio di autorità. Il virus del sospetto verso chiunque prenda una decisione, legittimato a prenderla, è ormai diventato prassi quotidiana e visione del mondo. Ormai è stata sdoganata una modalità di considerare l'esistenza della società, in filosofia chiamata Weltanschauung, in cui non si riconoscono più le funzioni, i ruoli, le competenze e le capacità di chi è legittimato a decidere. In una sola parola si è perduto il senso della serietà.
Se qualcuno è curioso di leggere la fonte vada su Il Foglio di oggi scritto da Maurizio Crippa in prima pagina.

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