sabato 4 ottobre 2003

Parzialità e mancanza di professionalità

Diciamo la verità: non c'è peggiore notizia nell'informazione di quella che caratterizza un giornale per la sua parzialità. Ci riferiamo alla cattiva abitudine di molti giornali di riportare solo alcune campane e non altre. Vediamo di cosa si stratta. Il giornale digitale *La Repubblica.it* ha molti aspetti positivi. Tuttavia presenta un grosso neo che si riferisce al fatto che quando ci sono notizie che riguardano il mondo della scuola compaiono sempre ed esclusivamente interviste rilasciate dai rappresentanti sindacali di una sola parte dello schieramento politico-sindacale, come CGIL-CISL-UIL ed anche dai rappresentanti di Associazioni culturali come il CIDI che è, come è noto, di sinistra. Ci sarebbe piaciuto, viceversa, conoscere anche il punto di vista dell'altra parte, cioè dei sindacati di centro-destra che è rappresentato dai sindacati autonomi, non ci interessa quale in particolare. Possibile che questa campana sindacale, per quanto sgradita e antipatica, in tanti anni di impegno sindacale non abbia mai detto nulla di interessante che valesse la pena conoscere?
Desideriamo pertanto chiedere al suo Direttore: è una Sua scelta o una Sua dimenticanza? Nel primo caso ravviserei una forma di parzialita' politico-sindacale di difficile comprensione oltreche' sgradevole per un quotidiano che, da sempre, difende il punto di vista pluralista. Se invece si tratta di una dimenticanza, forse sarebbe il caso di rimediare. Al fratello maggiore di Repubblica.it , cioe' a "La Repubblica" abbiamo gia' scritto una volta ma non abbiamo mai ricevuto risposta. Che l'informazione scolastica sia un colossale buco nero di questo giornale?
Teniamo a precisare che siamo tra quei lettori che leggono questo giornale accanto ad altri di altro schieramento. Questo, tuttavia, ci dà la forza di fare la nostra critica.

martedì 30 settembre 2003

L’inizio di un romanzo incompiuto.

Una vita perduta(1972)

Capitolo I

Quella sera non era tardi, eppure E. contrariamente alle sue abitudini si mise sulla strada di casa. Il fatto era che non si sentiva tanto bene: un fastidioso raffreddore lo perseguitava da parecchi giorni ed egli, invece di riguardarsi da possibili colpi di freddo, era uscito di casa lo stesso, nonostante la serata fosse fredda e nebbiosa. La fioca luce che filtrava attraverso i lampioni della piazza del paese rischiarava un luogo desolato e solitario. Il vecchio castello, lassù in cima al paese, era illuminato da una debole luce gialla. Le panchine pubbliche della chiesa, i cosiddetti “delfini”, erano vuote e nessuno era seduto là dove di solito, in estate, si sedevano gli amici a chiacchierare fino alle ore piccole della notte. Non c’era nessuno che camminava nella strada e, nella spessa coltre di umidità, E. provò qualche brivido di freddo. Doveva avere la febbre, perché sentiva la fronte calda e avvertiva una certa secchezza alla gola che gli dava particolarmente fastidio.
Il luogo dove egli viveva, la casa dove abitava ed i posti che frequentava erano tutti maledettamente umidi e pericolosi per la sua salute cagionevole. In quel posto dimenticato da chiunque, tutto era sgradevolmente umido, dalle case, vecchie e decrepite, al clima, che tanto ricordava le lande desolate di una brughiera. Il paese, in montagna, si chiamava M. ed era battuto continuamente dal vento e dalle intemperie per dieci mesi all’anno. Molte sere d'inverno venivano trascorse al buio, vicino a qualche piccola candela, mentre fuori infuriava il mal tempo. Il vento ululava in continuazione e mancavano solo i lupi per dare la sensazione di essere fuori dal tempo. Era un posto veramente d’inferno: desolato, triste e opprimente. Mancava spesso la luce elettrica e le strade erano quasi sempre impraticabili, piene di pozzanghere e di buche maleodoranti. Come se non bastasse, M. era diventato un paese spopolato e inesorabilmente predisposto a non avere un futuro. Eppure, una volta non era stato così. M. era stato il fulcro della vita sociale, economica e turistica della zona. Era stato il punto di riferimento, il centro motore economico e civile a causa della presenza di una classe sociale che a quel tempo prosperava ed era rigogliosa: la borghesia. I signorotti che la frequentavano si riunivano soprattutto in estate, a decine, conducendo una vita viziosa e piena di divertimento, giocando a carte la sera e dedicandosi ai pranzi e alle cene con i migliori cibi del luogo. Grande e stridente era il contrasto fra quelle ricche e volgari famiglie facoltose, tutte dedite ai commerci e ai traffici illegali, con quella dei contadini del luogo, che possedevano vecchie casupole semidiroccate nelle quali abitavano tutti i numerosi membri della famiglia. La gente del luogo camminava frettolosamente per la piazza del paese, con passo svelto e sguardo in basso, in atteggiamento servile, salutando continuamente con largo uso del gesto di rispetto del luogo, consistente nel togliersi la “coppola” dalla testa e dicendo meccanicamente “buongiorno a voscienza”.
Nella piazza, i circoli prosperavano: quello dei nobili, dove nessuno si sognava di passare accanto all’entrata per timore di essere rimproverati dai signorotti che stazionavano dietro alle vetrate delle porte, annoiandosi e oziando per tutta la giornata. Il circolo della società operaia, chiuso in se stesso fino alla monotonia. Aveva una grande stanza, con delle poltrone grandi e consumate dal tempo, nelle quali i soci, tutti artigiani indigeni del luogo, si immergevano nella lettura del giornale locale. Il circolo dei civili, frequentato soltanto dai contadini, era una piccola stanza, disadorna, povera ed essenziale, posta agli estremi della piazza, in poszione emarginata, in cui vi era solo un tavolo di legno scadente e una decina di sedie, vecchie. Il circolo di lettura, ricco di una biblioteca e pieno di divani e poltrone damascate, era l’invidia del circondario. A M. quasi nulla era piacevole. Anni e anni di amministrazione comunale disastrosa, di lotte fratricide all’interno delle coalizioni politiche, personalismi beceri, nepotismi e un progressivo spopolamento naturale verso le città, dovuto anche a un considerevole flusso di emigrazione all’estero nella ricca Germania, avevano portato M. al limite della sopravvivenza come comune autonomo. Il paese, da qualche lustro era stato declassato a "villaggio". Nonostante gli sforzi disordinati e inutili dei suoi amministratori, il Comune aveva perduto la caratteristica di centro turistico. La disoccupazione era totale. La gente del luogo riusciva a sopravvivere tra mille difficoltà, perché lavorava in piccoli appezzamenti di terreno nelle lontane campagne del circondario, dove coltivavano il minimo indispensabile per sopravvivere. Gli inverni erano lunghi e freddi e la gente risparmiava su tutto. "Sotto la neve, il pane", si sentiva spesso ripetere dai vecchi del luogo, come una sorta di giustificazione per la vita dura della montagna che accomunava i poveri del paese.
Erano questi i pensieri che affollavano la mente di E. quando era sulla strada di casa e si domandava come era stato possibile che fosse successo proprio a lui di nascere in quel luogo sfortunato e dimenticato da tutti. Passando davanti al circolo di lettura dei nobili (o per meglio dire quello che era stato dei nobili, perché adesso vi erano i nuovi soci, rozzi e ignoranti, che rappresentavano il “nuovo” del paese) buttò uno sguardo distratto e frettoloso all’interno, sapendo bene che avrebbe visto al massimo il professore D. che leggeva il giornale. Il prof. D. era infatti sprofondato in una poltrona, tutto solo, che leggeva per l’ennesima volta il solito settimanale come soleva fare ogni volta che usciva di casa per trascorrere la lunga serata al circolo. E., oltrepassò così l’ultima porta del circolo e si avvicinò al bar, ma anche qui, lo spettacolo era sempre lo stesso, prevedibile e monotono come sempre. Poche luci accese, una stufa a gas in funzione al minimo e il proprietario, il Commendatore P. che in un angolo accarezzava il suo cane Flock. E. mormorò tra sé, se quello era il posto dove doveva nascere, vivere e, forse, morire. Quante cose desiderava in quel momento che non aveva mai avuto: l’amore puro e vero di una donna, l’amicizia disinteressata e solidale di qualche compagno, l’esistenza di alcuni locali piacevoli dove divertirsi, una moto per usarla al solo scopo di evadere da quel triste posto quando ne aveva voglia e, soprattutto, l'agognato diploma per concludere i suoi studi. Perché, si domandava, queste cose a lui erano state e continuavano ad essere negate? Perché proprio a lui non riusciva niente di buono nella vita? Perché? Ma erano tutte domande che nonostante li avesse poste a se stesso molte volte, non avevano mai avuto una risposta. Fin dall’adolescenza aveva intuito quali gioie avrebbe potuto dare la vita se fosse riuscito a evadere da quel calvario di paesino sperduto sui monti. Aveva superato i ventisei anni e da sempre non trovava alcuna risposta ai suoi interrogativi, ai mille perché che la vita continuamente prospettava a chiunque si fosse posto domande di senso sulla vita. Cosa fare? Ma un altro brivido di freddo lo riportò alla triste realtà. Doveva affrettarsi, perchè faceva veramente freddo. Appena arrivato a casa, avrebbe dovuto addormentarsi subito, oppure leggere qualche pagina del libro che stava posato sul suo comodino come livre de chevet? Neanche qui era sicuro di ciò che avrebbe fatto appena sarebbe arrivato in camera. Aprì la porta di casa e vide che la madre stava ancora lavorando. La madre cuciva vestiti per arrotondare la striminzita pensione del padre di E. Era sempre lì, poveretta, a cucire, dalla mattina alla sera. Anzi, dalla mattina a notte fonda. Il mestiere di sarta l’assorbiva completamente per guadagnare qualche soldo ed ella dedicava tutto il tempo e le fatiche della giornata al lavoro, nella segreta speranza che un giorno sarebbe stata ripagata dal figlio con un’altra vita, lontano dal paese, in città dai suoi cugini. E. salutò la madre e si congedò subito dicendo che aveva intenzione di dormire ed auguratale la buonanotte si diresse verso la sua camera. La trovò come al solito squallida, fredda e triste. Con le pareti scalcinate ed alcuni maglioni posti sulla sedia, sembrava un ricovero per bombardamenti in tempo di guerra. Però era l’unico posto dove E. poteva sognare il suo futuro, dove il tempo sembrava fermarsi e dove, soprattutto, poteva meditare sull’umana ingiustizia. La vecchia e scadente scrivania era coperta di polvere e si notava in maniera lampante la mancanza di cura e della presenza di una mano femminile. Il posacenere, ingombrato di cicche, la cartina geografica dell’Inghilterra sporca dal tempo ed i libri accuratamente posti sui ripiani della libreria svedese erano il panorama quotidiano che si presentava agli occhi di E. sempre più infreddolito. Quale tristezza lo riempiva quando entrava in quella stanza. Quanti desideri insoddisfatti, quanti ricordi, quante speranze deluse lo circondavano osservando tutti quei ninnoli disseminati sui ripiani. Il portacandele rosso a forma di icosaedro appuntito, la vecchia coppa vinta dal fratello nella prova provinciale del tema di italiano, il porta confetti blu a forma di coppa e il vocabolario Melzi nel suo cofanetto vecchio e consumato negli anni. Ah! Quando sarebbe finita quella prigionia? Quando sarebbe svanita quella atmosfera di oppressione che si sentiva nell’aria vivendo ore d’inferno fra quelle quattro mura fredde e vuote? E. cominciò lentamente a spogliarsi, rifacendo mentalmente le stesse operazioni che da anni, in maniera ripetitiva, faceva sempre quando andava a letto la sera. Ripose i pantaloni in maniera disordinata sullo stiracalzoni Reguitti, si tolse il maglione buttandolo sulla poltrona e indossò il pigiama a righe di fustagno. Accese la lampada da notte e si infilò nel letto. Le lenzuola erano ghiacciate e riprese a rabbrividire. No! Pensò. Quella sera non avrebbe letto. Era stanco e non si sentiva bene. Spense la luce e chiuse gli occhi. Cominciò a pensare come avrebbe potuto essere la sua vita se avesse vinto alla lotteria. Fece alcuni conti di quanto denaro gli servisse per vivere alla grande e fantasticò ancora un poco. Di nuovo alcuni brividi di freddo lo percorsero lungo tutto il corpo e riaprì gli occhi. Un sottile pennello di luce filtrava sotto la porta, dandogli immensamente fastidio. E. gridò: “mamma, chiudi la porta”! Sua madre si precipitò spegnendogli la luce del corridoio e chiudendo accuratamente la fessura della porta che faceva entrare una fredda e umida corrente d’aria dalle scale. Fuori la pioggia scrosciava abbondante, forse allegramente, forse tristemente. E. non sapeva mai quale sentimento provava quando pioveva. Questa insicurezza se la portava appresso da sempre, producendo dannose ossessioni e rendendogli la vita penosa e senza fiducia. Forse più per la stanchezza che per altro, trovò finalmente la giusta posizione nel letto e si addormentò. Chissà quale sogni avrebbe fatto quella notte!


Capitolo II


Era giorno pieno quando E. si svegliò e contrariamente a quello che avrebbe dovuto fare alzandosi subito dal letto, rimase in posizione inerte. Si mise a pensare come avrebbe occupato la rimanente parte della mattinata. Non che non avesse da fare nulla, perché di tempo per studiare ne avrebbe avuto bisogno per anni interi. Ma il fatto che avesse radicato in sé l’abitudine di non studiare mai la mattina non era mai disponibile alla fatica. Lo raggiunsero i rintocchi della campana dell’orologio della Chiesa, annunciandogli che erano già le dodici e un quarto, ma lui infischiandosene degli orologi e del tempo cadenzato dagli orologi delle chiese, fece per riaddormentarsi, quando la porta della sua stanza si aprì e sua madre entrò. “E. è tardi, alzati. Gli esami all’università si avvicinano e tu ancora non hai fatto niente”. “Va bene mi alzo”, mormorò con un tono irritato, come per dire : “ma a me non importa nulla”. Sua madre, consapevole che non avrebbe raggiunto mai lo scopo di farlo studiare la mattina, uscì dalla stanza e si diresse in cucina. E. si alzò, ed entrò in bagno per lavarsi, ma un rapido sguardo allo specchio gli fece ricordare la sua triste condizione. Un fallito! Non poteva non essere che un fallito! Cosa avrebbe potuto fare nella vita un tipo come lui? L’acqua fresca del rubinetto gli snebbiò le idee, ritemprandolo un po’ e facendogli dimenticare quei pensieri che nei momenti di solitudine lo assalivano divorandolo. Si vestì in fretta, mangiò una fetta di pane di corsa e uscì per andare a trovare gli amici al bar.

sabato 27 settembre 2003

Circola in Italia un parlamentare della maggioranza che va dicendo: "Le mie dimissioni? Un falso. Mi piace prendere in giro l'opposizione"!

A Roma in questi giorni è diventata realtà la favoletta del pastore che grida: "al lupo, al lupo"! L'autore è l'Avv. Taormina, parlamentare del partito Forza Italia, nonchè famoso avvocato difensore in molti processi. Questo stranissimo e atipico parlamentare, che quando parla assume sempre il tono rissoso di un individuo che sembra essere arrabbiato con tutto il mondo, inventa una falsa notizia che si riferisce alle sue dimissioni dal Parlamento e poi la smentisce. In pratica funziona così: l'on. Taormina afferma una notizia importante, la comunica alla stampa e fa di tutto per far credere che essa sia vera. Aspetta qualche giorno e subito dopo aver verificato che i media e l'opposizione politica ci hanno creduto, fa un annuncio shock, affermando che lui aveva scherzato. Diciamo la verità: l'On. Taormina è un giocherellone che ci ricorda un po' quel pastore che diceva, sempre per scherzare, al lupo, al lupo! Alla fine il lupo se lo mangia davvero senza che gli altri se ne accorgano, a causa della pessima maniera di raccontare frottole. Ora, mentre l'On. Taormina può scherzare quanto vuole, noi desidereremmo che non ci coinvolgesse nei suoi stupidi e puerili scherzi. Già nella politica italiana c'è troppa poca serietà : se poi ci si mette anche lui a raccontare frottole noi rischiamo di morire. Ma non di scherzi: c'è da morire di vergogna per un paese che è rappresentato da parlamentari che invece di fare gli interessi dei cittadini, raccontano invenzioni!

mercoledì 24 settembre 2003

Una caduta di stile.

Ieri sera il presidente del Consiglio Berlusconi è stato negli Stati Uniti per effettuare un intervento molto importante alle Nazioni Unite nella veste di Presidente dell'Unione Europea. Ha parlato per circa 20 minuti alla presenza di centinaia di Capi di Stato presenti nell'aula dell'ONU dicendo cose interessanti, condivisibili e piene di buonsenso. Due aspetti di questa faccenda mi hanno negativamente colpito: il primo è la vistosa assenza di collegamenti radiotelevisivi in diretta del nostro costoso servizio pubblico e il secondo è l'assordante silenzio dei media e dell'opposizione in relazione al contenuto delle cose dette da Berlusconi. Mi dispiace profondamente che i fatti si siano svolti in questo modo e provo tanta pena per il verificarsi del solito deteriore comportamento dei parlamentari e della stampa che fanno opposizione al governo Berlusconi. Non credo che nè la televisione, nè la carta stampata abbiano fatto bella figura a oscurare l'intervento del Presidente del Consiglio. Credo che si sia trattato non solo di una caduta di bon ton, ma di una pericolosa invidia provata dall'opposizione che non fa onore a chi aspira a essere un futuro antagonista del governo. Mi dispiace, ma credo che l'Ulivo comincia male il progetto politico che sta tentando di mettere in atto per ridare credibilità alla politica dell'opposizione. Questa caduta di stile il centro sinistra poteva proprio risparmiarsela. In certe situazioni, tra tante perle e colossali abbagli presi dal Presidente del Consiglio, riconoscere all'avversario un merito che egli si e' conquistato sul campo è un dovere per chi aspira a essere preso sul serio. Per i dirigenti della Rai che non hanno permesso agli italiani di sentire e vedere il Capo del governo non ho parole. A fronte di spettacolini indecenti e di second'ordine che quotidianamente la RAI ci propina, e' irritante l'impudenza di questi dilettanti del video nel chiedere di pagare un canone che essi certamente non meritano.

domenica 14 settembre 2003

Ecco l'Italia dei furbi e quella degli stupidi.

Il Governo è intenzionato a varare una scellerata sanatoria edilizia mediante un vero e proprio condono generale per tutti gli abusi commessi nel mondo delle costruzioni abitative fino a tutto il 2002. La ragione è che intende raggranellare qualche miliardo di € perché, come si dice in questi casi, si trova “sul lastrico”. Anche se dal punto di vista finanziario e monetario il Governo ha molte ragioni per varare il provvedimento, non è mia intenzione dibattere la questione da questi punti di vista. Dunque, tutto risolto? Un momento, vediamo meglio qual'è l'oggetto del contendere. La questione sembra semplice: si tratta di eliminare delle illegalità commesse in precedenza e sperare che in futuro non si verifichino più. Ma è qui che si pone un problema molto delicato che è allo stesso tempo "politico" ed "etico". Il problema politico si pone nel momento in cui si considera il metodo adoperato dal Governo per reperire il denaro di cui ha bisogno. Non credo che sia corretta e adeguata la politica di una maggioranza di governo che opera in modo tale da non impegnarsi adeguatamente, con i propri organi di controllo, a stroncare l'illegalità prima che venga commessa in modo tale che in un secondo tempo non si costringa chi ha commesso l'illecito a pagare una tassa, chiamata condono, per eliminare la disonestà commessa. Ma vi rendete conto di quanto sia pazzesca questa scellerata maniera di ragionare? Cioè si permette che moltissimi cittadini commettano la illegalità e poi, in un secondo momento, si invitano i medesimi cittadini a sanare la stessa illegalità. Ma allora le Autorità che ci stanno a fare se non sono in grado di evitare che si commettano i reati? E in ogni caso, perchè non si distruggono subito, dopo poche settimane o al massimo alcuni mesi, le costruzioni tirate su, magari in una notte, illegalmente? Evidentemente c'è qualcosa che non va in questo ragionamento del Governo. Non si è mai vista in tutta l'Europa una modalità di fare politica di questo tipo. Si sperava che questo Governo, diversamente dai precedenti, avesse in animo di agire correttamente per fare rispettare la legalità premiando gli onesti. Invece, si deve prendere atto, con sconforto, che siamo sempre alle solite. Non c'è da fidarsi di nessuno: cento-sinistra o centro-destra che siano operano sempre alla stessa maniera. Ciò che il Presidente del Consiglio non comprende è che così operando si realizza una politica economica che favorisce i furbi che rovinano l'ambiente e non pagano le tasse. Si premia chi trasgredisce piuttosto che chi segue la legge.
Dal punto di vista etico e morale poi il provvedimento è di una gravità inaudita, perchè si sceglie forzatamente la strada di agevolare chi commette un reato a danno di coloro che non lo compiono. Non si è mai vista in tutto il mondo una scelta cosi' infelice e disgraziata come quella che il Governo sta prendendo in considerazione in questi giorni per fare cassa. Invece di perseguire i mascalzoni che fanno i furbi aggirando la legge si mettono in atto provvedimenti legislativi precari volti ad aiutare i professionisti della speculazione. Le sanatorie sull'abusivismo rappresentano la quintessenza delle più efficaci mascalzonate che gli italiani sono in grado di commettere da veri e propri artisti.
Possiamo dire che siamo preoccupati per questo modo di agire?

mercoledì 3 settembre 2003

Finalmente. Arrivano i soldi per la scuola privata.

*E' un fatto di equità*. E' questa la sintetica dichiarazione del Ministro della Pubblica Istruzione ascoltata la sera del 3 Settembre 2003 al telegiornale subito dopo l'emissione del Decreto con il quale il Governo ha stanziato dei fondi a favore delle famiglie che intendono iscrivere i loro figli alla scuola privata piuttosto che a quella statale. Il caso merita alcune riflessioni per permettere di capire meglio e criticamente del perchè questo paese si trova cosi’ malridotto sul piano dei diritti, della giustizia e dell’uguaglianza. La prima osservazione che mi sento di proporre riguarda il fatto che di per sè il caso non dovrebbe scandalizzare nessuno. Non è la prima volta che un governo decide di privilegiare una categoria di persone. Quante volte i governi di centro-sinistra del passato hanno emanato leggi, decreti, ordinanze, circolari e bozze normative piu' o meno ufficiali piene di agevolazioni in favore di determinate categorie di lavoratori alla luce di un'impostazione politica che aiuta certe classi sociali piuttosto che altre. Dunque, la prima reazione che emerge da una prima lettura del decreto è di legittimità del provvedimento, almeno dal punto di vista politico. Non posso entrare nel merito della legittimità giuridica perchè non conosco il testo del decreto e non so come procederà la successiva discussione in Parlamento. Mi attengo pertanto ai dati in mio possesso affermando a chiare lettere che il Governo è legittimato a emanare il provvedimento. Non ha senso dichiarare illegittimo un provvedimento che merita una valutazione che è politica e solo politica. Dunque, da questo punto di vista non trovo scandaloso regalare alla scuola privata dei finanziamenti. Certo, comincio a essere perplesso quando vedo il metodo con il quale il Governo ha emanato il provvedimento. Di grazia, perchè un decreto? E' cosi' maledettamente urgente far entrare subito in funzione la norma? E perchè? Non si capiscono le ragioni. Possibile che altri provvedimenti più urgenti subiscono un iter parlamentare paralizzante mentre quello della scuola merita tanta urgenza? Francamente non trovo motivazioni di nessun genere per legittimare il metodo scelto dal Governo. In secondo luogo, non si comprende perchè ai genitori che intendono iscrivere i propri figli alla scuola privata si danno dei contributi mentre ai genitori che intendono iscrivere i propri figli alla scuola statale no. Penso che il provvedimento pecca di parzialità perchè fa una scelta da *due pesi e due misure*. E poi per quale ragione si danno i finanziamenti a tutti, senza tenere conto del limite di reddito percepito? Francamente, se fossi un industriale ricco e senza problemi economici mi sentirei offeso se un Governo mi dicesse che vuole pagarmi la retta scolastica di mio figlio come se fossi un qualunque anonimo impiegato del catasto. Dunque, non si capisce perchè il decreto si rivolge indistintamente a tutti i cittadini, ricchi e poveri, nessuno escluso. Queste perplessità, aumentano nel momento in cui si nota che il provvedimento non riesce a difendere per niente la sfera della libertà dei genitori di alunni della scuola statale di pretendere dallo Stato per i propri figli un'educazione decisa da loro. In altre parole sono del parere che il decreto sia stato fatto più per ingraziarsi l'elettorato di centro-destra e della Chiesa cattolica che per un'autentica vocazione di libertà delle famiglie a decidere della educazione da dare ai propri figli. Quali conclusioni trarre da questa decisione? Semplice, continuano le conferme della inadeguatezza della classe politica attuale. La ragione è dovuta al fatto che da un lato, si effettuano interventi normativi al limite della scorrettezza costituzionale, in modo confuso e velleitario. Dall'altra, la decisione presa acquista la sua giustificazione alla luce del clima culturale che si respira nelle scuole statali dove la sinistra, egemonizzando gli organi collegiali e gli organi istituzionali, impedisce illegittimamente alle famiglie di vedere i propri figli ricevere una educazione coerente con le loro scelte educative. E come al solito emerge che sono perdenti entrambe le posizioni di chi, cioè, da un lato, in modo scaltro e astuto, tira fuori dal cappello a cilindro soluzioni pasticciate e illusorie (non si risolvono i problemi della scuola privata con un finanziamento inadeguato sia sul piano finanziario, sia sul piano dei principi e della uguaglianza) e dall'altro di chi finora ha impedito nella scuola statale una educazione svincolata dai condizionamenti politici di tipo marxista e viceversa ha sempre privilegiato l'opzione dell'assemblearismo (vedi occupazioni violente delle scuole da parte dei gruppi militanti della sinistra) e della distruzione del sistema educativo preesistente senza averlo prima sostituito con un altro adeguato. Come al solito chi perde sempre in questa contesa è la società tutta, che vede sempre piu' allontanarsi dall’orizzonte una scuola al servizio dell'uomo nella sua piu' totale libertà.

martedì 2 settembre 2003

La patente a punti e gli italiani.

Da quando è stata introdotta la patente a punti ed inasprite le sanzioni contro i furbi per i comportamenti scorretti nella guida
di un'automobile, anche i sassi si sono resi conto che la sicurezza nella guida è migliorata molto. Si calcola che saranno migliaia le vite umane salvate dalla morte dopo l'introduzione del provvedimento approvato dal Parlamento. In piu', si valuta positivamente la diminuzione degli incidenti stradali che fara' risparmiare tutti, automobilisti e assicurazioni. Dunque, tutto bene? Non proprio. Se fermiamo la nostra attenzione su questo solo fatto direi di si! Ma se volgiamo lo sguardo ad altri settori importanti della vita sociale del paese, allora mi sento di dire che le cose non vanno proprio bene. E' necessario riconoscere al Parlamento il merito di avere legiferato bene in questo settore. Ricordo ai distratti, tuttavia, che la vita di una nazione non e' costituta solo di patenti automobilistiche. Vi e' molto di piu'. Esistono tanti altri settori che meriterebbero leggi analoghe se non piu' severe. Per esempio perche' non si introduce una patente a punti nel campo dei reati contro il patrimonio? E perche' no, anche nel campo del tifo calcistico, che rappresenta uno degli aspetti piu' delicati della sicurezza pubblica, in cui la violenza negli stadi assume aspetti di inaudita' gravita'? E, più in generale, nel settore del commercio che ne dite? Insomma, perche' nel campo automobilistico si e in altri settori, altrettanto importanti, no? Si potrebbe pensare, per esempio, di togliere 15 punti a quel commerciante disonesto che vende prodotti scaduti; oppure 5 punti se omette di inserire la provenienza di un prodotto esposto sul banco o nella vetrina del suo negozio. E ancora, 20 punti con il ritiro della licenza se il barista di un esercizio alimentare da' a un cliente un bicchiere d'acqua contenente prodotti chimici nocivi in grado di avvelenare una persona. In questo modo in un solo colpo si toglierebbe a questa gentaglia, che vive sulle difficoltà altrui, la possibilità di nuocere. E si potrebbe continuare ancora con altri 20 punti e conseguente impedimento a frequentare gli stadi calcistici al tifoso che porta allo stadio un oggetto contundente in grado di produrre offese agli altri, e cosi' via.Io credo che l'arma della patente a punti sia un ottimo deterrente per migliorare la vita nel nostro paese degli italiani. In genere, un italiano controllato da chi ha la responsabilità di garantire la sicurezza della popolazione, è un coniglio. Se finora ha nuociuto alla gente è perchè gli è stato permesso da leggi legaliste e perdoniste a continuare a offendere gli altri. Dubito però che i tratti caratteristici di questo popolo potranno cambiare in meglio.

sabato 30 agosto 2003

Il mio terzo viaggio nelle capitali dell'Unione Europea: Londra.

London
(22 Agosto- 28 Agosto 2000)

Introduzione. Sono andato a Londra a visitare la bella capitale del Regno Unito come uno dei punti fermi del mio progetto di visita di tutte le capitali dell'Unione Europea. Il viaggio, il terzo dopo Roma e Amsterdam, mi ha portato dal 22 agosto 2000 al 28 agosto dello stesso anno nella bella e incantevole capitale inglese. Questo diario di viaggio è la cronaca sobria e personale di un'esperienza di vita, breve ma intensa, vissuta con autenticità, lontano da lussi ostentati e consumi superflui. Obiettivo del viaggio è da un lato la verifica e la conferma delle mie conoscenze del mondo londinese e, più in generale, di quello inglese mai certificate sul campo. Dall'altro, ricercare apprendimenti, verità per me poco conosciute, sensazioni ed emozioni di viaggio e voglia di vivere a diretto contatto con la realtà londinese. Si dice che un viaggio significa vacanza, divertimento, tregua, avventura e ricerca culturale. Tutto vero. Il mio viaggio a Londra è tutto questo. Ma non è solo questo. E' anche qualcos'altro in più e diversamente. Qualcosa che ho tenuto dentro di me una vita e che adesso posso rielaborare con libertà e consapevolezza. All'inizio del Terzo Millennio dò concretezza al mio senso del viaggio: viaggiare per ricordare chi io sia, da dove vengo, che cosa sono stato da giovane e seguire la passione della piccola ma intensa luce interiore che mi ha finora tenuto in vita con molto ottimismo e gioia di vivere.
La visita si propone di farmi vedere, direttamente e senza intermediazioni, la città della Regina d'Inghilterra e dei cosiddetti "famous londoners", tra i quali desidero ricordare per il debito di riconoscenza che ho verso di essi Francis Bacon, Michael Faraday, Edmund Halley, Sir William Crookes, William Blake, Geoffrey Chaucer, Daniel Defoe, John Milton, John Donne, John Keats, Robert Browning e tanti altri non londinesi che è qui impossibile riportare. L'elencazione delle personalità di grande cultura nate a Londra non è casuale ma segue la logica della bipartizione, perchè le prime sono personalità scientifiche e le seconde sono figure di spiccata cultura umanistica. Scienza e letteratura costituiscono a mio parere i due assi culturali portanti lungo i quali si specchia la società contemporanea e il mio modo di essere nella vita. In questa straordinaria città, dove convivono moderno e passato, avveniristici grattacieli e vecchi edifici storici, si possono vedere coabitare insieme tradizione e innovazione, vecchio e nuovo in armonia e buon gusto.
Informo subito i lettori che questo resoconto di viaggio non è un asettico elenco di date e tappe nella città londinese con qualche fotografia di contorno. Se qualcuno lo volesse intendere così, sappia che rimarrà deluso leggendomi, perchè qui troverà qualcosa di molto diverso. La sua delusione sarebbe per me inaccettabile senza averlo prima informato dei rischi che corre. Il report che qui presento è un racconto del viaggio che ho fatto a Londra nell'anno del giubileo - 25 anni dopo il primo viaggio effettuato in occasione del giubileo precedente a Roma - e si pone l'obiettivo di essere una rievocazione dei momenti più interessanti del viaggio alla luce dei motivi fondanti che mi hanno spinto a visitare Londra e le altre capitali dell'UE. C'è pertanto la precisa condizione di rievocare passi autobiografici come condizione per spiegare meglio e più approfonditamente il "senso" della mia visita turistica alla città. Dunque, le descrizioni di fatti personali costituiscono a tutti gli effetti elementi qualificanti e di sviluppo delle riflessioni necessari per parlare dei fatti londinesi. Se volete, non è secondaria in me l'idea di avere scritto ciò che propongo di me stesso nelle righe sottostanti con lo scopo preciso di riconoscermi nel resoconto relativo a un periodo della mia vita che coincide con il giubileo del 2000.
Londra è la città della metropolitana chiamata Tube, con le sue lungimiranti dodici linee di metropolitana, dei College e dell'educazione inglese, con i suoi studenti vestiti in divisa, delle tante culture che vivono nel paese, della monarchia e della democrazia, del Commonwealth, con il suo sogno di benessere comune in opposizione allo stato dittatoriale, delle code alle fermate degli autobus e della libertà di parola dei cittadini nei parchi, dei taxi neri e degli autobus rossi a due piani, e tanto, tanto altro. Non mi vergogno di affermare che ho la sensazione che vivrò certamente una settimana di intense emozioni che mi vedranno godere questa esperienza come uno scolaretto di un borgo di campagna che va per la prima volta in gita in città. L'idea che mi passa per la mente è semmai un'altra. Quella cioè che questo viaggio, mitizzato per anni e desiderato da sempre, lo avrei dovuto fare molto tempo prima. Avrei cioè dovuto pensarci qualche decennio fa quando ancora avevo l'età di un giovane innamorato della lingua e della società inglese, della letteratura e del patrimonio del sapere anglosassone, in grado cioè di vedere e sentire storia e cultura inglese con i sensi della giovinezza. Ma "con i se e con i ma" non si arriva da nessuna parte. D'altronde, le capitali dell'Unione Europea sono diciassette. Non sono poche. Tolte Roma, Amsterdam e adesso Londra, me ne rimangono ancora quattordici. Avrò sicuramente di che preoccuparmi in futuro di organizzazione di viaggi e di conoscenze linguistiche. Adesso mi interessa principalmente parlare della città il cui fiume che la attraversa viene chiamato semplicemente The River. Samuel Johnson, il letterato più illustre nella storia inglese, ha detto che "dopo aver visto Londra ho conosciuto il massimo della vita che il mondo può mostrare". E successivamente aggiunse : "Quando un uomo è stanco di Londra, vuol dire che è stanco della vita". Molto probabilmente il Dr. Johnson ha esagerato, ma le esagerazioni possono solo amplificare un evento, non mistificarlo. Voglio dire che Londra non sarà stata così sublime come il famoso letterato e lessicografo inglese volle far intendere. Tuttavia, dovette essere comunque una città splendida e sorprendentemente accattivante. Sono arciconvinto che lo è ancora oggi a distanza di circa tre secoli, da quando l'autore del famoso Dictionary of the English Language nacque. Dunque, con il mio arrivo nella città del Tamigi corono un sogno. Devo dire che al solo pensiero di aver deciso di fare questo viaggio, tanto voluto e tanto desiderato, provo immediatamente una specie di turbamento in grado di sentirmi addosso la tipica ansia di chi ha atteso decenni per realizzare uno dei più grandi sogni della sua vita. Fin da quando ero giovane e avevo iniziato a studiare lingua straniera a scuola, avevo scoperto in me la voglia di conoscere il mondo londinese. Alla scuola media avevo studiato francese per tre anni, a dire la verità senza molto entusiasmo. Alle superiori, invece, per ragioni di cattedre dei docenti della mia nuova scuola, fui costretto a cambiare lingua e affrontare per la prima volta lo studio dell'inglese."The book is on the table" ripeteva il mio insegnante di inglese e immediatamente il mio interesse per questa lingua, e per tutto ciò che essa avrebbe veicolato nella mia vita, saliva alle stelle. In seguito comprai da un amico libraio, l'edizione del 1969 del volume Qui Londra del TCI. Un autentico manuale dell'anglofilia, ovvero un inno affascinante e divertente all'universo anglosassone. Questo libro è stato per me una specie di manuale dei sogni e un glossario dei desideri col quale soddisfare, con frenesia e impazienza mai venute meno, la mia sete di curiosità e di conoscenza su Londra. Insomma lo considero un inno alla gioia. Mi sorprendevo frequentemente a sfogliare le pagine del volume contenenti fotografie patinate, che a quel tempo era raro trovare nei libri, fantasticando sulla realtà delle immagini. Le foto, alcune a colori e la maggior parte in bianco e nero, erano bellissime e producevano in me profonde emozioni. La City con le immagini di quei signori vestiti di nero con bombetta in testa e il classico ombrello appeso al braccio, come nel film di Alberto Sordi "Fumo di Londra", rappresenta per me l'immaginario di un viaggio indimenticabile per conoscere da vicino l'Inghilterra, e la House of Parliament con il suo Big Ben e l'orologio in bella vista. E continuando, Westmister Abbey, l'abbazia nella quale si incoronano i reali inglesi, Piccadilly Circus con le famose insegne sulle facciate dei palazzi e Trafalgar Square con i quattro leoni e al centro la colonna di Orazio Nelson. Quel Nelson, Ammiraglio della flotta inglese che in suo onore, il padre di Charlotte, Emily ed Anne, Reverendo Patrick Brunty, cambiò il suo cognome in quello attuale e più famoso Brontë, con la dieresi sulla e finale, visto che la e in inglese a fine parola è muta, fu costretto a mettere la dieresi per costringere tutti a "pronunciarlo all'italiana" (ma sarà poi vero? non lo so, non ne sono sicuro. So solo che Bronte è il paesino siciliano in provincia di Catania che è famoso perché produce una delle varietà più famose di pistacchio). In questo libro tutto è un inno e una lode al patrimonio culturale inglese. Ma più di tutte, per la maggiore carica di libertà di cui erano peraltro fieri gli stessi inglesi, mi colpivano le immagini di giovani di entrambi i sessi distesi nell'erba sui prati a prendere il sole perchè mostravano tutta quella autonomia e libertà di cui loro potevano disporre come sudditi di HMTQ (Her Majesty The Queen), mentre noi, poveri conformisti italiani, potevamo solo sognare. Ma cè molto altro. Dall'angolo degli oratori, ovvero "Speakers corner", dove chiunque poteva dare libero sfogo ai propri desideri di comunicazione alla disinibizione di molte ragazze che vestivano la minigonna di Mary Quant con naturalezza e sobrietà. Mi colpivano ancora di più i visi delle ragazze, al tempo stesso semplici e disinvolti, che indossavano "eccitanti" miniabiti che lasciavano scoperte le loro lunghe e bianche gambe. Da Carnaby Street e dalla moda contestataria degli anni '60 a Portobello road. Dai pub alle discoteche a luci rosse, dalle manifestazioni per la libertà del Vietnam alle aste di Sotheby's. E tanto, tanto altro. Insomma, c'erano a Londra mille originalità e novità che sono sempre state presenti nella capitale inglese e che in Italia era impossibile vedere. A Londra, dunque, senza indugio, perchè da europeista convinto non potevo non visitare tutte le capitali dell'Unione Europea e Londra ne è uno degli assi portanti dell'esperienza di conoscenza che intendo realizzare. Sono cosciente che il viaggio mi impone di passare attraverso una strettoia tra la consapevolezza di avere preso una decisione importante di sapere e di cultura da una parte e la necessità di prendere atto che l'impresa non sarà facile da realizzare dall'altra. Non sarà semplice ed economico effettuare tutte queste visite e in speciale modo questa che è, e rimane, una delle capitali più care del mondo. Ma i desideri di una vita sono un obbligo nell'età adulta. Prima di affrontare il resoconto del viaggio e di come si è svolto desidererei aggiungere qualche altra considerazione personale sul perchè questa meta rappresenta per me la conclusione di un ciclo di vita e l'inizio di un altro, che mi ha segnato positivamente per sempre.
Iniziamo da lontano. Iniziamo cioè dalle cause più remote di questo viaggio. In fondo in fondo c'è sempre una causa prima negli eventi più importanti della nostra vita. Soprattutto in quella categoria di eventi ai quali si dà molta importanza e si associano le ragioni primarie della nostra esistenza. Il viaggio a Londra è l'effetto di molte letture inerenti al mondo della cultura anglosassone. Ho iniziato a leggere narrativa inglese fin da bambino. All'età dell'adolescenza trascorrevo ore a leggere romanzi di tutti i più famosi romanzieri e poeti dell'isola Albione. Nell'età delicata dello sviluppo adolescenziale e della scoperta dell'Io compresi con concretezza, a mie spese, di avere pochi amici su cui contare. La solitudine che ha caratterizzato quella particolare "estate" della mia vita mi fece prendere coscienza che l'unica possibilità che avevo per non rimanere schiacciato da amicizie pericolose era di creare da me gli amici, a mio piacere, che coincidevano con i protagonisti dei romanzi delle mie letture, quasi esclusivamente inglesi. Ogni tanto c'era un'opere narrativa russa o francese che rompeva la successione dei romanzi ma frequentemente erano inglesi. Avevo tredici anni quando venni mandato dai miei genitori a studiare in città. Vivevo in una pensione a più di cento chilometri di distanza da casa e avevo pochi amici. Anzi, non ne avevo nessuno perchè quei pochi che frequentavo il più delle volte o mi deridevano o, peggio, mi costringevano a seguirli in percorsi di passeggiate nella città poco raccomandabili. Mi prendevano in giro per il mio modo poco rude di rapportarmi con gli altri. Io ero un ragazzo timido e amavo la vita semplice e innocente. Così, dopo un anno di iniziazione terribile e di continui soprusi che dovetti subire, cominciai a convincermi che questo genere di amici era meglio perderli piuttosto che conservarli. Così nei lunghi pomeriggi invernali al ritorno dalle lezioni scolastiche cominciai a leggere narrativa inglese (quella italiana era pressoché inesistente per ragioni riguardanti l'insussistenza di una tradizione del romanzo settecentesco e l'inesistenza di un qualsivoglia contesto basato sulla rivoluzione industriale che in Italia non ci fu mai, almeno ai livelli inglesi) per trovare conforto ed esperienze di vita. Sebbene immaginarie e fuori schema dalla tradizione italiana, le esperienze di vita descritte nei romanzi inglesi, mi affascinavano ed erano sicuramente più fidate di quelle reali da me vissute quotidianamente in un ambiente che mi vedeva sostanzialmente estraneo. Molti di questi romanzi erano ambientati nella Londra del tempo. Queste esperienze mi rassicuravano non poco e i personaggi delle mie letture apparivano ai miei occhi di ragazzo inesperto e timido sempre più avvincenti e suggestive. Il Circolo Pickwick, Oliver Twist e David Copperfield di Charles Dickens, Jane Eyre e Cime tempestose delle sorelle Brontë, L'isola del tesoro di Robert Stevenson, Le avventure di Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle, Tom Jones di Henry Fielding, Robinson Crusoe di Daniel De Foe, Fortune e sfortune e Moll Flanders anch'essi di Defoe, La ballata del vecchio marinaio di Samuel Taylor Coleridge, Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen, L'abbazia di Northanger e Persuasione della stessa autrice, Alfred Tennyson, Robert Browning e sua moglie, Elizabeth Barrett Browning, e ancora W. H. Auden, Aldous Huxley, G. K. Chesterton, fino ai più moderni e contemporanei P. G. Wodehouse e Agatha Christie. Quelle letture mi incantavano perchè comprendevo che esistevano altri mondi oltre quello limitato e inadeguato del paesino di montagna della Sicilia orientale nel quale vivevo. Ed è da qui che è necessario partire per comprendere la mia sconfinata ammirazione per il mondo anglosassone di cui Londra era per me il luogo per antonomasia più rappresentativo. Stravedevo per l'Inghilterra tutta e per la cultura inglese fino al punto di tifare per le squadre di calcio inglesi negli incontri internazionali. Vero è che faceva breccia nel mio cuore anche la grande narrativa francese e russa, con i suoi appassionanti romanzi e le sue avvincenti storie di vita. Tuttavia, la disponibilità di libri economici inglesi sul mercato siciliano erano a quel tempo a favore della letteratura inglese. Avevo scovato negli anni '60 una piccola ma fornita libreria che mostrava in tutto il suo splendore la serie di libri in edizione economica della Editrice Lucchi di Milano e della Garzanti che offrivano ai lettori opere di straordinaria efficacia letteraria e di appassionante interesse. Spesso, per comprare il volume della settimana spendevo quasi tutto il danaro che avevo, alcune volte addirittura togliendolo all'alimentazione quotidiana. E se non fosse stato per i barattoli di "nutella", che frequentemente sostituivano i pasti del giorno, a quest'ora non sarei qui a narrare le mie vicende. Dunque, Londra come tappa fondamentale di questo tour europeo. La sua cultura, il suo cosmopolitismo, il suo senso civico e il suo grandioso senso di libertà hanno rappresentato per me il modello più significativo di cultura illuminata europea. E poi non solo letteratura e poesia. Ci sono i grandi orizzonti dell'arte, dell'architettura, della scienza, della fisica, dei musei, in una sola parola della vita. Vi sembra poco? Direi di no. Ecco perchè Londra può essere considerata la "mia" città, più della stessa Roma che da cittadino periferico del paese vedevo, nelle poche circostanze in cui sono andato, più come capitale asettica della nazione che come meta ambita di insegnamenti, di modi di vivere e di stili di vita. E poi, ironia a parte, dove la mettiamo la rara combinazione di casualità e di incredibile coincidenza che mi porta a vivere nella capitale italiana da quasi dieci anni, indovinate dove? Non ci crederete, eppure è la verità: abito in viale Londra! Cosa mi aspetto da questa visita? Bella domanda. Mi aspetto di vedere confermate le mie tesi. La prima è quella che riguarda i luoghi simboli di Londra. Trafalgar Square, The Thames, Hyde Park, i palazzi di Buckingam Palace e House of Parliament, i Bridges on Thames, le cattedrali di Westmister e di St. Paul, il British Museum, la City, le Galleries, le piazze e le strade, i teatri e i cinema, gli autobus rossi e la metro, il planetario e le tante altre mille sfaccettature della vita londinese. Sette giorni non basteranno per vedere tutto. Ne sono più che convinto. Sarò costretto a fare delle scelte. Poco male. L'importante è immergermi nel mondo della Londra tanto desiderata. Credo che questa città sia per me come una sorella. Grande rispetto ma conoscenza completa del suo modo di essere e di manifestarsi. A Roma di solito viene affibbiato l'aggettivo gagliarda. Londra la trovo stupefacente e, soprattutto, educativa. Per me è stata più che una insegnante. In pratica la considero, indirettamente, la mia vera educatrice, colei cioè che mi ha permesso di sviluppare il piacere alla lettura di romanzi di vita e di poesia. Il mio libro preferito era il bellissimo volume di Mario Praz, Storia della Letteratura inglese, della casa editrice Sansoni, che ho letto più volte. Credo che sia stato per me una vera miniera di risorse e di nutrimento per il mio spirito leggere tutta quella montagna di idee e di storie presenti nei romanzi. Da queste letture ho sicuramente tratto un grande regalo: quello di essere riuscito ad effettuare una virata di 180° nella concezione della vita. E' stupefacente quello che sto per dire ma è la pura verità. Se non ci fossero state tutte quelle letture sarei stato probabilmente un siciliano limitato, di cultura inadeguata, giustificazionista dell'idea di mafia, verosimilmente incapace di comprendere etica, morale e società. Sono state quelle letture che mi hanno allontanato dalla cosiddetta "sicilianità" e dico grazie a Londra e alla sua cultura per avermi aiutato tanto. In fondo in fondo, le organizzazioni criminali, come la mafia e le altre sigle omonime della Campania e della Calabria, non sono altro che il frutto dell'ignoranza dei cittadini che non posseggono gli strumenti culturali adeguati a comprenderne la pericolosità del fenomeno e a combatterlo in prima persona. Mi ha sempre colpito in negativo l'assuefazione dei siciliani, ma dovrei aggiungere dei popoli meridionali d'Italia, alla negazione dei propri diritti civili e alla rinuncia alle regole dell'etica. E allora a Londra, anche per dimenticare l'esistenza di un meridione d'Italia che spesso mi fa più vergognare che essere orgoglioso delle mie radici. La vera mediterraneità è quella radice culturale che considera i doveri e le regole come le virtù principali dell'uomo. Solo chi li segue con ostinata regolarità e impegno merita l'attenzione e il plauso degli altri. Il resto no. Ma questa è un'altra storia e non è questo il momento migliore per discuterla. E ritorniamo a noi. Sarà un piacere seguire le tracce del percorso che ho costruito in molti mesi di preparazione con guide e mappe varie. Quante volte nei mesi precedenti ho consultato la guida della città e le varie mappe nella quali ho sottolineato, cerchiato, evidenziato, colorato, scritto, appuntato, richiamato cento e una osservazione delle mie guide. Da questo punto di vista mi sento ferrato a dovere ed è lontana da me qualunque forma di ansia o di preoccupazione per l'ignoto. Quale ignoto? Londra alle soglie del terzo millennio è una gentile signorina che conosco benissimo. Non c'è un solo angolo della città che non è conosciuto dal grande pubblico che la visita ogni anno. Da dove cominciare? Ognuno di noi ha il suo percorso preferito e più desiderato. Ogni viaggiatore ha le sue idee che differiscono dagli altri per scelte, gusti, sogni e fantasie, per piaceri e interessi e guai se non fosse così. Pertanto, a ognuno il suo percorso di iniziazione nella visita a una città. Io conosco troppo bene la "mia Londra" per avere dei dubbi. In verità la topografia della città è stata per me oggetto di mille e più attenzioni in tanti anni di studi e di letture.Da studente universitario, durante la fine dell'estate del 1972 se non ricordo male, a cavallo dei mesi di agosto e settembre per circa tre settimane, ho frequentato una piacevole ragazza inglese innamorata dell'architettura italiana. Ricordo che più di una volta facemmo insieme delle belle passeggiate nei prati di periferia di un paesino di montagna della Sicilia, discutendo in italiano sia delle mie "conoscenze" inglesi, sia dei suoi interessi culturali italiani, che spaziavano arditamente dall'architettura alla musica, dalla storia della tradizione cattolica musicale e rinascimentale alla storia italiana vera e propria. Avevamo letto entrambi di Denis Mack Smith, la Storia d'Italia dal 1861 al 1969 in italiano io e Italy. A Modern history in inglese lei e, come ciliegina sulla torta, di Moses I. Finley, Storia della Sicilia antica sempre in italiano io e A History of Sicily: Medieval Sicily 800-1713 in inglese lei. Rimase di stucco quando prese atto delle mie accurate descrizioni della città di Londra.A suo dire, di nomi di strade e di palazzi londinesi ne sapevo più io da italiano che lei da britannica senza che io avessi mai paradossalmente calpestato fino allora il suolo inglese. Questo fatto ai suo occhi mi valsero molta stima e attenzioni gradite vista la mia più che discreta conoscenza di luoghi, personaggi e, in generale, di narrativa inglese. Come ringraziamento alla mia attività di "Cicerone" in Sicilia mi regalò il libro di P.G.Wodehouse, Molto obbligato Jeeves con la dedica "In memory of english humor". Fu lei, perplessa della quantità di cose che le illustravo su Londra, che mi costrinse a ideare un percorso di strade a mio parere molto significativo che adesso a distanza di circa ventotto anni sperimenterò concretamente in prima persona e senza la mediazione di libri o guide turistiche.Ricordando questo percorso la prima sortita londinese nel passeggiare per le strade del centro sarà sicuramente il tragitto che più mi affascina: Marble Arch, Oxford Street, Regent Street, Piccadilly Circus, Trafalgar Square, Downing Street, Westminster Cathedral, House of Parlament, Westminster Bridge e Waterloo Station. C'è anche l'altro tragitto interessante che tocca molti punti di interesse turistico tutti a nord del Tamigi. So di non essere originale ma in questi casi l'originalità non ha molto valore in sè. E adesso vediamo di affrontare i particolari della visita iniziando dall'aereo. Il volo per Londra è un volo Alitalia in partenza da Roma Fiumicino per Londra Heathrow. Devo dire con sincerità che non avrei mai concepito di arrivare in un altro aeroporto londinese che non fosse l'autentico Heathrow. Lo stesso Gatwick o, peggio, Stansted e Luton mi danno l'idea dei viaggi economici pieni di disagi per gli orari impossibili e che inducono a immaginare preoccupanti e insicuri scenari di "porte che sbattono" e di "pavimenti che scricchiolano". Non è che io avessi le mani bucate ma dopo decenni di desiderio era arrivato il momento di fare le "cose in grande" come si dice in questi casi. E' la seconda volta che prendo l'aereo dall'aeroporto di Roma Fiumicino. La prima volta è stato molti anni fa in occasione di uno dei momenti più belli della mia vita quando nella tarda mattinata di un giorno di marzo del 1978 con l'ultimo esame vinsi il concorso nazionale a cattedre per diventare professore di ruolo di fisica nella scuola media statale superiore. Avevo superato in tre tappe le difficili prove concorsuali consistenti in primo luogo a una prova scritta effettuata tre anni prima a Roma presso l'Istituto Tecnico Industriale "Galileo Galilei". In secondo luogo a una prova pratica sempre nello stesso Istituto e in terzo luogo a una prova orale sempre a Roma e sempre nella stessa scuola quando affrontai, quella mattina di buon'ora, la prova finale di didattica. Dovevo convincere la Commissione che oltre alla preparazione specifica sapevo anche "fare lezione". La prova andò bene. Avuta assicurazione dalla Commissione di aver superato l'esame decisi di ritornare a Milano non con il treno come avevo fatto per spostarmi a Roma ma con l'aereo, il solo mezzo per recuperare tempo e arrivare a casa prima possibile. Fu un viaggio indimenticabile, pieno di sensazioni straordinarie dovute contemporaneamente all'eccitazione del risultato positivo della prova concorsuale e al turbamento del volo a diecimila metri di altezza. Adesso, riparto dallo stesso aeroporto per guardare dal finestrino durante la prima parte del tragitto aereo la stessa orografia del centro Italia dagli stessi dieci chilometri di altezza con la medesima sensazione di leggerezza e di entusiasmo di allora. E' difficile rappresentare con le parole ciò che si prova quando si realizza il sogno di una vita. Dunque, Roma Fiumicino è l'aeroporto al quale devo andare questa mattina, in una bella giornata romana di agosto. Raggiungo l'aeroporto in taxi. Purtroppo non ho alcuna esperienza di mezzi pubblici per raggiungere Fiumicino. Così il taxi mi semba la maniera più sicura per "non perdere" l'aereo. E per essere ancora più sicuro avevo qualche giorno prima personalmente contattato un tassista romano che stazionava a Piazza dei Navigatori, a Roma, vicino alla frequentatissima via Cristoforo Colombo, con una procedura poco ortodossa. Gli avevo chiesto se era disponibile a trasportarmi all'aeroporto garantendomi certezza di orario e tariffa concordata. Piuttosto che perdere il cliente il tassista accettò la proposta. Così questa mattina, alle 6.30 del 22 agosto del 2000, inizia la mia avventura di viaggio. Arrivo a Roma Fiumicino in abbondante anticipo. Alle ore 7.00 sono nel piazzale di arrivo. Mi aspetta un aereo Alitalia in partenza alle 9.50 per Londra Heathrow. A causa del diverso fuso orario guadagnerò provvisoriamente un'ora di tempo nel cambiamento di longitudine. Naturalmente la "perderò" di nuovo durante il viaggio di ritorno. E' la prima volta in vita mia che faccio un viaggio in cui mi si presenta la necessità di un cambiamento di fuso orario. Certo, un'ora è un intervallo di tempo quasi impercettibile che non influenzerà per nulla la mia vita nelle strade della swinging London. Ma anche questa è una novità che si aggiunge alle altre. Avevo già volato in precedenza sia nel tratto internazionale Milano-Amsterdam che su alcune tratte nazionali, come Roma-Milano, Catania-Roma e, per la prima volta in assoluto, sul tratto Catania-Reggio Calabria. Pensate che in questo caso avevo preso l'aereo per provare il "brivido" della prima volta in aria partendo dall'aeroporto Fontanarossa di Catania per atterrare dopo poche decine di chilometri di distanza nel piccolo aeroporto di Reggio Calabria. Un viaggio della durata di circa dieci minuti che trascorsero quasi tutti nel fare il giro panoramico del vulcano siciliano Etna per i passeggeri. Ma adesso le cose sono diverse perchè questo sarà il volo più lungo della mia vita. Arriverò a Londra dopo circa tre ore di viaggio. Un record.

Primo giorno. Iniziamo dal viaggio aereo che mi ha portato da Roma a Londra. L'attesa a Roma Fiumicino è breve perchè l'Alitalia ha fatto le cose per bene e all'orario previsto avviene sia l'imbarco, sia il decollo. Le poche ore che trascorro all'aeroporto di Fiumicino sono tra le più belle perchè l'ansia del viaggio e il contatto con l'ambiente internazionale che si respira all'interno di un aeroporto grande come quello di Fiumicino è una iniezione di piacere e una preziosa miniera di conoscenza. Il volo è decisamente piacevole. Durante il tragitto continentale, nei piccoli visori rotanti dell'aereo, vengono proiettati alcuni brevi filmati di episodi dell'inglesissimo Mr. Bean che mettono di buon umore tutti i passeggeri. L'atmosfera che si respira è gradevole e rilassante e il tempo, come succede sempre in questi casi, trascorre velocemente.Durante il viaggio l'eccitazione aumenta e all'arrivo la visione dall'alto della città del Tamigi ha per me l'effetto di un incontenibile entusiasmo che mi procura a momenti un imperdonabile torcicollo nel guardare dal finestrino la città sottostante a causa delle giravolte dell'aereo nel cielo per il troppo traffico a Heathrow. Dopo dieci minuti di attesa finalmente l'atterraggio mi concede al dolce suolo inglese. In aeroporto all'uscita del Terminal 2 dei voli europei, compro la travelcard che mi dura un'intera settimana in modo tale da non avere alcuna preoccupazione con i biglietti della metro e degli autobus. Non compro invece una scheda telefonica internazionale perchè per telefonare a casa sono in possesso di un ottimo cellulare Siemens S25 regalatomi da mia madre in occasione del viaggio.Ho sempre saputo che il telefono in albergo è meglio non usarlo mai per le sue tariffe da gioiellieri. So anche che a London Heathrow c'è il capolinea della metropolitana chiamata Terminal 2 Heathrow che trovo quasi immediatamente all'uscita della sala sbarchi. Percorro il corridoio di uscita della sala arrivi dell'aeroporto e prendo subito il trenino della Piccadilly Line per Cockfoster, linea viola, e osservo con moltissimo interesse il panorama del lungo tratto scoperto di metropolitana. Ciò che appare ai miei occhi è un autentico tuffo nel passato dei miei ricordi di storia inglese. Il percorso ferroviario si inserisce in un panorama romantico, fatto di vecchie case in mattoni rossi, con alcuni tratti di zone limitrofe alla ferrovia degradati a causa della presenza di piccole fabbriche non più funzionanti e di abitazioni fatiscenti per classi meno abbienti. Heathrow, Hounslow, Osterley, Boston Manor, Northfields, Ealing, Hammersmith fino ad Holborn.Il paesaggio mi richiama alla mente la Londra del primo dopoguerra quando nei film di spionaggio si vedevano scene girate nella periferia della città tra agenti segreti dell'M5 e spie comuniste orientali. Casette modeste cadute in disuso da decenni, reti di recinzioni fatiscenti, orti per coltivazione di ortaggi abbandonati, insomma il tipico paesaggio che si osserva peraltro in qualunque altra grande città. L'ambiente, nonostante la povertà degli elementi visivi, conserva, tuttavia, i tratti del mondo tipicamente britannico. Avverto un po' di malinconia nel vedere questi paesaggi lasciati ormai alla memoria storica che mi ricordano un quadro molte volte immaginato e percepito come tale ma mai visto nella realtà. Dopo un cambio di linea della metropolitana a Holborn prendo la linea rossa per Ealing e arrivo alla fermata di Lancaster Gate sul lato nord di Hyde Park. Tutto ciò che vedo mi sembra conosciuto, come se fossi vissuto qui da sempre. E' veramente straordinario quello che provo in questa circostanza. Non mi sento per niente stranger, nel senso che sono perfettamente convinto di non essere un indigeno, di parlare una lingua diversa dall'inglese, di avere un regime alimentare agli antipodi molto differente e, tuttavia, mi sento parte integrante del panorama e vedo con normalità la vita che si svolge sotto i miei occhi. All'uscita della metro vedo il bel viale di Bayswater Road. Lo imbocco a destra e ne percorro una piccola parte lasciandomi, sulla sinistra, il verde di Hyde Park. Lungo le poche centinaia di metri che mi separano dall'albergo, al n. 66 scorgo una casetta a un piano in cui c'è un ristorantino chiamato The Swann, ovvero "Il Cigno". Nel recinto davanti all'ingresso ci sono sotto una tettoia alcuni vecchi tavoli in legno, in stile osteria medievale, con alcuni avventori che bevono birra e parlano con complicità tra loro. E' un bar o un ristorante? No, è un pub, un autentico e genuino pub inglese, per giunta storico, anche se assomiglia di più a una taverna. Incuriosito dò uno sguardo all'interno. Vedo un tipico locale in stile molto british, con gente ai tavoli che beve boccali di birra. C'è una lavagnetta nera, di quelle che si incontrano spesso nei modesti ristoranti, sulla quale col gesso c'è scritto che si servono roast beef e fish and chip, ovvero gli immancabili della tradizione culinaria inglese. Sicuramente ci sarà anche qualche portata di patate con cheese and bacon. Prendo nota della sua esistenza e continuo a camminare nella Bayswater Road. Sul lato destro della strada c'è una fermata dell'autobus e una cabina telefonica di colore, naturalmente, rosso. Mi colpisce il senso contrario di marcia degli inglesi che guidano a sinistra. Dovrò ricordarlo e abituarmi. L’albergo dove alloggerò per sei notti e sette giorni si trova al prossimo incrocio sulla destra, nella part ovest della città, tra Paddington Station a nord, Hyde Park a sud, Notting Hill a ovest e Lancaster Gate, o se vogliamo essere più completi, Marble Arch in fondo ad est. All'angolo tra la Bayswater Road e una breve strada perpendicolare che non ha nome, tra la fermata di Lancaster Gate e quella di Queensway mi si presentano le impegnative quattro colonne dell’entrata della reception dell'albergo. L'hotel si chiama Plaza on Hyde Park Hotel (51° 30' 41.521"N - 0° 10' 37.911" E ). Da notare il piccolissimo valore della longitudine est (ma poteva benissimo essere anche ovest), indice che siamo vicinissimi al meridiano di Greenwich! Sfido io, Greenwich è a poche miglia da qui sul lato sud del Tamigi. Non ero mai stato in vita mia in una simile posizione di longitudine estrema in Europa. Di solito in Italia siamo a circa 12° circa di longitudine est. Dodici gradi di longitudine sono molti, tanto è vero che qui c'è un fuso orario che anticipa di un'ora rispetto all'Italia. In realtà sono stato ad Amsterdam, come mio secondo viaggio dopo Roma nelle capitali dell'UE e la bella "Venezia del Nord" ha una longitudine che si avvicina molto a quella londinese, cioè quasi cinque gradi est. L'indirizzo dell'albergo è 1-7 Lancaster Gate London W2 3LG a poche centinaia di metri dalla fermata della metro di Lancaster Gate. In realtà la Lancaster Gate è anche la via parallela alla Bayswater Road e non ha nulla a che vedere con l'entrata dell'albergo che si trova lungo la perpendicolare alle due strade. In ogni caso Lancaster Gate è anche il nome della fermata della metro. Questa fermata del Tube viene da me eletta ufficialmente a fermata di riferimento della “mia nuova abitazione”. Essa mi sarà preziosa per i collegamenti con le dodici linee della underground londinese, compresa la linea grigia detta jubilee line inaugurata in occasione dell'anno giubilare 2000. A pochi metri dall’entrata dell’hotel, sulla Bayswater Road, sul bordo nord di Hyde Park, c’è anche la fermata del bus rosso, numero 12, verso Marble Arch e il centro. Il percorso del 12 è di mio totale gradimento perchè effettua le fermate che mi interessano di più: parte dal capolinea di Notting Hill Gate - Marble Arch - Oxford Circus - Piccadilly Circus - Trafalgar Square - Westmister Bridge - Elephant e continua oltre, verso sud-est che è una parte di Londra per me poco interessante. Eccellente. Questa zona di Londra mi piace per diversi motivi. In primo luogo per l’architettura delle case e dei palazzi dell’intero quartiere, con edifici di pochi piani che mi ricordano lo stile vittoriano della regina Vittoria. Diciamo che questa tipologia di abitazione è molto britannica e tradisce favorevolmente a mio parere le attenzioni degli architetti inglesi. In secondo luogo è una zona tranquilla, poco rumorosa e molto discreta. Ricordo che un po' più in là in direzione contraria al centro c'è Portobello, il famoso mercatino di Notting Hill: come dire la "Porta Portese" londinese. In terzo luogo c’è Hyde Park, limitrofo al mio alloggio, con tutto il corollario di immagini e suggestioni in grado di richiamare alla mente la tipica atmosfera londinese dei parchi e del verde per eccellenza. La presenza di Hyde Park a pochi metri della mia camera mi mette addosso una sensazione gradevolissima di libertà e fornisce alla mia visita una ulteriore carica di entusiasmo veramente piacevole. Non vedo l'ora di andare a Speakers Corner per toccare con mano uno dei luoghi comuni più conosciuti di Londra. Quante volte ho sfogliato la guida del Touring Club e mi sono soffermato sulle immagini delle foto 39 e 40 di Hyde Park! L'«Angolo degli oratori», con quel signore con la barba e cappellino in testa, con in mano un manoscritto dal titolo "The Guide to Life" e il cappotto appeso a un chiodo su un abbozzo di scranno in legno, mi ha sempre affascinato perchè possiede dentro di se l'immagine delle illimitate possibilità che ha sempre avuto la società inglese di saper coniugare felicemente e concretamente libertà di pensiero e di parola del cittadino oratore con l'ordine e la trasparenza dei contenuti proposti. Insomma nessun tipo di carboneria e massima libertà di espressione. Vi sembra poco? Ma torniamo alla felice posizione dell'Hotel Plaza. Sappiamo tutti che nell’economia di una visita turistica a una città la localizzazione del proprio albergo è fondamentale per il turista. Si sa anche che la zona dell’hotel diventa automaticamente la zona di riferimento principale per tutte le visite in città. Dal momento in cui si prende possesso della camera in albergo, tutta la geografia della città acquista un "centro di gravità", ovvero un riferimento e un orientamento panoramico sulla città, come se fosse l’origine di un sistema di assi cartesiani. Dunque, Bayswater Road e Lancaster Gate per me diventano da questo momento il "vero centro" di Londra. Avevo osservato con attenzione nello stradario londinese che oltre alla Lancaster Road a Londra ci sono tante altre “Lancaster”, come per esempio Lancaster Gate di cui abbiamo già detto, Lancaster Terrace e Lancaster Walk. Quest'ultima si trova in Hyde Park, vicino al mio hotel. Addirittura scopro che in altre zone di Londra si trovano Lancaster Place, Lancaster Court, Lancaster Avenue, Lancaster Gardens, Lancaster Grove, Lancaster Mews e persino una Lancaster Street. Capperi quante Lancaster ci sono a Londra. E’ come se a Roma ci fossero molti luoghi con lo stesso nome di città, per esempio Via Venezia, Vicolo Venezia e Viale Venezia, Corso Venezia, Piazza Venezia, Largo Venezia, Circonvallazione venezia, Salita Venezia, Calle Venezia e persino un Rione Venezia. Mi piacerebbe sapere perché a suo tempo il signore addetto alla denominazione delle strade di Londra in base a quale ragionamento decise di scegliere la localizzazione di questi undici diversi posti differenti della città che portano tutti lo stesso nome Lancaster. Invero c'è da ammettere che le potenzialità sono maggiori se si pensa che teoricamente potrebbero esistere posti come Lancaster Lane, Lancaster Yard, Lancaster Row, Lancaster Bridge, Lancaster Enbankment e Lancaster Argine, Lancaster Pier, Lancaster Hill, Lancaster Gataway e Lancaster Appr, Lancaster Rise, Lancaster Path, Lancaster Hill, Lancaster Mount. Ma queste quattordici ultime possibilità in realtà a Londra non si trovano per il semplice motivo che non esistono. Ma avrebbero potuto esistere. Come non esiste a Roma alcuna Calle Venezia o Rione Venezia. In compenso in Italia esistono una strada consortile e una ruga. Adesso però non esageriamo. Il troppo è troppo. In ogni caso devo ammettere che sul piano linguistico l'inglese batte l'italiano come quantità di modi di chiamare una strada. E poi qualcuno ha anche avuto la sfrontatezza di dire che l'inglese è una lingua povera ed essenziale. Sarà. Ma è anche ricca di sinonimi e più che adeguata nell'associare ambiti di significato. Non è poco. Tra le tante cose esistono a Londra alcune strade di nomi italiani, come Florence Street, Lombard Street e Turin Street. Arrivo in albergo e vado in camera. Non è nè bella, nè troppo pulita. L'impiegato alla reception, Mr. Gregg Stuart, a un giorno di distanza aveva confermato la mia prenotazione, inviata all'indirizzo di posta elettronica plazaonhydepark@corushotels.com il 16 Aug 2000, con la seguente mail: Dear Mr Calabro, Pleased to confirm res no 364112 in 22/08 out 28/08. Regards. PLAZA ON HYDE PARK RESERVATIONS. La camera ha una finestra tipicamente inglese dalla quale si possono vedere gli alberi di Hyde Park. E' ancora pomeriggio e le foglie degli alberi si vedono nitidamente. Penso a come sarà di notte, al buio, con i rumori notturni della campagna e le possibili immagini di fantasmi che pullulano nel verde del parco. E magari con Jack The Ripper (in italiano lo "Squartatore") che si aggira nei quartieri malfamati della vecchia Londra, e chissà forse anche qui. Vero è che Jack preferiva lavorare nella zona di Whitechapel che è ad est di Hyde Park. Ma è pur vero che uno dei cadaveri scoperti dalla polizia fu rinvenuto a Miller's Court che è, com’è noto, a ovest di Hyde Park. E’ probabile, quindi, che nel trasferimento da est ad ovest sia passato proprio da qui, da Lancaster Gate dove mi trovo io adesso. Questa sera su questa evenienza dovrò pensarci un po’ su, perchè non avevo previsto niente del genere. Per ora ci concentriamo su altro e per precauzione chiudiamo bene la finestra. Dopo pochi minuti, con in mano la piantina di Londra datami dal gentile Mr. Gregg, sono in strada a prendere l'autobus per scendere a Marble Arch e iniziare l'avventura della mia prima breve passeggiata nella bella capitale britannica. Prendo il bus per il centro e scendo a Marble Arch per due ragioni: vedere l’Arco da vicino e imboccare l’inizio della Oxford Street. La voglio percorrere a piedi tutta intera fino a Oxford Circus all’intersezione con la Regent Street. Per poi scendere a sud verso Piccadilly Circus. Curiosi questi inglesi nella scelta della toponomastica. Tutto ciò che presenta intersezioni di strade importanti anche con piccole piazze le chiamano “Circus”. Visto che Trafalgar è chiamata Square vuol dire che essa non è una Circus ma una vera e propria piazza, grande, maestosa e spaziosa. Effettivamente Piccadilly Circus non è una classica piazza, pedonalizzata, come a Piazza del Popolo a Roma, e si fa fatica sedersi ai piedi del monumento posto in mezzo alla piazza perchè c'è sempre gente. Dunque, imbocco Oxford Street, la bella, elegante e perfetta strada che taglia orizzontalmente il centro città. Oxford Street l'ho osservata in tutte le salse: in TV, in qualche documentario, al cinema in alcuni film, in molte foto e persino con la web cam di cui sotto mostro un esempio di Piccadilly Circus osservata da me a casa a Roma, comodamente seduto davanti al pc, il giorno prima della partenza. Naturalmente, l'immagine è centrata sul traffico perchè serve all'operatore di polizia per monitorare il flusso degli autoveicoli. In verità in fondo dopo Charing Cross cambia nome e si chiama prima New Oxford Street, poi Holborn, indi Newgate Street e Cheapside per arrivare nel centro della City alla Bank of England lasciando un po’ prima sulla destra la maestosa St. Paul Cathedral.Questo percorso lo farò domani mattina. C’è ancora un dettaglio che devo mettere in evidenza perché una delle sette strade che immettono nella piazza vicino alla Bank of England è l’italianissima Lombard Street e per me che ho lavorato più di un decennio in Lombardia una strada che si chiama "via Lombarda" mi fa sentire un po’ meno straniero. In questa strada dovrò andarci sicuramente perché c’è l’unica succursale londinese della mia banca, in cui il mio bancomat non paga addizionali e mi aiuterà a sopravvivere. Oxford Street l’ho osservata sistematicamente ogni giorno nel mese precedente la mia partenza perché in essa su un palazzo si trova una Cam live che riprende la via a intervalli regolari di un minuto. Ho potuto così osservare a scatti il via vai di bus rossi a due piani, messi in fila uno dopo l’altro che procedono nella strada come in una processione del Santo Patrono di un qualunque paese del Sud Italia. Adesso che la sto percorrendo a piedi nella realtà dello spazio e del tempo vedo lo stesso spettacolo.
Conto con meraviglia fino a venti bus uno dietro l’altro. A Roma non è così. Sono rare le occasioni di vedere appena due autobus di seguito. Più di una volta mi giro indietro per osservare se riesco a contare un numero di autobus maggiore di venti, ma il record rimane quello. La cosa più stupefacente che mi colpisce nell'osservare il traffico in Oxford Street è che il numero delle auto che si muovono nella via è molto basso rispetto al traffico caotico della capitale d'Italia. Non riesco a spiegarmi il motivo. Un autentico mistero. Due altri aspetti mi colpiscono. La prima sono i taxi neri, i famosi Black Cabs. Sono delle auto spaziose con una struttura che mi ricordano la fiat multipla costruita dall'azienda torinese in questi anni riprendendo un modello che ha avuto successo negli anni ’60. La seconda è che nell'area vicino all'attraversamento pedonale ci sono alcune mattonelle speciali dalle quali sporgono delle piccole palline di materiale durissimo che fanno male ai piedi. Servono a far fare attenzione alle persone per attraversare la strada. Infine, sono colpito anche da un fatto insolito e cioè che è rarissimo incontrare dei fruttivendoli in centro. Di solito nelle città italiane ci sono un abbondante numero di questi negozi che vendono frutta e verdura. Qui a Londra è difficile incontrane uno e se proprio lo vedi ti accorgi subito che a gestirlo non è un cockney della classe operaia dell'Est End di Londra ma un immigrato asiatico, spesso un indiano o un pakistano o un cittadino del Bangladesh. Devo verificare di persona nei prossimi giorni se la mia ipotesi è suffragata da conferma empirica. E' già tardi e la stanchezza comincia a farsi sentire. Pertanto decido di rientrare in albergo e rimandare all'indomani la prima vera visita alla capitale.

Secondo giorno. Il mio secondo giorno a Londra inizia con l'idea persistente di visitare al più presto la serie di preziose icone della città che ho elencato in precedenza. Confesso candidamente che questo è uno dei principali obiettivi della mia visita. Inizierò questo resoconto partendo dalla premessa che per conoscere meglio la zona nella quale risiedo in una città straniera adotto la tecnica delle visite a cipolla. Cioè di ritornare nelle stesse strade a giorni diversi per individuare ciò che mi è sfuggito in precedenza. Per esempio questa mattina sono già in Oxford Street dopo aver preso il solito bus ed essere sceso di nuovo a Marble Arch. Per la seconda volta rivedo la strada di ieri pomeriggio. Oxford Street mi piace. Sarà perchè è una strada diritta, facile da percorrere e da ricordare, sarà perchè è il proseguimento della Bayswater Road dove risiedo, sarà perchè ci sono tanti negozi che mi ricordano via Cola di Rienzo a Roma, fatto sta che mi ritrovo con piacere nella via "degli autobus in fila" come la definisco io. Sto camminando sul marciapiedi di destra in direzione della City e via via che supero i palazzi leggo i nomi delle strade. Prima di arrivare in Oxford Circus ho modo di vedere che ci sono tre Bond Street: quella senza aggettivi e le altre due chiamate Old e New Bond Street. E’ un classico. A Roma mi ricorda via Appia Nuova e via Appia Antica. Proseguo diritto fino a che la strada cambia nome e si chiama New Oxford Street subito dopo Charing Cross Road. Uno degli edifici più alti che colpisce la mia attenzione è il Centre Point, l'altissimo grattacielo londinese di cemento armato degli anni sessanta che svetta come un punto di riferimento sicuro nell'orientamento della via.Sono curioso di osservarlo attentamente e nel mentre che alzo lo sguardo in alto con un brusco movimento i miei occhiali mi cadono per terra e una lente si toglie dalla sua sede naturale. Non c'è nulla di rotto ma mi trovo un paio di occhiali, l'unico paio che possiedo qui a Londra, con una sola lente. C'è da rivolgersi a un ottico e con un po' di preoccupazione e molto ottimismo ne trovo uno vicino al luogo dell'accaduto. Entro e mi rivolgo a una gentile impiegata che afferra al volo la mia richiesta di aiuto e mi invita a sedermi dopo aver preso gli occhiali e la lente. Dopo pochi minuti ritorna al banco con gli occhiali perfettamente funzionanti e puliti. Sono senza parole e, soprattutto, sprizzo gioia da tutti i pori della pelle. Le chiedo di pagare il lavoro e lei mi dice che non vuole essere pagata. Alla mia sensazione di riconoscenza si aggiunge anche lo stupore di prendere atto che non vuole che io paghi nulla. Insisto ma la ragazza con un sorriso che non ammette repliche mi dice che lei non prenderà denaro da me. O meglio, mi fa vedere un totem con delle monete e qualche banconota dentro, che deve essere una raccolta di fondi per un progetto di solidarietà nel campo medico. Tutto contento metto una banconota di cinque sterline manifestando gratitudine eterna per la classe degli ottici londinesi e per le loro impiegate. Ritorno indietro, supero Tottenham Court Road e vedo un grande magazzino della catena M&S ovvero Marks e Spencer. Per curiosità entro e faccio una passeggiatina per osservare i prodotti tipicamente inglesi. All'uscita dopo un po' piego a sinistra nella elegantissima Regent Street che mi porta a Piccadilly Circus. Prima però voglio assolutamente vedere Carnaby Street. La percorro due volte all’andata e al ritorno anche perché è breve ed entro in un negozietto per acquistare un regalo per la famiglia. La ragazza che si affaccia sulla porta d'entrata è una ragazza italiana. Così ho modo di chiacchierare un po’ con lei chiedendole come si trova a Londra. E’ una ragazza milanese che si trova nella capitale per migliorare il suo inglese. Un saluto ed eccomi finalmente arrivare a Piccadilly Circus. Che dire di questa icona del british più autentico? Indubbiamente la piazza è affascinante. Con meraviglia però noto che le dimensioni del monumento al centro mi sembrano piccole. Mi aspettavo qualcosa di più grande. Forse ho il senso della misura falsato ed è probabile che la troppa attesa per vedere questo famoso riferimento artistico londinese mi procura alterazioni spaziali. Fatto sta a che a me sembra piccolo. In cima sul basamento c'è la statuina di Eros. Una cosa mi sorprende: come sia possibile al piccolo piede della statuina reggere l'intero suo peso. Bravura dell'architetto. La si ammira con piacere. E poi il contorno non è mica male. L'angolo smussato e interamente ricoperto di pubblicità come si vede nella mia foto, i bei palazzi di tutti i tipi e di tutti i colori circostanti e il traffico che è intenso ma fluido e poco rumoroso. Bello. Ancora un po’ perplesso per le dimensioni del basamento continuo il mio itinerario e dopo Haymarket imbocco Pall Mall - che mi ricorda la marca di sigarette straniere che andavano per la maggiore nell’Italia degli anni ’60 - arrivo in Trafalgar Square. Qui la colonna di Horatio Nelson è decisamente più grande e impegnativa dell'Eros di Piccadilly Circus.La piazza è spaziosa, imperiale, piena di riferimenti storici. Geometricamente è di una perfezione completa. Tra la simmetrie delle due fontane dalla forma ovale e dei quattro leoni neri la piazza si fa ammirare con piacere. Alle mie spalle nelle foto si nota la cupola della National Portrait Gallery con il suo magnifico colonnato di otto colonne. A fianco, sulla destra, c'è la splendente St Martin in the Fields Church. In modo contiguo, verso Whithall, c'è la bella piazza circolare di Charing Cross, con al centro la statua equestre di Carlo I. Nell'800 in questa piazza accanto alla statua vi fu un'importante gogna, dove molti malfattori furono frustati pubblicamente. Se si vuole, anche a Roma c'erano nel '700 cose del genere. La zona intorno alla gogna era un luogo popolare di spettacoli di strada. Samuel Pepys scrisse nei suoi diari di visitare le taverne circostanti per guardare i divertimenti e le esecuzioni che vi si tenevano. So per certo che dalla posizione della statua vengono oggi convenzionalmente calcolate le distanze relative a Londra. Un po' come al Campidoglio, sede del Municipio di Roma, nella cui piazza c'è la statua equestre di Marco Aurelio che rappresenta il centro convenzionale di Roma. Che coincidenza, vero? Whitehall, Downing Street e Parliament Street mi portano nel cuore dell’Inghilterra politica, cioè a Westminster Cathedral e alla House of Parliament: come dire il massimo dei simboli religiosi e politici britannici. La Cattedrale mi interessa molto e per visitarla in maniera approfondita decido di virare nel Broad Sanctuary dove posso ammirare la maestosa entrata principale della Cattedrale. L'interno è straordinario ma non si può visitare la parte riservata che è delimitata da una catena. Veramente bella. Trovo il tempo per farmi fotografare vicino all'entrata di Westmister. Qui fermiamoci un po' perchè alla vista del Palazzo del Parlamento le mie precedenti perplessità sulle dimensioni della statua di Eros a Piccadilly Circus sono meno forti di quelli che si riferiscono all'edificio della House of Parliament. La mia impressione è che l'intera struttura mi sembra un edificio decisamente basso. Non vorrei essere sfrontato ma mi viene in mente la battuta "due piani e loggioni".In genere, nelle immagini fotografiche, House of Parliament appare impressionante, spettacolare, grande, forse perchè i fotografi l'hanno sempre fatto vedere molto più alta di quanto non sia in realtà. Se si guarda nella foto il Big Ben sembra un grattacielo di Manhattan. Nella realtà, senza la mediazione della fotografia, ha delle dimensioni contenute. Certe volte l'apparenza inganna perchè, come dice Giorgio Porro, "I monumenti anche nel centro sono tutt'altro che imponenti: sembrano quasi schivare con la relativa modestia delle dimensioni le occhiate curiose del turista". Dunque, non sono solo io a dirlo. Rimane il fatto che sono un po' deluso. Non mi aspettavo delle dimensioni così piccine. Percorrendo la Bridge Street, che si immette sul ponte che attraversa il Tamigi, si vede bene che è un edificio a due piani, dalle dimensioni non certo enormi. Nulla a che vedere con analoghi parlamenti in Europa. Intendiamoci, le mie sono impressioni da turista esigente. Posso sbagliare, ma esco da questa visione veramente perplesso. Trovo una gentilissima ragazza giapponese che mi fa una foto sorridendo alle sue due amiche in maniera contagiosa. La foto mi ritrae sul Westmister Bridge e mostra alle mie spalle il Big Ben e l'angolo est dell'edificio del Parlamento inglese mentre sul lato sinistro, oltre il muro della balaustra del ponte, c'è il Tamigi dal colore argenteo. Ebbene questa foto mi ricorda casualmente lo stesso tema con lo stesso sfondo sempre sul lato sinistro del ponte e con il medesimo colore argenteo del fiume. Il quadro è intitolato Nubi su Westmister ed è del pugliese Giuseppe de Nittis. Sul Westmister Bridge c'è tanta gente che passeggia e tutto sembra piacevole come in un circo. Si sorride e si è felici.
Oltrepassato il Tamigi, sulla sinistra, percorro la stradina che costeggia il fiume per andare al London Eye ovvero della gigantesca ruota da Luna Park più alta d'Europa e provare l'emozione del viaggio in giostra in una capsula trasparente. Purtroppo c'è da aspettare più di due ore e francamente non me la sento di attendere tanto tempo. Così ripiego sul London Aquarium che si trova proprio all'inizio della stradina che costeggia il Tamigi. Vedere squali e pescecani da vicino può essere certe volte una attrattiva piacevole per attutire il dispiacere di non aver potuto vedere Londra dall'alto del London Eye. La visione è altamente spettacolare. Praticamente ci si trova accanto a delle pareti molto grandi di vetro trasparenti che fanno vedere una quantità d'acqua impressionante di colore verde cristallino che sembra il fondale del mare. Fa paura l'idea che si possa rompere il vetro da un momento all'altro ed essere invasi da un fiume d'acqua e da squali pericolosi. All'uscita dall'Acquario percorro per intero, la Westmister Bridge Road fino in fondo per poi girare sulla sinistra nella York Road fino in fondo alla bellissima scalinata dell'entrata della Waterloo Station. Lungo la volta dell'arco, alla sommità dell'entrata, c'è la dedica "ai dipendenti della Società caduti in guerra". Le stazioni ferroviarie, soprattutto quelle cosiddette storiche, sono sempre state per me una attrattiva da non perdere quando desidero effettuare una visita un po' approfondita, perchè in esse, a mio parere, si specchia il gusto, l'educazione e, perchè no, la civiltà di una città. Le stazioni ferroviarie sono anche memoria storica di un paese e spesso si trovano immagini e realtà variegate impossibili da vedere in altri posti nel centro. Nelle stazioni ferroviarie vivono o trascorrono molto tempo della giornata persone spesso ai margini della società cittadina, che danno senso all'osservazione e alla curiosità. La ferrovia e la stazione nell'immaginario urbano costituiscono un punto di riferimento unico e certamente originale. Certo in questi ultimi decenni la stazione ferroviaria ha perso appeal e non è più un centro di aggregazione sociale come prima. Rimane tuttavia la possibilità di vedere qualcosa che ha a che fare con l'anima profonda di una città. Il via vai di viaggiatori mi ha sempre incuriosito anche perchè anni fa a muoversi lungo percorsi distanti il treno era il solo mezzo di locomozione per gente dalle modeste condizioni economiche.Questo anche perchè le stazioni ferroviarie sono sempre state considerate in letteratura di viaggio emblemi della nuova società industriale. Alcuni ricordi che meritano un richiamo sono per esempio la poesia Alla stazione in una mattina d'autunno di Giosuè Carducci o Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello, o Zola che nel romanzo La belva umana fece addirittura della ferrovia una delle categorie della vita sociale. Se cambiamo registro e passiamo al linguaggio pittorico dei futuristi italiani basta ricordare Carrà, Severini, Boccioni, per non parlare del francese Monet e dell'inglese Frith con i loro famosi dipinti sulle stazioni ferroviarie. Aggiungo la rilevante considerazione personale che il viaggio che nasce con il treno e la stazione che lo rappresenta, è un'occasione per trovarsi ma anche per lasciarsi, come purtroppo è avvenuto a tutti noi nei lunghi addii nelle stazioni.
Ho alcune immagini tremende nella mia memoria di alcuni ricordi d'infanzia difficili da dimenticare che mi perseguitano. Si tratta di due addii o, meglio, di due distacchi da mio padre in una stazione ferroviaria. Il primo quando all'età di tredici anni dovetti prendere da solo il treno per andare a studiare in città a cento chilometri di distanza e ricordo sempre mio padre sulla banchina della piccola stazione di provincia nella quale mi aveva accompagnato con la "vespa" che mi salutava con la mano mentre il treno partiva. Tremendo. Il secondo, nel 1964 sempre con mio padre ma questa volta al contrario, con lui che partiva per andare a lavorare in Germania ed io che rimanevo, con le lacrime agli occhi, che lo salutavo dalla banchina. Terribile. Ma la stazione ferroviaria è stata per tutti anche il ritorno a casa da un lungo viaggio e le emozioni, questa volta di tutt'altra natura, sono sempre state di gioia e felicità. Dunque Waterloo Station come momento catartico di ricordi e, in questo contesto, come luogo di vita e di cultura. Si è fatto tardi e il ritorno all'albergo è veramente desiderato.ll rientro avviene col buio ed ho qualche difficoltà a individuare la fermata giusta del bus 12 perchè, purtroppo, scendo a due fermate successive. C'è da percorrere a piedi un buon tratto della Bayswater Road in condizioni non certo ideali. L'illuminazione non è per nulla eccellente e la via è percorsa da veloci auto che creano la sensazione dell'isolamento. Le case che costeggiano la strada sono quasi tutte disabitate o almeno sembrano tali perchè non si vedono luci alle finestre, nè aspetti di vita quotidiana. Qualche edificio addirittura è in evidente stato di abbandono e la strada a quell'ora non sembra per niente sicura. Sulla mia destra c'è la recinzione metallica di Hyde Park con le scure sagome degli alberi, alcuni con una densità di foglie ombrose e cupe talmente elevata da rappresentare una netta oscurità sullo sfondo notturno del cielo. Nella posizione in cui mi trovo oltre la ringhiera metallica, a poca distanza, c'è l'inizio del The Long Water, il cosiddetto Serpentine di Hyde Park. L'acqua del lago sarà scura e torbida. Non vorrei trovarmi dentro per nessun motivo al mondo col rischio di vedere la testa del mostro di Lochness.
La sensazione che si prova a guardare verso il parco è di timore e inquietudine dovuti all'esistenza davanti a me di una zona piena di incognite e poco rassicurante. Vista l'ora, manca poco al paesaggio per vedere Jack the Ripper in circolazione che mi viene incontro, magari con un coltello nelle mani sotto il mantello e uno sguardo non certo raccomandabile. Decido che è meglio affrettare il passo. Non posso però non fare alcune considerazioni circa il debito di riconoscenza che deve avere avuto lo straordinario regista Alfred Hitchcock, «maestro del brivido», nei confronti dei paesaggi notturni della Londra di mezzo secolo fa per il successo dei suoi film. Alla poca luce delle strade di Notting Hill riesco a comprendere bene il senso di alcuni suoi film capolavori, cosiddetti "triller". In poche parole, al panorama manca solo un tema musicale adeguato perchè gli altri elementi di paura, come l'ansia di incontri pericolosi, la solitudine del paesaggio e le ombre ci sono tutte. L'entrata nella hall dell'albergo è un'autentica liberazione. Nella foto scattata di pomeriggio da dentro Hyde Park, l'hotel è immediatamente dietro l'albero. La strada che costeggia la recinzione è la Bayswater Road e si nota tutt'intorno all'edificio il ponteggio montato per la ristrutturazione.In camera, la finestra della stanza che dà sul retro mostra un piccolo cortile per nulla illuminato. Lo stato delle imposte e della maniglia di chiusura della finestra non sono certo adeguati al numero di stelle attribuite all'hotel. C'è nell'aria un senso di decadenza e di degrado che non può essere rimosso facilmente. La camera, e più in generale l'intera struttura alberghiera mostrano per intero la vetustà dell'edificio e avrebbero bisogno di una manutenzione straordinaria che sta per avvenire. La camera, ha parecchi aspetti negativi da farsi perdonare e il bagno, com'era prevedibile, manca del bidè che qui in Inghilterra è sempre stato considerato un elemento superfluo. C'è anche qualche tratto di ringhiera arrugginita e la vernice delle imposte è da tempo essiccata, mentre la carta da parati sui muri è scolorita. Forzando la maniglia riesco a chiudere l'imposta per un sonno ristoratore augurandomi di non fare sogni con incubi.

Terzo giorno. Oggi è il terzultimo giorno e il programma prevede la visita alla City attraverso l'altro percorso importante che si snoda sulla sponda nord del Tamigi da Trafalgar Square, allo Strand, a Fleet Street, a St.Paul Cathedral, The Thower, fino al Tower Bridge, con alcuni diversivi. Si tratta del percorso in orizzontale lungo la direttrice ovest-est della città, mentre ieri ho fatto quello perpendicolare, cioè quello lungo l'asse verticale nord-sud. Percorso interessante quello di oggi perchè mi permetterà di costeggiare il Tamigi nella parte settentrionale dove c'è la City. Prima però ho da visitare un museo speciale e poco conosciuto. Sono riuscito a trovare l'indirizzo con molta difficoltà a un convegno sulla scienza inglese nella bibliografia di alcune dispense ed è da qualche anno che sto programmando questo evento. Pertanto la City può aspettare un po'. Il luogo non è lontano dall'hotel. Anzi è a poca distanza da Old Bond Street nel quartiere di Myfair tra Berkeley Square e Piccadilly Circus. L'indirizzo è 21 Albemarle St, Westminster, London W1S 4. Il nome del museo non dirà molto ai "non addetti ai lavori" ed è Royal Institution. In pratica è il nome omnicomprensivo di un ente di beneficenza indipendente, che si occupa di collegare le persone con il mondo della scienza. In Italia non esistono esempi del genere. In poche parole sto andando in questo edificio perchè voglio vedere il Faraday Museum. In poche parole Michael Faraday trascorse la maggior parte della sua vita in questo edificio della Royal Institution, dove fece delle scoperte straordinarie. Con la metro scendo a Oxford Circus e a piedi in Regent Street, Conduit Street, New Bond Street. Dovremmo essere vicini.Albemarle Street è riportata sulla cartina topografica come una strada del quartiere di Mayfair poco importante, a sud di Berkeley Square. Mi presento al n.21 ma è tutto chiuso. Probabilmente ci sono lavori di ristrutturazioni nell’edificio e il museo è inagibile penso con poca convinzione. Dubbioso di questa ipotesi cerco di chiedere notizie su dove fosse questo benedetto museo, ma i pochi interpellati, compreso un autentico policeman, non mi hanno potuto aiutare perchè non ne conoscevano il nome. Preoccupato di come stessero mettendosi le cose e intestardito nell’idea di localizzarlo a tutti i costi vedo da lontano l’insegna di un ristorante italiano ed entro per chiedere informazioni. Sento delle inequivocabili espressioni napoletane molto colorite e chiedo “del principale”, il quale sentendomi parlare in italiano alla mia richiesta di aiuto per la individuazione dell’entrata del museo mette in moto un complesso e originale meccanismo di voci da “uno a molti” in strettissimo dialetto del tipo: "Ahò, guagliò, avete sentito?". Dopo un po’ sento qualcuno che dal fondo del locale mi indica con un dito verso Berkeley Square. Poco convinto della risposta sono praticamente costretto ad accettare la proposta di bere un caffè “alla napoletana”. Ringrazio e seguo le sue indicazioni. In un vecchio palazzo con vetrate all’inglese suono al campanello con preoccupazione ed impazienza. La porta si apre e una gentile impiegata dopo aver saputo da me che desideravo visitare il Faraday Museum, un po’ meravigliata della richiesta mi fa entrare e dopo una breve attesa mi informa che c’è da pagare un ticket. L’idea che mi faccio è che avessero sospeso o diradato le visite per motivi interni e che per ragioni di cortesia avessero esaudito il mio desiderio. Finalmente libero di visitare la sezione museale faradaiana lascio sfogo alla mia curiosità. Le foto mostrano alcuni momenti della visita in un ambiente un po’ deludente, sottotono e poco curato.Esco abbastanza soddisfatto ma sempre più perplesso per le contraddittorie indicazioni presenti nel depliant pubblicitario consegnatomi alla reception che riporta l’indirizzo della sede storica di Albemarle Street. Si è fatto tardi ed io devo andare alla City.Ho l'esigenza di incassare delle banconote in sterline presso lo sportello bancomat della mia banca Cariplo, in Lombard Street. Questa a mio parere voluta coincidenza della sede estera della mia banca lombarda che si trova, guarda caso, in Lombard Street a Londra mi convince che i dirigenti della banca avranno fatto il possibile, e l’impossibile, per far coincidere la sede londinese della Cassa di risparmio per le province lombarde con una delle rare strade che portano una radice italiana. In realtà a Londra esistono altre due strade vicino al centro che hanno a che vedere con l’idioma di Dante. Sono Genoa Road e Turin Street. Il resto si trova a parecchie decine di miglia dal centro storico. Chi vuole può trovare Messina Ave, Naples and Bronte Close, Roma Como Padoa and Palermo Rd, tutte sparse nella parte nord e sud esterne alla cintura della Greater London. Spero molto che il mio prezioso tesserino, che è anche carta di credito, non venga bloccato all'interno dell’apparecchiatura telematica da qualche spiacevole imprevisto, secondo il famoso detto popolare di Edwuard Murphy che «se qualcosa può andar male, lo farà». Il compendio di frasi umoristiche comprende anche dei corollari, uno dei quali afferma che: «se ci sono due o più modi di fare una cosa (ritirare del denaro a un bancomat all’estero), e uno di questi modi può condurre ad una catastrofe (blocco del bancomat), allora qualcuno la farà (il sottoscritto) in quel modo». Fermiamoci qui e ritorniamo a parlare di spostamenti nella città. Mi muovo adesso a piedi verso la Piccadilly e qui, alla fermata di Green Park, prendo la linea blu della metro per Covent Garden. Sono appena tre fermate, ma dopo le ripetute corse con l’autobus 12 un po’ di Tube mi distrarrà meglio dal movimento su un mezzo pubblico e mi farà constatare una volta di più la famosa efficienza della Underground londinese. Da Covent Garden giù nello Strand per passeggiare nella curva di Aldwich e immettermi in Fleet Street, la via dei giornali. Strade piacevoli ed eleganti, negozi con molto charme ma né bombette né ombrelli alla mia vista portati da austeri signori della finanza internazionale della City. Al 49 di Aldwych c'è l'Aldwych Theatre. Mi fermo e osservo la programmazione. Il teatro dall'esterno mi piace. E' un vero teatro inglese e la sola idea di poter trascorrere una serata qui dentro mi entusiasma non poco. Sono deciso a prenotare un posto. Entro, alla reception c'è una gentile impiegata che dopo aver ascoltato con molta attenzione la mia richiesta di voler comprare assolutamente un biglietto mi informa che tutti i posti sono occupati per almeno dieci giorni. Aggiunge che qui a Londra è normale e che è necessario prenotare molto tempo prima.Ludgate Hill mi introduce alla bella cattedrale anglicana di San Paolo. Diciamo la verità, St. Paul Cathedral è suggestiva e straordinaria. Fuori dal normale. Non arriva all'altezza di S. Pietro a Roma ma in molti tratti ne eguaglia la maestosità e l'inimitabile bellezza architettonica ed artistica. Dò uno sguardo interessato. L'interno è veramente grande e gradevole. Con la Basilica di S. Paolo fuori le mura di Roma ha in comune la forma e le dimensioni dei campanili. La cupola poi è quasi come quella della Basilica di S. Pietro. Il colore del marmo mi ricorda il colore del classico travertino romano. L'interno poi è eccezionale, ricco e dorato di ornamenti, con un organo centrale bifronte, maestoso, con una navata centrale lunga e pregevolissima.Prevedo di tornare qui Domenica per una visita più mirata e con maggiore calma. Il programma prevede a questo punto di completare la visita alla parte est della città e vedere i due gioielli storici The Tower e del Tower Bridge. Cannon Street mi porta diritto al Monument mentre Lower Thames Street mi fa passare a pochi metri lungo il fianco sud della Torre di Londra. Quanta storia e soprattutto quanta sofferenza ha prodotto su tanti disgraziati questo edificio.Ma il tempo stringe perchè c'è il Tower Bridge che mi sta aspettando e non ammette ritardi. Su questo ponte, che nella parte bassa si apre come un ponte levatoio per far passare le navi di una certa dimensione, ci sarebbero da dire tante cose. E' senz'altro una della icone più caratteristiche della capitale inglese. Da sempre ricordo che esso è rimasto associato nella mia mente a immagine rappresentativa di Londra, come per esempio il Colosseo per Roma. Faccio delle foto ma ritengo indispensabile sedermi su una panchina, davanti a me nella foto, per gustarlo meglio con calma. La zona è tutto uno spettacolo. Ci sono molti turisti e sembra di essere a una fiera di paese. La gente è contenta ed eccitata, passeggia, si ristora, mangia un panino e beve una bibita fresca. Insomma, il clima sia meteorologico, sia psicologico è ideale e sa di piacevole vacanza e di serena distrazione. Non si vedono in giro poliziotti e la gente è tranquilla. Ammiro tante volte il ponte nella speranza che passi qualche grande nave. Di piccole imbarcazioni se ne vedono molte ma di grandi nemmeno l'ombra.
Questo ponte per me è un vera icona londinese, perchè è il più famoso ponte d'Europa in stile gotico vittoriano. Immagino poi che ci sia tutta una tecnologia particolare per permettere l'apertura delle due ante del ponte levatoio. Deve essere una faccenda un po' complicata perchè la tecnica non è stata concepita oggi con computer e software elettronico ma nel secolo scorso con metodi esclusivamente meccanici. Il Tower Bridge si mostra ben solido, nel centro del Tamigi. Dà l'idea di essere ancorato al suolo in modo potente e sicuro, nonostante la larghezza del fiume sia notevole. Mi viene in mente di paragonarlo con il Tevere a Roma e la sensazione è quella di una costruzione di alta ingegneria mentre per esempio il ponte Garibaldi a Trastevere al suo confronto è un ponticello. Se vogliamo poi passare a un confronto tra i due fiumi allora il Tamigi è un vero fiume mentre il Tevere è un fiumiciattolo, un rio. Chissà quante volte dei turisti inglesi sono venuti a Roma e hanno fatto lo stesso confronto invertito. La considerazione più banale che mi viene in mente è che duemila anni fa i romani costruirono per i britannici grandi manufatti con una ingegneria di altissimo livello tecnico. Adesso si mostrano le cose al contrario. Da allora a Roma non è stato costruito nulla di rilevante. Triste e amara considerazione sul Bel Paese che ha molte cose belle quasi tutte costruite nei secoli passati mentre di moderno non ha nulla. A chiacchiere tutti gli italiani si riempiono la bocca a proposito delle bellezze del paese. In realtà l'Italia è bella di suo perchè è rarissimo che qualche italiano abbia fatto qualcosa per la patria disinteressatamente a parte gli eroi del Risorgimento. Ma questa è un'altra storia. Passeggio un po' lungo il fiume guardando dall'altra parte. Penso però che le attrattive maggiori siano da questa parte del Tamigi. Bene. Il programma prevede a questo punto di andare nella parte nord della città che finora è stata trascurata. La località è nella parte meridionale di Regent's Park, in Marylebone Road. A due passi c'è la fermata della Tube di Baker Street non lontano dalla London Marylebone Rail Station. In pratica si trova lungo la direttrice nord del meridiano passante per Marble Arch tanto che sento aria di casa vicino al mio hotel. A fare che? La risposta è "a vedere le stelle". Finte ma sempre stelle. In poche parole a vedere il Planetarium. In realtà non c'è solo il planetario: lì vicino ci sono anche le famose statue di cera di Madame Tussauds e addirittura c'è anche il Museo di Sherlock Holmes. Purtroppo, il tempo è tiranno e andrò solo a vedere le stelle.Il planetario è una specie di cupola orizzontale di circa 18 m di diametro che permette a circa 330 persone seduti su comode poltrone ergonomiche montate in file concentriche di vedere al buio sul soffitto la simulazione della volta celeste in cui le stelle sono rappresentate da minuscoli punti luminosi creati da microlampadine. Per fare tutto questo c'è nel centro sferico della sala un proiettore speciale rivolto verso il soffitto che permette al pubblico di vedere lo spettacolo della visione del cielo notturno visto dalla Terra. Se questa descrizione non risulta chiara mettiamola così: il planetario è una specie di cinematografo speciale che fa vedere dei film dove si vedono le stelle e l'universo. A Roma come edificio si trova da sempre nella storica Aula Ottagona delle Terme di Diocleziano, a Piazza della Repubblica ovvero piazza dell’Esedra. Quello romano è più piccolo di quello londinese e soprattutto funziona a singhiozzo, quando funziona. La cupola ha un diametro di 14 metri e dispone di appena cento posti. Ultimamente non funziona per niente e la bella sala non viene sfruttata. Qui a Londra è una vera e propria attrazione e per questo vengo con piacere ad assistere a un programma che si chiama "dalla nascita alla fine dell'universo". E' pomeriggio. La sala è affollata. La sensazione che provo è quella come se fossi andato a cinema. Stessa attesa dello spettacolo, stessa atmosfera gaia e allegra. Veramente piacevole. Lo spettacolo inizia. C'è un'acustica stupenda e abbastanza intensa. Si sente una voce narrante che ricrea perfettamente l'atmosfera di un viaggio spaziale. Si parla di un futuristico viaggio ad alta velocità che stiamo per fare attraverso la nostra galassia e oltre. Questo viaggio va da alcuni miliardi di anni fa fino a un futuro molto lontano di altri miliardi di anni. Molte cose non riesco a comprenderle bene perchè il mio inglese non è lessicalmente ricco, ma lo spettacolo lo si può godere interamente indipendentemente dalla lingua narrante. Siamo quasi al buio. Dal centro della sala si levano queste luci a forma di raggi laser che illuminano la sala che sembra di essere su un'astronave. Un'ora e mezza di autentico spettacolo. Esco sulla Marylebone Road soddisfatto. Altro che cinematografo. Ma mi rendo conto che questo spettacolo non è per tutti. Eppure la sala era piena. Sarà una questione di cultura ma non ho mai visto una normale famiglia italiana dire che domani andrà al planetario della sua città per vedere lo spettacolo delle stelle. In Italia l'astronomia è vista come noia non come spettacolo. Salvo poi di parlare di astrologia, dove gli italiani sono tra i massimi esperti mondiali. Contraddizioni tipiche degli abitanti dello stivale. E' l'ora del rientro in albergo per un riposo ristoratore.

Quarto giorno. Harrods è uno dei grandi magazzini che desidero vedere. E' una tappa obbligata e necessaria. Harrods non è nè un grande magazzino come UPIM o Standa, nè un centro commerciale. Harrods è tutti e due e nessuno dei due. Harrods è Harrods. Probabilmente, tra qualche anno non ricorderò nulla di questa visita. Ma essere stato qui è un "dovere" del turista che vuole vedere e toccare con mano la fortuna del nome e il tocco di classe del british market. Decido che pranzerò nella sala ristorazione. Harrods vende di tutto ed è una vera icona della città. Personalmente non nutro molto interesse per i grandi magazzini ma come turista non posso non avere la curiosità di verificare in cosa consiste questa fama e, soprattutto, desidero metterlo a confronto con un analogo grande magazzino italiano. L’indirizzo è noto a tutti i turisti del mondo che vanno a Londra: 87-135 Knightbridge SW1 Brompton Road, fermata della Tube di Knightbridge. Da notare i numeri civici dall'87 al 135: ci sono moltissime vetrine. Eccomi pertanto all'uscita della metro per la visita di rito. Da fuori il palazzo sembra una specie di enorme albergo di 1a categoria a cinque piani molto alto con il tetto che ricorda St. Paul, perchè ha la cupola come la cattedrale e un solo campanile con lo stesso torrione di quello originale della Cattedrale. Poi c'è il primo piano che sembra la megasala del ristorante dell'hotel. Le bandiere di diverse nazioni che sventolano sul tetto dell'edificio ne accentuano le caratteristiche alberghiere e di ristorazione. In realtà la struttura commerciale è bella, un po' vecchiotta ma fine ed efficiente. Alzi la mano colui che non la vorrebbe nella propria città. Qui il motto sembra essere quello che ho letto su una guida, e cioè che qui fanno "tutto per tutti dappertutto". Bella come definizione. Chiarisce "tutto". Ci sono diverse entrate e ciascuna di esse è caratterizzata dal logo Harrods. Non avendo molto tempo a disposizione spero di non perdere l’orientamento all’uscita. Sono interessato quasi esclusivamente al reparto alimentare per vedere un po’ quale tipo di eno-gastronomia viene proposta. Non ha senso rimanere troppo tempo qui quando c’è ancora da vedere molto in città. Il reparto gastronomico si chiama Food Hall ed effettivamente c'è molto da vedere anche se i prodotti sembrano sterilizzati. Nulla a che vedere con un'onesta salumeria italiana dove nel banco dei salumi può emergere del lardo di Colonnata o dell'eccellente formaggio Bitto, mentre qui tutti i pezzi sono sistemati con precisione millimetrica, facendoli sembrare dei monili gastronomici. Qui il cibo è visto come un gioiello, i formaggi sistemati come orologi, uno accanto all'altro. Le bottiglie di vino, soprattutto francese, di meno italiano e spagnolo, sembrano bijou sistemati con maniacale precisione come se fossero dei piccoli contenitori di chiodi in una parete di un ferramenta. Barattoli di ogni tipo e specie a non finire sistemati accuratamente uno sull'altro. Dopo una sommaria ricognizione abbandono il progetto di visita accurata perché è troppo impegnativo seguire tutta quella montagna di prodotti ben allineati nelle vetrine e negli scaffali. Francamente c'è un eccesso di proposte che disorientano. L'idea che mi faccio è che in tutti i piani il direttore abbia insistito efficacemente per far emergere in qualunque angolo il senso del british a tutti i costi anche dove non sarebbe stato il caso. Ne viene fuori un qualcosa di unico, una specie di melassa generalizzata, senza esagerazioni e con una discreta sobrietà. Compro un regalino come il famoso modellino del bus rosso a due piani che è un classico londinese. All'ora di pranzo mi sposto ai piano superiore nella sala ristorazione, che mi delude per le dimensioni contenute e per le inadeguate proposte culinarie che lasciano un po' a desiderare. Comunque me lo aspettavo. Mi metto in fila per mangiare al self service. Nonostante siano trascorsi diversi giorni trascorse da turista a Londra non ho ancora fatto alcun accenno ai ristoranti londinesi e più in generale alla ristorazione inglese. In verità quello "del mangiare" è l'unico neo della vita londinese e il vero problema di un italiano a Londra. E' come se un fidanzato, che conosce bene virtù e difetti della propria amata, consapevole dell'unica imperfezione che ella possiede, fa di tutto per tacere sull'argomento e men che mai ne parla con gli altri. Alla stessa maniera io, amante della bella Londra faccio fatica a ricordare questo tema. In un certo modo, mi sembra che la questione del vitto la sto affrontando in questi giorni come se non avessi mai fame. Non so fino a che punto sia consapevolezza dei limiti della cultura alimentare di questa città o eccesso di fatalismo in cui si ha la percezione netta che il problema è irrisolubile. Tuttavia, almeno un cenno è necessario farlo se non altro per amore di completezza e di verità. Sapevo che Londra dal punto di vista della ristorazione lascia "un tantino" a desiderare. Ci sono una montagna di studi di saggi sulla questione che sarebbe fuori luogo affrontare qui in poche righe. Diciamo solo che la qualità della cucina inglese soffre un po' nei confronti di quella mediterranea e in particolare di quella italiana. La coda al self service non è lunga ma il problema è che bisogna interloquire con l'addetto alla mensa che dispensa i piatti. Sono un po’ preoccupato perché il mio inglese nei momenti di veloce comunicazione lascia molto a desiderare e il rischio è che non ci si intenda con il cameriere di turno. Non vorrei trovare nel mio piatto una salsiccia indigeribile dello Yorkshire quando io avrei voluto mangiare qualche leggera fetta di roast beef con purè di patate. E’ pertanto smisurata la mia meraviglia quando, tutto concentrato per non distrarmi da una frase inglese che ripetevo tra me e me per non dimenticarla, che una cassiera mi fa cenno di avvicinarmi e senza che io le avessi dato una qualche ragione mi chiede in italiano cosa desidero mangiare. Rimango piacevolmente stupito e dopo un balbettìo a base di “ma … non pensavo che …. sono fortunato che lei parla italiano” la giovane mi confessa che è italiana di Bologna e che si trova qui a Londra per mantenersi agli studi per approfondire il suo inglese. Grazie a questa coincidenza il roast beef senza purè ma con patatine fritte non è stato sostituito da alcun pesante piatto indigeno da digerire con difficoltà. Ho sempre saputo che era necessario imparare la lingua di Shakespeare, ma è sempre stato un sogno mai realizzato. E dire che più di una volta mi sono impegnato per avvicinarmi a una conoscenza adeguata, ma non ci sono riuscito. Una volta addirittura a Roma avevo accettato un annuncio su un giornale di una ragazza inglese che viveva nella capitale per avere delle lezioni di inglese a ore. Era l'inizio del 1985 e io risposi all'annuncio informandola che ero disponibile. Ci incontrammo a Piazza di Spagna. Per farmi riconoscere le dissi che avrei avuto un giornale sotto il braccio e un cappotto color cammello come si fa di solito nei film degli agenti segreti. All'orario stabilito, le cinque del pomeriggio, puntuale mi misi ad aspettarla. Dopo un po' si presentò all'appuntamento perplessa del mio abbigliamento che a suo dire era troppo elegante. Accettò l'invito di bere una tazza di thè nella sala interna di Babington's Restaurant in Piazza di Spagna. Nonostante avessimo sul tavolo dell'ottimo thè e dei gustosi pasticcini fece di tutto per evitare di prendere una decisione e poco dopo, con una scusa banale, scomparve lasciandomi sorpreso e incredulo. Decisi che si poteva vivere lo stesso senza conoscere l'inglese bene come un giornalista della BBC.
Ed eccoci ad Hyde Park, il parco londinese più famoso al mondo. Ho già detto che ogni giorno percorro la Bayswater Road e lo osservo con attenzione. Questa mattina più in là da dove abito nel mio albergo vedo un gruppo di giovani che hanno attaccato e appoggiato alla lunga cancellata che delimita il parco decine di quadri e di disegni in vendita, come quelli che si vedono lungo la Senna a Parigi La presenza di questi giovani dà un tocco di buon umore alla mattinata perchè mi ricordano le bancarelle romane che vendono libri usati o fuori commercio. Ho comperato tanti libri su questi banchi. L'intera serie di libri economici su Ennio Flaiano l'ho comperata sul lungotevere. In uno di questi libri, anni fa, lessi una delle più straordinarie definizioni del popolo italiano. Flaiano scrive un aforisma che sintetizza bene il modo di essere degli italiani, e cioè che "gli italiani corrono sempre in aiuto del vincitore". Sono un sostenitore dei mercatini rionali perchè ritengo che si tratti di un mezzo tra i tanti in grado di aiutare un approccio culturale popolare nelle grandi città. A due passi c'è l'entrata di Lancaster Walk nel parco. Ne approfitto perchè ho da vedere da vicino l'oasi di verde. Il parco non ha nulla di straordinario: nè cascate alla Niagara Falls, nè fiordi alla norvegese, nè Luna Park avveniristici, nulla di eccezionale. Quello che mostra è invece una straordinaria raziocinante normalità di verde con alcuni luoghi comuni e forse anche mediocri nella loro normalità ma eccezionali nel loro significato simbolico.Cosa di dire di Speaker's Corner dove dovrebbero esserci spettacolari campioni di eloquenza che si esibiscono a braccio? Non ne ho visto neanche uno. La mia guida dice che in genere appaiono la domenica pomeriggio e forse è questo il motivo della loro assenza anche se io ho qualche dubbio, perchè credo che la Londra del 2000 non è più la Londra dei tempi passati quando ancora non c'erano computer e cellulari in circolazione. E che dire del laghetto allungato a forma di serpentello, tanto da essere chiamato The Serpentine? Uno specchio d'acqua normale e poco avvincente. Ma si può nuotare se si vuole, e si può andare in barca se si ha desiderio. Pochi lo fanno ma c'è, esiste, è utilizzabile, ed è questo che lo fa diventare un luogo ricercato, meta di fotografie di culto. La foto presa dalla cam live del giorno prima della partenza mostra la bella e larga Park Lane che si snoda maestosa lungo la direttrice nord-sud dell'estremità orientale di Hyde Park.
Va dall'estremità nord dove c'è, vicino Marble Arch, l'angolo di Speaker Corner all'estremità sud dove c'è Hyde Park Corner. Evidentemente i due "Corner" sono differenti ma rappresentano gli spigoli est del rettangolo verde. C'è addirittura una passeggiata degli amanti chiamata Lover's Walk. A Roma all'Eur c'è una passeggiata del Giappone. Un po' poco per rivaleggiare in romanticismo, noi che siamo stati definiti in passato i romantici per eccellenza. Purtroppo se le virtù non vengono coltivate è facile che diventino difetti. E poi vogliamo parlare di qualche cosa di italiano nel parco? Cosa c'è di meglio degli Italian Gardens? Sedersi su una panchina e ammirare gli zampilli dell'acqua nelle quattro vasche è una delle cose più rilassanti che si possono osservare. Provare per credere.Non è difficile fare incontri speciali, come nella foto che ho scattato dove si vede uno scoiattolo sui rami di un albero. Mai visto uno scoiattolo in un parco romano. Semmai roditori, veri e propri ratti giganti. Quelli si, ce ne sono in abbondanza.Sulla leggenda di Hyde Park desidero riportare un brano dello straordinario Giorgio Porro a proposito del fatto che il parco londinese è una icona immutabile nell'armonia del mondo british. Ma siamo proprio sicuri che c'è questa leggenda del parco come meta obbligata e come soggetto degno di ammirazione? Porro risponde alla domanda dicendo che forse c'è la dimostrazione del contrario. Ecco le sue parole: "cioè che l'esistenza del vecchio parco conosce essa medesima uno sviluppo e una decadenza, gli alti e i bassi insomma che punteggiano le vicende di qualunque mortale". Insomma alla fine si arriva sempre allo stesso punto, ovvero alla caducità della vita e alla mancanza di certezze che riguardano la nostra esistenza umana e il mondo. Meglio cambiare discorso. Rimane il fatto che il parco, di giorno, è bello, grande e piacevole. Più tardi, prima di sera, faccio una passeggiata nelle strade del quartiere. Ho voglia di vedere da vicino le case, le strade, qualche piazza, dei giardinetti, le soglie della casette a schiera, insomma è mio desiderio osservare e rubare qualche sguardo relativo alle entrate delle abitazioni dei cittadini che vivono qui. La passeggiata è piacevole e distensiva, ci sono poche persone in giro. Vedo Craven Hill Gardens e Queen’s Gardens, passeggio in alcune stradine con gli edifici a uno o due piani e alla fine lo sguardo si posa su un negozio che vende frutta e verdura. Entro, dò una sguardo, compro una banana e chiedo al gestore di dove fosse. Mi risponde che è indiano e che conosce Roma dove vivono alcuni suoi amici di famiglia. C’è la conferma che non ho visto male quando ho previsto che sarebbe stato difficile trovare un negozio di frutta condotto da un indigeno. Qui a Notting Hill, i pochi negozietti che ho visto sono condotti da immigrati asiatici. Dunque, la notizia che gli immigrati asiatici hanno sostituito integralmente la manodopera indigena è vera. Me lo aveva anticipato una mia cugina a Roma prima di partire. Nella capitale non si vede nulla di tutto ciò. Chissà se in un futuro prossimo si verificherà qualcosa del genere. Nelle città italiane, allo stato attuale, tranne qualche isolato Internet Cafè si vede poco di questo genere.

Quinto giorno. Oggi è il giorno della Regina d'Inghilterra. Andrò a Buckingham Palace. Non credo che sarò ricevuto a Corte come lo fu Alberto Sordi nel film "Profumo di Londra". Mi accontenterò di vedere alcune icone pubblicitarie della monarchia relative alla residenza dei reali inglesi.Intanto c'è da dire che lo stendardo reale non è presente sul palazzo, segno questo che The Queen non c'è. Al mio paesello natio, quando ero piccolo, bastava socchiudere la porta per informare i vicini di casa che si era assenti. Qui si fanno le cose in grande e la preziosa informazione la dà la presenza o meno di una bandiera svolazzante. Sono qui per due ragioni. La prima perchè non si può venire a Londra e non venire a Buckingham Palace, località tradizionale dell'immaginario reale che tra le tante cose è un posto con tanto verde ai lati della reggia. La foto a fianco lo dimostra egregiamente. L'idea che più mi viene in mente è che questa bellissima costruzione può essere paragonata alla Reggia di Caserta. Ma forse il paragone non calza bene. C'è tutta una architettura che riguarda la residenza reale da non sottovalutare. Ci sono molte persone alla biglietteria che fanno la fila. Non credo che mi accoderò. La fila è lunga e io non ho molto tempo.Il secondo motivo è vedere questo famoso cambio della guardia. Ne hanno parlato tanto, tutti, che non vedo l'ora di togliermi di dosso questo "impegno" ufficiale di turista ligio, alla giapponese, per intenderci. La faccenda è comunque un po' complicata perchè è necessario attendere una certa ora precisa. Questo fatto mi ricorda l'attesa spasmodica dei turisti nella piazza del Duomo di Messina, perchè ogni giorno, a mezzogiorno in punto, l'orologio meccanico e astronomico del campanile fa vedere il carosello del giorno della settimana, rappresentato da una divinità pagana portata in trionfo da un carro, trainato da un animale diverso. Qui l'attesa è ancora più accentuata dalla presenza delle famose guardie con la giubba rossa e turbante in testa. Il cambio della guardia avviene alle 11 in punto. Dunque, macchina fotografica pronta perchè c'è un esercito di turisti che potrebbe compromettere l'istantanea. Di pessimo gusto.Come disse il Mahatma Gandhi: "qualunque cosa voi facciate sarà insignificante, ma è molto importante che voi la facciate". Qui è fondamentale esserci e fotografare, anche se non varrà nulla. Così va il mondo.Questo pomeriggio ho qualche problema di digestione. Diciamo la verità: in questi cinque giorni di vita londinese ho mangiato veramente male. Da molto tempo non mi accadeva di essere costretto a un regime alimentare completamente differente dal mio. Impossibile trovare un ristorantino che servisse delle minestrine all’acqua con parmigiano grattugiato e difficilissimo individuare un self service in grado di proporre minestre di riso o zuppe o passati di verdure. Non parliamo poi di insalate di verdure fresche (lattuga, radicchio, sedano, pomodori, etc.) che normalmente costituiscono una parte notevole della mia dieta. La mia alimentazione si è dovuta distribuire tra qualche pizza margherita della catena PizzaHut e qualche insalatina di patate prezzemolate, condite con pessimo olio e una porzione di formaggi cheddar e stilton che conoscevo da anni ma che non sono paragonabili né a un leggero stracchino, né a un piacevole taleggio. Lo stilton mi ricorda una specie di gorgonzola a forma cilindrica con venature sul blu e dei due è il meno attraente. L’unica insalata che non è mai mancata nella lista delle pietanze dove sono stato è l’insalata russa che a me non piace. L’altra sera ho cenato vicino all’hotel, al Swann. Avevo memorizzato questo locale all'arrivo in hotel il primo giorno. Non potevo non visitarlo almeno una volta. Se devo essere sincero ho ancora il forte retrogusto del roast beef che non ho digerito. E siccome non sono il tipo da frequentare Mac Donalds o chiedere un hot dog nel primo chioschetto di una piazzetta, chè lo considero da sempre un americanismo fuori dalla mia cultura alimentare, eccomi qui a lodare solo la prima colazione dell'albergo, la quale da sola non può sopperire alle esigenze di alimentazione di un’intera giornata in movimento. Vero è che in Carnaby Street ho trovato una specie di parafarmacia in cui si vendevano delle porzioni di macedonia di frutta. Resta il fatto che la frutta era esotica, e solo esotica, con sapori strani e poco gradevoli: mango, babaco, sapodilla, carambola e papaya saranno stati probabilmente gli ingredienti di questo strano mix di frutta fresca ma non gustosa che mi ha lasciato perplesso se non altro per i colori ancora più strani di alcuni dei frutti mangiati. Ho deciso pertanto che questa sera, per tempo, tenterò una sortita al bar della stazione ferroviaria di Paddington, nella speranza di bere una tazza di latte caldo con qualche biscotto della nonna o di una fetta di digeribile apple pie. Le stazioni ferroviarie spesso forniscono soluzioni di bontà e genuinità nei pasti. In ogni caso, a parte il problema della digeribilità dei cibi, era già mia intenzione visitare Paddington Station perché è una bella stazione che merita una visita.

Mi ricorda Milano Centrale con il suo padiglione principale al centro. A questo proposito accosto di seguito tre immagini di Paddington Station che la rappresentano in tre periodi differenti nel tempo. La prima è un quadro di William Powell Frith che rappresenta la partenza di un treno dalla stazione Paddington di Londra. Il titolo è "The railway station", olio su tela, del 1862. La seconda è una foto d’epoca dei primi del Novecento e la terza è attuale di questi anni. Le tre immagini richiamano alla mente sensazioni del tempo che fugge in sintonia con l’ambiente in cui tutti hanno fretta di muoversi da una parte all’altra. Il bar è al piano superiore. Le foto sono straordinarie perchè dal loro confronto emerge il contrasto del come eravamo e del come siamo adesso. L'evoluzione delle stazioni ferroviarie è l'evoluzione stessa della società, che cambia al cambiare dei luoghi più rappresentativi di essa nella quale il servizio dei trasporti è un luogo deputato a mostrare l'evoluzione della società. Salgo le scale ed entro. Il locale è d’altri tempi. Niente a che vedere con un normale bar di una stazione ferroviaria italiana. Tavoli, sedie, bancone per la mescita e quasi tutto l’arredamento mi ricorda gli anni ’60. C’è odore di pulizia e nel bar non ci sono avventori. Al banco c’è una ragazza che pulisce i bicchieri. Chiedo di poter consumare una tazza di latte caldo e una fetta di apple pie. Solo latte aggiungo, nella speranza di evitare che ella intenda un thè al latte, generalmente portato in una lattiera microscopica da aggiungere alla bevanda scura. E siccome sono in vena di fare ironia “con del miele” aggiungo abbozzando un sorriso. Il miracolo avviene, perché la ragazza è italiana (per la terza volta) di Ancona. Mi fa notare che qui la mia è una richiesta rara e insolita. Solo un italiano può farla, aggiunge. Mi rassicura e mi invita a sedermi a un tavolo ad aspettare. Incredulo aspetto più di un quarto d’ora ma alla fine questa benedetta tazza di latte arriva. E quando arriva c'è tanto latte e c'è anche il miele che avevo desiderato con un panino e la fetta di torta alle mele. La mia salvezza. Ritorno in hotel col buio. In camera la finestra lascia entrare un po’ d’aria e in fondo si vedono le sagome scure degli alberi di Hyde Park. La chiudo a doppia mandata e guardo un po’ di televisione. La giornata è stata intensa e domani si continua.

Sesto giorno. Oggi è domenica e domani si parte. Siamo agli sgoccioli della vacanza. E' duro ammetterlo ma è così. Il tempo, nonostante tutto, trascorre e passa cinicamente senza fare sconti a nessuno. I negozi in città sono chiusi e si respira aria di festa. La città rallenta i suoi ritmi. La giornata festiva dà un tocco di novità alla mattinata. Esco per tempo dall'albergo perchè come avevo anticipato prima ho da vedere meglio la Cattedrale di S. Paolo e partecipare alla messa. D'altronde è l'ultimo giorno pieno che trascorro a Londra. Io che a Roma abito a poche centinaia di metri dalla Basilica di S. Paolo trovo la coincidenza sorprendente e piacevole. Ma la "S. Paolo" anglicana di oggi è diversa dalla "S. Paolo" cattolica di tutti i giorni e, come si suol dire in questi casi, quella londinese è "un'altra parrocchia". Bisticci di parole a parte la differenza c'è, come d'altronde ci sono anche le similitudini. D'altra parte la vita stessa è un magma complesso di contrasti e analogie. Non voglio impelagarmi in una disquisizione di carattere teologico. Tuttavia, non posso esimermi di non fare qualche digressione in merito. E' bello mettere a confronto due straordinari edifici di culto accomunati dallo stesso nome: St. Paul Cathedral e Basilica di S. Paolo. Apparentemente le differenze sembrano esistere solo nel genitivo che precede il nome del Santo, cioè 'Cattedrale vs Basilica'. Apparentemente. In realtà c'è molto altro perchè qui stiamo parlando di religioni. Sono religioni diverse? A prima vista non si direbbe perché i credenti di entrambe le religioni sono cristiani e seguono gli insegnamenti di Gesù Cristo. Non sono mica ebrei o ancor di più musulmani, per rimanere solo nell’ambito delle religioni monoteiste. Credono entrambi nello stesso Dio, stessa Trinità, praticano le stesse cerimonie religiose, ogni domenica vanno a messa, usano la stessa Bibbia e credono negli stessi Santi. Dunque, dov’è la differenza? Credete che un alieno, proveniente da lontani mondi extragalattici comprenderebbe differenze motivate da aspetti storici che riguardano Enrico VIII o da sottili ragionamenti teologici? Il mondo anglosassone è sempre stato, dopo Enrico VIII, antipapista. Lo stesso Isaac Newton fu uno dei più acerrimi nemici del Papa cattolico romano. Ebbene, fra poco andrò a messa proprio nella londinese cattedrale anglicana per dimostrare che volendo ci si può intendere. Arrivo a St. Paul Cathedral in tempo per la messa delle 10.00 . E' evidente che non verrà utilizzato l'altare maggiore della cattedrale ma quello di una cappella laterale. Se non ho capito male si tratta della St Dunstan Chapel. La cappella è una delle tre presenti nella cattedrale. E' dedicata a S. Dunstan, un vescovo di Londra che divenne arcivescovo di Canterbury nel 959. Tra le tante cose la domenica e i giorni festivi il servizio per i turisti è sospeso. Mi sposto quindi verso la cappella ed entro. La cappella è piccola a forma rettangolare. Ha due file di banchi per i fedeli. In tutto ci sono circa trenta posti. Il parroco è un simpatico e intraprendente prete, sui quarant’anni, dinamico e sicuro di se. Lo saluto con un cenno del capo. Mi sorride e ricambia. Ancora non ha capito che sono “un estraneo”. Mancano circa dieci minuti all’inizio della messa ed io trovo il momento adatto per avvicinarlo e salutarlo con il mio stentato inglese. Gli dico che sono un turista italiano e vengo da Roma e desidero ascoltare la messa. Quando si rende conto della ghiotta novità ha parole di soddisfazione per l’incontro e mi invita al termine della messa di non andare via. Siamo in pochi, circa dieci persone, officiante compreso. Metà donne e metà uomini. Con molto interesse partecipo nei movimenti alla funzione religiosa. Mi alzo e mi seggo al momento giusto e faccio il raccoglimento quando lo fanno gli altri. Insomma, cerco nel mio piccolo di concretizzare l’idea della "Promozione dell'Unità dei Cristiani", ma non prendo la comunione. Nessuno si accorge di nulla e nessuno immagina che io non sia un classico fedele anglicano fino all’omelia quando, all’inizio del sermone, il sacerdote dice che ha il piacere di informare l'uditorio che è presente tra noi “un pellegrino italiano che viene da Roma”. E addio alla privacy. Imbarazzato cerco di resistere agli sguardi curiosi sebbene contenuti degli altri fedeli. Alla fine, il prete mi viene incontro e mi invita a partecipare all’abituale rinfresco di dolcini e thè che si tiene in una sala attigua. Rinuncio a malincuore all’invito, per il semplice motivo che ho molte difficoltà a comprendere e farmi capire con il mio stentato ed elementare inglese. Mi vergogno. E' inutile che lo nasconda, perché prevedo, nel caso accettassi, una figuraccia nella conversazione. Sapete, gli inglesi sono esigenti quando conversano ed io ho paura di non poter reggere la sollecitazione psicologica. Per loro è normale che tutto il mondo conosca la bella lingua di William Shakespeare e non ammettono possibile che esistano turisti, italiani compresi, che invece siano degli sprovveduti sul piano linguistico, come me. D’altronde, è difficile, molto difficile che siano loro a conoscere l’italiano. Pertanto, a malincuore, sono costretto a declinare il generoso invito. Lo ringrazio dell’accoglienza, lo saluto e via nella Ludgate Hill, prima che il prete cambi idea e mi imponga di rimanere. Mi aspetta un vero museo, anzi il Museo per eccellenza: il British Museum. Da St. Paul a Tottenham Court sono appena tre fermate della Tube, linea rossa. Qui il British Museum è a un tiro di schioppo. Nel panorama artistico e museale mondiale dire di essere stati al British Museum è come per un automobilista dire di avere la patente di formula uno. Mi attendono alcune opere d'arte che è una vita che le desidero vedere. La Stele di Rosetta è una di queste. Le sculture del Partenone a seguire. Naturalmente sarà impossibile vedere tutto. Ma non mi preoccupo: l'importante è vedere ciò che si può, senza esagerare. Essere in questo grandioso museo è già molto. Non farò alcun noioso resoconto della visita al museo britannico per eccellenza. Ho visto poco, veramente poco per una visita veloce. Non me la sono sentita di rimanere sei ore. Dico solo che è un Museo con la M maiuscola che si vede subito dall'entrata: otto grandiose colonne principali e poi il resto. Esco sulla Russell Street. Casualmente osservo una vetrina di un negozio che vende profumi e prodotti di bellezza. Nella vetrina in bella mostra vedo l'intera serie di prodotti per la barba della toscana Proraso. Rimango di stucco, non perchè ci sono prodotti italiani ma perchè per la prima volta vedo un negozio (all'estero!) che presenta l'intera collezione di prodotti che in Italia non avevo mai visto. Schiuma da barba di colore verde e bianco, dopo barba in crema e liquida, pennelli per la barba, tubetti per i tagli della rasatura, ecc.. Cose mai viste. E visto che si sono mi trovo in una strada che ha lo stesso nome del liceo nel quale insegno: Sir Bertrand Russell, ovvero il grande filosofo e logico inglese. Più a casa di così non potrei mai essere. Anche perchè domani so ritorna a Roma.

Settimo e ultimo giorno. E' il giorno della partenza. O meglio, del ritorno a Roma. Fin dalle prime ore del mattino non sono lo stesso di prima e mi muovo come un automa. Sono triste. Non vorrei lasciare questo posto. La partenza è arrivata, quasi all'improvviso senza che io potessi farci nulla. "Partire è come morire" dice un vecchio adagio. Adattato al mio caso diventa "ritornare è come morire". Ma è la vita. Vi risparmio il resto della giornata.

Postfazione. E "ritornai a riveder la grigia normalità romana". Mai parole furono così vere e rivelatrici di stato d’animo pieno di tristezza. Desidero parlare adesso onestamente del dopo-Londra, cioè di quella diffusa sensazione che si insedia all’interno del cuore di tutti coloro che al ritorno di un viaggio piacevole e gradito nel nord Europa sono consapevoli di avere visto e contemporaneamente consapevoli di avere perduto qualcosa di interessante nella loro vita. Non si sa che cosa, ma si percepisce diversamente da prima che non si possiede ciò che si è imparato ad apprezzare laggiù. In relazione a questa percezione in negativo, che potrei chiamare assenza di “inglesità” nella società italiana, mi sento di dire con convinzione che la breve esperienza turistica del viaggio a Londra è stata per me altamente formativa. Confesso che accanto alla soddisfazione di avere realizzato un desiderio nascosto da molto tempo coesiste il senso di avere visto qualcosa di cui prima ignoravo l’esistenza: l’english life. Più di una volta mi sono chiesto in questi giorni come sia potuto succedere che io, per tanti anni, sia rimasto in Italia e non abbia mai pensato di effettuare un viaggio a Londra. Solo adesso comprendo che ho perduto molto. Pazienza. Vuol dire che il destino mi aveva imposto di effettuare con molto ritardo questa lucida esperienza di modo di vivere inglese, in grado di fornirmi un quadro di vita che fornisce consapevolezza di una perdita. Quante cose mi vengono in mente pensando alla Londra che ho lasciato. Intanto l'incredibile numero di autobus rossi a due piani per le strade del centro e la conseguente mancanza di confusione nel traffico. Un fatto quasi inspiegabile. Mi chiedo come sia possibile conciliare questi due aspetti, apparentemente contraddittori ma a mio parere strettamente interdipendenti. Da una parte tanti mezzi pubblici per le strade e dall'altra la più assoluta fluidità del traffico. Posso affermare che nell’anno del Giubileo del 2000 a Londra non esiste stress da trasporti. In altre parole si può viaggiare da una parte all'altra della città e dalla mattina alla sera senza stancarsi, rimanendo per giunta sempre seduti sui mezzi di trasporto! Come sia possibile ciò l'ho capito successivamente dalla somma di un concorso di cause ed effetti. Intanto un autobus che è pieno di passeggeri non accetta più altra gente e tutti rimangono comodamente seduti. In pratica si è trovata, in maniera semplice e banale, la possibilità di viaggiare in molti e mai in piedi! E poi l'incredibile numero di autobus permette di distribuire agevolmente i viaggiatori con continuità nell'intera giornata. Questo perché il traffico è controllato mediante telecamere poste negli angoli più strategici della città in funzione 24 ore su 24 e quando la domanda di mezzi aumenta la London Trasport immette via via nuovi autobus nelle strade. Eccellente organizzazione! Chissà cosa potrebbe pensare a questo proposito il Sindaco di Roma se mai fosse in grado di pensare qualcosa a proposito di organizzazione dei trasporti urbani della città di Roma. E poi, l'incredibile gentilezza degli indigeni. Con un semplice «Good morning, is it possible...» (oppure «is il posto cercato near here?») si ottengono tutte le informazioni possibili e immaginabili. In pochi giorni sono stato in grado di smentire la famosa leggenda metropolitana relativa al fatto che mai e poi mai un inglese avrebbe risposto alle domande di uno straniero se questi non avesse mostrato correttezza grammaticale, sintattica e perfetta pronuncia della frase rivoltagli per chiedere aiuto. Nulla di più falso. Pensate che una sera sono stato in un luogo in cui avevo difficoltà ad orientarmi. Mentre osservavo la piantina di Londra senza che io avessi chiesto aiuto si è avvicinato un signore che mi ha detto: «Can I help you?» e mi ha indicato sulla piantina e poi a gesti dove mi trovassi e quale strada avrei dovuto seguire. Un'altra volta, di mattina, mi si è svitata la piccola vite di una delle due asticciole dei miei occhiali da vista, facendoli cadere per terra. Panico. Mi sono detto: e adesso come farò con gli occhiali fuori uso? Ancora una volta ho potuto ammirare concretamente la gentilezza e l'efficienza inglese. Nel giro di pochi minuti un passante mi ha suggerito l'indirizzo di un negozio di ottica vicino alla strada dove mi trovavo. Nel negozio l’operatrice, una gentile signora inglese, non solo mi ha aggiustato gli occhiali sostituendo la piccola vite perduta nella strada ma addirittura mi ha pulito le lenti gratuitamente, rifiutandosi di essere pagata. In pratica l'ottico non ha voluto un solo penny! Alle mie rimostranze, se proprio lo desideravo, la signora mi ha suggerito di mettere alcune monete nel grande barattolo di vetro delle elemosine della Croce Rossa, presente in un angolo del negozio. Straordinario paese l’Old England. E a proposito di antico desidero qui affermare la mia ammirazione per la salvaguardia dell’architettura delle case inglesi. Incredibile. Molte di esse sono ancora ben conservate fino al punto di essere ancora perfettamente funzionanti come se ci trovassimo nei secoli scorsi. Con quei colori forti e scuri di varietà di marrone, con i loro caratteristici camini e con le forme tipiche delle casette dell'Ottocento è uno spettacolo osservarle in certe zone tranquille della Londra romantica. Insomma, il paese delle meraviglie di Alice è stato a mia disposizione per quasi una settimana senza che io ne avessi intuito in precedenza l’esistenza! Poche cose mi hanno deluso a fronte di moltissime cose che mi hanno entusiasmato. Una in particolare è stata la mia più grande delusione. L'edificio del Parlamento inglese e il Big Ben mi sono sembrati di piccole proporzioni! Me li aspettavo forse incautamente come edifici mastodontici, alti, imponenti. Invece, sono alti come una semplice palazzina di tre piani e poi sono poco estese. Nulla a che fare in confronto a edifici come la reggia di Versailles o di Caserta tanto per intenderci. Al loro confronto il Tamigi sembra un tratto di mare e non un fiume. Da sfatare altresì un altro mito e cioè che non è vero che le acque del fiume londinese sono pulite. Se non sono più sporche di quelle del Tevere, poco ci manca! Altra piccola delusione è stata l’estensione della piazza di Piccadilly Circus. Anche qui si tratta di una piazza piccola e senza pretese, ancorché famosissima. Insomma, me l'aspettavo molto più grande. In ogni caso sono felicissimo e contento di questa esperienza perché sono riuscito a visitare quasi tutto ciò che mi ero prefisso di vedere di importante a Londra. E tutto quanto è stato da me realizzato senza sfruttare alcuna guida! Niente visite guidate, niente viaggi organizzati e niente gruppetti di vacanzieri preceduti da una hostess con la bandierina. Mi sono mosso e sono andato alle visite sempre con le mie sole forze, viaggiando in perfetta solitudine (anche a costo di camminare molto), e visitando i luoghi con spirito di autentica sorpresa. Ho fatto visita ai più importanti negozi di Londra: da Selfridge ad Harrods, da Mark & Spencer a Liberty. Non ho comprato quasi nulla perché la mia era fame di vedere icone del turismo londinese che hanno riempito i miei occhi di oggetti della tradizione britannica.

Un solo strappo alla regola riguarda il famoso modellino rosso del bus a due piani che qui presento nella versione della London Trasport Sightseeing. Ho comperato dei regali (un paio di jeans in Carnaby Street) in posti incantevoli. Ho passeggiato nella City, ho visto il Tower Bridge e la Tower of London. Ho goduto della vista di Trafalgar Square e ho gustato dei gelati abbastanza buoni. Sono salito sulla cupola di S. Paul Cathedral ed ho visitato persino due stazioni ferroviarie. Un altro fatto importante che desidero ricordare è che la mattina che ho visitato il British Museum, cioè domenica scorsa, sono entrato in una chiesa anglicana londinese per ascoltare la messa. Non c'erano molte persone, diciamo non più di una decina di fedeli al massimo. Il prete si è accorto della mia presenza e all’inizio è venuto da me chiedendomi da dove provenissi: "where are you from?". Appena ha sentito che venivo da Roma ha avuto una reazione di meraviglia e di soddisfazione, dandomi il benvenuto e salutandomi calorosamente. Durante l’omelia ha ricordato ai fedeli che alla celebrazione liturgica della messa partecipa anche un "pellegrino" proveniente da Roma e mi ha guardato con grande riguardo mettendomi in forte imbarazzo. Anzi, alla fine della celebrazione, si è fermato all'uscita e mi ha salutato con tanta simpatia chiedendomi se volessi fermarmi con lui e con il gruppo di fedeli presenti per un piccolo spuntino di metà mattina. Posso dire sinceramente cosa penso? Credo che per gli inglesi ci sia più stima e considerazione per la Roma del Vaticano che per la Roma della politica! E poi lo stupendo Hyde Park, la bellissima, pulitissima ed efficientissima Underground, l'incredibile ricchezza dell'Abbazia di Westminster, strapiena di ricordi storici, che ricordano l'incredibile potenza di Enrico VIII; poi l'imponente Buckhingam Palace con il cambio della guardia, l'elegante Regent Street, la bellissima Cambridge Circus (che nessuna pianta di Londra valorizza adeguatamente), la vecchia e piacevolissima Paddington Station, il Planetarium con i suoi incredibili effetti visivi e sonori (ho seguito un percorso tra le galassie e i pianeti), il London Aquarium con un paio di squali preoccupanti e minacciosi dietro la parete trasparente, le statue di Madame Tussaud (in cui vi erano tutte, dico tutte le statue di cera dei più grandi della storia ma solo due italiane: Galileo e Papa Woityla), il Museo del Laboratorio di Faraday del quale avrei voluto parlare ma che sono certo non interessa nessuno e tanti altri posti che mi riesce difficile ricordare. Tutto ciò è stato possibile per l'efficienza dei trasporti di Londra, altrimenti sarebbe stato irrealizzabile qualunque progetto per riuscire a raggiungere tanti posti in poco tempo. Cosa mi rimane? Una incredibile serie di sensazioni, la prima delle quali è di rabbia nei confronti di tutto ciò che la politica italiana non ha mai fatto e non fa per migliorare l’immagine dell’Italia all’estero. Possibile che le stesse cose non si possono avere qui in Italia? Non ci credo. Paradossalmente la presenza italiana qui a Londra come in altre città dell’Europa è quasi nulla. La sola visibilità riguarda al solito e quasi esclusivamente il considerevole numero di locali in cui si serve la pizza e la pasta. Presenza casuale, episodica, legata alla cucina e dovuta all'imprenditorialità di qualche isolato lavoratore autonomo, spesso non italiano, e poi basta. Il paradosso è poi che alcuni locali con logo italiano in realtà sono gestiti da operatori asiatici! A Londra ho visto una incredibile quantità di immigrati asiatici (indiani principalmente) ma anche molte persone di colore, arabi e giapponesi perfettamente integrati nel modo di vivere inglese. Svolgono tutte le principali mansioni non intellettuali: controllori e autisti di bus, operatori ecologici, guardiani dei musei, delle banche e dei grandi magazzini, fruttivendoli, tabaccai, gestori di piccoli negozietti di profumeria, ecc.. tutti impegnati nel lavoro che svolgono peraltro con correttezza e impegno. Si pensi che su un autobus il controllore ha chiesto più di una volta a tutti i viaggiatori di vedere il biglietto, scusandosi e ringraziando. Era diventato ansioso per l'impegno che dimostrava nel suo lavoro. E ogni volta che chiedeva il biglietto non mancava mai di scusarsi e di ringraziare. Avete mai visto una simile scena a Roma? Mai. Tra l’altro tutta questa gente, con i dovuti distinguo, erano felici di lavorare e contenti del loro status. Se questo non è allegro compiacimento ditemi voi che cosa sono la gratificazione e la felicità? Appuntamento al prossimo viaggio. Arrivederci a Parigi.

Elenco dei report di viaggio delle capitali europee già pubblicati.

INTRODUZIONE ALLA SEZIONE VIAGGI
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BIBLIOGRAFIA LETTERATURA DI VIAGGIO

Manuali e guide di viaggio adoperate.










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