mercoledì 28 dicembre 2005

Un altro mito del made in Italy che si scioglie come neve al sole.

Nonostante le ricorrenti crisi economiche, politiche e morali, abbiamo sempre avuto la netta percezione che l'Italia avrebbe avuto mille risorse per rinascere. Il made in Italy è stato uno di questi miti, di questi atout in mano da spendere nei momenti difficili. Ebbene, anche questo ultimo mito se ne è andato, e non esiste più. Ci riferiamo al vino italiano. Da sempre, a cominciare dagli studi classici, abbiamo sempre considerato la nostra industria enologica come una risorsa illimitata. Ovunque si va in Italia esistono cantine, cooperative, produttori indipendenti più o meno importanti. Non esiste paese, comune, villaggio che non abbia il suo vino, la sua specificità vinicola. Cabernet, Inferno, Amarone, Barbera, Chianti, ecc.., sono sempre stati considerati miti incancellabili dall'immaginario collettivo. Abbiamo sempre considerato la Francia come l'unico paese a cui riconoscere i nostri stessi successi e diritti. Denominazione di origine controllata e Appellation d'Origine Controlée. Basta. Nient?altro. Al di fuori dell'Italia e della Francia, il nulla enologico. Ebbene, adesso le cose sono cambiate profondamente. In questi giorni abbiamo voluto comprare alcune bottiglie di vino, da noi considerate esotiche, provenienti da paesi che mai avremmo considerato all'altezza di produrre vini decenti. Abbiamo comprato due vini rossi cileni, due cabernet sauvignon, Tarapacà e Santa Digna di 13,5 gradi, un vino rosso australiano Shiraz, Sunnycliff di 14,5 gradi, un altro rosso sud-africano di 14 gradi e un bianco neozelandese di 13,5 gradi. Li abbiamo comprati più per curiosità che per altro. Li abbiamo assaggiati con diffidenza, convinti di avere davanti dell'acqua colorata. Invece siamo rimasti letteralmente senza parole. Ottimi. Eccellenti. Pieni, rotondi, corposi e che corpo! Dai colori e dai sapori forti. Insomma una sorpresa. Siamo rimasti di sasso. Ci sono chiesti quante volte siamo stati preso in giro dai vari produttori italiani, Veneti, Lombardi, Siciliani, Laziali, Toscani e via dicendo. Vini italiani senza personalità, con aggiunta di zuccheri e solfiti vari, che più di una volta ci hanno rovinato il pranzo, che al confronto con quelli summenzionati sono completamente perdenti. La nostra stizza è stata enorme. La nostra delusione ancora di più. Siamo fritti se anche nell'enologia gli stranieri ci hanno superato. Vuol dire che siamo conciati proprio male. Ahi. Povera Italia.

martedì 27 dicembre 2005

Dibattito sull'amnistia: un dibattito sterile e sgradevole.

Abbiamo ascoltato con attenzione il dibattito alla Camera dei Deputati sul tema caldo, caldissimo della amnistia. E' stato difficile riuscire a controllarsi durante gli interventi dei parlamentari. Ne abbiamo sentito di tutti i colori ed abbiamo preso atto che in Parlamento vi sono posizioni talmente separate che ci siamo meravigliati come sia possibile che persone consapevoli di svolgere un compito così difficile, come quello svolto da coloro che legiferano, possano dare giudizi diametralmente opposti su un unico fatto. Non si finisce mai di stupirsi per le contraddittorietà che emergono nei dibattiti politici. Molto brevemente diremo la nostra sulle conseguenze di questa discussione. Tuttavia, la prudenza è d'obbligo. La cautela è di per sé necessaria in tutti quei casi in cui si parla di libertà, ma in questi casi essere circospetti è ancora più importante. Naturalmente non mancheremo di usare la chiarezza che è altrettanto necessaria in relazione allo stesso tema.

Cominciamo col dire che siamo sensibili al problema della pena e della mancanza di libertà dei condannati al carcere. Senza ombra di dubbio guardiamo ai carcerati come a persone che hanno sbagliato nella vita e per questo si trovano in un luogo non solo di espiazione ma, soprattutto, di rieducazione. Questi principi sono importanti e non bisogna mai perderli di vista. Dunque, siamo sensibili alle questione che giustificano una amnistia. Dal punto di vista teorico siamo d'accordo che, in condizioni straordinarie, un Parlamento può prevedere un intervento di clemenza e offrire ai detenuti una possibilità in più per usufruire della libertà. La Costituzione lo prevede, e il Diritto lo riconosce. Dunque, non siamo prevenuti sull'istituto della clemenza. Il fatto è un altro. Il fatto riguarda la modalità della comunicazione delle idee dei parlamentari che parlano a favore o contro. La dialettica democratica prevede il confronto delle idee e pertanto è uno straordinario esercizio della libertà di pensiero ascoltare interventi contrapposti. Ma da qui ad arrivare ai certi discorsi presentati da alcuni parlamentari dell'estrema sinistra certamente fa venire in mente l'idea che c'è qualcosa che non va per il verso giusto. Non è possibile ascoltare interventi che peroravano la causa dell'amnistia così sfacciatamente di parte. Sembravano discorsi che avrebbero dovuto decidere le sorti di una società, della sopravvivenza o meno di una civiltà. Sembrava di essere al Parlamento inglese quando si temeva da un momento all'altro la fine della democrazia da parte del dittatore nazista Hitler durante la seconda guerra mondiale. Suvvia. Tutto sommato si sta parlando di persone che sono state giudicate da un tribunale onesto e democratico. E invece i toni, le arringhe erano quelle di altri tempi, come se in gioco ci fossero le sorti dell'intera nazione. Ecco, tutto questo è inaccettabile. Ma soprattutto è inaccettabile ascoltare interventi a senso unico, senza che nessuno di questi oratori si fosse posto almeno un solo problema del perché il provvedimento veniva avversato dagli avversari. Fa senso dover ammettere che, a parte certe considerazioni di troppo, solo il centrodestra ha argomentato concretamente con ragioni migliori di quelle del centrosinistra. Noi siamo dell'avviso che è stato un errore richiedere una sessione straordinaria di un ramo del Parlamento senza che ci fossero i numeri e l'atmosfera adeguata per pervenire a un provvedimento legislativo concreto. Ma, soprattutto, è stato un errore per le forze politiche di sinistra ammettere che ancora una volta si risponde alla sfida politica del centrodestra non con le armi della ragione e della consapevolezza ma con quelle identiche degli slogan e dei discorsi elettorali del berlusconismo più sfrenato. Prevediamo una sconfitta non di uno dei due contendenti lo schieramento politico di maggioranza o di opposizione ma della stessa cultura della ragione. Che è stata l'unica in questa vicenda a perdere. Un?occasione mancata per ristabilire il primato della ragionevolezza. Che pessimi attori su un palcoscenico di un teatrino di periferia.

lunedì 26 dicembre 2005

Amnistia: buonsenso o malafede?

"Roma, la marcia per l'amnistia". "Le carceri stanno scoppiando". Questi sono approssimativamente i titoli dei giornali che in questi giorni stanno sponsorizzando la marcia per l’amnistia. Molti, troppi uomini politici e non, stanno facendo pressioni sull'opinione pubblica, al limite dell’insopportabile, affinché i due terzi del Parlamento votino l’amnistia per i carcerati. Questi i fatti. E passiamo alle opinioni. Non ci meraviglia che in Italia ci sia molta, troppa gente che cerca di aiutare coloro che si sono macchiati di reati gravi. Questo è uno strano paese, in cui la vita sociale è quasi completamente avvolta da un perdonismo, da una indulgenza e da un buonismo di una trasversalità politico-religiosa che a dire mirabolante è poco. Su tutto gli italiani si dividono. Su una sola cosa si trovano d’accordo: nel solidarizzare con coloro che non meritano. Sono migliaia gli esempi che si possono fare. Ma a noi non interessano tanto i nominativi di coloro che a tutti i costi vogliono fare uscire di galera i corrotti e i mascalzoni che non hanno ancora espiato la pena. A noi interessano le cause di un simile atteggiamento e, soprattutto, interessa conoscere “il perché” si riesce a creare una solidarietà intorno ai mascalzoni e invece si ghettizzano gli onesti che con la loro onestà e laboriosità tirano "la carretta" del paese. E’ questo l’aspetto più odioso della questione. Due brevi osservazioni su questo aspetto inverosimile della faccenda.

La prima. Si dice che le motivazioni riguardino il fatto che “attualmente sono sessantamila i detenuti nel nostro paese, ovvero un record nella storia repubblicana e altre cinquantamila persone sono in misura alternativa alla detenzione, mentre altre ottantamila sono in attesa della decisione del giudice circa la possibilità di scontare la condanna in misura alterativa. Il totale ammonta a circa centonovantamila persone, che significa, nel volgere di quindici anni, una crescita esponenziale della popolazione carceraria di sei volte quella attuale” (dal “Corriere della Sera” del 24 Dicembre 2005). Dunque, siccome il male sta nell’alto numero di persone che commettono delitti, vuol dire che per risolvere il problema cancelliamo i delitti. Che strano ragionamento questo. Che bella maniera di ragionare. Invece di costruire più carceri e impartire una rieducazione completa ed efficace ai condannati si graziano i carcerati perché lo Stato non ha più “posti letto”. Tra l’altro la costruzione di nuove carceri porterebbe alla creazione di nuovi posti di lavoro e muovere una parte dell’economia che langue nel settore delle costruzioni. Ma ai nostri Robin Hood dell’amnistia questo non interessa. Una piccola osservazione. Questi numeri in realtà sono da rivedere profondamente verso l’alto. Ce lo impone la semplice riflessione che queste cifre riguardano la sola popolazione carceraria in cui i tribunali hanno emanato una sentenza. Se si ricorda che più dell’80% dei reati commessi in Italia vengono cestinati dalle forze dell’ordine per manifesta incapacità del sistema a individuare i disonesti, vuol dire che in realtà la cifra più ragionevole è di centottantamila moltiplicata per quattro, cioè settecentoventimila persone che hanno commesso delitti. Sfidiamo chiunque a criticare questi dati e sfidiamo tutti a trovare un paese al mondo in cui la delinquenza abbia raggiunto punte così incredibili. Cioè l’Italia è il paese dove c’è una larghissima fetta della popolazione che commette reati! Vedete voi se è possibile che si possa vivere in questa situazione piena di pericoli.

La seconda. Qui la questione è più complessa e di difficile analisi. Domanda. Perché in Italia e solo in Italia c’è uno schieramento così trasversale che unisce e fa proseliti pro-amnistia tra gente di tutti i colori, dalle più variegate etnie, alla politica, dalle religioni alle ideologie, e chi più ne ha più ne metta? Ci deve essere una ragione affinché si giustifichi come mai dalla estrema sinistra alla destra più estrema tutti sono d’accordo? Noi pensiamo che il paese, a causa di un periodo terribile di crisi e confusione politica, nonchè di transizione sociale, abbia allentato i vincoli morali ed abbia fatto perdere il senso e la misura valoriale della vita. Si pensa di più a fare leggi che depenalizzano, che diminuiscono le pene, che eliminano i reati e a fare sconti di pena piuttosto che aumentare la severità delle pene medesime. Il perché riguarda il fatto che così facendo diventa più facile ai politici, ai commercianti, ai professionisti e a tutto quel sottobosco di imbrogli che caratterizzano la vita pubblica e privata nazionale di evitare condanne pesanti che hanno a che vedere con le truffe ai danni degli onesti e dei più deboli. Noi pensiamo che la causa fondamentale di questa situazione sia la caduta di tutti i freni inibitori e degli scrupoli che hanno confinato l’etica e la morale in cantina e che la gente che ha successo si vergogna da morire di apparire agli occhi del pubblico come persone probe e oneste. Ecco di cosa si tratta. Ed è vergognoso che le sfere ecclesiali della Chiesa cattolica si facciano strumento di libertà di gente che a delinquere ha fatto la causa prima della sua vita. Che pena!

giovedì 22 dicembre 2005

Il vizietto di Silvio Berlusconi.

Eccolo là. Subito in azione. Il vizietto del Presidente del Consiglio non cessa di stupire gli italiani. Appena è stato possibile l'ex imprenditore Fininvest ha preso la decisione di diminuire la pena detentiva contro coloro che commettono reati per falso in bilancio. Neanche due giorni dopo le dimissioni dell’ex Governatore della Banca d’Italia, quell’Antonio Fazio, studioso di Sant’Agostino, che ha cercato di aiutare i cosiddetti furbetti del quartierino, che Silvio Berlusconi ha diminuito le pene detentive nei confronti di coloro che commettono il reato di falso in bilancio. Come solidarietà alla casta degli intoccabili imprenditori non c'è male. Si tratta di una diminuzione della pena fortissima, circa tre volte inferiore a quella attualmente prevista dal codice penale. Dalla proposta di un minimo di tre anni e un massimo di sei anni ha deciso di accorciare la pena da un minimo di sei mesi a un massimo di tre anni. Capito cosa ha fatto il Bel Cavaliere? Ha aiutato tutti i potenziali furbetti del quartierino ad avere sconti più che convenienti a chi imbroglia. E si sa che chi ha l'abitudine a imbrogliare i conti delle società difficilmente perde il vizio. E poi Berlusconi si lamenta che la gente non lo capisce. Te capì il mio bel lavuratur?

domenica 18 dicembre 2005

Identità e valori: verità o provocazione?

Alla radio, questa mattina, abbiamo ascoltato il Presidente del Senato Marcello Pera che ha presentato il suo punto di vista sulla questione relativa al rapporto tra cultura, politica ed etica agli inizi del terzo millennio. In realtà il tema toccava alcuni aspetti della crisi odierna della società contemporanea alla luce del terrorismo di matrice islamica, che molto riduttivamente potrebbe essere sintetizzato dal seguente titolo: “Il multiculturalismo è sbagliato''. A noi l’intervento, pacato e riflessivo, ci è piaciuto. Tra le tante cose, Marcello Pera ha detto che “insieme al nazionalismo, il multiculturalismo ha provocato incomunicabilità e conflitti, e i fondamentalisti vogliono abbattere la nostra civiltà'' . Ultima nota degna di essere ricordata, la questione che “l'Europa ha risposto al fenomeno dell'immigrazione con due modelli sbagliati: il multiculturalismo e il modello nazionalista e giacobino”. Certo alcune piccole provocazioni il Presidente del Senato avrebbe potuto risparmiarcele, soprattutto laddove ha inserito il ruolo della Chiesa cattolica e il rapporto con la religione nel cosiddetto sociale. Ma nel complesso ci è sembrato un intervento indovinato, propositivo sul quale ci piacerebbe ascoltare il punto di vista opposto per ragionare un po’. Ma veniamo al tema in esame. Il Presidente del Senato è stato chiaro, semplice e profondo. Ci sembrano questi i tratti più caratteristici della sua analisi. Ha presentato il suo punto di vista come era giusto che venisse presentato: parlando di fatti, di contenuti e di idee che non ammettono ambiguità, che impongono una risposta del tipo sono d’accordo, oppure non sono d’accordo. Ci piacerebbe tanto trovare un interlocutore del centrosinistra, avversario politico di Marcello Pera che è di centrodestra, che proponesse l’altra tesi, in modo altrettanto chiara e semplice. Pensiamo che, al di là degli schieramenti e delle ideologie, il panorama politico ne trarrebbe giovamento. Cosa ha detto di così degno di attenzione il Presidente del Senato? Poche ma importanti cose.
Primo. La nostra identità è giudaico-cristiana. Dunque, la domanda che ci si pone è :«la nostra identità è giudaico-cristiana, si o no»? Secondo. E se è giudaico-cristiana è anche universale, si o no? Terzo. E in tal caso, riconosce o no, il fatto che la dignità dell’uomo deve venire prima della legge degli Stati e quindi valere per tutti, si o no? Quarto. Questa identità dà ospitalità a tutti, cristiani, musulmani, ebrei e mistici orientali, si o no? Quinto. E se si, mette gli stessi principi e valori a disposizione di tutti senza discriminazioni, si o no? Ecco il che cosa del filosofo Presidente del Senato. Ci piacerebbe sapere come potrebbe venire sviluppata la tesi opposta, che è quella che viene chiamata del multi-inter-culturalismo. Questa tesi dovrebbe dire l’opposto della precedente. Dovrebbe cioè dire che la nostra identità di europei non è giudaico-cristiana ma …. Cosa dovrebbe essere detto al posto dei puntini di sospensione? Forse che non ne abbiamo una? O forse che si tratta di una identità differente da quella che proviene dal cristianesimo e dall’ebraismo? E se si, quale di grazia? E se fosse così, cioè se fosse dichiarato che la nostra identità di europei e occidentali, non è quella che ha fatto seguito al pensiero di derivazione greco-franco-anglo-tedesco, che non si richiama ai valori della rivoluzione scientifica effettuata dalla scienza moderna e dalla filosofia occidentale, questa identità incognita che caratteri ha? Forse ha i caratteri dell’identità islamico-musulmana o orientale-buddista, oppure ha i caratteri neutri dell’universalità trans-razziale-religiosa? Ma ammettiamo per un istante che la nostra identità non fosse ebraico-cristiana. Questo vorrebbe dire che o non esistono identità o che ne esiste un’altra in sua sostituzione. Nel primo caso allora qualunque segno religioso, culturale non avrebbe senso. Il che è una sciocchezza bella e buona perché tutti i popoli della terra fanno a gara a esaltare le proprie tradizioni religiose, culturali e storiche. Dunque, non ci rimane che l’altra possibilità, che cioè la nostra identità c’è e riguarda l’intero genere umano. Tutti siamo uguali, come in una comune di mormoni, e nulla ci divide. Non ci dividono le idee e i valori sulla democrazia perché secondo questa tesi tutto il mondo sarebbe democratico e accettabile così come esso appare ai nostri giorni. Dunque, secondo questa tesi, in Arabia Saudita o in Iran ci sarebbe democrazia, vero? I terroristi e il fondamentalismo islamico, i dittatori, le suore missionarie della Carità di Suor Teresa di Calcutta, tutti sarebbero uguali, posti sullo stesso piano, vero? Noi non siamo di questo avviso. A nostro parere c’è differenza, e come! Tra le tante visioni che emergono dall’intero pianeta alcune sono sbagliatissime e dannose. Quella del multiculturalismo è una grossa baggianata. Andreste a prendere un caffè al bar con Osama Bin Laden visto che tutti siamo uguali? Noi no!

martedì 6 dicembre 2005

Prima ipocrisia del centrosinistra in azione.

Il Ministro degli Interni Pisanu ha dato l’ordine alla polizia di far sgombrare l’occupazione illegale della gente che presidiava i cantieri dell’Alta Velocità in Val Susa. Questi i fatti. Passiamo alle opinioni. Primo. Pisanu. Il Ministro dell’Interno ha fatto il proprio dovere, con alto senso di responsabilità. Secondo. La sinistra. Come al solito, quando si verificano proteste di piazza l'opposizione di sinistra non cambia mai. Cavalca il massimalismo. Terzo. Verdi italiani contro Verdi francesi, sembra una sfida tra colori, tra il blu e il verde dei rispettivi tricolori. Quarto. Incredibile quello che sta succedendo. Sulle ragioni della sfida della popolazione della valle contro i propri interessi diciamo solo che sono il frutto di un senso negativo di localismo esasperato. Gli stessi Verdi francesi sono contrari. Insomma non c’è nessuno che li difende. Dunque? Quinto. Il Presidente della Repubblica Ciampi è contrario a questa azione di forza autolesionista dei valligiani. Sesto. Possibile che le "alte sfere" politiche del centrosinistra non si rendano conto che il vero pericolo sono gli anarcoinsurrezionalisti, cioè quei mascalzoni che organizzano campagne esplosive, che sono disposti a tutto pur di far male al paese? Diciamo che cominciamo male. Lo stesso Prodi ha iniziato con molto anticipo a prendere una posizione ambigua, sintomo di perenne mediazione tra il fronte moderato e quello estremista. Insomma vediamo nero. Altro che alternativa al centrodestra. Questa è alternativa all’intelligenza. E il colore è quello dei contestatori violenti che com'è noto è il nero. Altro che.

sabato 3 dicembre 2005

La dignità e la protervia sono inconciliabili.

Cosa dire di un parlamentare della Repubblica, l’avvocato romano Cesare Previti, che definisce la sentenza dei giudici che lo condannano in appello a cinque anni di galera, una «esecuzione pianificata, come un colpo di pistola» e che la condanna «è una ingiusta e ridicola sentenza»? Ecco un fatto esemplare che accade in Italia, dove un parlamentare che si fregia di rappresentare democraticamente i suoi elettori, che è stato Ministro della Repubblica, non riconosce validità a una sentenza dello Stato. Due sole parole per affermare che questi individui non meritano di rappresentare neanche se stessi nel momento in cui non sono in grado di riconoscere il diritto a un tribunale di decidere della sua sorte. Ecco il disprezzo di un individuo nei confronti dell’autorità giudiziaria in un paese in cui se rubi una mela ti mettono subito in galera, viceversa, se giri a un giudice compiacente una tangente enorme vuoi farla franca dicendo che la magistratura non è imparziale. E che aggiungere alla dichiarazione dei suoi legali che affermano «faremo ovviamente ricorso per Cassazione, per fortuna la Corte di Cassazione è a Roma»? Forse che i giudici di cassazione sono più morbidi di quelli di Milano? A nostro parere questo è un modo di ragionare inammissibile e inaccettabile.

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