giovedì 30 settembre 2010

Il mio ventinovesimo viaggio in Europa: Belgrado.

Belgrado (27 Settembre - 29 settembre 2010)

Sono andato a Belgrado in Cpбија (Srbija), in italiano Serbia, a visitare la città nella quale si incontrano i due fiumi: il Danubio e la Sava. La ragione di questa mia visita alla vecchia capitale della Jugoslavjia, paese che adesso non esiste più, ha a che fare con il fatto che ho da poco concluso il mio progetto di visita di tutte le ventisette capitali degli Stati dell’Unione Europea. Avendo riacquistato la mia libertà di decisione nella scelta delle città europee da visitare al di fuori dell’UE, mi è sembrato logico scegliere Beograd per una serie di fattori storico-politici di grande interesse. Belgrado, nell’immaginario politico e geografico di chi ha vissuto gli ultimi cinquant’anni di vita europea, rappresenta una delle più importanti e significative città d’Europa, per essere stata per decenni al centro dell’interesse politico mondiale perché capitale dei cosiddetti Paesi non-allineati. Pertanto, molto semplicemente, ho deciso di fare una breve visita alla città che fu la capitale del paese di Josep Broz Tito. Avverto l’esigenza di fare subito una premessa alla quale tengo molto, non solo come innamorato di tutti i popoli europei, nessuno escluso, ma soprattutto come cittadino europeo che crede profondamente nell’unificazione degli Stati europei in un processo che vada al di là dell'UE stessa. Mi riferisco all’ idea ingiusta di pensare ai Balcani e ai popoli che vi abitano come a un’idea minore di Europa in contrapposizione all’idea maggiore dell’altra Europa, quella cosiddetta occidentale e capitalista, che le è superiore. Non sono d’accordo. A parte il fatto che l’Europa è bella e sorprendente proprio perché è varia e riccamente sfumata in mille aspetti differenti della società ma tutti riconducibile a un’unica matrice culturale, l’idea di una immagine stereotipata sud orientale, chiamata Balcani, ottomana, arretrata, indolente e frammentata in tante forme fra loro contrapposte non è accettabile. Spero che anche che con i miei diari di viaggio effettuati adesso nei paesi balcanici lo dimostrino. La Serbia da questo punto di vista è un esempio emblematico della "balcanicità" dei suoi tratti geografici e culturali. A maggior ragione saranno balcanici gli altri paesi meno influenti della Serbia ma comunque sempre caratteristici della loro posizione strategica nella parte sud orientale dell'Europa. l ventinovesimo viaggio ormai non più della sola Unione Europea ma di tutta l'Europa, pertanto, mi ha portato dal 27 al 29 settembre 2010 a Beograd, anzi Београд, visto che in Serbia la lingua ufficiale prevede l'uso dell'alfabeto cirillico lo stesso di quello della Russia. Riporto qui di seguito qualche riflessione personale su questa ventinovesima e piacevole vacanza, allo scopo di lasciare testimonianza di quanto i viaggi possano arricchire chiunque li effettua e, perchè no, anche chi ne legge i resoconti.
Primo giorno. Iniziamo dalla partenza. Sono le 8.03 quando a Roma Ostiense prendo il treno per Fiumicino Aeroporto. Nell’attesa del treno, sulla banchina del binario 12, osservo il movimento di treni e di persone davanti a me e penso a tutti i miei viaggi che hanno avuto origine da questa banchina, così ben nota alla mia mente e ormai gradevole nei miei ricordi di belle giornate trascorse nell'attesa di volare e viaggiare per città e luoghi del nostro Continente. Sul treno c’è il solito movimento di viaggiatori che vanno all’aeroporto ma anche di studenti e lavoratori che vanno a lavorare. Ore 8.35, arrivo alla stazione dell’aeroporto di Fiumicino. Scendo dal treno e imbocco il tunnel per andare al Terminal T3. Adesso si chiama così, mentre negli anni precedenti si chiamava Terminal B. Al gate C3 mi aspetta un aereo della Jat Airways, lo JU 405, delle 10.35 per Beograd. Il biglietto è un biglietto elettronico che ho prenotato in internet col codice 2MPPJ4 al prezzo di 195 € andata e ritorno. Rapide formalità al check-in e alle 10.20 sono seduto comodamente sull’aereo vicino al finestrino, al posto 16F, con il telefonino spento e un quotidiano in mano.Vicino a me il posto rimane libero per l’intero tragitto; l’altro posto accanto è occupato da un signore che per l’intero volo non ha detto una sola parola. Siamo in anticipo sui tempi di partenza, il che per Fiumicino è una novità assoluta. Ma ho fatto i “conti senza l’oste” perché quando la torre di controllo dà il via libera per muoverci dalla piazzola di sosta, l’aereo trova davanti a sé ben 18 altri aeromobili che lo precedono in fila sulla pista. Il comandante si scusa e noi rimaniamo praticamente fermi per circa 45 minuti sulla pista, muovendoci a passo d'uomo, in attesa del nostro turno. Da questo punto di vista i tempi di percorrenza si sono dilatati a dismisura in modo insensato, trasformando un piacevole e breve percorso in un antipatico e lungo itinerario temporale che ha indispettito tutti i viaggiatori. Alle 12.30, con appena un quarto d’ora di ritardo, l’aereo della Jat atterra sulla pista dell’aeroporto “Nicola Tesla” di Beograd. Siamo in ritardo sulla tabella di marcia. In pochi minuti con il mio bagaglio a mano, un vecchio trolley blu col quale ho visitato tante capitali europee, sono al posto di controllo della polizia serba, in fila tra decine di giovani atleti svedesi in tuta giallo-blu, per ricevere il visto d’entrata da certificare con un timbro sul mio passaporto. L’aerodrom, come si chiama qui l’aeroporto, è piccolo e in pochi minuti mi trovo all'uscita nella sala arrivi, osservato in modo alquanto interessato da alcuni tassisti, più o meno regolari, che mi rivolgono in un primo tempo sguardi di attenzione e, successivamente, proposte non certo sussurrate all'orecchio per fornirmi un taxi. La loro sfrontatezza mi irrita e così senza degnarli di uno sguardo esco sul piazzale dell’aeroporto per vedere di individuare lo shuttle pubblicizzato sulla mia guida di viaggio che dovrebbe, uso il condizionale, per una tariffa di 8.00 euro trasportarmi in una delle tre fermate previste a Belgrado città. Ma di uno shuttle in grado di farmi evitare le facce toste dei tassisti belgradesi nemmeno l’ombra. Decido di rientrare nella sala arrivi e prendermela più comodamente. Sia chiaro, non ho alcuna intenzione di farmi spennare da un tassista serbo. Nella mia vita di viaggiatore e di frequentatore di aeroporti, di tassisti ne ho visto di tutti i colori e a tutte le latitudini (e longitudini). Finora pochissimi sono stati i taxi che ho preso e nessun tassista mi ha mai spillato più del dovuto. Non voglio iniziare oggi a fare il turista americano gonzo e sorridente. Dunque, per prima cosa ho necessità di cambiare dei soldi in valuta locale. Mi serviranno per pagare il mezzo di trasporto (qualunque esso sarà) e i primi momenti di vita a Belgrado città. Il cambio delle valute, fino al giorno prima pubblicizzato sul sito web dalla Banca d’Italia, è di 1 € = 105,60 dinari. Mi aspetto di trovare un cambiavalute con valori da strozzinaggio e invece trovo una banca onesta, l’Alpha Bank, succursale Aerodrom Nikola Tesla, che alle 13,15 circa mi cambia 100 euro con ben 10464,94 RDS. Si tratta di un buon cambio e, tutto contento, esco dall’ufficio. In questi casi è meglio fidarsi delle banche che dei cambiavalute locali. Con in tasca più di 10 mila dinari in moneta serba attraverso la sala e vengo inevitabilmente fermato dall’ennesimo tassista, molto probabilmente abusivo, che mi propone di portarmi a Beograd per 50 euro. Si, ha detto proprio “fifty thousand” euro! Rifiuto la proposta in modo sdegnato e lo stesso atteggiamento lo mostro nei confronti di un altro "abusivo" che mi chiede un po’ meno, ma sempre un valore spropositato, cioè 30 euro. Esco di nuovo nel piazzale dell’aerostazione percorrendo il tratto di salita che porta al marciapiedi della sala partenze dell’aeroporto. Continuo a non vedere nessuno shuttle in vista e a un giovane che passa vicino a me chiedo in inglese dove si trova la fermata dello shuttle. Mi risponde che all’entrata della sala partenze c’è la fermata del bus.In effetti, anche se da lontano, vedo benissimo la fermata, ma è una fermata degli autobus, in particolare del bus n.72 (nella foto a sinistra), non dello shuttle. Ricordando che nel sito web della società dei trasporti belgradese GSP questo autobus è l’unico che collega l’aeroporto con il centro città, facendo capolinea nella centralissima piazza del mercato di Zeleni Venac, e ricordando le facce antipatiche dei tassisti, non ci sto su a pensare due volte e salgo sul bus pagando al conducente 100 dinari per il biglietto. In pratica con meno di 1 euro ho risolto il problema del collegamento con la città. E quel tassista ha avuto la faccia tosta di chiedermi un prezzo equivalente a cinquanta volte quello che ho pagato io. Per giunta, vengo a sapere che se avessi comprato il biglietto prima di salire sull’autobus il prezzo sarebbe stato ancora di meno, cioè 62 dinari (questa volta ottanta volte di meno), valido per la zona 1 e 2 mentre per la sola zona 1 o solo la zona 2 il prezzo è addirittura 42 dinari: come dire 40 centesimi di euro! Ecco cosa significa sul piano della praticità e della concretezza del risparmio essere informati sui mezzi di trasporto quando si va in un posto sconosciuto. Mi siedo vicino a un finestrino sul lato sinistro dell’autobus e osservo fuori il paesaggio. La strada all’inizio è ampia, ben asfaltata e diritta, e l’autobus la percorre a velocità sostenuta. Poi cambia e diventa più stretta, con frequenti curve, sintomo che ci troviamo a percorrere delle strade meno importanti, di periferia. Lo dimostra il fatto che ai bordi della strada ci sono molte discariche di immondizia a cielo aperto, situate tra case successive poste ai bordi della strada. Il paesaggio mostra una desolante povertà i cui simboli sono evidenziati dalla trascuratezza del paesaggio, dal fondo stradale sconnesso, dallo stato di manutenzione delle case e dalla qualità delle stradine che immettono nella statale, che non sono asfaltate. Mentre osservo il mondo che mi circonda avverto, insieme all'ansia di un viaggio emotivamente impegnativo, una piacevole sensazione nel trovarmi in questo paese che non ho mai visitato e col quale non avrei teoricamente nulla in comune. Invece, in questi momenti, mi sento in forte sintonia con tutto ciò che vedo intorno a me. Che strano. Tutto mi risulta gradevole, nonostante il paesaggio non mostri nulla di interessante. Forse è proprio questo il segreto di questi posti: la semplicità e il valore della naturalezza delle cose. Sono contento e osservo con interesse il panorama. Dopo 30 minuti circa di viaggio entriamo nella zona nuova di Belgrado. E’ la famosa Novi Beograd di "titina" memoria. Il fiore all’occhiello dell’ex comunismo jugoslavo che mostra palazzi e grattacieli immersi in un verde curato e ostentato con orgoglio. Nel frattempo sale sul bus una pattuglia di due controllori ai quali mostro il biglietto acquistato sull’autobus. Con un cenno del capo mi fanno capire che è tutto a posto ed io ritorno ad osservare gli alti palazzi di Novi Beograd con le molte sigle pubblicitarie poste sul tetto, in attesa di attraversare il ponte sul Danubio che mi porterà a Zeleni Venac. Dopo pochi minuti, infatti, ecco il ponte, chiamato Brankov most. Ogni volta che percorro un ponte su un fiume ho una maledetta paura di precipitare ed essere inghiottito dalla corrente. E’ un pensiero ricorrente che mi viene istintivo perché ho paura di nuotare nei fiumi, soprattutto in un fiume dalla grande portata com’è il Danubio. Dal ponte Brankov imbocchiamo la Brancova Ulica e, subito dopo al capolinea, scendo. Eccellente scelta la mia di prendere il bus 72. Sono molto soddisfatto della decisione presa. In pratica mi ritrovo in tasca 50 euro in più, pardon 49 euro in più, per non avere scelto il taxi. Decido fin da adesso che farò allo stesso modo al ritorno, pagando in anticipo il biglietto di 62 dinari. Guardo l’orologio. Ormai è tardi per andare in albergo, sistemarmi in camera e poi muovermi di nuovo per il ristorante, onde mettere sotto i denti qualcosa da mangiare. Non metto nulla tra i denti dalla colazione che ho fatto alle 6.15 del mattino. Decido pertanto di invertire l’ordine. Andrò subito, con il trolley al seguito, al ristorante e poi, con comodo e a pancia piena, mi recherò in hotel.Sulla guida di Belgrado avevo sottolineato il nome di un ristorantino serbo vicino a Zeleni Venac. Con il mio piccolo trolley mi muovo verso il ristorante Mikan, in Maršala Birjuzova 14. Si tratta di un piccolo ristorante a impronta tipicamente serba, che serve piatti della cucina locale tradizionale. Ho fame e l’idea di riempire lo stomaco vuoto con qualcosa di caldo mi dà una carica ragguardevole. In fondo nella foto vedo davanti a me in leggera salita un grande tunnel illuminato percorso da un notevole flusso di auto e bus ma per i pedoni è impercorribile per la mancanza di corsie pedonali. Decido così di seguire la corrente delle persone che salgono lungo la piccola via accidentata in fondo a sinistra nella foto, piena di scalini della zona del mercato. Mi trovo così in una via grigia e cementificata in modo disordinato che per qualche verso mi ricorda certe stradine orientali asiatiche, dove a cinquanta metri di distanza vedo l'insegna del ristorante.Non credo ai miei occhi. Dopo un solo minuto mi trovo seduto a un vecchio tavolo di legno scuro in un angolo della stanza poco illuminata a ordinare il pranzo. Il menù da me scelto prevede una calda e piacevole čorba di vitello (una specie di consommé con piccoli cubetti di carne e piccoli pezzetti di vegetali) e il piatto forte del pranzo, costituito da ben dieci ćevapčići (polpettine di manzo alla griglia di forma allungata) e insalata mista con un bicchiere di birra Jevrem da 500 cl. Nel mentre aspetto la zuppa un giovane alto e magro entra nella sala e appoggia sui tavoli occupati dai pochi clienti presenti, me compreso, un libro, scritto in caratteri cirillici. Si vede che ha premura ed è nervoso. Si avvicina al mio tavolo indicandomi il libro. In un primo momento non capisco il senso. Gli dico prima in serbo ne govorim srbji e poi in inglese che non capisco il serbo e lui prontamente lo sostituisce con un altro scritto in inglese. Perbacco, vedo che l'amico è molto interessato al negozio! Guardo la copertina del libro e riconosco la foto di un capo militare serbo che mi ricorda, non vorrei sbagliare, il comandante delle milizie serbe che ha procurato una strage di civili in Bosnia. Gli dico subito che non mi interessa e gli restituisco preoccupato il libro. In questi casi è meglio farsela alla larga da questioni di politica locale: non si sa mai cosa possa succedere interessandosi di politica in questi paesi. Il giovane scappa via velocemente, guardato con complicità dal cameriere, nel mentre arriva l'ottima e gustosa zuppa che divoro a cucchiaiate, aiutato tra un morso e l’altro dall’ottimo pane serbo (tipo arabo) caldo servitomi dal cameriere, un giovanottone alto e dai movimenti lenti. Il piatto principale, che io considero come secondo, arriva subito dopo. Al quinto ćevapčić sono sazio e mentre mangio l’insalata decido di lasciare le altre cinque polpettine perché non voglio rischiare una cattiva digestione. Peccato. Il prezzo è economico. Pago solo 800 dinari, meno di otto euro. Ringrazio il cameriere, saluto con un semplice dovigenia e vado via percorrendo di nuovo un tratto della Marsala Birjuzova fino in fondo. Qui un semplice frasario di sopravvivenza serbo.
Senza che me ne accorga, svoltando sulla sinistra su per una piccola salita, mi trovo a sbucare improvvisamente nella strada principale di Belgrado, in Terazjie (sotto nella foto), a due passi da Trg Republike. Si vede bene sulla sinistra il primo grattacielo della città che è il palazzo più alto di Terrazije. Per certi aspetti questa felice novità di trovarmi improvvisamente nel centro preciso di Belgrado, vicino al mio albergo, mi ricorda una storiella, relativa al fatto che a Roma, prima che il fascismo sventrasse le case vicino a S. Pietro per costruire l'ampia via della Conciliazione, si manifestò qualcosa di simile alla sensazione che ho provato io adesso, quando l’ignaro turista che voleva visitare S. Pietro era costretto a girare per viuzze strette e vicine l’una all’altra in un dedalo di stradine. Dopodiché, all’improvviso, usciva improvvisamente nella Piazza della Basilica vedendo davanti a sé la "maestosità del cupolone" di S. Pietro, con effetti che colpivano l'immaginario collettivo. Dicevo, dunque, che da qui per arrivare al mio albergo in Kosovska Ulica 11, all’Hotel Union, ci sono meno di 200 metri. Una prospettiva molto soddisfacente per minimizzare i tempi e la fatica.Arrivo in albergo alle 15.30. L'Hotel Union è posto strategicamente nel centro città. Dopo le formalità di rito alla reception, in pochi minuti sono in camera, al 5° piano, nella stanza 509. La camera non mi piace per niente. Purtroppo non è possibile cambiarla, non solo perché le altre sono nello stesso stato ma, soprattutto, perché quella camera era la sola camera libera quando l’ho prenotata in internet pochi giorni fa. E’ una vecchia camera che avrebbe bisogno urgente di essere rimessa a nuovo. La moquette è rovinata e vecchia, oltreché poco pulita. Le ante delle finestre sono scrostate dal tempo e la vernice che le ricopre cade a pezzi appena leggermente toccata. Ci sono le doppie imposte ed è un vero problema riuscire a chiuderle entrambe ermeticamente, a causa del fatto che le maniglie di chiusura sono logore, poco pratiche e vecchie di decenni. Per non parlare dei muri della camera che hanno un colore grigio e danno la sensazione del vecchio e dello sporco.Sembra che le pareti non siano state rinfrescate da una tinteggiatura da chissà quanti decenni. Sul lato sinistro della foto della camera c'è un televisore enorme, superato, con il tubo a raggi catodici. Con il telecomando riesco a trovare un canale italiano, RAI2 che funziona a intermittenza, che mi permette di seguire il telegiornale. Ci sono tantissimi programmi televisivi, più di cento, di cui almeno la metà in lingua serba. I più gettonati sono i canali musicali che riscuotono tanto successo. Sistemo le camicie e i maglioni nel vecchio e malandato armadio appendendoli con cura. Osservo la camera con attenzione per vedere altri difetti. L’elemento più disgustoso di tutti è il bagno, piccolo, sporco e maleodorante. Insomma, una pessima sistemazione. Anzi, facendo un leggero sforzo di memoria, concludo che si tratta della peggiore sistemazione alberghiera in tutti i miei ventinove viaggi effettuati finora nelle capitali d’Europa, Istambul compresa. E' ovvio che in queste condizioni non credo che farò alcuna doccia. C'è però un punto di forza dell'albergo che è il wi-fi gratuito in camera. Vai a capire le contraddizioni degli albergatori belgradesi.Trovo questa comodità molto intelligente che mi fa dimenticare per un po' i difetti della stanza perchè mi permette di collegarmi in rete per vedere siti web in internet, leggere la posta elettronica e usare il mio palmare come telefono con Skype, per fare telefonate a prezzi veramente contenuti. Alla reception mi avevano detto che il mio username è 1234554321 mentre la password è union5. Il 5 riguarda il piano, mentre union è il nome dell'hotel. Sorridendo con ironia mi dico che la direzione ha scelto dei parametri di sicurezza notevoli. Entro nel bagno, faccio buon viso a cattiva sorte, mi lavo con circospezione nel lavandino con una mia saponetta portata da casa, facendo attenzione a non toccare nessuna superficie del lavabo e dopo pochi minuti esco in strada ad assaporare la mia prima passeggiata belgradese. I muri di fronte all’albergo non sono certo piacevoli da guardare e, tuttavia, pensando che appena una decina di anni fa Belgrado è stata bombardata ininterrottamente per 72 giorni consecutivi dalla NATO devo dare atto alle autorità cittadine che hanno fatto dei miracoli per rimettere la capitale in piedi.Mi trovo senza passaporto nel borsello perché alla reception, con olimpionica indifferenza e come se fosse una cosa normale, mi hanno detto che mi sarebbe stato consegnato il giorno della partenza. In pratica mi hanno requisito il passaporto come nel più classico romanzo di spie di John la Carrè. Ho l'impressione che in hotel non si fidano neanche di un turista tranquillo e sicuro come me. Nella foto l'albergo si trova a poche decine di metri, a sinistra nella via. Percorro un tratto della Ulica Kosovska in direzione del centro, cioè di Trg Republike che è il baricentro della città. Alla fine della Kosovska, sulla destra, c’è una banca, mentre guardando sulla sinistra vedo il tunnel di prima, questa volta dall’altra parte. In effetti non c’è alcuna possibilità di percorrerlo all’interno perché non ci sono dei passaggi riservati ai pedoni. Questo significa che per transitare da qui al mercato di Zeleni Venac è necessario rifare la stessa strada che ho fatto poco fa. Bene a sapersi per il ritorno, quando dovrò fare il percorso inverso. Svolto nella Nusiceva Ulica e per fare il giro dell'albergo imbocco la Svetogorska.In genere faccio una prima conoscenza della città percorrendo le vie intorno all'hotel per individuare i negozi che vendono bottigliette di acqua minerale. Mi serviranno durante il giorno per bere e alla sera quando rientro in hotel per dissetarmi. Qui vicino vedo un orologiaio e siccome ho il cinturino del mio orologio consumato e antiestetico entro per sostituirlo. In vetrina c'è un modello che mi piace e con poche parole serbe e qualcuna in inglese chiedo di sostituirmi il cinturino. Una parola tira l'altra e dopo un po' chiacchieriamo amabilmente, almeno nei toni non certo nei contenuti, con reciproca simpatia per l'essere io italiano e lui serbo. Alle mie dichiarazioni di interesse e di simpatia per la Serbia e per la cucina serba l'orologiaio, eccitato dall'idea di poter far parlare con me in italiano un suo amico, lo chiama e me lo presenta. Insieme conversiamo un po' e dopo una decina di minuti c'è mancato poco che non mi invitassero a casa loro in segno di amicizia.Li ringrazio entrambi e vado via contento di questo piacevole intermezzo. Mi muovo adesso verso Trg Republika che raggiungo subito. C’è tanta gente. Molte persone stazionano nella piazza mentre altre si muovono più o meno velocemente per immettersi nella pedonale Kneza Mihailova Ulica, la via dello shopping e delle boutique. Vengo colpito dai numerosi simboli architettonici tipicamente austriaci presenti nella piazza. Si vedono benissimo le cupole di alcuni importanti palazzi a forma di baldacchino austriaco. In fondo alla piazza c’è la famosa statua del Principe Mihailo a cavallo, vicino al quale agli inizi degli anni ’90 l’opposizione politica organizzò una manifestazione repressa brutalmente da Milosevic. La temperatura nell’aria pomeridiana settembrina di Belgrado è più che accettabile anche se c'è un po' di umidità nell'aria.Alcuni passanti sono con le maniche corte, beati loro, altri con abiti leggeri. Il traffico nelle strade è intenso e sento frequentemente suonare il clacson. Raramente si vedono delle strisce pedonali per attraversare le strade. In quelle più larghe sono previsti i sottopassaggi mentre nelle altre ci sono semafori che prevedono la scansione, in colore rosso, dei secondi che rimangono prima di attraversare. Ma l'intervallo di tempo è oltremodo elevato, addirittura più di settanta secondi. Faccio una passeggiata prima verso Trg Slavija, e poi in Terrazije. Percorro quest'ultima per circa mezzo chilometro immergendomi nell'atmosfera belgradese pensando a come poteva essere quella strada durante gli anni luminosi della Belgrado di Tito. Ripercorrere le sensazioni da me provate durante gli anni della Belgrado capitale dei paesi non allineati mi fa provare delle emozioni forti e un velo di malinconia mi prende nel pensare agli anni del dopo guerra.Ritorno sui miei passi e mi trasferisco nella zona di Trg Republika. Percorro a sinistra un tratto entrando nella via Kneza Mihala (nella foto a fianco). Mi fermo in un bar per bere un piccolo bicchiere di birra e dopo un po’ riprendo la mia passeggiata. Svolto in senso inverso da Terrazjie verso la Kraljia Milana e percorro un po’ di strada osservando le vetrine e la gente che si muove. Mi sposto successivamente nella Trg Nicola Pasica dove mi attardo ad osservare i palazzi. Le insegne luminose sono già accese ed io comincio ad avere di nuovo fame. E’ quasi sera e la stanchezza si fa sentire. Il consiglio migliore che posso dare a me stesso in questi casi è quello di andare a cenare in una pizzeria mangiando una semplice pizza e poi in hotel a riposare. Certo una minestrina all’acqua sarebbe da preferire, ma dove trovarla? In quale ristorante? Decido dunque di mangiare una pizza vicino al mio albergo. Ce una pizzeria in Svetovorska, che si chiama Pizza Hut. Ricordo che a Londra, dieci anni fa, mangiai in una pizzeria simile. Entro, scelgo un tavolo centrale e ordino una pizza alla serba, in pratica una pizza margherita con alcune foglie di insalata verde sopra. Nel mentre che aspetto vedo una famigliola a un tavolo vicino a me. Sono un giovane padre e una giovane madre con due bambine piccole. Le bambine, con le posate in mano, aspettano diligentemente che arrivi loro la pizza mentre il padre e la madre le intrattengono chiacchierando felicemente. Il quadretto familiare mi fa un po’ tenerezza.
Secondo giorno. L’indomani è il 28 settembre ed io ho tutta la giornata a mia disposizione per visitare i posti più importanti di Belgrado che prevedono delle passeggiate più o meno lunghe. La notte ho dormito abbastanza perché se è vero come è vero che la camera è insopportabilmente inadeguata agli standard comuni di oggi è anche vero che il materasso è piacevolmente duro, mentre il cuscino è sdrucito. La stanchezza accumulata nell'intera giornata di ieri sera ha fatto il resto. La mattina mi alzo con poco appetito. Dalla finestra della camera vedo di fronte che gli uffici sono in azione, con gli impiegati alle scrivanie che lavorano. Scendo nella sala ristorante per la colazione. Mi servono una piccola tazzina di latte con miele, due minipanini con burro e marmellata di ciliegie e un caffè che più di quanto è diluito non può essere. Mi attende una mattinata di movimento in giro per chiese e luoghi d'arte. Sono le nove del mattino del 28 settembre quando esco dall'albergo.Non fa freddo. Anzi la temperatura è decisamente mite per l'ora mattutina. L'abbigliamento è quello di sicurezza, pratico, a cipolla, che mi tiene caldo e all'occorrenza mi permette di scoprirmi. Il cielo è poco annuvolato e lascio in camera l'ombrello tascabile. Imbocco prima la Decanska e poi da Trg Republike la Vasa Čarapića che mi porta in Trg Studentska dove vedo il bel parco verde degli studenti dal nome indovinato di Pjaceta. Sono tentato di passeggiarvi un po’ ma i tempi sono terribilmente stretti e non posso attardarmi. Vedo una statua da lontano e se le informazioni presenti nella mia guida di viaggio non sono inesatte si dovrebbe trattare della statua bronzea di Petar II Petrovic Njegos, principe di Montenegro. Devo dire la verità, questi nomi non mi dicono nulla perchè fino a qualche decennio fa le città dell'Europa dell'Est, in pieno realsocialismo, erano considerate segreto militare e le notizie circa la loro topografia non sono mai circolate.Peccato, perchè Beograd è una bella e piacevole città che vale la pena di visitare. I miei pensieri vagano nella mia memoria di giovane studente universitario ai tempi in cui frequentavo l'Università. Sulla falsariga di ciò che avevo visto nei filmati del progetto PSSC dei college statunitensi che presentavano studenti impegnati a leggere sui prati dei parchi americani mi vengono in mente dei flash di me stesso in cui mi abbandonavo su una panchina a fantasticare su come sarebbe stato il mio futuro e quale lavoro avrei svolto da adulto. Pensieri in libertà, in verità un po' malinconici e velati da una tristezza esistenziale per il fluire inesorabile del tempo che fugge via senza possibilità di rallentarlo. I pensieri vagano nella mia mente mentre osservo di fronte al piacevole parco Pjaceta un bel palazzo di due colori, bianco e rosa. La mia guida mi informa che si tratta del palazzo del Capitano Miša, un ricco commerciante dal nome impronunciabile.Vedo sfilare molti filobus davanti a me mentre mi viene in mente una bella frase di Mark Twain che dice: "E' bene occuparci del futuro, perchè è lì che passeremo la vita". Ed è proprio vero. Ma intanto il tempo scorre ed io ho fretta di andare nella penisola di Kalemegdan per vedere alcune cose interessanti, non ultimo il panorama mozzafiato del Danubio dalla sommità della rocca. Mi muovo verso Kalemegdan percorrendo la Uzun Mirkova. Nell’intersezione con la Pariska entro nel parco di Kalemegdan. La prima cosa che mi colpisce è il Monumento di gratitudine ai francesi. Straordinaria scelta questa delle autorità serbe a intitolare ai francesi la statua. Il monumento fu costruito nel 1930 in segno di riconoscenza per l'aiuto fornito durante la I Guerra Mondiale alla allora Jugoslavia ed è opera dello scultore Ivan Mestrović. Anche gli USA a New York hanno la Statua della libertà. Fu loro donata dai francesi nel 1886 in segno di amicizia tra i due popoli e in commemorazione della dichiarazione d'Indipendenza di un secolo prima (1776).Che bella cosa questa dei monumenti che rappresentano popoli in amicizia. Mi sposto sul belvedere verso ovest attraversando il bellissimo parco immerso nel verde. Qui trascorro un po’ di tempo facendomi fare una foto sullo sfondo del bel Danubio. Dietro la mia testa i grattacieli di Novi Beograd e più in basso l'ansa del Danubio dove sfocia la Sava. Il panorama è bellissimo. Si vede una prospettiva completa. Sulla sinistra i due ponti che collegano la parte orientale con quella occidentale di Belgrado. C'è un magnifico sole ed è una bella mattinata di luce e di colori. Di fronte a me la Fortezza di Kalemegdan e alla mia destra si trova l'ambasciata francese e la Pariska ulica. Insomma la zona è una felice sintesi di ricordi storici all'insegna della "pariginità". Trascorro un'oretta circa a visitare la parte storica della Fortezza. Ci vorrebbero almeno due giorni per visitare tutto, con calma.Decido che è arrivata l'ora di abbandonare Kalemegdan e rientrare a sud nel traffico cittadino. Dopo aver gironzolato un po’ mi muovo verso la Kneza Mihaila perché ho deciso di andare a Piazza Slavjia facendo un percorso alternativo attraverso Zeleni Venac, dove visito in profondità il mercato. Imbocco la Kraljice Natalije e subito dopo la Kneza Milosa. Da qui mi muovo verso Piazza Slavjia percorrendo l'ultimo tratto della Kralja Milana. In Trg Slavija, all'angolo sulla destra nella piazza c'è un caffè. Mi seggo e ordino un cappuccino per ammirare il panorama della piazza. Si tratta di una piazza grande, rotonda, la cui guida deve essere molto impegnativa a causa dell'enorme flusso di traffico di auto e di bus che circola nella rotatoria. La polizia presiede la piazza. Vigili solerti impongono snervanti sensi unici, alternati da forzati momenti di stop alla circolazione, e noto che alcuni passanti polemizzano con la polizia per i lunghi tempi di attesa ai semafori. In giro ci sono molte persone che si muovono velocemente.Vicino al caffè sulla piazza c'è una bancarella che vende libri a prezzi scontati, molto frequentata da giovani di tutte le età. Guardo i titoli di alcuni libri ma sono tutti in lingua serba. Ci rinuncio. Il programma della mattinata prevede adesso di spostarmi in salita alla sommità della collina per vedere da vicino la Cattedrale di S. Sava. Ho previsto di andarci a piedi all'andata dalla Svetog Save e al ritorno da Boulevard Oslobodenja. La Cattedrale è grande e molto bella. Rappresenta una ventata di eccellente architettura balcanica e si respira una profonda spiritualità ortodossa che si può notare bene se si entra nella chiesa e la si ammira con la dovuta attenzione. Conosco molto bene l'atmosfera delle chiese ortodosse e ogni volta che entro in una di queste, per rispetto mi faccio sempre il segno della croce al contrario di quello del rito cattolico. Sono stato in molte chiese e cattedrali ortodosse: da Atene a Sofia, da Nicosia ad Helsinki, da Tallin a Bucarest, e in altri posti e sempre ho notato una forte spiritualità nei fedeli intenti a seguire riti e prassi uguali nel tempo da secoli.La cattedrale è una delle più grandi del mondo e pertanto i belgradesi giustamente ne vanno fieri. E' logico che sia così. E' intitolata al patrono della Serbia, San Saba, vescovo fondatore della Chiesa serba. Fu figlio del principe Stefano Nemanjic e quando nacque nel 1174 gli fu dato il nome Rastko. Entro nel Seminario attiguo dove scelgo alcune icone di Madonna da portare a casa per regalo e ritorno in Trg Slavija da un'altra strada che si trova sulla sinistra del grattacielo che si vede nella foto sopra. Comincia a fare caldo e io accuso un po' di stanchezza oltre che di fame. E' un'intera mattinata che giro come una trottola e forse è arrivato il momento di fare una pausa per il pranzo. La strada da percorrere è lunga così decido di prendere l'autobus che passa nella Kralja Milana. Aspetto un po' alla fermata e prendo l'autobus 21 che va a Trg Studentski. Il percorso è breve perchè si tratta di poche fermate da Trg Slavjia- Kraljia Milana - Terazjie- Kolarceva - Trg republike - Vase Carapica e subito dopo il capolinea Trg Studentski. Devo pranzare in un ristorante serbo dal nome impronunciabile per l’esagerata presenza di consonanti. Si chiama Srpska Kafana e si trova in Svetogorska.Per arrivarci prendo un autobus che mi lascia in Terrazije vicino al famoso palazzo, l'Hotel Moskva, con il tetto verde e i due pinnacoli che mi colpisce per la singolarità della costruzione. In pochi minuti sono nella Svetogorska, 25. Un gentile cameriere, al quale ho più volte detto hvala, mi aiuta nella scelta del menu che comprende: Teleca krem corba, Kuver, Sumadj jsko crveno vino, karadjordjeva snicla e ariljska pita sa slad. Alle 14.20 chiedo il conto: prezzo 1630 dinari, poco meno di 16 euro. Ottimo pranzo, ancorché di difficile digestione. Una lunga siesta pomeridiana in hotel mi permette di recuperare energie e fiato che dedico la sera a un’altra soddisfacente passeggiata per le strade del centro e lungo la Kralja Milana Ulica, con visita alla Chiesa di S. Marco, vicino al Parlamento serbo, nella piazza intitolata a Nikola Pašić, che non è distante dal mio albergo.
Terzo e ultimo giorno. Ore 8.00 mi trovo in sala ristorante per la colazione. C’è freddo. Una finestra della sala è aperta ed entrano folate di aria fredda mentre i pochi clienti dell’hotel conversano a bassa voce. La mattina è dedicata ai musei. Obiettivo dichiarato e atteso è il Museo della liberazione. Dunque vediamo un po’. Intanto il Dom Sindikata di colore grigio e tetro, in perfetto stile real-socialista e vicino al mio hotel, all’angolo con la Decanska, l’ex sede del Partito Comunista Jugoslavo, nel quale c’è il Museo della Rivoluzione che dovrebbe testimoniare la lotta di liberazione dei popoli jugoslavi contro l’occupazione nazifascista dal 1941 al 1945. Anni cruciali quelli per la svolta impressa alla storia europea della seconda guerra mondiale. Ho usato il condizionale perché ho letto da qualche parte che non è facile effettuare una visita a questo museo. Spesso è chiuso e frequentemente non è aperto al pubblico se non in orari particolari. Con una sensazione poco ottimistica mi muovo a cercare l'entrata. Il custode dello stabile mi apre ma non mi fa entrare perché, mi dice sbrigativamente, il museo è chiuso a tempo indeterminato. Pochi fondi e poca attenzione verso la storia del museo hanno probabilmente creato le circostanze della chiusura delle sale.Peccato. Avrei voluto testimoniare il mio interesse per i reperti storici, magari lasciando scritto sul libro degli ospiti il mio apprezzamento per la storia dell’ex Jugoslavjia, la quale ha rappresentato nel mondo nel dopoguerra, a mio parere, un esempio equilibrato (almeno a quel tempo) di politica internazionale e di buon vicinato con l’Italia nonostante i delicati problemi di frontiere nell’Europa divisa dai due blocchi. Onestà mi impone di osservare con angoscia il fatto doloroso che in precedenza, durante l'ultimo conflitto mondiale, l’Italia ha aggredito, in modo odioso e inaccettabile, l'ex Jugoslavjia sul piano militare. Possa il tempo far dimenticare questo ripugnante comportamento del fascismo italiano e ridare serenità alla nuova Serbjia, affinché essa entri velocemente nell'Unione Europea, che è la più logica e urgente conseguenza della sua ricca storia di cultura e tradizione europea e dell'inevitabile progetto di integrazione dei popoli europei.Ho già detto in precedenza quali sono stai i motivi che mi hanno indotto a visitare la bella città di Belgrado. In verità c'è un'altra ragione, molto personale, che finora non ho confessato e che non ho alcun motivo di nascondere. Si tratta del desiderio che ho maturato in tanti decenni di visitare la capitale della ex-Jugoslavjia perchè nel lontano 1943-1944, per quindici lunghissimi mesi, mio padre Salvatore divenne, suo malgrado, "partigiano titino" nei boschi della Bosnia all'indomani dell'8 Settembre 1943, al seguito della Brigata "Garibaldi". Ho ascoltato il racconto di quei mesi direttamente da mio padre. Con molta ritrosia me ne parlò raramente, ma sempre con tanta emozione. La mia curiosità mi spinge pertanto a visitare il paese che fu dell'ex Presidente jugoslavo Josip Broz Tito, per visitare il Museo della Liberazione e recuperare, per quanto possibile oggi, un po' di conoscenze di quel mondo che costrinse mio padre, subito dopo l'8 Settembre 1943, a unirsi ai partigiani di Tito in alternativa alla fucilazione. L'invasione fascista è da considerare un gesto di bieco disprezzo della libertà e dell'autonomia di un paese. Possa l’onda del tempo far dimenticare questo ripugnate comportamento del fascismo italiano e ridare serenità a ciò che oggi rimane della ex-Jugoslavija, e cioè alla Repubblica di Serbjia affinché essa entri velocemente nell’Unione Europea. Nel 2010 è inaccettabile immaginare che un grande paese europeo come la Serbia, ma anche la Croazia, e tutti i paesi dei Balcani, rimangano esclusi dal progetto di unificazione europea. L’integrazione dei popoli d’Europa è un dato oggettivo della storia e della politica. Mi auguro che al più presto si verifichi anche questo fatto politico. Si è fatto tardi e devo rientrare in hotel per il check out delle ore 12. Finalmente, dopo aver saldato il conto con la prosperosa direttrice dell’albergo, rientro in possesso del mio passaporto e con il mio trolley mi sposto dall’hotel verso il mercato di Zeleni Venac per prendere il bus.Alle ore 13.45 sono nella zona del mercato che aspetto il bus. Uno studente di circa 14 anni aspetta come me l'ora di partire alla fermata di Zeleni Venac, che è lo ricordo il mercato della città vecchia. Qui c’è il capolinea del bus n.72 che collega direttamente il centro città con l’aeroporto Nicola Tesla di Belgrado, nel passato conosciuto come aerodrome Surčin. Sta mangiando un panino imbottito, probabilmente di prosciutto o qualcosa di simile. Si muove nervosamente sul marciapiede, gira intorno su se stesso attento a non addentare in profondità il panino probabilmente per non farlo finire prima. Lo mangia a piccoli morsi, guardandolo attentamente mentre mastica e gustandolo in pieno, probabilmente non riuscendo a saziare la sua fame. Mi fa tenerezza e mi ricorda quando ero studente anch’io, alla sua stessa età e addentavo un panino imbottito simile riempito da una semplice fetta di coppa di maiale. Lo osservo attentamente. Gli altri in attesa non lo guardano.La riservatezza serba è una delle caratteristiche che si osserva subito guardando come si comportano le persone. In questa tre giorni belgradese ho avuto l’opportunità di osservare attentamente le caratteristiche di molti cittadini belgradesi e la conclusione alla quale sono pervenuto è che si tratta di gente riservata, seria, non curiosa e per niente indiscreta nell’osservare gli altri. Ritornando al ragazzo, noto dall’abbigliamento che non deve essere di famiglia benestante. Ha gli occhiali e un viso pulito, da bravo ragazzo. Penso a come sarà il suo futuro quando crescerà e diventerà adulto. Mi piacerebbe che si realizzasse nel migliore dei modi, con quel viso acqua e sapone che lo caratterizza in pieno. Il panino finisce e lui si allontana per buttare in un cestino l’involucro di carta nel quale era racchiuso il prezioso alimento. Ci sono altre persone che attendono l'autobus 72. Le fermate previste sono una sintesi di parole tipicamente serbe. Da Zeleni Venac a Jug Bogdanova a Pop Lukina, quindi Brankov most dove si supera il Danubio e poi Bulevar Mihaila Pupina.Si continua con Pariske komune - Studentska - Tosin bunar - Zemunska - Vojvodanska - Surčinska - Put za aerodrom e infine Aerodrom "Beograd". I passeggeri scenderanno quasi tutti a fermate solitarie e poco frequentate, in piccoli villaggi lungo i sedici chilometri della distanza dal capolinea fino all’aeroporto. Tutto ciò che mi circonda è piacevole. Nonostante ci troviamo in una zona non certo signorile della città c'è in me una sensazione di grande serenità dovuta all'ambiente che mi circonda. La gente che vedo intorno a me, anche se povera, ha una grande dignità e tutti hanno un profondo rispetto della riservatezza. Non ci sono persone che parlano ad alta voce, né ragazzi che scherzano, magari pesantemente o che fanno schiamazzi. Com’è diversa qui l’atmosfera da quella caciarona di Roma dove ci sono sempre rumori molesti, e si vede in giro tanta aggressività degli studenti tra di loro e contro gli altri. Osservo la strada che porta in centro e dico a me stesso che questa è probabilmente l’ultima volta che la vedrò. Difficilmente potrò ritornare, purtroppo. Ho altri viaggi da effettuare. Agata Christie ha scritto un giallo dal titolo “L’assassino non ritorna sul luogo del delitto” che si adatta bene al mio caso. Nelle mie fugaci e veloci visite alle capitali europee non c’è tempo per ritornare e rivivere i dolci momenti delle mie visite. I cari luoghi europei nelle capitali spesso lasciano in me una sensazione di malinconia che mi fa provare brividi di felicità e forti emozioni a causa delle associazioni di pensiero ai cari ricordi della mia infanzia. Mi dispiace, mi dispiace profondamente partire, ma è la vita. "Partire è come morire" dice un vecchio adagio dei viaggi. Sarebbe bello se avessimo in futuro altre vite di cui disporre per ritornare sui nostri passi e con calma ripassare dolci e lieti momenti con altre visite. Ma qui non ci sono miracoli e la tristezza di una atmosfera piena di emozioni e di ricordi mi pervade per un po’, annullata dall’arrivo del bus. Il viaggio di ritorno è caratterizzato dal mio interesse a osservare i luoghi vicino alle fermate.I passeggeri scendono quasi tutti prima dell’aeroporto. Alcune ragazze scendono dall’autobus sulla strada in piena campagna, lontano da centri abitati. Si scorgono poche case raggruppate e stradine non asfaltate e piene di polvere. Che contrasto con la zona di Novi Beograd, dopo il ponte sul Danubio. La zona nuova di Belgrado, una specie di Eur a Roma, piena di grattacieli e di viali larghi e pieni di verde spartitraffico. Qui in periferia ci sono piccole discariche a cielo aperto, con nessuna attenzione ai problemi ambientali. E’ il prezzo da pagare per il passaggio all’economia di mercato. Si scarica tutto sui più poveri. Ma è la vita. Mi chiedo quanti anni dovranno passare ancora per avere città dell’est europeo in cui si privilegeranno i motivi ambientali. Il cielo è grigio, ma non piove. E l’aeroporto è alla prossima fermata. La vacanza è finita e il viaggio volge al termine. C’è ancora il tempo di fare una foto veloce e poco convincente della facciata dell’aeroporto per lasciare una traccia di memoria in questo luogo, ex Surčin, che nell’immaginario collettivo del tempo passato fu considerato da tutti come l'aeroporto della capitale leader dei Paesi non-allineati. Adesso tutto questo non significa più nulla. Adesso non c'è più la Jugoslavia e c'è la Serbia, con i problemi di una nazione che deve fare ordine nella società per rispettare i requisiti relativi all'entrata nell'Unione Europea. Per me che considero questi itinerari di viaggio una sorta di strumento per ricordare il passato, è importante confessare che i viaggi e i percorsi geografici che mi portano in giro per l'Europa mi permettono alla fine di ritornare a casa con un carico di suggestioni che mi producono una velata malinconia per il mondo che a quel tempo mi ha visto giovane. Si trattava di un mondo nel quale la storia ci ha insegnato che a quel tempo la politica prevedeva i muri, mentre adesso ci sono gli attraversamenti. Si tratta senz'altro di un progresso enorme, desiderato e fortemente voluto. C’è da provare i brividi se pensiamo a come eravamo negli anni ’60 e a come siamo adesso negli anni del terzo millennio. Tutto un altro mondo. Meglio così. L'aeroporto è piccolo e si manifesta in una sala partenze limitata nelle dimensioni e nel flusso di traffico. La fila per il check-in è invece insolitamente lunga nonostante sono in anticipo sui tempi previsti. Alcuni passeggeri davanti a me chiacchierano piacevolmente. Sento inflessioni dialettali di tutti i tipi: emiliano, siciliano, lombardo, veneto, napoletano e anche alcuni passeggeri arabi che discutono animatamente. Insomma si vede che sto ritornando a casa. Ma godiamoci ancora il viaggio di ritorno. Anche questa è vacanza. Ciao Belgrado, ciao Serbia. Sono stato bene con voi tre giorni interi. Mi dispiace lasciarvi. Chissà che un giorno non venga a visitarvi di nuovo. Ciao! Elenco dei report di viaggio delle capitali europee già pubblicati.

INTRODUZIONE ALLA SEZIONE VIAGGI
AMSTERDAM Nederland
LONDRA Great Britain
PARIGI France
VIENNA Österreich
MADRID España
LISBONA Portugal
BERLINO Deutschland
PRAGAČeské Republika
DUBLINO Ireland Dublin
ATENE Ελλάς Αθήνα
STOCCOLMA Sverige
HELSINKI Suomi
LUBIANA Slovenija Ljubljana
NICOSIA Cyprus Lefkosia
LA VALLETTA Malta
SOFIA Бългaри София
BUCAREST Romania Bucureşti
BRATISLAVA Slovensko
BRUXELLES Belgio
BELGRADO Srbija Београд
OSLO Norge
ZAGABRIA Hrvatsk
TIRANA Shqipëri
MOSCAРоссийская Федерация
BIBLIOGRAFIA LETTERATURA DI VIAGGIO

Manuali e guide di viaggio adoperate.



Politica, cariche istituzionali e intransigenza nelle idee di Bossi e Lieberman.

La coincidenza è che i due ministri, falchi delle due coalizioni Bossi e Liberman, italiano il primo e israeliano il secondo, non si conoscono e non si frequentano. Eppure i tratti caratteristici del loro modo di fare politica sono gli stessi. La matrice che li accomuna è identica: una miscela di pericoloso razzismo, estremismo, discriminazione e desiderio di rompere con tutti coloro che non la pensano allo stesso modo. Stiamo parlando di Umberto Bossi Ministro delle Riforme per il Federalismo e di Avigdor Lieberman Ministro degli Esteri israeliano. Nella scala dell’importanza politica ed istituzionale dei due paesi stiamo parlando di due “pezzi da novanta”, cioè di due uomini che rappresentano significativamente i due governi di Italia e Israele in modo forte e che sono determinanti per l’autonomia in Parlamento dei due governi. Entrambi hanno in pugno il loro Primo Ministro e tutti e due ne condizionano la politica a loro piacimento. La coincidenza delle personalità dei due soggetti sta nel fatto che ultimamente hanno recitato lo stesso copione davanti alle pubbliche opinioni dei due paesi e del mondo. In breve Bossi ha pronunciato l’epiteto “che i romani sono tutti porci” mentre Lieberman ha affermato davanti all’Assemblea generale dell’ONU che “non esiste alcuna possibilità di raggiungere un accordo fra israeliani e palestinesi prima di diversi decenni”. Due autentiche provocazioni recitate ad arte per consolidare il loro potere di attrazione politico davanti ai loro elettorati. Come si vede i due ragionano allo stesso modo. Davanti al particulare della loro politica, fatta di piccoli interessi e di localismo, sono capaci di sacrificare gli interessi generali per il semplice interesse municipale. Ma l’eccentricità che li caratterizza è un’altra, più singolare e sicuramente più grave. Davanti alla richiesta della stampa e delle rispettive opposizioni nei due paesi di richiesta di dimissioni sono intervenuti, alla stessa maniera e con le stesse parole, i due rispettivi Primi Ministri, Berlusconi e Netanyahu, che hanno spiegato che non risponde al vero che quelle dichiarazioni rispecchino la loro posizione. E, comunque, i due hanno fatto una semplice “battuta”. Capite? Hanno detto proprio così, svicolando sul problema vero e proprio che riguarda l’incompatibilità tra la carica istituzionale occupata e la loro persona dopo così gravi dichiarazioni. Insomma, come al solito davanti alla trave si guarda alla pagliuzza nell’occhio dell’avversario per non vedere la propria di ben altre dimensioni. Si può avere fiducia in politici del genere?

sabato 25 settembre 2010

Saint Lucia: un paradiso o un inferno?

Oggi parliamo di una piccola isola che è salita all’onore della cronaca politica perché implicata nella vendita di una casa a una società offshore che ha sede in questo piccolo paese. Non ci interessa la questione dello scontro tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. Non aspettatevi dunque considerazioni relative all’affaire Montecarlo. A sentire le persone che si stabiliscono in questo minuscolo paesino, chiamato Saint Lucia, è un paradiso. Anzi un paradiso a 5 stelle. Nell’immaginario collettivo questa minuscola isola caraibica rappresenta un’idea convincente di oasi di distensione e di benessere. E’ una bella isola che permette delle belle e piacevoli vacanze. Da questo punto di vista nessuno ha critiche da fare. Il problema inizia quando si comincia a parlare di altro, di politica e di finanza per esempio o meglio del perché certa gente sceglie questa località turistica ma non fa turismo. Alcuni addirittura si trasferiscono qui per viverci “comodamente” per sempre. E il perché non riguarda solo le bellezze paesaggistiche o la bella cucina ma riguarda principalmente le questioni finanziarie dei paradisi fiscali e del cosiddetto paravento delle società offshore. Qui le cose si intorbidano e spunta fuori la vera ragione del perché chi ha soldi e misteri da nascondere viene in quest’isola. E’ a tutti noto che Saint Lucia vive sulla discrezione di un'economia fondata sul silenzio e l’omertà. In poche parole si tratta di un “paradiso fiscale” per tutti coloro che hanno la necessità di fare commerci e finanza nascondendo le notizie più delicate. Questa è la vera ragion d’essere dell’ossessione della segretezza di coloro che comandano a Saint Lucia. Non si spiegherebbe altrimenti perché questa idea fissa della privacy e della segretezza di tutto ciò che ha a che vedere con le società offshore viene difesa in modo smisurato. Se si vogliono occultare capitali, società e garbugli vari si viene qui e tutto è risolto. Questo a nostro giudizio rappresenta il vero problema di questo e di altri piccoli centri esteri perché permette agli impostori di avere nel mondo un posticino nel quale farla franca da controlli e accertamenti su pasticci commessi nella finanza. Noi vogliamo denunciare questo vizietto della società consumistica che nel mentre parla di necessità di riformare l’etica nella finanza e nell’economia permette la sopravvivenza di questo “carcinoma” della finanza privata. Senza tanti giri di parole diciamo che è semplicemente disgustoso che si permetta, in nome di una presunta libertà di esercizio di finanza privatistica, a una piccola isola di eludere controlli e verifiche della correttezza degli aspetti legali connesse ad attività commerciali e finanziarie che hanno sede in questa isola. E’ giunto il momento di fare una battaglia etica nei confronti di questi “inferni fiscali”, altro che paradisi, i quali aiutano gli imbroglioni ad operare a danno degli onesti. Non si capisce, per esempio, come mai l’ONU faccia lo gnorri davanti a questi comportamenti di scorrettezza finanziaria. Per molto meno si sono bombardate città e sono state imposte sanzioni di isolamento e quarantena a interi paesi in nome di una presunta etica di politica internazionale e poi non si fa nulla per impedire l’esistenza di questi centri permanenti di sovvertimento dell’ordine finanziario mondiale. Mentre sarebbe stato logico imporre alle Autorità di questo paese l’obbligo di collaborare con la giustizia di tutto il mondo, si verifica l’assurdo che con la segretezza delle attività finanziarie Saint Lucia permette operazioni finanziarie scorrette. Indagare sugli imbrogli che effettuano le società che hanno sede legale in questa isola diventa eticamente necessario e indispensabile se si vuole veramente colpire la speculazione e le distorsioni della finanza criminale. Altrimenti si fanno solo gli interessi delle stesse società che hanno sede legale proprio qui e si permette a queste ultime di gestire investimenti finanziari, nascosti sotto i vicoli di segretezza messi in atto dalle multinazionali che vi risiedono. Non si comprende neanche perché gli Stati Uniti, che hanno sempre issato il vessillo della giustizia e dell’etica rigorosa, hanno permesso e permettono che vi siano stati “canaglia” fondati sul trucco e l’occultamento della verità fino ad arrivare al limite del sovversivismo finanziario. Infine, non si capisce perché l’Unione Europea, che tanto parla di correttezza finanziaria, che tanto sbandiera il rigore e la trasparenza, non fa nulla per condizionare questi inferni fiscali. E’ necessario che qualcuno ne parli nelle sedi competenti. Noi siamo per la legalità, l’onestà e la trasparenza. La nostra proposta è che l’ONU nomini una Commissione di inchiesta per verificare se risponde al vero che l’isola caraibica, ma anche altre sedi analoghe, permettano le scorrettezze fiscali di cui sopra e che producono inevitabilmente reati di natura finanziaria.

martedì 21 settembre 2010

Il marasma della politica italiana.

Una grande confusione caratterizza l’attuale fase della politica italiana. C’è da vergognarsi di parlare di politica e viene il voltastomaco al solo pensiero che il governo nazionale di Berlusconi, a pochi giorni dalla resa dei conti con il reietto Gianfranco Fini, non sa se ha ancora i numeri per governare in Parlamento e sta cercando in tutti i modi possibili di "comprare" parlamentari del partito di Casini per sopravvivere. E non finisce qui, perché un’altra porcheria politica, questa volta regionale, è in atto in questi giorni in contemporanea o, se si vuole, in sintonia con quella nazionale. In Sicilia c’è il Governatore Raffaele Lombardo che sta facendo debuttare una inedita maggioranza trasformista fatta di pezzi del partito di governo di Berlusconi, di pezzi del partito di opposizione di Bersani e di altri spezzoni più o meno raccogliticci, messi insieme. E il tutto nell’indifferenza generale degli italiani, i quali si interessano solo delle trasmissioni televisive della TV di Berlusconi che trasmette veline scosciate che cantano e ballano per la gioia delle famiglie o delle trasmissioni RAI in cui neo-cantanti cercano di mettersi in evidenza mentre la nave affonda. Cosce di belle ragazze e mandolini che suonano sono i veri interessi della vandea italiana che si distingue per il lassismo dei costumi, per la leggerezza degli interessi culturali e per la totale mancanza di etica. Che degrado morale e che qualunquismo politico! In verità non c’è da aspettarsi nulla da questo popolo di “Santi, naviganti e … donnine di facili costumi” che, per la loro avvenenza, vengono addirittura nominate parlamentari del Pdl dal loro Califfo, il magnate Silvio Berlusconi. Che schifo!

domenica 19 settembre 2010

La concorrenza fasulla tra TV pubblica e privata.

Il TG1 perde telespettatori a valanga. Prima dell’arrivo di Berlusconi al potere l’Ammiraglia RAI aveva il monopolio dell’informazione. Adesso i telespettatori scappano, a causa della faziosità indecente dell’adulatore di Berlusconi, quell’Augusto Minzolini, nuovo Direttore del TG1, che fa a gara con tutti per essere il più caramelloso nell’adulare il Capo. E le polemiche montano. Si va dalla protesta di chi crede che il nuovo Direttore del telegiornale, di nomina berlusconiana, stia pesantemente modificando la linea editoriale tutta spostata sul filoberlusconismo, all’idea che la crisi di ascolti del TG1 sia passeggera perché non appena Berlusconi riuscirà nell’intento di “comprare” il numero minimo di parlamentari per avere l’autonomia in Parlamento, la gente ritornerà in massa a vedere nel TG1 il solito Cavaliere vincente. La realtà è però un’altra e completamente differente da quella che i media accreditano. In verità si tratta di una precisa e scientifica strategia messa in atto da quel furbastro Bertoldo che è il Presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, nonché compare del padrone della più grande televisione privata d’Europa, per incassare più denaro con la pubblicità. I giornali berlusconiani stanno cercando di accreditare l’idea astuta che la TV pubblica sia inaffidabile, in modo tale da spostare sempre più masse di telespettatori sul TG5 e incrementare corposamente le entrate pubblicitarie. E i pesci stanno abboccando all’amo in modo copioso. Mica scemo il Cavaliere e il suo Fedele, di nome e di fatto, Confalonieri! Mentre i Di Pietro e i Bersani, inadeguati al 100% nel fare opposizione utile ed efficace strillano, Confalonieri si sfrega le mani. Gli sprovveduti sono sempre più ingenui e lo scaltro duo brianzolo sempre più furbo. Altro che riunioni del Comitato di redazione del TG1 per protestare contro la mancanza di obiettività della TV di Stato. Questi stanno spremendo la mucca e stanno facendo soldi a palate. Naturalmente, tutti a spese degli ignari cittadini e, come sempre, contro le regole dell’etica.

sabato 18 settembre 2010

Immoralità indiretta all’italiana.

Si può essere immorali non rubando ma permettendo ad altri di farlo. Due soli esempi fra molti di condanne di un politico aderente al Pdl dovrebbero far riflettere i sostenitori cattolici del partito del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Il primo si riferisce all’ex Ministro Aldo Brancher che fu nominato da Berlusconi ministro senza portafoglio e durò appena tre settimane. E’ stato condannato dai giudici a due anni. E’ stato condannato perché sapeva di ricevere denaro illecito. Terribile. Il secondo riguarda l'ex Senatore del Pdl, Nicola Di Girolamo, arrestato per riciclaggio di denaro sporco. L’ex Senatore del partito di Berlusconi ha concordato la pena e ottenuto i domiciliari. E' anche accusato di associazione a delinquere e violazione della legge elettorale aggravata dal metodo mafioso. Terrificante. Cosa dire di queste sentenze nei confronti dei due politici berlusconiani? Poche parole per ricordare agli elettori cattolici che hanno votato il “partito dell’imbroglio” di Berlusconi che é vero che loro hanno la libertà di votare chi vogliono, ma è anche vero che la loro coscienza è sporca dei peccati mortali dell’ipocrisia e della complicità perché favoriscono direttamente Berlusconi, il quale sfrutta la sua carica per fare affari di famiglia. Stiamo parlando di un soggetto che, in collaborazione con l’altro capopopolo Bossi, hanno ridotto il paese a una caricatura di nazione. Se non ci credono, vadano all’estero e vedranno come ci considerano gli stranieri. Complimenti a questi cattolici che la domenica vanno a messa ad ascoltare il Vangelo di Gesù e poi il pomeriggio, senza neanche turarsi il naso, vanno a sostenere allegramente il partito degli imbroglioni. Complimenti vivissimi.

venerdì 17 settembre 2010

Il mio ventisettesimo e ultimo viaggio nelle capitali dell'Unione Europea: Bruxelles.

Bruxelles
(13 Settembre - 16 settembre 2010)

E con la capitale del Belgio sono ventisette. E’ fatta! Con quest’ultimo viaggio termino il tour. Bruxelles (ovvero Brussels, ovvero Brussel, ovvero Brüssel, ovvero Broucsella a seconda della lingua e del tempo che determinano il modo di scrivere il nome della città) è l’ultima tappa, la ventisettesima, con la quale concludo in bellezza il mio progetto di visita alle ventisette capitali dell’Unione Europea.
Premessa. Che dire come primo commento a caldo? Nonostante i numerosi nomi diversi io, in questo blog, chiamerò la capitale belga, citata per la prima volta nel 695 dall'Arcivescovo di Cambrai, semplicemente Bruxelles. Non mi vergogno di affermare che sono emozionato come uno scolaretto che ha finito di fare la sua prima gita fuori porta.Con il mio arrivo nella città del fiume Senne interrato o, meglio, del Manneken Pis, cioè della piccola statua in bronzo del 1619 di un bambino che fa la pipì, che è il simbolo della città, sono colto da una specie di turbamento, una sorta di miscela detonante di commozione e orgoglio per essere riuscito nell’impresa che mi sono proposto di realizzare nel lontano anno 2000, ben dieci anni fa, quando decisi che un europeista convinto come me non poteva non visitare tutte, ripeto, tutte le capitali dell'Unione Europea. A quel tempo le capitali non erano ventisette ma molto meno, per cui la decisione di visitarle tutte è stata facile da prendere. Il difficile è stato confermare l'idea di visitarle tutte, compresa l'ultima "infornata" di ben dieci capitali che hanno aderito tutte, in una sola volta. Durante le ultime tappe, tuttavia, sono stato preso da una specie di “sindrome da conclusione” e non vedevo l’ora di arrivare alla fine del progetto.Una specie di Giro d’Italia o di Tour de France se volete, in cui la tappa che più conta è l’ultima, ovvero la cronometro individuale della municipalità belga che fa arrivare il vincitore nella città organizzatrice della manifestazione. Allo stesso modo dopo dieci lunghi anni di letture, di studi più o meno approfonditi, di consultazione di guide di viaggio e di mappe geografiche (nel mio studio ho centinaia di guide e mappe d’Europa), di tentativi malriusciti di studiare qualche grammatica delle lingue, di spostamenti da una parte all’altra del continente europeo, in aereo, in treno e persino in autobus, sono arrivato finalmente all’ultima tappa di un "ciclismo" culturale che mi riempie di gioia perché mi ha portato, oggi e alla fine dell'avventura, nella bellissima capitale dell’Unione Europea. Adesso che ci sono arrivato e cammino nella affollata Rue du Marchè aux Herbes, sui ciottoli accidentati della bella strada della Bruxelles antica che immette nelle viuzze laterali della straordinaria e ineguagliabile Grand Place, definita da Victor Hugo la piazza più bella d'Europa, sento di avere fatto qualche cosa di veramente grande e speciale. In ogni caso considero il mio progetto di visita alle città capitali dell'UE un’iniziativa di grande suggestione, ricca di fascino culturale, forse anche un record, sicuramente una straordinaria avventura, tutta vissuta tra le strade di ogni capitale dell’Unione. Ribadisco, di tutte le capitali dell’UE, nessuna esclusa. Si tratta della tipica sensazione di chi è consapevole di aver compiuto un’impresa, ovvero qualcosa di grande, che lo arricchisce in modo significativo, caratterizzando un altro ciclo della sua vita. Sono, cioè, convinto che da domani non sarà più lo stesso. Così come sono convinto che da domani comincerò a pensare al prossimo viaggio che, anticipo sin da ora, sarà Belgrado. Aver concluso una sgobbata del genere, anche se piacevole, da una parte è una liberazione, ma dall’altra è autentica malinconia. E’ desiderio di voler fare ancora altre tappe, è voglia di voler ancora continuare l’avventura. Insomma, penso che sia necessario continuare e mi rifiuto di fermarmi qui. Parodiando una celebre frase oso dire che “finire è come morire”. Ed io non voglio finire perché non voglio ancora morire. E’ troppo presto. Mi rimane la speranza che fra poco, forse un anno o più, qualche altra nazione del continente europeo (in tutto sono 45) si aggiunga alle ventisette e diventi la ventottesima o, ancora meglio, la ventinovesima capitale della nuova UE. Islanda e Croazia sono in dirittura d’arrivo per entrare nell’Unione e questo mi è di conforto, perché se entreranno nell’UE le visiterò di sicuro, costi quel che costi. Il progetto iniziale però, con questa tappa, si conclude veramente qui, a Bruxelles, nella città del cioccolato, delle cozze e delle birre. Questa ultima tappa è nella città capitale non solo del Belgio ma dell'intera Unione Europea. Sì, il giro delle ventisette capitali è stato bello e lo ricomincerei volentieri un’altra volta. Ma adesso finisce, anche se in bellezza. Con l’esperienza di viaggio che ho accumulato, forse se dovessi farlo di nuovo, lo farei in modo diverso, forse in modo più ragionato, sicuramente non commetterei errori o inesattezze. Ricordo chiaramente che le prime tappe sono state effettuate con molta superficialità, parecchia ingenuità e molta mancanza di consapevolezza. Tuttavia, adesso mi sento bene. Mi sento soddisfatto di avere fatto questo “giretto” tra il blu delle dodici stelle che costituiscono la bandiera dell’Unione Europea. Certo, alcune città mi hanno emozionato più di altre. Ed era scontato che fosse così. Ma la vera commozione, quella interna a me stesso, che ho nascosto a tutti coloro che mi sono stati vicini e lontani in questa avventura, l’ho provata quando sono entrato nella sede dell'Unione Europea, nell’aula preposta ai lavori comunitari. Commozione e felicità mi hanno avvolto in un unico afflato. Sarò banale e noioso ma è stato bello! Mi rimangono due ricchezze. La prima è una quantità enorme di ricordi, tutti splendidi, che costituiscono un patrimonio di fatti e di vissuti che porterò sempre con me. Avrò tempo per rielaborarli e riviverli adeguatamente in vecchiaia. La seconda è un interminabile numero di libri di viaggio acquistati uno a uno, nel tempo, che costituiscono, nella mia biblioteca, una prova tangibile di essere riuscito nell’impresa. In questo momento che scrivo questo diario di viaggio li ho sott’occhio e li guardo con nostalgia. Sono tanti, sono belli, sono vivi, sono avvincenti, sono appassionanti, sono colorati, sono culturalmente significativi. In quest'ultimo viaggio ho scattato cento foto che mi serviranno da traccia in questo report. Finisco qui la premessa al ventisettesimo e ultimo viaggio. E adesso vediamo di affrontare i particolari della visita alla bellissima e splendida Bruxelles. Dico subito che la visita è stata piacevole e interessante. Fin troppo. Anzi avrei dovuto allungarla di più. Bruxelles ha molto fascino e offre molte cose da vedere; forse troppe per una visita di appena quattro giorni. Avrei dovuto rimanervi almeno una settimana ma non è stato possibile. Dunque, dobbiamo discutere su ciò che è stato e non su ciò che avrei voluto che fosse.

Primo giorno. Iniziamo dal viaggio aereo che mi ha portato da Roma a Bruxelles. Intanto, per la seconda volta, l'aeroporto romano di partenza non è Roma-Fiumicino ma Roma-Ciampino come quando ho affrontato il viaggio per Bratislava. Alle 8.15, arrivo all'aeroporto. Al gate mi aspetta un aereo della Ryan Air delle 09.55 per Bruxelles. Il biglietto è un biglietto elettronico che ho prenotato in Internet col codice C46T4L al prezzo di 83,94 € andata e ritorno. L'aeroporto di Roma Ciampino è piccolo e serve esclusivamente voli low cost. Per me che abito a Roma Sud questo aeroporto è l'ideale. In breve tempo sono in grado di partire da casa ed arrivare all'aeroporto in non più di 15 minuti.Rapide formalità al check-in e alle 9.50 sono seduto comodamente sull’aereo. L'aeroporto di Roma-Ciampino sembra l'aeroporto di una piccola cittadina di provincia. L'aria che si respira è provinciale e, a parte pochi turisti stranieri, sembra di essere nel Centro commerciale di un piccolo paese. Nulla a che vedere con gli aeroporti stranieri che sono un modello di pulizia, di ordine e di cose interessanti. Qui prevalgono gli atteggiamenti paesani, quasi da fiera turistica. Non c'è dove andare da nessuna parte. L'interno dell'aeroporto è uno squallido salone, c'è un piccolo bar e poi nulla. Desolante. In attesa del check-in misuro ripetutamente le dimensioni del mio bagaglio a mano con il "volumometro" della Ryan Air. Entro ed esco più volte la piccola valigia preoccupato che non rimanga incastrata nei tubi della struttura metallica. Guai a presentarsi all'imbarco con un trolley avente una massa gravitazionale maggiore di 10 kg. Si rischia una cattiva figura. Penso che ci sarebbe la sgridata più severa del mondo da parte del personale preposto al controllo.Meglio non rischiare e seguire le direttive alla lettera. Nella sala partenze siamo ammucchiati sui pochi posti liberi dell'aerostazione. Siamo in troppi penso. Sono un po' preoccupato per la ressa. Ho prenotato il posto senza il supplemento relativo all'imbarco prioritario e, vista la fila, penso che sarò tra gli ultimi a salire sull'aereo. Il volo è l'FR6106 con partenza prevista tra qualche decina di minuti del 13 Settembre 2010. Speriamo bene. Eccomi ripreso con la macchina fotografica a bordo del vettore tra il giallo del colore della tappezzeria Ryan Air e il blu dei sedili. Penso a questo viaggio con grande contentezza. E' l'ultimo dei 27 viaggi e, dunque, il più bello. Forse è come il primo, quando sono andato a Londra. Che emozione atterrare a London Heathrow. Lo stesso adesso. Arrivare a Bruxelles sarà per me un vero piacere. In fondo in fondo vado a casa mia, nella capitale dell'Unione Europea, della mia Europa. La guida di viaggio che ho in borsello è piena di indicazioni che ho studiato a tavolino. Sarà un piacere seguire le tracce del percorso che ho costruito in molti mesi di preparazione con guide e mappe varie. Non faccio in tempo a pensare ai percorsi di viaggio che l'aereo sta rullando sulla pista. Si parte in perfetto orario. L'arrivo a Bruxelles Clarleroi è all'insegna dell'ansia perchè all'orario stabilito in aeroporto, ore 12.00, per il trasferimento a Bruxelles non trovo alcuna indicazione per il maxitaxi prenotato in internet di andata e ritorno. Si tratta di uno shuttle bus che ho prenotato con una carta di credito virtuale nel sito web www.charleroitransfer.com al prezzo di 48,00 euro tondi tondi per andata e ritorno. Il trasferimento si chiama BRUSSELS DOOR TO DOOR SHUTTLE. Sulla mail di conferma si fa cenno ad un altro sito web, www.airportways.com, nella quale trovo scritto che "In order to be able to provide you the maximum comfort and quality, please read carefully the travel conditions and useful hints below. We wish you a nice trip!". Visto che il trasferimento dall'aeroporto al centro città è tuttosommato andato bene, dimentico facilmente qualche piccolo disappunto accadutomi e per ora taccio sul resto. Avremo modo di parlarne in seguito. Anticipo solo che il ritorno sarà molto diverso e più drammatico dell'andata. C'è sempre qualche cosa fuori posto in questi viaggi.Noto altre persone che aspettano insieme a me al meeting point, probabilmente perchè devono prendere il mio stesso mezzo di locomozione. Alla fine non so come, mi ritrovo che seguo un signore che senza farsi riconoscere mi indica di seguirlo fuori. In un'area di parcheggio dell'aeroporto trovo uno shuttle collettivo il cui conducente mi fa segno di salire. Ci sono altre due persone che viaggeranno con me. Per l'intero viaggio nessuno parla con un silenzio quasi tombale. La loquacità non è il forte dei belgi, penso. Noto che il viaggio dura circa 50 minuti, correndo sempre a velocità sostenuta. Segno che la distanza da Bruxelles dell'aeroporto Charleroi non è come da casa mia a Ciampino ma molto di più. Mi viene il desiderio di memorizzare alcuni luoghi di transito sul percorso ma dopo un po' ci rinuncio. Alla fine mi trovo depositato davanti all'hotel, senza una sola parola di circostanza. Meglio non pensarci e dico tra me "speriamo che al ritorno ci sia maggiore disponibilità e precisione da parte della compagnia". Ho pagato ben 24 euro per fare 55 km. Un po' troppi per i miei gusti. Ma questa volta non potevo fare diversamente. Per non diventare pessimista il primo giorno di vacanza mi dico che essendo l'ultimo viaggio del mio tour si può anche accettare.L'albergo in cui ho pernottato durante i quattro giorni è l'Hotel Ibis Brussels off Gran Place (N50° 50' 48,36" E4° 21' 18,29"). Si trova in posizione ideale, nel centro storico di Bruxelles, a circa 50 metri dalla Grand Place in Grasmarkt 100, Rue du Marché aux Herbes 100 e a poche decine di metri dalle Galeries St-Hubert. A destra la hall.Più precisamente l'hotel si trova nella Place D'Espagne. A sinistra al secondo piano la camera 209 dell'Hotel Ibis Gran Place dove ho abitato con piacere e a destra, nel centro della piazza sul retro, la statua dell'don Quixote de la Mancha e Sancio Panza. Questa piazza sul retro è una bella e piacevole piazzetta piena di alberi.Sono le 13.30 quando dopo avere sistemato la valigia in camera e sistemati i vestiti nell'armadio esco per andare a pranzare. La destinazione è Rue des Bouchers,1A. In questa via si trova uno dei ristoranti più famosi di Bruxelles: chez Leon. Probabilmente è uno dei nomi più conosciuti di Bruxelles in fatto di ristorazione. Pietanze ottime e di grande qualità. Non aggiungo nulla su cosa rappresenta nell'immaginario collettivo del turista pranzare qui in questo locale, con un menu a base di moules frites, ovvero di cozze stufate con sughetto alle erbe aromatiche servite con patatine fritte croccanti. La via "dei Buccieri", cioè dei macellai, vista su una foto rimpicciolita, come quella qui presente, può sembrare una delle tantissime vie turistiche che si incontrano nei centri storici delle mille città europee. Potrebbe. In realtà non lo è. Perchè? Per il semplice motivo che nelle viuzze strette di questa parte della città si respira un'atmosfera particolare, tutta improntata su caratteristiche che potrebbero essere francesi ma che a una più attenta riflessione francesi non sembrano. Si respira un'aria di perduta atmosfera aristocratica che caratterizza la visione delle strade, l'odore dell'aria, i rumori della strada. Si notano segni particolari dovuti alla presenza di una equilibrata e multiforme composizione antropologica della popolazione che la rendono unica.Sono affamato. Il pranzo consiste in un piatto speciale di moules con patatine fritte e poi salmone grigliato. Non potevo farne a meno dopo una intera mattinata trascorsa su mezzi di trasporto di tutti i tipi e sballottato da un posto all'altro con un freddo che si fa sentire. Le cozze con le patatine fritte sono la specialità del luogo.Per certi aspetti l'enfasi del menù, questa specie di esaltazione della caratteristica locale di un prodotto, mi ricorda certe trattorie romane. In questi ristorantini dell'Urbe, delizia dei turisti e dei buongustai, si trovano ancora pietanze della cucina locale con piatti veramente caratteristici come la trippa alla romana tanto decantati che c'è una vasta pubblicizzazione sulle pareti del successo di questo genere di pietanze. Ecco: le moules mi ricordano la trippa. L'accostamento è irrituale ma non mi sbaglierò molto se dico che spesso è così.Cambia la lingua, cambiano i luoghi di produzione degli ingredienti della cucina, cambiano i valori della latitudine e della longitudine ma le pareti dei ristoranti a nord come a sud, a est come a ovest, sono quasi tutte uguali. In gran parte hanno appese su di esse le foto di personalità dell'arte, del cinema o della cultura che hanno mangiato lì, lasciando come testimonianza del loro passaggio un viso o una dedica. "Tutto il mondo è paese" si dice dalle mie parti e i ristoratori europei confermano questo detto popolare. Il cameriere ha riconosciuto subito che sono italiano e mi dice alcune parole con una leggera inflessione milanese. Sto al gioco e gli vanto la pietanza che ho ordinato esaltandone il gusto per la presenza di abbondante sedano a pezzetti. In verità, nel Bel Paese, il sedano non viene mai messo nelle cozze. Il pomodoro si, ma il sedano no.Paese che vai pietanze che trovi. Vero? Ma la pietanza è gustosa lo stesso, anche con questo vegetale che fra l'altro io apprezzo molto, soprattutto mangiato crudo a insalatina, condito con sale e olio. A volte, in questi viaggi tra le capitali europee, in molte pietanze trovo ingredienti un po' originali, spesso bizzarri ma quasi sempre tutti piacevoli. L'esperienza e la maestria dei cuochi non ha avuto e non ha limiti a tutte le latitudini.Conoscere questi elementi della enogastronomia è sempre gradevole perchè è facile e piacevole effettuare confronti, similitudini, argomentare in termini di nomi di piatti e di pietanze linguisticamente equivalenti, effettuare paragoni, ricordare storia, geografia, ecc. Insomma, in una sola parola ciò significa tirar fuori cultura anche in una questione di basso ventre. Non è poco.All'uscita dal ristorante e con la pancia piena (non per nulla Rue des Bouchers è chiamata la "pancia di Bruxelles", per i numerosi ristoranti che si trovano in questa via) non c'è nulla di più piacevole che passeggiare al riparo di una galleria. E le Galeries St-Hubert fanno al caso mio. Ho letto da qualche parte che questa parte della città bassa è stata dichiarata dalla municipalità: Ilot Sacré, cioè immodificabile in tutti i suoi tratti architettonici e artistici perchè si è cercato di salvaguardare l'intera struttura delle strade e delle facciate degli edifici per conservare la memoria storica di questa zona a grande vocazione turistica. La galleria è bellissima, ancorché antica. Risale almeno a centosessant'anni fa, ed è tale e quale com'era a quel tempo, un po' invecchiata e con qualche angolino da rimettere a nuovo, ma per il resto è stupenda. E' stata la prima galleria commerciale d'Europa, e come tale ha la sua importanza storica. Fare da apripista in Europa è garanzia di pubblicità eterna. Il tetto è di vetro ed io mi immagino le passeggiate fatte in questo lungo pavimento qualche secolo fa da intellettuali e nobili del tempo.La percorro diverse volte in su e in giù e, lo confesso candidamente, rimango affascinato dall'atmosfera d'altri tempi che si respira. Invece sono rimasto praticamente indifferente alle vetrine e ai pasticcini di cioccolato che sono stati messi in bella mostra dietro i vetri, probabilmente perchè il pranzo è stato abbondante. Ogni città ha la sua "Galerie St-Hubert". Roma ha la Galleria Alberto Sordi, che prende il nome dal noto attore romano deceduto qualche decennio fa. Milano ha anche la sua galleria vicino al Duomo e quasi tutte le città italiane hanno la loro galleria. Anche a Roma, mi diverto a passeggiare in su e in giù in questa sorta di vetrina commerciale. Ma la galleria romana è a pianta quadrata mentre questa è a forma di un lungo rettangolo. E' piacevole rimanere a passeggiare. Se dipendesse da me non me ne andrei più. Ma l'ansia di vedere la Grand Place mi prende. Prima però ho voluto dare uno sguardo alla libreria antica che fa bella mostra di sè nella parte centrale. Incantevole è il minimo che posso dire. Ho sempre saputo che la vista a Bruxelles sarebbe stata piacevole e piena di emozioni. Questo è uno dei veri motivi che mi hanno indotto a fare questo viaggio. Devo confessare altresì che sono poche le situazioni che mi fanno provare sensazioni piacevoli. Una è l'oziare su una spiaggia, sotto un ombrellone, in estate al mare, soprattutto in posti dove ci sono poche persone che fanno il bagno. L'altra è passeggiare in luoghi famosi ma in condizioni di anonimato assoluto e osservare ciò che mi succede intorno. Dico tra me che la visita è iniziata nel migliore dei modi se penso che alcune ore fa ero ancora nella solita confusione e nell'assordante rumore delle strade romane mentre adesso mi trovo in una specie di paradisiaca città, piacevole, pulita e ordinata. Non mi stancherò mai di criticare l'incapacità degli italiani, specie quelli del sud, a risolvere i problemi delicati e importanti che riguardano tutta una serie di inquinamenti (acustico, rifiuti, traffico, trasporti, ecc.) delle proprie città. Qui è tutto un altro mondo. E ancora non è niente penso perchè vado immediatamente a vedere il cuore geografico e storico della città, ovvero la piazza in cui ha sede il Municipio di Bruxelles, chiamata Grand Place. Il nome lascia presagire qualcosa di grande, di prezioso, di straordinario e in effetti si rimane a bocca aperta nel vedere tutto questo gran "ben di Dio". Non è possibile rimanere indifferenti a tanta grazia. Architettura, storia, geografia, cultura, armonia, bellezza è come se si fossero dati appuntamento in questa piazza - nello spazio e nel tempo - e avessero deciso di stupire i turisti. E' possibile provare ancora stupore nell'osservare una piazza? Io credo di si, soprattutto se non si avesse mai avuto la possibilità di vedere prima la Gran Place. L'Hôtel de Ville, ovvero il Municipio di Bruxelles, è il vero gioiello architettonico di questa piazza, piena di fiori e di rare bellezze.C'è freddo, la colonnina di mercurio dei termometri, nonostante ci troviamo nelle ore più calde della giornata, si trova nella parte bassa della scala: 10 gradi celsius alle 4 del pomeriggio lasciano presagire ancora più freddo la mattina e la sera. Sarà perchè ho mangiato bene e molto, sarà perchè le bellezze della piazza mi hanno entusiasmato, fatto sta che non sento molto freddo e sfido la tramontana nel farmi una foto senza giaccone e cappello.Le tre foto individuano tre scorci bellissimi della piazza a ciottoli. Le due lingue ufficiali di Bruxelles, il vallone e il fiammingo, chiamano questa meraviglia Grand Place e Grote Markt. Certo non deve essere facile vivere a Bruxelles con la presenza severa di due lingue ufficiali molto diverse tra di loro.Quasi sempre il bilinguismo nasconde due modi differenti di intendere politica e società. Personalmente sono sempre rattristato quando vedo che una città e un popolo sono costretti a schierarsi a favore di una delle due lingue presenti nel loro paese. Si dice che il Belgio è da molto tempo senza governo per la nota contrapposizione esistente tra Fiamminghi e Valloni. Sono città tristi quelle dove si è costretti a far convivere due mondi linguistici quasi sempre diametralmente contrapposti in cui ciascuno è sordo nei confronti dell'altro. Prendete in Italia la città di Bolzano o Bozen, che ha ufficialmente il bilinguismo, e toccherete con mano cosa significa vivere col bilancino delle etnie rappresentative. Non ho ricette per risolvere il problema, ma un'idea a proposito della convivenza di più lingue nello stesso Stato ce l'ho sempre avuta e voglio qui esplicitarla, non foss'altro che per la sua carica provocatoria che essa propone e per la lezione educativa che essa porta con se. Partendo dal presupposto storico che la babele delle lingue è nata dalla punizione biblica voluta da Dio in persona nei confronti dell'intera umanità (decisione che non ho mai compreso, se è vero ciò che si dice a proposito del fatto che la decisione è venuta dallo stesso Dio che è definito dai cristiani il Dio "Buono") allora è necessario andare fino in fondo alle conseguenze della punizione. Se si vogliono due lingue con l'intenzione di separare e non di unire gli uni dagli altri, allora i fatti sono due: o se ne adoperano più di due, al limite anche cinquanta, e chiunque può esprimersi in cinquanta idiomi differenti, oppure si accettano solo due lingue ma in questo caso a una condizione ben precisa. Quale? Per il principio educativo dell'inversione, ci si scambia le lingue. Per esempio a Bruxelles la condizione obbligherebbe i cittadini fiamminghi a parlare il francese e solo il francese e ai cittadini valloni di parlare il fiammingo e solo il fiammingo. Così il bilinguismo funzionerebbe alla perfezione proprio perchè sarebbe una scarpa strettissima calzata ai piedi di entrambe le fazioni. Vogliamo provare? Sai che male! Alla stessa maniera si dovrebbe fare a Bolzano-Bozen con l'italiano e il tedesco, a Cipro con i greco-ciprioti e i turco-ciprioti, in Palestina e in Israele con i palestinesi costretti a parlare in ebraico e gli israeliani a parlare in arabo, e via discorrendo. Credo che dopo qualche anno di esperienza diretta il rapporto sociale e politico tra le due comunità si appianerebbe di molto. Invece, la stupidità dei governi e dei cittadini più oltranzisti si appiattisce in uno stupido e idiota tifo da stadio di calcio, in cui è più acclamato colui che incita di più alla violenza e all'estremismo. Vai a capire gli uomini e le donne del nostro mondo. Ritorniamo a noi. Il Palazzo comunale è superbo. In francese si dice superbe. L'aggettivo calza alla perfezione. Si tratta di un edificio raffinato ed eccezionalmente decorato da sculture e arcate che ne fanno un unicum. Non ci sono parole per descrivere il campanile e dentro è ancora meglio. Mi fermo qui perchè non vorrei esagerare. Chiarisco subito con ironia che la municipalità non mi ha dato neanche 1 € affinché io parlassi bene di Bruxelles in questo report. Dunque, non sono stato pagato da nessuno per dire il falso. Il fatto è che Bruxelles non ha bisogno di pagare nessuno per descrivere le sue bellezze. Come si suol dire in questi casi: "carta canta"! Si è fatto tardi ed è ora di andare ad "assaggiare" le lenzuola del letto dell'albergo per un riposino ristoratore. La giornata è ancora lunga.
Secondo giorno. Il mio secondo giorno a Bruxelles inizia con l'idea persistente da giorni di visitare al più presto il quartiere del Parlamento europeo e la sede dell'Unione Europea. Confesso candidamente che questo è uno dei principali obiettivi della mia visita nella città. Inizierò questo resoconto partendo da una premessa che è rappresentata da uno scambio epistolare che ho avuto con i Palazzi dell'Unione. Ecco di cosa si tratta. Circa due mesi fa ho inviato al Referente dell'Unione europea una lettera. Ecco il testo.

Roma, 24 luglio 2010 Gent.mo Referente,

sono un cittadino europeo di nazionalità italiana. Risiedo a Roma e sono un insegnante liceale di fisica in pensione. Ho 64 anni e sono un europeo che crede profondamente nei valori costitutivi dell’Unione Europea. In breve, scrivo questa lettera perché ho il desiderio di visitare il Palazzo della Commissione Europea di Bruxelles. Naturalmente ho delle ragioni ben precise che mi hanno indotto a chiederle di soddisfare questo mio desiderio. La principale ragione di questa mia richiesta sta nel fatto che circa dieci anni fa, in relazione al mio entusiasmo per i grandi successi ottenuti dall’Unione Europea nel concretizzare l’idea di cittadinanza europea, e subito dopo quella di moneta comune, decisi di visitare tutte le capitali dell’Unione in omaggio all’avventura europea dei padri fondatori dell’Europa per lasciare nella mia mente di cittadino ormai non più ventenne il ricordo e la memoria dei miei viaggi culturali nei luoghi più rappresentativi dei vari paesi che sono le capitali dell’Unione. In poche parole ho il desiderio di vedere direttamente da testimone ciò che è l’UE e lasciare in me i ricordi di un’esperienza di vita vissuta, anche se breve, in tutti i paesi dell’Unione. In queste mie appassionate e appassionanti visite nelle capitali dell’Unione ho fatto il turista, ma non solo. Ho speso del denaro in euro in tutti i paesi che l’hanno adottato, ho attraversato frontiere che non esistono più, ho provato l’emozione di vedere in tutte le capitali sventolare la stessa bandiera blu con le 12 stelle dell’Unione, ho fatto i check-in e i check-out negli aeroporti di tutte le capitali europee passando sempre dal box dei cittadini UE, ho visto direttamente in tutte le capitali lo stesso modello di targa europea con il medesimo logo dell’Unione, sono stato accolto in tutti i posti in cui mi sono trovato con simpatia e interesse, ho visitato musei, teatri, chiese, sinagoghe, moschee, palazzi pubblici, tesori artistici e mille altre cose con propensione altruistica, generosità e attrazione reciproca, ho gustato le mille pietanze caratteristiche della cucina europea, ho assaggiato la straordinaria vitalità e varietà eno-gastronomica del continente che caratterizzano la civiltà europea, ho pernottato in tanti posti delle città visitate e mi sono trovato sempre bene; non sono mai stato oggetto di discriminazioni in nessun paese e, per ultimo ma non di meno, ho conosciuto mille e mille europei con i quali ho appreso l’arte del saper stare bene insieme, indipendentemente dalla diversità delle lingue, della nazionalità e delle religioni, rispettando sempre le tradizioni e i valori dei cittadini dei vari luoghi visitati. Insomma, ho effettuato un percorso di vita e di civiltà che meritava il mio interesse e la mia partecipazione. Adesso che sono arrivato alla meta delle ventisette visite, concludo con l’ultima capitale, che è Bruxelles. Questa bellissima città l’ho lasciata volontariamente per ultima perché essa è la sede ufficiale dell’UE che conclude, meglio di come avrei potuto pensare, questo mio progetto di conoscenza che, sono sicuro, rimarrà indelebile nella mia memoria. A conclusione del lungo ed esaltante giro che, ripeto, non è stato solo turistico ma soprattutto è stato culturale, storico, politico, artistico e altro, chiedo una semplice cortesia.
Egregio Referente, con la presente le chiedo il permesso di poter visitare, anche se di sfuggita una piccola porzione della sede dell’UE. Intendiamoci, con questo non voglio dire che adesso non viaggerò più in Europa. Al contrario, penso che il nostro continente, senza togliere nulla agli altri, sia il più straordinario e vitale continente del nostro pianeta. Non sembra, ma è enorme, vasto, diversissimo e ricco di cultura millenaria, tradizioni, arte e, in generale, di tutti quei tesori che la civiltà europea è riuscita a creare nei millenni della sua storia. Sta alle nuove generazioni passare il testimone del nostro entusiasmo nei confronti dell’avventura più esaltante e straordinaria che i padri dell’Europa vollero creare sulle macerie della seconda guerra mondiale. Possa il loro ricordo essere di stimolo ai giovani di tutti i ventisette paesi per continuare la sfida di realizzare un mondo di pace, di collaborazione e di reciproca fiducia con tutti i popoli del pianeta. E poi, chissà, che le 27 capitali non diventino 28, o 30 o di più. Vorrebbe dire che avrò ancora una volta il piacere di completare questa straordinaria avventura che è la costruzione dell’Unione Europea, pietra miliare di una storia ricca di grandi traguardi. Con stima.
Ad maiora.
Ed ecco la risposta ottenuta a stretto giro di posta. Ringrazio qui il Referente che mi ha risposto.







Bruxelles, 26 luglio 2010
Oggetto: 14627 VISITA AL PARLAMENTO EUROPEO
Egregio Signore,
Il Parlamento europeo (PE) ha ricevuto la Sua corrispondenza con la quale Lei auspica ricevere ragguagli sulle modalità di visita presso la nostra istituzione.
In risposta alla Sua lettera, posso informarLa che il PE accoglie visitatori sia in gruppo che singolarmente, nelle sue tre sedi di lavoro, ovverosia Bruxelles, Lussemburgo e Strasburgo.
Per conoscere le relative formalità di visita, La invito a consultare le pagine del nostro sito che corrispondono alle diverse visite proposte in ciascuna sede di lavoro del PE, all'indirizzo qui di seguito indicato:
http://www.europarl.eu/parliament
Mi é gradita l'occasione per porgerLe i miei più cordiali saluti.
Cesare LONGO
European Parliament
Directorate General for Presidency
Unité du Courrier du Citoyen

Effettivamente il link proposto dalla Direzione Generale conduce a una pagina intitolata Servizio Informazioni per i cittadini dove si danno le informazioni circa le visite al Palazzo dell'Unione. Ed è qui che sono arrivato dopo un tragitto piacevole e interessante attraverso le belle strade della capitale belga.Il complesso di vetro dei Palazzi della Commissione Europea si trova dietro la stazione del Quartiere Léopold. Per arrivarci prendo il Metro verso il Quartiere Europeo (fermata Schuman). Incontro strade moderne e un viale abbastanza futuristico che offre un'immagine della città molto moderna e che finisce al Parc du Cinquantenaire, con il famoso Arco.All'interno si deve fare il check-in come in aeroporto. Stesso controllo, stessa severità, stesso comportamento ai varchi da parte del personale di controllo. Eccomi sopra sorridente al varco d'entrata del Palazzo di vetro insieme a una coorte di giovani visitatori delle meraviglie dell'Unione Europea.Ho osservato la gente che come me ha effettuato la visita. Eravamo di tante nazionalità. Tedeschi, svedesi, spagnoli, italiani, estoni e tanti altri di altri Paesi. Un mare di lingue e una sola identità: quella europea. E' impossibile individuare tutte le nazionalità delle centinaia di visitatori che con gaiezza e spensieratezza hanno camminato per le sale del palazzo. Giuro che mi sono commosso nel vedere tanta gente diversa che ha assistito alle spiegazioni della guida con lo stesso e identico approccio di serietà, di interesse e di curiosità. Uno spagnolo mi ha scattato la foto che mi vede davanti a tutte le ventisette bandiere dei paesi dell'Unione. Non ho visto un solo visitatore che non abbia partecipato attentamente alle spiegazioni date. Sul mio maglioncino a righe grigie spicca l'adesivo di visitatore europeo. Lo stesso giovane spagnolo mi ha fotografato di nuovo sullo sfondo dell'immensa aula dei lavori parlamentari. L'ultima foto, ci è stato spiegato, rappresenta una enorme intreccio di fili di acciaio che metaforicamente rappresentano le migliaia di relazioni storiche e culturali e di intrecci socio-politici esistenti tra tutti i paesi dell'Unione. Una scultura originale e carica di profondo significato. Ho trascorso almeno due ore pieno di gioia e di letizia a seguire nei dettagli la lezione delle guide. Molte emozioni, tante sorprese nel concretizzare la mia visita all'Unione Europea. All'uscita dal palazzo di vetro ho incontrato una manifestazione di dissenso con centinaia di manifestanti che portavano cartelli di protesta. Mi è sembrato di essere di nuovo a Roma dove non passa giorno che non ci sia una manifestazione del genere. Qui però la sfilata è meno colorata e più di routine. A Roma è sempre disordinata, con grida feroci e contorno di militari schierati in tanti modi. A Bruxelles ho visto pochi poliziotti seguire con discrezione la sfilata. Sono sempre stato contrario alla violenza e ai toni alti. Ho sempre preferito la logica del confronto e delle discussioni alle grida senza interlocuzione.Probabilmente perchè non sono mai stato toccato nel profondo di decisioni che possono cambiare la vita a chi subisce un'ingiustizia. Mi allontano dalla manifestazione con pensieri poco allegri su come funziona in pratica il mondo. Alle 13,30 ho pranzato all'Achepot, Place Sainte-Catherine,1 piccolo ma noto ristorante della zona i cui proprietari Antoine e Halinka Renoux hanno lasciato a desiderare sul piano dell'accoglienza. Il menù per due persone è consistito in sogliola di Dover, insalata mista, birra e vino bianco.In serata al ristorante libanese Al Barmaki in rue des Éperonniers 67. Anche questo ristorante, come l'Achepot, si trova poco distante dalla Gran Place. Ecco il classico menù arabo per tre persone che non prevede piatti singoli ma una specie di meze, cioè un assortimento di piccole portate: tabbule, hummus, falafel e altro.
Terzo giorno. La mattinata inizia con il tour della città su un bus dell'onnipresente "Sightseeing Excursions". A Roma l'autobus ha il numero 101. Qui si chiama Visit Brussels Line. Sono le 11,12 quando in Grasmarkt 82, vicino alla Cathédrale des Saints Michel et Gudule salgo sul bus. Il De Bulek City Sightseeing Hop on top off costa 16.00 €. Il tour dura un'ora circa. Sul bus è disponibile una cuffia con registrazione dei commenti in lingua italiana. Permette di vedere i luoghi e i palazzi più importanti di Bruxelles e di seguire la storia dei principali avvenimenti che interessano la storia di Bruxelles. Si va dalla Stazione Centrale all'Atomium, dal Palazzo Reale alla Borsa e al Manneken Pis, dal Parlamento Europeo al Parco del Cinquantenario, da Piazza Reale di nuovo alla Stazione Centrale, capoliea del tour. Insomma, una bella full immersion e un interessante ripasso di cultura, arte, storia e politica belga.Non ho alcuna intenzione di commentare questi straordinari luoghi e monumenti di grande interesse. Sono bellissimi e qualunque guida turistica contiene le informazioni adeguate sulla loro storia. Sull'Atomium invece ho qualcosa da dire. L'Atomium è una struttura architettonica che riguarda la struttura atomica della materia a livello microscopico.Simbolo di Bruxelles e del Belgio, è una realizzazione unica nella storia dell'architettura e testimone emblematico dell'Esposizione universale di Bruxelles del 1958. Fin da bambino ne ho sentito parlare come di un esempio unico di architettura. Ne sono rimasto affascinato ed ho sempre desiderato di visitarlo. So che ogni sfera ha un suo nome ed esse costituiscono un esempio raro di divulgazione scientifica, di concerti, seminari e persino banchetti. Ho avuto poco tempo per visitarlo e ne sono rimasto affascinato.Qualche minuto prima delle 15.00 provo a sgranocchiare qualcosa a pranzo. "Soupe à l'Oignon" come antipasto, "Croquettes aux Crevettes Grises" come pietanza principale e un cafè "Ristretto" sono il minipasto veloce e piacevole che gusto a Le Grand Café in Anspachlaan 78. Qui c'è la fermata della metro della Bourse-Beurs che mi permette di ammirare "palazzi e castelli" di questa zona della città. La giornata è scivolata via per le strade di Bruxelles e per negozi. Immancabili la visita al Manneken Pis. Il resto sono state ironiche e provocatorie raffigurazioni che sono andate dai fumetti della Banda Dessinée alla morte con scheletro seduto su divanetto in posizione di riposo.Dopo aver assaggiato la cucina vallone decido di passare a quella fiamminga. Dunque, cena al ristorante Bij den Boer al Quai aux Briques, 60. Questo ristorante si trova nella bella piazza del mercato del pesce e propone una cucina di pesce di tipo fiammingo al cento per cento. Il menù per due persone è consistito di: potage du jour, saumon fume, salade mixte, verre de vin blanc. La serata è stata molto rumorosa perchè rallegrata da una comitiva fiamminga che si è divertita a mangiare e bere con intensità fuori dal comune.
Quarto e ultimo giorno. E' il giorno della partenza. O meglio, del ritorno a Roma. Fin dalle prime ore del mattino scopro in me un po' in ansia. In genere è normale che ci sia un po' di apprensione quando c'è di mezzo una partenza. Ma questa volta è diverso perchè il mezzo di trasporto scelto per l'aeroporto non è pubblico e, quindi, gli orari non sono prestabiliti con la relativa certezza che le compagnie dei trasporti pubblici garantiscono. Il fatto è che il ritorno a Roma avviene con altre due gentili ospiti e questo mi procura uno stato di inquietudine aggiuntivo per gli eventuali contrattempi che in genere in questi casi possono avvenire senza la doverosa e necessaria elasticità che posso garantire quando viaggio da solo. Ma cerco di rincuorarmi perchè, mi dico, qui siamo a Bruxelles e non a Roma dove è più probabile che gli orari non siano rispettati. E, poi, penso che a Bruxelles il traffico sia diverso, più fluido, più ordinato; gli automobilisti nella guida sono più corretti e, infine, l'orario concordato della partenza per Charleroi dal mio albergo con lo shuttle è per le 14.30 a fronte di un orario limite del check-in in aeroporto delle 18.05. Il margine di 3 ore e 35 minuti è abbastanza adeguato per non correre rischi. Ma ho fatto i conti senza ... l'oste.Qui il sostantivo "oste" ha un duplice significato: di "nemico della puntualità" perchè carico di significato simbolico e metaforico da terzo incomodo e di "lavoratore autonomo" che vende alcool agli autisti degli shuttle. Si, perchè nonostante i miei accorati e ripetuti richiami telefonici al numero di assistenza fornitomi dalla società per sollecitare la puntualità del mezzo di trasporto, l'autista era diventato irreperibile anche alla stessa società e non rispondeva al telefono. La ragione? L'ho scoperta all'arrivo davanti all'hotel Ibis: aveva fatto convivio in qualche osteria con Bacco. Insomma, era avvinazzato. Alle 16.15, preoccupatissimo del ritardo e al limite del ricovero in un ospedale per infarto, lo vedo arrivare davanti all'albergo come se non fosse successo nulla. Rotondetto (non era quello dell'andata), biondiccio, con l'occhio lucido e completamente sbracciato a 9 °C, mi fa cenno di salire prendendomi la valigia dalla mano. Non una sola parola per l'intero viaggio. Velocità da gran premio automobilistico, molti sorpassi a zig zag, mancato rispetto dei segnali stradali, al limite del ritiro della patente, mi ha fatto passare l'ora più nervosa e agitata della mia vita.Ho detto a me stesso che mai più avrei deciso un uso così stupido e "delinquenziale" del denaro e guai a coloro i quali mi parleranno di shuttle come meraviglia di comodità. L'arrivo a Charleroi è stato a dir poco traumatico. Nervi tesissimi, muscoli paralizzati per la tensione accumulata nell'ora di viaggio, dita arrossate per essermi tenuto avvinghiato alla maniglia di sicurezza del finestrino con gli occhi sbarrati per l'intera durata del tragitto, corsa contro il tempo per il check-in e, alla fine, ma solo alla fine, una entrata rapida nei locali del piccolo aeroporto di Bruxelles Sud. Una bibita rinfrescante ma, soprattutto, rilassante bevuta nei pochi minuti di attesa prima dell'imbarco sull'aereo ha caratterizzato la sola cosa piacevole dell'intero viaggio di ritorno. Un triller alla Alfred Hitchcock. Non trovo altra definizione più calzante di questa. E dire che esisteva un mezzo economico e molto più sicuro degli shuttle per arrivare alla Gare du Nord di Bruxelles, vicinissimo al mio albergo, con il comodissimo treno chiamato Airport City Express al prezzo di 2,50 € per biglietto! Cose da pazzi. Ho trascorso a Bruxelles quattro giorni straordinari, rovinati in parte da un'esperienza da dimenticare al più presto. Arrivederci a Belgrado. Senza shuttle, of course!

Elenco dei report di viaggio delle capitali europee già pubblicati.

INTRODUZIONE ALLA SEZIONE VIAGGI
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BIBLIOGRAFIA LETTERATURA DI VIAGGIO

Manuali e guide di viaggio adoperate.




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