sabato 25 novembre 2017

E’ meglio fare silenzio e agire che gridare e non modificare nulla.


La Presidente della Camera Boldrini e il Presidente del Consiglio Gentiloni in occasione della manifestazione contro il femminicidio hanno detto che: "uccidere una donna ogni due giorni e mezzo in Italia è un dato spaventoso". La violenza contro le donne è una vergogna, che sfregia tutto il Paese. Italia civile dice stop". Boldrini ha anche aggiunto che “si tratta di violazione dei diritti umani, non di un fatto privato".
Siamo d’accordo. Su questo tema come su quello della sicurezza dei cittadini contro i delinquenti non si scherza e alla Camera la manifestazione di centinaia di donne è stata un successo.
Però non basta. Ci piacerebbe ricordare alla Presidente della Camera e al Premier Gentiloni che non ha senso abbaiare inutilmente se poi non seguono azioni legislative coerenti con quanto auspicato.
Non serve solo protestare anche vistosamente ma le Loro gentili grazie, in ragione dei ruoli che svolgono in Parlamento, dovrebbero soprattutto agire, proprio in sede legislativa per evitare sentenze ridicole a favore degli stupratori come più volte si è verificato da parte di una magistratura che applica le leggi.
Questo significa che quei giudici che hanno prodotto sentenze annacquate lo hanno potuto fare perché le leggi della Repubblica lo permettono. Se invece di gridare contro il femminicidio si intervenisse pesantemente anche nella legislazione nessun giudice potrebbe diluire le sentenze.
Dunque al capo del Governo e alla massima Autorità della Camera dei deputati ci si sente di rimproverare loro che è meglio fare silenzio e agire piuttosto che gridare senza modificare la legislazione. Fare una legge dura come è necessario in questi casi non solo sarebbe un deterrente ma darebbe anche certezza della pena e difficoltà a reiterare il reato. Te capì?

domenica 19 novembre 2017

Serve un cambio di marcia: la scuola così com’è ridotta è arrogante e misera.


È tempo che la scuola smetta di insegnare modelli di apprendimento sbagliati, frutto di scelte post-sessantottine ormai “foglie morte” controproducenti. Ritorni piuttosto a essere protagonista dell’educazione e della formazione dei giovani come lo fu prima del ’68.
Questa premessa non vuole essere il tentativo di giustificare un intervento a gamba tesa nella politica scolastica parlando bene della scuola del primo ventennio post bellico. Semmai è la verità riconoscere i mali della scuola recente che da tempo non fa più il suo mestiere. In ogni caso la nostra, che poi è dei molti, vuole essere un’idea più o meno accettabile relativa al desiderio di chi vorrebbe vedere attuato un modello di scuola molto diverso da quello attuale che ha fallito miseramente e clamorosamente nel suo compito educativo. La situazione è sotto gli occhi di tutti. Qui non si dicono bugie. Semmai si dicono verità che sono scomode e “politicamente scorrette”. Ogni altra interpretazione è fuori dal senso di questo post.
Partiamo dai dati nazionali e internazionali che dicono all’unanimità che l’attuale scuola secondaria italiana (media, liceale e tecnico-professionale) non educa, non forma, non informa e, ciò che è più grave, non civilizza. Si, perché siamo addirittura al concetto elementare di senso civico che la scuola non riesce più a impartire. Troppi errori, troppe scelte politiche errate, ingenue, inefficaci e populiste (diremmo oggi) hanno portato la scuola “più bella del mondo” ad essere un modello diseducativo dovuto a pseudo riforme tutte sbagliate e una peggiore delle altre.
E’ giunto il momento di fare autocritica. Si tratta di avere l’onestà intellettuale di riconoscere che l’unica maniera per evitare il dramma della distruzione di qualsiasi processo educativo è quella di partire non da un ulteriore processo di riforma che si “aggiunga” agli altri ma di una rivoluzione autentica. In poche parole ci vorrebbe una decisione attraverso la quale invece di percorrere sentieri educativi che producono “la peggiore gioventù” in percorsi pensati a produrre “la meglio gioventù”. Questo percorso l’Italia lo ha già avuto e ha funzionato egregiamente.
Ormai non bastano più le “buone scuole”. Ci vuole un ritorno allo spirito e alle norme della scuola degli anni pre-sessantottini. Punto e basta.
La scuola di oggi, ovvero il nulla culturale ha prodotto la peggiore concentrazione di somari per unità di tempo che si iscrivono all’università. La causa è nota: politici, ministri e pseudo-pedagogisti di matrice marxista e cattolica hanno creato una scuola che è un autentico inferno luciferino su tutti i piani educativi. Nei programmi, nei metodi, nella docimologia, nel senso civico e della educazione, nella organizzazione abbiamo una scuola che produce ignoranti, maleducati, bulli e distruttori delle belle cose.
La scuola post-sessantottina produce e coccola bande di studenti che fanno scorribande tutto l’anno per non studiare con una normativa che non solo impedisce gli abusi ma li sollecita. I “cento giorni”, gli assemblearismi mensili, le “autogestioni”, le violenze fisiche e sessuali, il mobbing nei confronti dei più deboli, la droga, le connivenze dei genitori che sono i primi a sollecitare scioperi e "prese della Bastiglia" perché non accettano i voti e gli insuccessi dei propri figli hanno trasformato la scuola nel migliore dei casi in un ring, nel peggiore dei casi in fortini Fort Apache assaltati da bulli, violenti, distruttori che pretendono di fare ciò che le norme vietano solo a parole. Basta. Non se ne può più.
Per essere chiari la prima terapia è la sospensione di tutte le prassi negative che da decenni infestano gli istituti scolastici statali che incidono negativamente sui comportamenti degli studenti e sul loro apprendimento. Zero pseudo diritti e massimo recupero dei doveri significa smetterla con l’oppio dei decreti delegati. Ripristinare la pax relazionale corretta significa che tutte le scuole si devono uniformare a un solo scopo: studiare e insegnare.
Reintrodurre la motivazione allo studio è possibile e dovrebbe costituire lo scopo fondamentale della nuova scuola, con l’obbligo di realizzare saperi mediante la nozione, ovvero conoscenza reale e non superficiale di ciò che si studia. Abrogare tutte le norme legislative dal 1975 in poi e ritornare a prima dei decreti delegati. Reintrodurre la logica del vecchio liceo classico e scientifico adattandolo alle nuove tecnologie e alle vecchie competenze. Altrimenti sarà tutta una illusione: si perderà tempo e denaro.

mercoledì 8 novembre 2017

Una massa di cinici e malvagi in giacca e cravatta in Parlamento.


Mai vista una classe politica di governo così inadeguata come quella italiana. I nostri governanti sono diventati miopi e sordi davanti a una realtà incontrovertibile di società ormai sbrindellata nella tenuta dell’etica e del senso civico che reclama interventi legislativi forti nel campo dei delitti contro le persone.
In poche parole in Italia oggi c’è una magistratura che a causa di rattoppi legislativi e di buchi normativi che si sono realizzati nel tempo hanno tolto efficacia alle norme del codice penale. La conclusione è che il medesimo Codice è diventato sostanzialmente inutile e totalmente inadeguato nella definizione delle pene ai criminali.
Quante volte abbiamo letto sui giornali che un anziano o una giovane hanno subito violenza da un loro nemico e i tribunali salvano il reo con condanne simboliche e inaccettabili perché lo prescrive il codice penale? Quante volte le vittime di violenza hanno dovuto nascondersi perché tra le pieghe degli articoli del codice vi era un comma che permetteva al reo non solo di non andare in galera ma che addirittura andasse ad abitare a pochi metri dalla vittima in attesa di una sentenza che non arriva mai?
Ormai questi casi non fanno più notizia, così come non fa più notizia la protesta di molte vittime che al danno devono subire anche la beffa dei rei che vengono scarcerati dalla magistratura.
Viene da Ostia l’ultima notizia che un giornalista è stato aggredito da un membro del clan locale riportando il setto nasale rotto. Sarebbe facile dire che chi fa violenza ha sempre torto. Parole che ormai nel registro della cronaca non hanno più alcun significato. Con questo slogan il problema non solo non lo si risolve ma lo si trasforma in un rito, inutile e oltraggioso per le vittime.
Il problema è più generale. In Italia il codice penale è ormai totalmente inadeguato a fronteggiare la violenza di coloro che non hanno rispetto della persona umana. E’ inutile girare intorno al problema perché questa è la verità. I politici, soprattutto quelli di governo, chiudono occhi e orecchie ai bisogni di giustizia dei cittadini. In un paese serio questi politici sarebbero stati mandati a casa e i nuovi politici avrebbero approvato nuove leggi più efficaci e più in sintonia con la domanda di sicurezza dei cittadini. Invece da noi questi politici - premier, ministri e responsabili dei partiti - non intervengono mai in sede legislativa per cambiare le norme adeguandole ai nuovi reati che si beano di parole come tolleranza e libertà. Quando tutti questi intelligentoni capiranno che la via maestra è quella della modifica legislativa del codice penale sarà troppo tardi.
Uno Stato serio avrebbe messo da tempo la fiducia su un provvedimento legislativo ormai ineludibile e in grado di evitare il ripetersi di fatti come Ostia, che riguardano addirittura il senso stesso della democrazia. Ma qui stiamo parlando di uno Stato serio non di uno Stato in cui il partito di maggioranza al governo pensa di bloccare le intercettazioni colpendo i giornalisti e non offrendo uomini e mezzi alle forze di polizia. Alle prossime elezioni il Pd diventerà irrilevante.

sabato 21 ottobre 2017

Il vero problema dell'integrazione


Il marocchino che incendia la casa in cui abita e uccide tre dei suoi quattro figli come esempio più recente è l'ennesima tragedia di un immigrato arabo che non possiede gli strumenti culturali occidentali per accettare la sua nuova realtà.
Il vero problema dell'integrazione è l'accettazione degli aspetti valoriali della persona che abbiamo noi in casa nostra. Questi aspetti che attengono alla sfera dei principi legislativi non si interiorizzano dalla sera alla mattina ma hanno la necessità di essere prima insegnati ai migranti e poi applicati da loro concretamente.
Il processo di crescita educativa richiede tempo, impegno e risorse. Ci vogliono dei centri didattici che si occupino di formare alla cultura occidentale i migranti tutti (espuntando dal loro pensiero di base la cultura della vendetta e valorizzare la cultura dei diritti e dei doveri, insegnare la lingua italiana, la Costituzione e le linee principali del diritto italiano, etc.).
Care Autorità politiche (governo, parlamento, partiti, organizzazioni no profit) se non capirete questo semplice assunto sbaglierete sempre.

lunedì 2 ottobre 2017

Quando è troppo è troppo: basta con il deficit etico delle Commissioni d’esame.


Ho provato irritazione quando i giornali hanno scritto recentemente articoli relativi alla questione degli arresti di docenti per avere truccato i risultati di alcuni concorsi nelle università. Fin da giovane, da quando ho frequentato le prime lezioni all’università, ho sentito spesso parlare di piccoli scandali relativi ai favoritismi che certi baroni universitari producevano in virtù del loro potere baronale per offrire a parenti e amici posti di insegnamento nelle università. Uno di questi scandali per esempio ha riguardato il fatto che per trovare posto a un figlio di un barone è stata creata ad hoc una cattedra nella Facoltà di Lettere di una università siciliana, il cui insegnamento ha preso il nome di “Psicologia dell’automobilista”.
Oltre questi antipatici fatti che comunque sono da stigmatizzare e da estirpare non c’è mai stato nulla di eclatante che permettesse l’arresto di alcuni di questi notabili.
Da studente non mi occupavo di politica attiva, anche se ero perfettamente consapevole che vivevo un periodo importante di cambiamenti della società italiana. Erano gli anni dal 1965 al 1969. Io ho vissuto il cosiddetto ’68 in prima persona, comprese le contestazioni e in alcuni casi la violenza degli studenti più ideologizzati che hanno bloccato più volte la didattica e gli esami. Come studente fuori sede mi preoccupavo di seguire le lezioni e di studiare. Non frequentavo pertanto alcun movimento di contestazione. Anzi, nel 1968 ho subito direttamente le conseguenze di quella follia perché più di una volta ho dichiarato che non accettavo la violenza fisica e psicologica nelle aule dell’università. In più ho perduto la possibilità di dare un esame nella sessione di febbraio del 1969 perché la mia facoltà rimase bloccata per occupazione dei collettivi studenteschi.
Le notizie degli arresti dei 7 titolari di cattedra, di cui alcuni addirittura di Diritto tributario, e dei 22 procedimenti di arresti domiciliari di altri docenti di Firenze e dintorni mi hanno indotto a rompere le righe di un insopportabile silenzio e dire la mia su questa squallida vicenda. In particolare mi soffermerò sulla dichiarazione del Presidente dell’Autorità anticorruzione, il magistrato Raffaele Cantone, il quale ha testualmente detto che: «negli atenei c’è un deficit etico, per cui è necessario cambiare le commissioni nei concorsi dei docenti».
Dunque, se non ho capito male, i media e la magistratura anticorruzione sono convinti che c’è un problema di aeticità nel nostro sistema di reclutamento scolastico tanto da far dichiarare senza mezzi termini che le commissioni d’esame fino a quelle dell’abilitazione sono inaffidabili.
Dico subito che c’era da aspettarselo ed è grave che le autorità di controllo universitario abbiano abbassato la guardia fino a giungere al limite della connivenza. A questo proposito affermo che se responsabilità c’è stata, essa è tutta contenuta nella nomina dei componenti delle Commissioni che hanno il delicato compito di valutare e giudicare i candidati. Il cancro sta tutto in questo limbo delle nomine delle Commissioni, perché come si dice in questi casi “sono andati nei posti giusti i vincitori sbagliati”.
Sono testimone oculare nonchè responsabile in prima persona di un fatto increscioso accadutomi nei primi anni ’80 che adesso racconterò per dimostrare come si possano evitare intrecci e garbugli simili a quelli commessi dagli arrestati se si è seri nei processi di svolgimento concorsuali.
Come docente di ruolo di scuola media superiore sono stato in quegli anni nominato dal Ministero della PI a Venezia componente di una commissione di esami di concorso a cattedre per docenti. La commissione era composta da tre elementi: il Presidente, che era un preside di Milano, un docente di ruolo di Brescia e il sottoscritto. Appena prima della prova scritta i due non si sono presentati perché hanno rifiutato l’incarico. La Sovrintendente Scolastica dell’Ufficio Interregionale per il Veneto e il Trentino-Alto Adige, preoccupata del loro ritiro, la sera prima della prova scritta mi convoca alla Sovrintendenza scolastica del Veneto in Cannaregio 6099 e mi informa che alla prova scritta avrei dovuto sostituirli e cavarmela da solo.
L’indomani, durante una fredda e innevata mattinata di metà dicembre, mi presento nella sede di esame con largo anticipo per iniziare le operazioni preparatorie e firmare un migliaio di fogli di carta protocollo già timbrati da consegnare ai candidati per la prova scritta, nonché completare tutte le operazioni di verbalizzazione della prova. Alle ore 9.00 in punto, con la collaborazione di decine di docenti di sorveglianza distribuiti su due turni, consegno ai 161 candidati dislocati nelle classi dell’Istituto dell’ITIS “Zuccante” di Venezia-Mestre il testo della prova e leggo a tutti le condizioni di esclusione dal concorso. Tra queste condizioni ne cito una sola a causa del fatto che essa manifesterà in tutta la sua importanza il motivo della eticità o meno durante lo svolgimento dello scritto. Sarebbero stati esclusi dalla prova scritta della durata di 8 ore "tutti coloro che sorpresi da un membro della commissione a copiare avessero commesso l’illegalità del plagio".
Alla fine del primo turno di sorveglianza vengo raggiunto nei locali della Presidenza della scuola da una anziana docente sorvegliante che a fine turno mi informa di avere visto che alcuni candidati copiavano brani da libri e fotocopie e che i colleghi destinati al controllo nelle aule invece di controllare i candidati controllavano me che non venissi all’improvviso nelle classi. Irritato e amareggiato da questa situazione che denotava una doppia immoralità, relativa non solo al fatto che io avevo avvertito tutti delle condizioni di esclusione ma che il solo controllato tra i presenti ero io e non i candidati, agisco in fretta. Con uno stratagemma colgo di sorpresa in alcune aule candidati e sorveglianti contestando a tre candidati le irregolarità e criticando l’operato del personale di sorveglianza. In poche parole riporto a verbale quanto successo, né più né meno, allegando le fotocopie sequestrate e i numeri delle pagine del manuale copiato. Dopo aver letto loro gli addebiti di contestazione da me verbalizzati e aver fatto firmare il verbale ai tre candidati li ho espulsi. Fu una giornata molto faticosa perché la prova e le relative operazioni di chiusura dei plichi mi fecero stare al lavoro fino a tarda sera senza mangiare e con un solo cappuccino servito in un bicchiere di plastica.
Durante le successive festività natalizie ricevetti la telefonata di una signora che voleva convincermi a firmare una dichiarazione con la quale smentivo me stesso per le cose scritte nel verbale di contestazione degli addebiti. La signora era la madre di un candidato espulso che aveva fatto ricorso al Ministero della PI per invalidare la mia decisione di espellere il figlio. Tuttavia le fu detto che le considerazioni presenti nel verbale e l’elenco delle prove esposte dal sottoscritto, formalmente ineccepibili, erano schiaccianti tanto che l’ispettore tecnico preposto fu ascoltato dal dirigente superiore della Direzione Generale del Personale e degli Affari Generali che si convinse a rigettare il ricorso. La conclusione dolorosa fu che i tre espulsi non ottennero l’annullamento del mio provvedimento e perdettero la possibilità di continuare le successive due prove pratica e orale. In riferimento poi all’esclusione dei tre candidati la commissione, durante le operazioni di valutazione degli elaborati, procedette all’annullamento di ben 8 elaborati perché individuò sicure e comprovate prove di plagio.
La morale della favola di questa storia vera e provabile, risalente a più di tre decine di anni fa che non avevo mai raccontato prima è semplice, e cioè che i timori dell’Autorità anticorruzione sono tangibili e maledettamente concreti ma che è possibile porre un argine alla voracità degli immorali mediante nomine di commissari onesti e consapevoli, in grado di giocare un ruolo di salvaguardia dei criteri di equità, giustizia e merito dei candidati.
Se il Ministero della PI lo avesse voluto e avesse continuato a volerlo, con il suo corpo ispettivo, avrebbe potuto intervenire sempre e in ogni luogo per evitare questi sconci e squallidi commerci.
Non per polemizzare ma per chiarire bene come stanno le cose desidereremmo conoscere dal Ministero della PI la statistica di quanti candidati sono stati esclusi per espulsione dalla data del concorso sopra esposto indetto agli inizi degli anni ‘80.

domenica 9 luglio 2017

Visione distorta del mondo.


A leggere le scarne note giornalistiche inerenti ai risultati del G20 ad Amburgo risulterebbe che due Signori di questo Alto Consesso siano degli irresponsabili. Parliamo al condizionale perchè le notizie che riguardano questa dichiarazione sono poche e difficilmente controllabili, peraltro racchiuse nel solo titolo dell'articolo dei giornali, che recita testualmente: «Russia e Cina si dichiarano contrarie a sanzioni ai trafficanti». Questo il fatto che adesso commenteremo brevemente.
A prima vista la dichiarazione sembra una provocazione fatta da due irresponsabili. Sebbene l'aggettivo sia troppo forte noi siamo dell'idea che la dichiarazione merita una nota di biasimo considerevole per motivi che adesso chiariremo.
Il mediterraneo in questo periodo sembra un lago o meglio un'autostrada che porta fiumi di migranti dalla sponda africana a quella europea. Ciò è possibile perchè un’organizzazione criminale, composta da pirati senza scrupoli, depreda i migranti (bambini, donne e uomini) dei loro averi e mette a repentaglio la loro vita su barconi insicuri. Più criminali di così non si può. La stessa mafia siciliana al cospetto sembrerebbe essere un’associazione di chierichetti. Ebbene la coppia di Capi di governo che fa? Invece di collaborare con le autorità dell’Unione Europea per contrastare questo genocidio perpetrato con cinico calcolo dai criminali negrieri dichiara che gli stessi trafficanti non devono essere perseguiti. Com'è possibile che decidono di fare una dichiarazione così provocatoria da non accorgersi di nulla?
Evidentemente c'è dell'altro che noi non conosciamo. Dunque, c'è da approfondire la questione e soprattutto c'è da conoscere l'opinione di organi di informazione differenti che finora hanno fatto gli gnorri.
Oggi la stampa continua a non aggiungere nulla a questo riguardo. A noi non rimane altro che scrivere poche cose circa il fatto che il problema dell'immigrazione pone ai governi e alla nostra coscienza la domanda ineludibile che la tratta degli immigrati rimane un crimine contro l'umanità e non sarà la dichiarazione di due Capi di governo, peraltro asiatici con forti interessi in Africa, a farci cambiare opinione.
Il problema in ogni caso non si risolve con la chiusura di porti e/o con respingimenti in massa ma con una politica che faccia comprendere ai governi africani che è più conveniente per loro evitare questa colossale migrazione biblica e fornire investimenti per i loro paesi per compensare l’impegno di evitare nuovi esodi. Nell’immediato l’Italia ha strumenti di persuasione nei confronti dell’UE. Li adoperi. Infine, l'Italia ha attualmente un posto nel Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Lo faccia diventare strumento di persuasione a livello mondiale oltre che europeo.

giovedì 6 luglio 2017

Lo stato costrutto: dubbi e problemi


Premessa

Perché questo articoletto sullo stato costrutto nella lingua araba? Ha ancora senso scrivere qualcosa relativa allo stato costrutto senza cadere nella banalità o, peggio, nella imitazione di altri articoli di studio? Che senso ha poi un frammento di riflessione sullo stato costrutto quando ci sono facilmente disponibili in biblioteche e in rete centinaia di libri, articoli e forum in tutte le lingue e in tutte le salse?
La risposta riguarda un mio desiderio. Quale desiderio? Quello di vedere scritto sui testi delle nuove grammatiche di lingua araba, più o meno contemporanee come si dice oggi, invece di “stato costrutto" il suo vero nome arabo “iḍāfah". Tutto qui? No, anche se a me sembra molto. È evidente che la questione della traduzione in italiano dei nomi dei costrutti grammaticali arabi non è solo nominale o accademica ma contiene aspetti metodologici e didattici di notevole valenza pedagogica, oltre che linguistica. Ne parleremo dopo.
Intanto mi chiedo perché se in arabo l'annessione di un muḍāf con un muḍāf ilayhi si chiama "iḍāfah" أَلإضَافَة, in occidente noi dobbiamo chiamarla "stato costrutto"? Anche i nomi dei due termini dell’iḍāfah sono criticabili. Perché dobbiamo chiamarli genericamente "primo termine" e "secondo termine" dello stato costrutto quando gli arabi gli danno un nome ben preciso a entrambi: muḍāf al primo e muḍāf ilayhi al secondo مُضَاف و مُضَاف إلَيْهِ? Non potremmo chiamarla anche noi semplicemente Iḍāfah, come sta scritto nei loro testi arabi?
In più, potrei aggiungere che la lingua araba essendo per gli arabi lo strumento attraverso il quale è scritto il Corano rimane inteso che è lingua sacra e immodificabile per ragioni soprattutto teologiche, oltre che per tradizione. In sintesi possiamo dire che la “fortuna” della lingua araba è il culto della lingua coranica nella sua accezione più forte che è quella religiosa e immutabile. Perché dobbiamo mutarli noi i nomi? Qual è dunque il bisogno irrefrenabile dei linguisti occidentali di non usare la stessa terminologia che usano gli arabi? Vogliono essere a tutti i costi originali o c’è dell’altro? Badate bene che oltre allo stato costrutto ci sono altre questioni terminologiche del genere nella grammatica araba che meriterebbero la stessa critica.
Ritorniamo allo stato costrutto. Mi si dirà che "stato costrutto" deriva dal latino status constructus e che pertanto ha radici lontane nella storia italiana ed europea. È vero. Tuttavia mi sento perfettamente in grado di dire che noi possiamo chiamarlo lo stesso Iḍāfah sopravvivendo all’evento “catastrofico” di modifica di una parola di etimologia latina a favore di una parola araba, ricordando magari in nota che in latino si dice "status constructus". Capisco che le resistenze dei tradizionalisti sono dure a morire. Ciò non toglie che si può provare come è stato fatto in qualche altra lingua.

1.L’Iḍāfah

Dunque, in questo trafiletto io chiamerò sempre lo “stato costrutto” Iḍāfah, إِضَافَة , cioè Annessione, ovvero una struttura grammaticale che opera in modo sinergico tra primo termine e secondo termine in modo da garantire alcune condizioni che elencherò tra poco. Sul vocabolario arabo-italiano Traini(5) a pag. 812 si legge : «aggiunta; addizione; annessione; aumento; supplemento; congiunzione; connessione; attribuzione; riferimento; rapporto di annessione, stato costrutto (gramm.)». Mentre مُضَاف si legge: «aggiunto; annesso; congiunto; connesso, unito; ascritto, attribuito, riferito (a الى); in stato costrutto, in rapporto di annessione (nome); il nome reggente nello stato costrutto (gramm.). Infine, المُضَافُ إِلَيْهِ il secondo termine di un rapporto di annessione, di uno stato costrutto, il caso genitivo (gramm.).
D'altronde al-muḍāf in arabo significa l'«annesso» e muḍāf ilayhi sarebbe l'«annesso verso esso», cioè “al quale è annesso”. Il nome “annesso” non è casuale ma soddisfa l’esigenza di dare senso all’annessione che in molte lingue è denominata con sinonimi del tipo adiacente o contiguo o attaccato o legato o congiunto. Il muḍāf ilayhi sarebbe quello che noi italiani chiamiamo “complemento di specificazione”, in latino “genitivo”. L’Iḍāfah è femminile mentre il muḍāf e il muḍāf ilayhi sono maschili.
Le peculiarità delle regole di questa tipologia di costruzione grammaticale del tutto particolare sono:
 tra il muḍāf e il muḍāf ilayhi è vietato interporre qualsiasi parola;
 il muḍāf, cioè il sostantivo che viene specificato rifiuta l’articolo;
 la preposizione semplice “di” non viene tradotta;
 il complemento di specificazione muḍāf ilayhi va posto subito dopo il sostantivo muḍāf che viene specificato;
 il complemento di specificazione muḍāf ilayhi è preceduto quasi sempre dall’articolo. In pochi casi particolari non lo ammette.
Esistono dei casi particolari in cui il muḍāf ilayhi, perfettamente determinato per natura o per altro, non prende l’articolo. Essi sono: 1) se è un nome proprio di persona; 2) se è un nome geografico; 3) se possiede un pronome suffisso.
In alcune grammatiche italiane di arabo pubblicate almeno più di mezzo secolo fa, i due termini in italiano sono stati chiamati rispettivamente “reggente” il primo e “retto” il secondo(1), oppure “primo nome” e “secondo nome”. La dicitura ricorda l’italiano dotto di secoli fa, ed è sempre meglio dell’uso generico di primo e secondo termine. Per curiosità mi pongo il problema di come si possa chiamare lo stato costrutto in altre lingue. Ecco una breve casistica:
In francese = annexion (7) o possession (possédé et possesseur)
In inglese = genitive construction o construct state
In spagnolo = anexión (2)
In russo = Состояние cопряженное(3) Sostojanie soprjažennoe(3) (condizione, stato di annessione o di congiunzione)
In ebraico = smikhut ([smiˈχut]) (סמיכות‎, letteralmente "sostegno" , "adiacenza").
Bene. Ritorniamo all’Iḍāfah soprattutto presentando adesso alcuni esempi che materializzano dubbi e concretizzano perplessità a cui ho accennato all’inizio.

2.I quattro casi più evidenti di Iḍāfah

Com’è noto l’Iḍāfah è costituita da due parole all’interno delle quali non può essere inserita un’altra parola o più parole. L’esempio che prenderò a prestito è “la macchina del direttore” che consiste come si vede nei due sostantivi “macchina” e “direttore”.
Preso atto che queste due parole possono essere determinate o indeterminate, le possibili combinazione di queste due parole tra di loro sono quattro. Infatti il muḍāf “macchina” può essere o determinato (la macchina) o indeterminato (una macchina). Lo stesso dicasi per l’Iḍāfah ilayhi “direttore”, che può essere o determinato (il direttore) o indeterminato (un direttore). Ecco le quattro possibili combinazioni:

1. La macchina del direttore
2. La macchina di un direttore
3. Una macchina del direttore
4. Una macchina di un direttore.

E’ evidente che nel primo caso si ha una precisa macchina, unica, determinata che è di proprietà dell’unico direttore, determinato anch’esso, che è proprietario della sua unica macchina. Non ci sono dubbi di sorta né su chi è il proprietario della macchina, né che la macchina non sia del direttore.
Nel secondo caso cessano le certezze e si introduce una indeterminazione. Qui si parla della macchina di un direttore, un direttore qualunque della classe dei direttori presenti in quella città o dell’intero paese. Dunque esistono tanti direttori. Quanti siano di preciso non ci interessa. Quello che interessa invece è che ci sono molti direttori che possono avere la macchina, una macchina. Uno dei tanti direttori ha sicuramente una macchina. Di questo si tratta.
Nel terzo caso si avrà il contrario del precedente. Cioè questa volta il direttore è unico e perfettamente determinato e non c’è alcuna possibilità che non sia unico perché trattasi di quel preciso direttore. Mentre la sua è una delle tante auto che egli possiede. Non ci interessa quante macchine abbia. Ci interessa viceversa che questo preciso direttore abbia molte macchine. Ebbene qui si tratta di una delle tante macchine (indeterminata) del direttore (determinato e conosciuto in modo sicuro). È la macchina ad essere indeterminata non il direttore. Cambiano i due protagonisti nella titolarità della determinazione.
Nel quarto e ultimo caso invece, specularmente al primo, entrambi muḍāf e muḍāf ilayhi sono indeterminati. Si tratta di una delle tante macchine di uno dei numerosi direttori di quella città. Più indeterminatezza di così non si può avere.
Traduciamo in arabo le quattro espressioni:

1. سَيَّارَةُ المُدِيرِ
2. سَيَّارَةُ مُدِيرٍ
3. سَيَّارَةٌ لِلمُدِيرِ oppure سَيَّارَةٌ مِن سَيَّارَاتِ المُدِيرِ
4. سَيَّارَةٌ مُدِيرٍ

Questa è la traduzione delle quattro espressioni. Adesso commentiamola. Prima però una considerazione. A proposito del fatto se tutti e quattro o solo alcuni dei quattro casi in lingua araba possono intendersi casi espliciti di iḍāfah devo ammettere che c'è un po' di confusione nella didattica italiana perché quasi tutte le grammatiche esistenti sul mercato non accennano all'esistenza di tutti e quattro i casi possibili. Qualcuna ne elenca tre, altri due e qualcuna propone delle perifrasi a causa della indeterminazione del muḍāf. In effetti il problema è complesso e viene reso più difficoltoso allo studente che non sa a quale manuale completo riferirsi per scrollarsi di dosso i dubbi. Per cui dei quattro casi solo due sono i casi effettivi di iḍāfah mentre per altri sono tre e per altri ancora ci sono dubbi in relazione a queste affermazioni. Nelle conclusioni si vedrà meglio la questione.

Primo caso

Ovvero la macchina del direttore. E’ il caso classico per eccellenza di un’iḍāfah che in grammatica italiana introduce il complemento di specificazione e risponde alla domanda di chi? di che cosa? Nel nostro caso di chi è la macchina? La macchina è di proprietà del direttore e, dunque, la macchina del direttore diventa: سَيَّارَةُ المُدِيرِ .
Osservando le regole che ho precedentemente chiamato peculiarità, ci troviamo nel caso classico di iḍāfah. Mi sento di affermare con un po’ di forzatura che la presenza dell’articolo nel muḍāf ilayhi, tra l’altro perfettamente determinato, può essere inteso come corrispondente alla preposizione semplice “di” in italiano“.
Senza nulla togliere agli altri casi questa è la vera iḍāfah, cioè il muḍāf è al nominativo con la dammah sulla ة (ta marbuta) ultima lettera del muḍāf, mentre il muḍāf ilayhi è al caso obliquo con la kasrah sotto la ر (ra) come deve sempre essere. Questo caso è un esemplare perfetto di rappresentazione fraseologica dell’iḍāfah. Possono esistere benissimo casi in cui il muḍāf sia all’accusativo o al caso obliquo oltre che al nominativo.

Secondo caso

Ovvero la macchina di un direttore, cioè la macchina è posseduta da un signore chiamato direttore e non di un infermiere o di un tassista.
Se il muḍāf ilayhi è indeterminato come in questo caso, che discute di un direttore fra i tanti, tutta l’iḍāfah è da considerare indeterminata non nel senso della morfologia del muḍāf che prende la vocalizzazione grammaticale che gli tocca ma nel senso generale dell’intera costruzione annettiva. Questo perché la carica di determinazione la veicola come abbiamo già detto il muḍāf ilayhi. In più la sua indeterminazione si fa sentire maggiormente quando si è in presenza di sostanze liquide come nell’espressione un bicchiere d’acqua (quanta acqua? un bicchierino? due bicchieri?) o una tazza di caffè (quanto caffè? il fondo di una tazzina? ristretto o allungato?) o una spremuta di arancia (quante arance devono essere spremute?).
Ritornando al discorso precedente la macchina deve essere di un direttore tra i tanti. Posso ipotizzare che non tutti i direttori abbiano una macchina? No. Non è consentito, perchè noi supponiamo che tutti i direttori abbiano una macchina. Qui quello che può cambiare è il direttore che risulta essere indeterminato e pertanto immagino che dovrà avere il tanwin o nunazione (in arabo التَّنْوين ) ma non la sua macchina la quale è “attaccata” al sedere del direttore. La traduzione risulta: سَيَّارَةُ مُدِيرٍ . È ovvio che essendo una macchina indeterminata il sostantivo che rappresenta il muḍāf ilayhi si traduce con un nome indeterminato cioè con il tanwin della kasra.

Terzo caso

Ovvero una macchina del direttore. In letteratura si è concordi nel dire che questo caso non è una iḍāfah. Perché? Perché mancano i presupposti, cioè il sostantivo macchina dovendo rimanere indeterminato non può fare uso dell’iḍāfah perché il muḍāf è determinato. Di conseguenza sarà necessario ricorrere a delle perifrasi e trasformare l’iḍāfah in una delle due maniere: o «una macchina per il direttore» e in tal caso si adopera la particella لِ (li) diventando سَيَّارَةٌ لِلمُدِيرِ , oppure «una macchina delle macchine del direttore» e in tal caso si adopera la preposizione partitiva مِن e scrivendo due volte la parola macchina e la seconda volta mettendola al plurale in una forma abbastanza complicata سَيَّارَةٌ مِن سَيَّارَاتِ المُدِيرِ di una macchina delle macchine del direttore.

Quarto caso

Ovvero una macchina di un direttore. Il quarto caso considera indeterminati entrambi il muḍāf e il muḍāf ilayhi. Una traduzione acritica darebbe: سَيَّارَةٌ مُدِيرٍ con il tanwin della dammah sul muḍāf e il tanwin della kasrah sul muḍāf ilayhi. Questo caso tuttavia risponde all’esigenza classificatoria di tradurre comunque uno “stato costrutto occultato” da caratteristiche specifiche che lo rendono anomalo (come “un gruppo di direttori”). L’anomalia è rinforzata dal fatto che c’è una doppia indeterminazione, oltre al fatto che entrambi i termini non dovrebbero avere l’articolo. Sui manuali tuttavia molti autori non considerano per niente questo caso una iḍāfah. Altri si astengono di citarlo e altri ancora lo considerano ambiguamente una falsa iḍāfah o se si vuole, che è lo stesso, una iḍāfah artificiosa tra due termini entrambi indeterminati che minano alla base il senso della specificazione e dunque dell’idea di iḍāfah.

3.Iḍāfah complessa

L’iḍāfah si può presentare in forme più articolate introducendo per esempio elementi estranei alla struttura grammaticale della specificazione. Per esempio riprendendo l’esemplare di iḍāfah classico sopra proposto si potrebbero introdurre interessanti conseguenze se si aggiungono aggettivi nell’iḍāfah. Si parla in tal caso di Iḍāfah complessa. Ricordando che fra il muḍāf e il muḍāf ilayhi non è possibile inserire alcuna parola, un aggettivo deve essere collocato solo alla fine. Infatti dei quattro casi possibili:
-L’automobile del direttore
-La grande automobile del direttore
-L’automobile del grande direttore
-La grande automobile del grande direttore.
L’ultima non si può considerare una iḍāfah perché non è possibile chiarire il nesso tra i due aggettivi e i loro referenti. Vediamo come vanno le cose:
سَيَّارَةُ المُدِيرِ
سَيَّارَةُ المُدِيرِ الكَبِيرَةُ
سَيَّارَةُ المُدِيرِ الكَبِيرَةُ
السَّيَّارَةُ الكَيِرَةُ لِلمُدِيرِ الكَبِيرِ
Infatti il primo caso è il normale caso di iḍāfah. Il secondo caso è una iḍāfah in cui l’aggettivo si riferisce al muḍāf e prende la stessa vocalizzazione, in questo caso la dammah. Il terzo caso è una iḍāfah in cui l’aggettivo si riferisce al muḍāf ilayhi e prende la stessa vocalizzazione, in questo caso la kasrah. Il quarto caso non è una iḍāfah perché si è costretti a spezzare l’iḍāfah in due tronconi a ognuno dei quali è aggiunto il proprio aggettivo.
La presenza degli aggettivi è semplice nel secondo e terzo caso. Nel quarto si perde la caratteristica della specificazione che in arabo è prodotta dalla particella لِ (li).

4.Idafa complessa con scambio tra mudaf e mudaf ilayhi

L'iḍāfah complessa precedente è costituita dal mudaf femminile (macchina) e dal mudaf ilayhi maschile (direttore). Per completezza di genere trattiamo il caso inverso, scambiando il mudaf con il mudaf ilayhi in modo da invertire il genere dei due termini dell'annessione. Anche se in italiano non ha molto significato parlare di “un direttore della macchina” (sulle navi in verità vi è un “direttore di macchina” nella stiva di una nave che è una qualifica professionale a bordo, trattiamo questo caso solo per motivi didattici.
Avremo:
Il direttore della macchina
Il grande direttore della macchina
Il direttore della grande macchina
Il grande direttore della grande macchina.

Ecco come:
السَّيَّارَةِ مُدِيرُ
السَّيَّارَةِ الكَبِيرُ مُدِير
السَّيَّارَةِ الكَبِيرَةِ مُدِيرُ
الكَيِرَةُ لِلسَّيَّارَةِ الكَبِيرِ المُدِيرُ

5.Iḍāfah grammaticale

Altro campo che ci si sente di esplorare per una maggiore comprensione e chiarezza del tema in questione è l’Iḍāfah che tiene conto dell’’irab إعْرَاب cioè della vocalizzazione grammaticale del muḍāf. I tre casi possibili, com’è noto, si riferiscono ai tre casi di nominativo, accusativo e obliquo portati dal muḍāf. In altre parole ecco la griglia delle tre possibilità:
Iḍāfah grammaticale
La macchina (come muḍāf) La macchina del direttore (come Iḍāfah)
1 Nominativo : السَّيَّارَةُ as-sayaratu سَيَّارَةُ المُدِيرِ sayaratu-l-mudiri
2 Accusativo : السَّيَّارَةَ as-sayarata سَيَّارَةَ المُدِيرِ sayarata-l-mudiri
3 Obliquo : السَّيَّارُةِ as-sayarati سَيَّارَةِ المُدِيرِ sayarati-l-mudiri
Il muḍāf cambia vocalizzazione grammaticale a seconda del fatto che il muḍāf è al nominativo (dammah), all’accusativo (fatah) o al caso obliquo (kasrah). Evidentemente qui la vocalizzazione lessicale (تشكيل) fa da sfondo nella traslitterazione delle parole arabe. Dunque l’Iḍāfah ammette tranquillamente che il muḍāf sia oltre che al nominativo, anche all’accusativo e al caso obliquo.

6.Iḍāfah al duale e al plurale

Il nome del muḍāf quando esso è nella forma duale o al plurale perde la ن (nun) caratteristica di entrambe le forme. Nel nostro caso al duale potremmo dire: Le due macchine del direttore sono presenti, cioè حَضَرَ سَيَّارَتَا المُدِيرِ . Al plurale invece la frase sarebbe I direttori delle macchine sono arrivati che si traduce come segue: جَاء مُدِيرُو السَّيَّارَاتِ .

7.Le catene di Iḍāfah

Può essere interessante prima di concludere aggiungere qualche esempio di annessioni concatenate o catene di iḍāfah. Vediamo quali.
1) La chiave della porta della macchina del direttore,
2) La chiave della porta grande della macchina del direttore.
Come traduciamo queste catene?
1) مِفْتَاحُ اليَابِ سَيَّارَةِ المُدِيرِ
2) مِفْتَاحُ البِابِ الكَبِيرُ لسَّيَّارَةِ المُدِيرِ o anche مِفْتَاحُ بَابِ سَيَّارَةِ المُدِيرِ الكَبِيرُ .
8.Considerazioni finali

Chi è senza peccato scagli la prima pietra si dice. Ebbene qui manca addirittura la pietra per contestare che tutti questi casi, ancorché perfettamente giustificati e codificati con la regola di una norma grammaticale, spesso inducono gli studenti a rimanere con dubbi e perplessità. Non giova il fatto che manchi una pubblicazione normativa che elimini traduzioni approssimative o peggio evasive del problema.
Quasi sicuramente questo articoletto aumenterà l’entropia associata alla comprensione della struttura grammaticale in esame.
Chiamare la costruzione genitiva stato costrutto o annessione non è questione di vita o di morte. Sono invece interessato a valorizzare la terminologia araba, non foss’altro perché si tratta di una terminologia primigenia che merita attenzione e riguardo. Molti docenti di madrelingua araba non si fanno scrupoli di chiamarla senza mezzi termini Iḍāfah. Posso citare Lucy Ladikoff Guasto(12) che sia nell’indice a pag. 10 , sia nel testo a pag. 136 introduce il tema in esame chiamando /al-iḍāfah/ ألإضأفَةُ dal verbo /aḍafa/ أضافَ (aggiungere/ annettere); إِضافَة è “annessione”. Younis Tawfik (13) che nel testo a pag. 73 titola Al-Idāfa. Il Dr. V. Abdur Rahim(15) docente alla Madina Islamic University nel suo famoso corso دروس اللغة العربيّة a pag. 24 del testo non cita nemmeno che si chiama Iḍāfah, mentre a pag.12 delle note in inglese parla solo del muḍāf e del muḍāf ilayhi. Lo studente che ha dubbi difficilmente potrà raggiungere lo scopo della piena consapevolezza del tema dell’Iḍāfah. Né gli esempi sopra scritti e commentati risolvono da soli il problema perché si potrebbe obiettare semmai che li alimenta lo fa a causa della scelta inopportuna di mischiare un muḍāf di genere femminile con un muḍāf ilayhi di genere maschile. Il controllo del muḍāf deve tenere presente la presenza di una ة marbuta finale che può creare problemi, per esempio nel momento in cui si voglia andare a trattare casi diversi di un'unica Iḍāfah.
Un’altra osservazione che mi viene in mente riguarda la prescrittività o meno delle norme grammaticali. Orbene nel paragrafo 1) la prima condizione che deve rispettare l'Iḍāfah è che tra il muḍāf e il muḍāf ilayhi è vietato interporre qualsiasi parola. Bene. Esiste una eccezione che non annulla la peculiarità ma la aggira in modo elegante. La si trova a pag. 140 del libro della Guasto(12) che dice :
<< Ella è una delle insegnanti di questa Università: هي مُدَرِّسَةٌ مِن مُدَرِّيات هذه الجامِعَة . Si era detto che nulla può frapporsi tra i due elementi dell’Iḍāfah, in quest’ultimo esempio, l’espressione “questa università” هذه الجامِعَة (dimostrativo+un nome con l’articolo) è considerata come se fosse un’unica parola (cfr. Unità II,A), perciò non infrange la regola>>.
Si potrebbe continuare ma ci fermiamo qui. Molti docenti di molte scuole di tutto l'Occidente(*) hanno dichiarato di essere rimasti letteralmente sconvolti per il numero di studenti che studiano da diversi anni la lingua araba e non conoscono la differenza tra una Iḍāfah e una frase di sostantivo-aggettivo.
Questi alcuni esempi per chiarire la questione proposti da un docente di lingua inglese: 1) un professore universitario e un professore di una università ; 2) the office director and the director of the office ; 3) the teacher's house and the house of the teacher; etc. In modo non tanto ironico viene da pensare che per migliorare la chiarezza espositiva della struttura grammaticale dell’Iḍāfah bisognerebbe istituire la cattedra dello “stato costrutto”.

Bibliografia

(1) M.G. Dall’Arche, Corso d’arabo per le scuole secondarie, vol.I pp.109-117, Roma, Casa editrice Fiamma Nova, 1962;
(2) Fortunato Riloba Alcade, Gramatica arabe-española, pp.306-308, Madrid, Edelsa, 1986;
(3) Н.В.Юшманов, ГРАММАТИКА ЛИТЕРАТУРНОГО АРАБСКОГО ЯЗЫКА, Москва, 1985;
(4) Laura Veccia Vaglieri, Grammatica teorico-pratica della lingua araba, Vol. 1 pag.62, Roma, Istituto per l’Oriente, 2001;
(5) Renato Tràini, Vocabolario arabo-italiano, pg.812, Roma, Istituto per l’Oriente, 1993;
(6) Hans Wehr, Dictionary of Modern Standard Arabic;
(7) Le Dictionnaire Francais - Arabe, p.47, Beyrouth, Dar Al-kotob al-ilmiyah, 2004;
(8) Claudia Maria Tresso, Lingua araba contemporanea, pp.125-132, Milano, Hoepli, 2008;
(9) O.Durand-A.Daiana Langone-G.Mingon, Corso di arabo contemporaneo, pp.85-87, Milano, Hoepli, 2010;
(10) Alma Salem-Cristina Solimando, Imparare l’arabo conversando, p.26, Roma, Carocci, 2013;
(11) Abrah Malik, Al Kitab della lingua araba. Teoria e pratica, pp.115-116, Roma, Eurilink,2014;
(12) Lucy Ladikoff Guasto, Ahlan. Grammatica araba didattico-comunicativa, pp. 136-141, Roma, Carocci, 2010;
(13) Younis Tawfik, As-Salamu alaikum. Corso di arabo moderno, pp.73-74, Torino, Ananke, 1999;
(14) Vito Martini, Grammatica araba, p.26-31, Milano, Cisalpino Goliardica, 1939;
(15) Dr. V. Abdur Rahim, Arabic Course, vol.1, Leicester, UK Islamic Academy-CPI Bath Press, 2005;
(16) Agnese Manca, Grammatica teorico-pratico di arabo letterario moderno, pp. 48-54, Associazione Nazionale di amicizia e cooperazione italo-araba, Roma, 1999;
(17) Eros Baldissera, Arabo. Dizionario compatto italiano-arabo e arabo-italiano. Note di Grammatica araba, p.277, Bologna, Zanichelli, 1994;
(18) Claudia Maria Tresso, Dizionario arabo Italiano-Arabo, p.1336, Milano, Hoepli , 2016;
(19) Luc-Willy Deheuvels, Grammatica araba. Manuale di arabo moderno, pp.43,85, vol.1, Bologna, Zanichelli, 2010;
(20) Giuliano Lancioni, “Struttura profonda del rapporto di annessione nell'arabo parlato di Damasco” in Rivista degli studi orientali, vol.63, Fasc 1/3 (1989), pp.65-79, Roma, Sapienza - Università di Roma, 1989;
(21) Fabrizio A. Pennacchietti, “Stato costrutto e grammatica generativa”, in Oriens Antiquus, XVIII, Roma, Centro per le antichità̀ e la storia dell'arte del Vicino Oriente, 1979;
(22) La costruzione genitiva, http://arabic.tripod.com/GenitiveConstruction.htm
(*) http://allthearabicyouneverlearnedthefirsttimearound.com/p1/p1-ch2/the-idaafa/

domenica 28 maggio 2017

Traslitterazione si o no?


L'enciclopedia Treccani definisce traslitterazione il "riscrivere un testo facendo uso di un sistema di scrittura diverso da quello originale". La traslitterazione quindi non è la traduzione di una parola da una lingua a un’altra, per esempio dall’arabo all’italiano, ma è il processo più modesto e meno pregnante di trasformare le lettere di un alfabeto (per esempio arabo) in lettere di un altro alfabeto (per esempio italiano).
In altre parole la traslitterazione è il processo linguistico tendente a riprodurre lettere con altre lettere, senza aggiungere altro significato. Obiettivo della traslitterazione è pertanto quello di permettere la ricostruzione del testo originale solo sulla base della conoscenza del solo alfabeto del testo traslitterato.
Per l’economia del nostro discorso l’alfabeto traslitterante è l’alfabeto (italiano) secondo cui si trascrive la parola originale (scritta in arabo), mentre l’alfabeto traslitterato (arabo) è l’alfabeto che si intende riprodurre nell’altra lingua (italiano). Questo processo viene adoperato generalmente dal neofita che studia una lingua il cui alfabeto non ha i caratteri della propria lingua. La difficoltà del neofita è propria di colui che deve apprendere una lingua le cui parole sono scritte in un alfabeto a lui irriconoscibile.
Un esempio è il seguente:
traduzione: البيت = la casa / traslitterazione: البيت = albait .
Dopo aver presentato questa lunga premessa vediamo di chiarire alcuni aspetti non superficiali della questione “traslitterazione” dell’arabo in caratteri latini. Alla domanda se considero utile nel mio studio dell’arabo la traslitterazione rispondo subito no. Sono dell’avviso che nel mio caso la traslitterazione non è da adoperare né in versione pragmatica né in versione scientifica.
Altro discorso è in un corso universitario. Ma se mi avessero fatto la stessa domanda quando ho iniziato a seguire la prima lezione del corso di arabo elementare avrei senz’altro risposto di si. A quel tempo senza la traslitterazione mi sarei sentito perduto perché davanti a lettere sconosciute come la م traslitterarla con la più familiare «m» italiana è stato per me un sollievo enorme.
Non solo. La traslitterazione mi ha aiutato a capire meglio la differenza tra una vocale breve e una lunga. La fatah è un segno che definisce una vocale breve a cui corrisponde il suono «a» mentre la alif è una vocale lunga a cui corrisponde il suono «ā» cioè il suono della «a» allungata come se fosse una doppia a. Il libro Grammatica teorico pratica della lingua araba di Laura Veccia Vaglieri, a mio giudizio l’unica grammatica della lingua araba di tipo normativo insuperabile, che ha formato tutti gli studiosi e i professori italiani di arabo dell’intero secolo XX, a questo proposito è prescrittiva. Essa non solo considera la traslitterazione parte integrante del processo di apprendimento ma addirittura la impone, rendendola di fatto obbligatoria, con esercizi di traslitterazione impegnativi.
In più non c’è un solo docente di arabo universitario italiano che non usa e spesso abusa della traslitterazione. Anzi, i lavori tecnici di approfondimento di carattere universitario degli arabisti in Italia sono tutti traslitterati e molti docenti nelle loro lezioni scrivono alla lavagna le parole arabe traslitterate in italiano. Addirittura poi esiste una trascrizione fonetica internazionale secondo le norme dell’International Phonetic Alphabet (I.P.A.), alla buona una specie di alfabeto della traslitterazione chiamato scientifico che risolve il dannato problema della comprensione babelica in lingue diverse dei suoni delle lettere di tutti gli alfabeti.
Non sono un linguista e pertanto non conosco bene questi aspetti tecnici. Tuttavia è importante sapere che esistono e che questi aspetti non sono da sottovalutare e a costo di ripetermi dico a chiare lettere che adesso che so qualcosina di arabo la traslitterazione la sconsiglio a tutti. Ci sono un mucchio di ragioni che mi inducono ad essere di questa opinione: dal fatto che appesantisce l’apprendimento al fatto che si faccia uso di una metalingua di mediazione inutile e inservibile, che non aggiunge conoscenza ma che al contrario complica il processo di apprendimento della lingua araba dovuta al fatto che allunga i tempi di apprendimento e distrae dal tratto calligrafico. Per non parlare poi del fatto che spesso dagli appunti presi non si capisce se una fatah indica una vocale breve o un accento acuto italiano che differenzia una parola piana da una sdrucciola. Mi pongo a questo punto la domanda del titolo se traslitterare è cosa buona e giusta oppure no. Certo far digerire a un arabista che è abituato a traslitterare l’idea che stia perdendo tempo e fatica nella sua attività didattica per un’attività inutile è troppo. Nello stesso tempo imporre a un arabista abituato a non traslitterare di insegnare a tutti i costi agli studenti la traslitterazione è anch’esso troppo. Dunque la risposta definitiva può essere data solo in funzione degli obiettivi dell’insegnamento e dell’apprendimento.
La conclusione di questa delicata questione mi sembra evidente. Se si frequentano dei corsi universitari dove la componente formale della preparazione è un elemento essenziale della conoscenza professionale della lingua araba la traslitterazione deve essere studiata e conosciuta. Se viceversa si studia l’arabo fuori dai circuiti professionali di carattere universitario la traslitterazione paradossalmente da elemento conoscitivo diventa una palude melmosa in cui lo studente si può impantanare.
Bibliografia
1. Elab El-Shaer, I problemi di trascrizione e traslitterazione dell'arabo, Fasano, Schena Editore, 2004;
2. Nullo Minissi, La Trascrizione e la traslitterazione, Roma, Carucci Editore, 1973;
3. Giulio Soravia, La trascrizione dell’arabo in caratteri latini, 10/04/2017, https://docs.google.com/file/d/0B4ClQW1Psp9laTNxclNtdmFaUjQ/edit?pli=1 .

lunedì 15 maggio 2017

Alla fine a piangere sono i citrulli digiuni di sicurezza in rete.


WannaCry ovvero il malware dal titolo “voglio piangere” l’altro giorno ha colpito e prodotto guai enormi a circa 100mila computer nel mondo. Molti di questi pc sono di istituzioni importanti come ospedali, ferrovie, uffici postali, ecc. All’UE dicono che “non aggiornare i pc è un atto di negligenza”. Hanno ragione ma c’è dell’altro: l’imperizia e il digiuno di conoscenze sulla sicurezza.
Lasciamo stare per ora la localizzazione dei personal computer infettati e concentriamoci su cosa in primis è necessario che i governi mondiali facciano per evitare simili e più gravi situazioni in futuro.
Prima di proporre un elenco motivato di azioni necessarie a salvaguardare in futuro guai ancora più grandi è necessaria una doppia premessa che riguarda la nuova moneta digitale che garantisce l’anonimato nelle transazioni e l’impreparazione degli utilizzatori di pc.
Il "bitcoin" così si chiama questa moneta di cui gli hacker vogliono il pagamento dei riscatti e il cui possesso è non solo anonimo ma addirittura questa moneta virtuale non è emessa da alcuna nazione del mondo perchè esiste solo in rete, è da smantellare subito, prima che sia troppo tardi.
In pratica è il primo e immediato intervento che è necessario effettuare affinchè il problema venga eliminato alla radice. Solo impedendo l'anonimato nell'incasso del riscatto si può, a parere di molti esperti, evitare alla radice il male. L'altra premessa riguarda la stupidità umana dei dilettanti dell’uso del pc che con molta superficialità non si curano di creare le premesse per una difesa adeguata all'intrusione di virus, malware e trojan che sono le “nuove malattie” del futuro.
La vaccinazione contro la stupidità umana di molti possessori di pc deve essere obbligatoria. In base a questa premessa è obbligatorio che ogni utilizzatore di pc debba sostenere un esame per prendere il patentino di "info-pc", come per la patente delle auto, senza il quale potrà usare il proprio pc solo a casa e in privato ma non su alcun pc di società e istituzioni pubbliche. In poche parole la propria ignoranza non può essere messa al servizio di hacker senza scrupoli.
Tuttavia la premessa per essere completa necessita di un inciso personale e riguarda l’autore del post. Quando la telematica nacque con i primi pc connessi in rete il sottoscritto era già un utilizzatore di pc di prima generazione. A questo link c'è la storia del mio primo collegamento in internet che avvenne nel 1996. Bene. Affermo orgogliosamente che da quella data ho usato il pc collegato in rete fino a tutt'oggi e in maniera intensa e professionale senza mai prendere un solo virus nè un trojan e neanche un malwerino da mercato delle pulci domenicale. In 21 anni non ho mai avuto un solo problema del genere. Come mai? Semplice. Ho capito da tempo che la rete è una cosa pericolosa soprattutto per gli ingenui, i pigri, i distratti, i presuntuosi e i dilettanti.
Bastano poche azioni per permettere a tutti sicurezza nella navigazione. Eppure la gente è superficiale e non usa il cervello. Non lo dico solo io ma lo dicono gli esperti. Basterebbe conoscere un po' il funzionamento di un collegamento in rete per capire che sono severamente vietati i seguenti cattivi comportamenti da evitare con cognizione di causa :
-non utilizzare password insicure;
-se non conosci il mittente di una mail mai fare doppio clic sugli allegati di sconosciuti o sui link presenti nella mail stessa;
-controlla sempre che quando ti colleghi in rete sia presente nella casella degli url il lucchetto o la lettera s nel protocollo https evitando cosi siti pericolosi;
-aggiorna sempre antivirus e sistema operativo.
Basterebbero questi soli suggerimenti per evitare catastrofi. Poi installa per sicurezza
-un programma come Pgp che cripti i tuoi file sensibili;
-fai sempre il back up.
A questo punto sarà difficilissimo avere problemi. Non fai questo? È molto probabile che nel tuo futuro ti succederà il dramma della perdita dei tuoi dati.
Ritorniamo alla domanda iniziale: cosa è necessario fare per evitare situazioni criminali come quella verificatasi l’altro ieri? La risposta è una sola: sinergia della politica e dell’intelligence sotto l’ombrello internazionale dell’Onu e delle istituzioni sovranazionali con il compito di sanzionare i governi e gli Stati che permettano o facilitano questi attacchi contrari all’umanità. Interrompere le prestazioni di servizi come la sanità, i trasporti, l’educazione sono atti criminali che devono essere sanzionati in maniera forte. L'inerzia dei governi e delle istituzioni sarà responsabile della replica degli attacchi criminali.

venerdì 5 maggio 2017

Inaffidabilità e furbetti in action nella legge sulla legittima difesa.


Salvini e Meloni da destra definiscono la legge sulla legittima difesa della maggioranza, che è stata approvata ieri alla Camera, “una vergogna” perché non difende i cittadini aggrediti a casa. Saviano, Bersani e Fratoianni invece la definiscono una degenerazione di tipo fascista che fa gli interessi della lobby delle armi. La destra e Berlusconi accusano il Pd di essere dei veri comunisti mentre la sinistra e M5S accusano il Pd di essere di destra e la gazzarra dal Parlamento si trasferisce sui giornali di partito e non. Nel centro del ciclone il Pd che ha dovuto fare subito marcia indietro per la levata di scudi e ha promesso al Senato modifiche. Quali ancora non si sanno.
Questo il fatto che desideriamo commentare. Analizziamolo attentamente dal punto di vista logico. Dunque, ci sono da una parte “politici di destra” che criticano il Pd perché fa una politica di sinistra e dall’altra parte ci sono “politici di sinistra” che criticano lo stesso Pd che fa una politica di destra.
Dal punto di vista logico c’è una evidente contraddizione che prima di essere politica è logica. Come sia possibile che un politico di destra definisca un provvedimento legislativo di sinistra e contemporaneamente un politico di sinistra definisca lo stesso disegno di legge di destra è un mistero.
Invero questo paese è un enigma. E’ evidente che c’è qualcosa che non va, perché un provvedimento o è di destra per tutti o è di sinistra per tutti. Non può essere di destra per quelli di sinistra e di sinistra per quelli di destra. Dunque, qui qualcuno bara. Chi? A nostro parere tutti i politici di destra e di sinistra. Ha ragione dunque il Pd? Ma neanche per sogno! Il Pd non può far finta di cambiare una legge perché non funziona e lasciarla praticamente la stessa, a parte il dettaglio “della notte”, che è ridicola in se stessa prima che per altro. Che facciamo consideriamo un evento delittuoso come reato se è commesso di notte, mentre se lo stesso reato viene commesso di pomeriggio non lo è? Addirittura si potrebbe obiettare che se il reato viene compiuto durante l’estate col sole non solo non è reato come prima ma addirittura è la beatificazione del reo che merita una medaglia? Ma per favore!
La verità è un’altra. I fatti ci dicono chiaramente che destra e sinistra sono inaffidabili “per prassi” logica mentre per il Pd sarebbe il caso che il vincitore delle primarie non sprecasse quel po’ di interesse e di affidabilità che è riuscito a riconquistare nel paese con le primarie e viceversa si concentrasse a organizzare una attività parlamentare del suo partito più trasparente, chiara e logica e non fare il furbetto del quartierino. Cioè, per farci capire meglio, Renzi deve usare le stesse parole che disse Gesù nel discorso della montagna e riportate da Matteo nel Nuovo Testamento [5,17-37] : “Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno”. Te capì?

mercoledì 3 maggio 2017

Dal perfezionismo legislativo del “sistema giuridico" italiano allo screditamento definitivo.


Siamo allo screditamento generale non solo della politica della logica ma anche della logica della politica e aggiungiamo noi della vita. Tre fatti avvenuti contemporaneamente e pubblicati ieri hanno fatto sobbalzare anche i morti nelle loro casse sottoterra.
Primo fatto. Marco Cappato si autodenuncia per avere aiutato Dj Fabo a suicidarsi in modo assistito in Svizzera e il giudice chiede l'archiviazione perché, a suo dire, non viola il diritto alla vita. Che la legge attuale punisca da 5 a 10 anni chi aiuta a morire qualcuno con azioni che agevolano il suicidio per il giudice non significa niente. Capiamo che Cappato abbia aiutato a morire Dj Fabo per altruismo e per generosità. Siamo del parere che Cappato abbia fatto la sua scelta con libertà ad aiutare Dj Fabo "a suicidarsi", ma la legge attuale lo vieta e allo stato delle cose la medesima legge avrebbe dovuto rinviarlo a giudizio. Invece niente. Lo screditamento logico e giuridico della società italiana va avanti implacabilmente.
Secondo fatto. Un calciatore di colore il cui nome non è importante nell’economia del discorso abbandona il campo per protesta dopo gli insulti razzisti dei tifosi sugli spalti per il colore della sua pelle. La Federazione lo punisce con un turno di squalifica mentre gli autori dell'atto razzista la fanno franca. Mimare i movimenti delle braccia come se il calciatore fosse una scimmia per la Federazione calcistica italiana non vale nulla. Lo screditamento logico e morale si allarga dal particolare al generale.
Terzo fatto. Un uomo di 77 anni cade da una scogliera e muore perchè sembra che sia stato spinto da un gruppo di ragazzi annoiati dopo una tentata rapina. Il pensionato è stato in pratica “fatto fuori” e i giovani la fanno franca. Lo screditamento logico generale diventa interplanetario.
Aggiungiamo un quarto fatto che è cronaca sistematica e ripetuta centinaia di volte. Un pensionato di notte viene aggredito a casa sua da un ladro extracomunitario con intenti da Arancia meccanica. Lui trova la forza e il coraggio di prendere la pistola e nel buio della notte spara uccidendolo. Condannato per omicidio volontario è adesso in attesa della Cassazione. Per il giudice a casa propria il pensionato avrebbe dovuto accettare contro natura che il ladro gli malmenasse la famiglia e gli rubasse tutto piuttosto che reagire per difendere quel po’ di dignità che è rimasta a un povero vecchio. Lo screditamento da interplanetario diventa così universale.
Tutti sono impazziti. Giudici, avvocati, politici, Parlamento, società, istituzioni. Tutti compiono chi più chi meno sciocchezze planetarie e a pagare sono i più deboli o peggio non paga nessuno e tutti fanno finta che la società italiana funziona. Lo sputtanamento della società italiana marcia con velocità altissima verso la distruzione di qualunque logica di vita sociale. Complimenti a tutti i partecipanti allo screditamento.

martedì 25 aprile 2017

Elezioni da speranza in Francia e melma politica in Italia.


La Francia ha votato per il primo turno. Il risultato parla chiaro: vanno al ballottaggio Macron e Le Pen. Il primo è filo europeista ed è il vero vincitore di questo turno e molto probabilmente lo sarà ancora di più fra due settimane perché è il favorito nella corsa finale all’Eliseo.
Non ci interessa qui parlare delle elezioni francesi. Ci interessa partire dal risultato delle elezioni transalpine per arrivare a una semplice conclusione. La Francia ha una soluzione al problema della crisi politica interna ed europea mentre l’Italia non ce l’ha. Questo è il terribile risultato delle elezioni francesi agli occhi di un cittadino che non può soffrire la deriva populista.
Detta così potrebbe sembrare la solita spiritosaggine per sottovalutare la politica italiana rispetto a quella francese. Ma non è così perché la sottovalutazione dei politici italiani non è un’opinione bensì un fatto. E poi la sottovalutazione non è stata proposta dai cittadini francesi, ma da quelli italiani. Basta leggere i giornali e vedere che tutti sono contro tutti. Non c’è assolutamente nulla di buono nella politica italiana di oggi. Galli che si beccano tra di loro; galline che schiamazzano nelle aie dei siti web e del giornalismo da strapazzo in cui ci si azzanna per incapacità a proporre una piattaforma politica adeguata, ragionata e propositiva.
Analizziamo brevemente come stanno le cose in casa nostra. Non abbiamo una legge elettorale decente. E’ scandaloso che tutte le forze politiche facciano i finti tonti. Abbiamo tre grosse formazioni che da sole fanno più dei ¾ dell’intero Parlamento. In un sistema parlamentare proporzionale con uno sbarramento adeguato, le tre forze prenderebbero il 100% della rappresentanza parlamentare. Se si lascia invece uno sbarramento basso come lo è attualmente è possibile che qualche altra piccola formazione politica possa entrare in Parlamento. In ogni caso non sarà determinante.
Quello che conta è che i tre schieramenti sono tra loro tutte incoalizzabili perché profondamente diversi: il M5S è compatto ma inaffidabile e rimane inadeguato a governare. Il Centrodestra è diviso ed eterogeneo a meno che Berlusconi non riesca a mettere in riga la componente “sovranista” antieuro. Attualmente è inidoneo e manchevole di certezze. Il Pd è in mano a una macchietta che per anni ha scodinzolato tra le gambe dei due Grandi d’Europa come un invitato ingenuo a Corte da prendere in giro. Improvvisamente per colpa sua è stato costretto alle dimissioni e si è provvisoriamente eclissato e pensa di risorgere dalla polvere in cui si è trovato immerso dopo la sconfitta del referendum. Ora, e solo ora, sbraita contro l’UE, come un cane che abbaia ma che non potrà mordere perché insulso e pieno di sé.
Rimangono le Sinistre, come al solito più disunite e inutili d’Italia che mai, portatrici di politiche insulse, superate e inadeguate, destinate a essere sconfitte sonoramente dagli avversari e dalla realtà. Sono un pugno di ex politicanti proveniente dal partito comunista che si ritrovano in uno stato di confusione e di velleitarismo francamente da piangere.
Ecco cos’è diventata l’Italia politica di oggi: un paese inaffidabile, con una rappresentanza politica inadeguata sia sotto il profilo politico e più che mai sotto il profilo culturale, senza alcun politico intelligente all’orizzonte che dovrebbe traghettarla nel mare procelloso delle difficoltà di oggi.
E questa sarebbe la ex settima potenza del mondo di craxiana memoria? “Ma per piacere” direbbe Totò con una delle sue inimitabili contorsioni di collo e di braccia.
Rimane l’amarezza di vedere che a farci male non sono gli “estranei” francesi o tedeschi per invidia o per antipatia ma gli stessi cittadini italiani che sono il vero specchio rotto della società e il vero tarlo del legno di casa, in cui criminali e poteri statali mascalzoni da una parte e magistratura imbelle e buonista dall’altra riescono a mandare in malora un paese che fu un raggio di luce nel buio della cultura del dopoguerra. Ah, dimenticavamo: oggi l’unica attenzione di politici e “poteri forti” è scroccare lauti stipendi creando sacche di povertà inimmaginabili. Te capì?

domenica 19 marzo 2017

Politica e società oggi in Italia.


Che ci sia in atto una rivolta popolare contro la classe politica dirigente è un dato di fatto appurato. Che poi questa rivolta abbia prodotto dei risultati questo è opinabile. Anzi. La realtà indica esattamente il contrario. La rivolta in atto che ha alcuni partiti populisti in testa, ma non solo quelli, non è purtroppo una rivoluzione ma un fenomeno di esclusivo marchio di potere. Lo dimostra il fatto che l'esigenza che muove questi “movimenti-non partiti” non è una forma di democrazia politica più adeguata che si muove nell'alveo della tradizione democratica europea ma solo lotta di potere e basta.
Ciò è confermato dal fatto che questi movimenti non intendono allearsi in Parlamento con nessuna forza politica esistente neanche sui temi valoriali. Nascendo dalla rabbia, spesso giustificata e comprovata, mancano di una base politica di pensiero politico organico basato sulla costruzione di un progetto politico sistematico e consolidato.
In verità i protagonisti populisti non hanno a cuore una proposta politica di democrazia moderna e rinvigorita, alla base della quale agganciare la loro “diversità”. Al contrario, la loro organizzazione mostra un pericoloso vuoto concettuale di metodo e di maniere democratiche. In più, ed è quello che preoccupa maggiormente, hanno accettato un modello di organizzazione che appare sempre più convincentemente di “tipo padronale” in cui gli adepti pensano e agiscono più per rabbia distruttiva che per ideali costruttivi.
Ormai è manifesta l’idea che a loro non interessa il confronto politico basato su critiche argomentate e condivise in grado di produrre cambiamenti positivi. Lo abbiamo visto in azione nell’attuale legislatura. Loro non accettano che si sia consapevoli che il modello democratico consolidato prevede critiche ma anche autocritiche, pratiche politiche di contrasto non solo direzionali, ovvero dall’opposizione alla maggioranza, ma “bidirezionali” alcune volte cioè di collaborazione su progetti di alto profilo istituzionale e politico e altre volte di contrasto. Qui emerge al contrario solo una furia distruttiva incontenibile, confermata non solo da idee al tempo stesso ingenue e pseudo-rivoluzionarie ma proprie di movimenti settari intransigenti e intolleranti accecati da un solo interesse concretizzato nell’idea di dover spazzare via tutto ciò che attualmente esiste come classe dirigente. Interessa fare cioè "terra bruciata" intorno all'esistente per poi passare alla fase successiva del governare.
Ecco dunque il vero pericolo: distruggere in profondità il terreno sociale, economico e istituzionale da tutto ciò che esiste in modo tradizionale per ricostruirlo in un secondo tempo senza averne attualmente cognizione.
E qui casca l'asino. Perchè se è giustificabile una prima fase di distruzione non è giustificabile una seconda fase di governo “al buio”, non scelto con chiarezza e razionalità. Allo stato attuale delle cose il tipo di governo che i populisti hanno in mente è un tabù mai chiarito, regolato da meccanismi incorreggibili e inaffidabili, come per fare un esempio la selezione in rete del personale di governo inteso come operatori ed operatrici dipendenti totalmente dal padrone, si veda per questo il caso Raggi contrario al caso Pizzarotti. Diciamo che la natura di questo stato di subalternità del candidato nei confronti del “principe machiavellico” è peggio di quello instaurato da Berlusconi nei suoi governi, confermato dalla peculiarità giuridica del contratto legale con cui l'eletto deve firmare e metterlo in pratica. L'alternativa è l'espulsione e addirittura il pagamento di una risarcitoria. Se non sono queste “cos’e pazzi” manca poco per esserlo.
I populisti non rispondono alla domanda di quale modello di società vogliono privilegiare e accentuano questo loro deficit ignorandolo. Se costretti come lo dicono? In modo ingenuo e spesso infantile, pensando che "la risposta sulla costruzione di un nuovo modo di vivere insieme, di una nuova società, di nuove istituzioni, verrà dopo. Adesso dobbiamo distruggere e quando tutto l’esistente sarà travolto allora si vedrà". Il virgolettato è di Eugenio Scalfari che scrive in poche ed efficaci parole sulla Repubblica di oggi una verità terrificante: siamo nelle mani di irresponsabili pericolosi per noi, per la società e in definitiva per il futuro dei nostri figli. Ironia della sorte tutto questo castello di farneticazioni è stato possibile produrlo e imporlo attraverso la fattiva collaborazione (oggi diremmo "a loro insaputa") delle forze politiche dell'”arco costituzionale” che ci hanno finora governato. Prodi, Berlusconi, Renzi e il resto della classe politica presente in Parlamento tutti sono stati solidali a produrre questo fenomeno mediatico da circo, complice una crisi economica potentissima che ha agevolato una reazione di rabbia e di scontento fortissima. Tutti i vari governi post crisi hanno messo in atto politiche sbagliate basate sul solo valore dei tagli, peraltro in maniera sbagliata, creando cittadini impoveriti pieni di rabbia e rancore. In sintesi il M5S urla che solo loro sono l'onestà personificata mentre chi governa e sostiene l'attuale sistema è tutto il male possibile. Solo i gonzi possono cascarci su questa dichiarazione. Il tentativo poi di dire che sono tutti uguali agevola loro il lavoro e permette di aumentare il solco tra chi crede nella democrazia e chi la camuffa col sostegno “a loro insaputa” dei partiti tradizionali. Te capì?

martedì 7 marzo 2017

Elezioni politiche e sfrontatezze dei partiti del voto subito.


Le cose sono messe così: molti partiti e partitini chiedono elezioni subito. Il governo e la sua maggioranza dicono no. Giustificano il loro no affermando che la continuazione della legislatura permetterebbe di cambiare la legge elettorale e risolvere il problema dell’incertezza del risultato. Quali sono i partiti che aderiscono a una delle due posizioni è ininfluente. Quello che è importante è un altro aspetto, dove si annidano le meschinità e le sfrontatezze dei politici del voto subito.
Noi siamo dell’avviso che se ci fosse una legge elettorale che permettesse di eleggere sicuramente un premier con la sua maggioranza saremmo d’accordo. Ma le cose non stanno così ed è qui che cade l’asino. Fuor di metafora Grillo e Salvini, Meloni e l’arcipelago della sinistra massimalista vogliono le elezioni ora e subito. Francamente non si capisce quale sia il limite dell’onestà intellettuale da quello del ragionamento politico. Che interesse può avere un partito che a costo di elezioni subito si ritroverà ad avere un Parlamento senza maggioranza?
Chiedere le elezioni è lecito ma c’è un limite che riguarda il fatto che se con l’attuale legge elettorale disorganica e rappezzata dalle sentenze della Corte Costituzionale non viene fuori una maggioranza che facciamo poi? Roteiamo i pollici copiando gli spagnoli? Oppure più correttamente e onestamente non è meglio costringere i partiti a chiarire la loro posizione prima delle elezioni?
Chiarire questa faccenda è fondamentale perché a nostro parere potrà emergere in tutta la sua forza dirompente la disonestà intellettuale di alcuni leader politici che si nascondono dietro alla cantilena delle "elezioni subito".
Ci viene da aggiungere poi che la stampa italiana non informa correttamente i cittadini. Abbiamo una stampa inadeguata che si interessa solo dei guai giudiziari dei leader politici e non incalza gli stessi a dire la loro su questo punto importante. La domanda è sempre la stessa: qualora il risultato elettorale impedisse la formazione di un governo con una maggioranza sicura ogni partito, prima delle elezioni, dovrebbe dire obbligatoriamente a quale delle coalizioni aderirà per la formazione di una maggioranza di governo.
Un esempio: ammettiamo che dopo le elezioni nessuno dei partiti raggiunge la maggioranza. A questo punto dovrebbe scattare un preaccordo che impone l’obbligo ai partiti di sostenere una delle possibili coalizioni che supera il 51%. Chi non lo fa perde un giro perché non potrà presentarsi alla prossima tornata elettorale.
Più chiaramente Grillo deve dire che se non raggiunge il 51% da solo a quale coalizione aderirà dopo le elezioni per formare il nuovo governo. Lo stesso dicasi per tutti gli altri leader da Renzi a Berlusconi, e via discorrendo. Nessun giornalista finora ha mai fatto queste domande ai politici. Colpa della insufficienza dei giornalisti o della sfrontatezza dei leader politici? C’è una terza soluzione: colpa di entrambi. Te capì?

domenica 5 marzo 2017

Grammatica della lingua araba insegnata all’occidentale o alla maniera araba?


Il sottotitolo di questo post potrebbe benissimo essere il seguente: didattiche alternative dell’arabo possono coesistere o si escludono a vicenda in un curricolo di lingua araba? La risposta non è facile e non è per niente sicuro che esista. Lo dico subito senza avere alcun dubbio: le due modalità di approccio all'insegnamento della lingua araba sono spesso in disaccordo. Anzi, frequentemente non si intendono e varie volte si contrappongono come alternative escludentesi l’una con l’altra giudicandosi negativamente tra di loro. In queste brevi note cercherò sebbene in modo superficiale di affrontare la questione della modalità di insegnamento della grammatica vista da due occhi differenti che chiamerò “modalità occidentale” la prima e “modalità araba” la seconda.
È noto che i docenti che insegnano l’arabo nelle scuole italiane possono essere di madrelingua (spesso chiamati lettori ma adesso non più) o indigeni. Nel primo caso hanno una formazione di tipo arabo mentre nel secondo caso di tipo occidentale. In genere si tratta di specialisti, spesso ben preparati e credibili. Proprio per questo ci si aspetterebbe che essi nonostante tutto fossero sempre d’accordo nella loro didattica. In genere, su alcuni temi lo sono ma in altri divergono. È pertanto giusto parlarne perché su questa questione c’è troppa ipocrisia e indifferenza che nasconde i problemi invece di farli emergere, confrontarli per poi risolverli.
I due soggetti protagonisti dell’insegnamento hanno una formazione che si sviluppa secondo canoni molto differenti. E non è la sola geografia a dividerli. Un insegnante arabo può venire da uno del 22 paesi della Lega Araba che si sviluppa geograficamente dall’Oceano atlantico a quello persico e in senso più lato fino al Mar cinese mentre un insegnante occidentale può aver appreso l’arabo in uno dei paesi occidentali non solo dell’intera Europa ma anche dell’intero mondo. A proposito poi delle differenze di vedute tra arabi e occidentali c’è da dire che le diversità emergono in maniera vistosa perché quello che noi chiamiamo “Golfo persico” gli arabi lo chiamano “Golfo arabo”. Dunque le differenze ci sono ed è corretto aspettarsi visioni didattiche e culturali differenti.
Ma in cosa differiscono precisamente le due didattiche su alcuni temi? Certamente sul piano lessicale e semantico ci sono differenze conclamate, ma anche sul piano metodologico le differenze sono vistose. Voglio fare un semplice esempio per farne capire la portata ed uscire dal vago dei tecnicismi e della genericità: come si insegna il verbo arabo dalle due comunità di docenti?
Per primo è necessario dire subito che i docenti arabi non condividono la didattica occidentale e italiana in particolare laddove si usa la “traslitterazione”. In verità per un docente arabo essa è una sovrastruttura inutile e persino dannosa. Diciamo in tono scherzoso ma non tanto che alla diglossia normale (lingua classica e dialetto) si sovrappone una “triglossia” o “diglossia ingrossata” che è inefficace e inutile. Per la didattica occidentale invece dovrebbe essere il tentativo di rendere “più digeribile” la zuppa ortografica delle prime lezioni di arabo.
In secondo luogo i grammatici arabi partono dal verbo trilittero e lo suddividono in due tipologie: verbo sano e verbo malato. Dicono proprio così: “sano e malato” non forte e debole e neppure regolare e irregolare come preferiscono definirlo i grammatici occidentali. E non è solo questione di etichetta. Capite subito che c’è un problema di linguaggio che interferisce per la differenza di terminologia. Per esempio mi ha sempre colpito la l’uso dell’aggettivo “fratto” per i plurali irregolari che non sono “sani”. Al nostro orecchio una classificazione antitetica che si definisce sana o malata lascia una certa diffidenza nell’ascolto così come al contrario definire i verbi in regolari e irregolari per un docente arabo è una stranezza inverosimile. Lui con le sue certezze esasperate dovute all’influenza coranica della verità teologica sottesa nella lingua coranica non può capire come ci sia il rifiuto da parte della letteratura occidentale di fare la giusta partizione tra un sano e un malato che sono le due categorie certe della vita degli esseri umani.
Non parliamo poi del fatto che alcuni paradigmi grammaticali introducono termini completamente differenti. Gli arabi parlano di “porte” laddove si classificano verbi con vocalizzazioni lessicali differenti, mentre i docenti occidentali non considerano significativa questa ripartizione dell’uso delle “porte” (ابواب ) come sezioni del modello فعل. Non parliamo poi di soggetti che interagiscono nelle varie categorie della coniugazione quando i docenti occidentali parlano di “prima, seconda e terza persona” mentre i docenti arabi chiamano gli stessi con “il locutore, l’interlocutore e l’assente”.
Gli arabi poi invece di dire di un verbo trilittero regolare o sano che le tre radicali della radice sono la prima radicale, la seconda e la terza radicale dicono che le le tre lettere sono la ف del verbo, la ع e la ل del verbo. Il massimo poi è che i docenti occidentali classificano i verbi trilitteri in verbi di I forma e verbi di forme superiori alla prima che vanno dalla II alla X forma. Per gli arabi queste forme verbali che sono formate dall’aggiunta di lettere servili alle tre radicali del verbo trilittero sano non esistono. Ma non è finita. I docenti italiani considerano i verbi irregolari in sordi, hamzati e deboli. I docenti arabi invece considerano i verbi sordi e hamzati verbi regolarissimi tanto da essere considerati appartenere ai verbi sani. Viceversa, i verbi deboli sono per entrambi malati e/o irregolari. Si scontrano pertanto due mondi che vedono lo stesso fenomeno grammaticale della irregolarità verbale in modo differente, almeno dal punto di vista del proprio sguardo linguistico legato sempre alla tradizione della ricerca linguistica.
La ragione di una simile differenza di visione è spiegabile dicendo che per i grammatici italiani il verbo - se subisce delle flessioni verbali, cioè delle trasformazioni fonetiche e ortografiche oppure cambiamenti vocalici - può o meno essere considerato irregolare-malato invece di regolare-sano. Per i grammatici arabi invece le irregolarità non sono viste con la stessa lente ma in modo differente e molto più semplice perché per loro le lettere deboli che sono solo la و e la ي o sono sani o sono malati. Punto.
L’origine di questa “querelle” sta nel fatto che la hamza è una lettera alfabetica a tutti gli effetti mentre la alif è solo un sostegno della hamza e basta. Una delle conseguenze di questo fatto è l’incertezza del numero delle lettere dell’alfabeto che per alcuni è 28 lettere mentre per altri è 29. Non c’è nulla da scherzare su questo fatto perché tutto ciò si va a sommare alle tremende difficoltà che esistono per imparare la lingua araba, una lingua interessante e per molti aspetti coinvolgenti. Si può definirla anche bella ma il concetto di bellezza è di difficile interpretazione in questo caso soprattutto da parte di coloro che non posseggono gli strumenti culturali per apprezzarne bellezza e fascino. Per alcuni aspetti ci ricorda la bellezza della scienza quando essa si manifesta in tutto il suo splendore se proposta correttamente con l’uso obbligatorio della lingua matematica, difficile da comprendere ma proprio per questo perfetta nella sua compiutezza.

venerdì 3 marzo 2017

Traduzioni dall’arabo e difficoltà incontrate nel suo studio.


Affrontare il tema della traduzione di un semplice testo arabo non è cosa facile per chi si accinge a percorrere i sentieri dello studio della lingua araba, irti di difficoltà oltre ogni dire. Molte sono le pietre d'inciampo che si incontrano in questo studio: irregolarità, diversità, abbondanza e ridondanze testuali ne sono alcune. Tutti questi aspetti complicano la vita e il lavoro dello “studente traduttore” fino alle estreme conseguenze di non riuscire ad ottenere la traduzione giusta. Viene fatto di chiedersi: perché un normale studente medio, dopo anni di studio, manca di quella capacità di dominare il testo al primo sguardo e di capire al volo senso e significato di una frase? Cerchiamo di mettere ordine in questa faccenda, sebbene in modo superficiale e poco sistematico.
Innanzitutto la grafia. Si potrebbe iniziare ponendo la domanda di come sia possibile che dopo anni di studio appaiono quasi sempre difficoltà ortografiche spesso di difficile soluzione. Scagli una pietra colui o colei che nello scrivere una parola in lingua araba non abbia mai avuto dubbi se una vocale fosse breve o lunga. E questo sia che si tratti di una alif al posto di una fatah, oppure di una waw al posto di una dammah e infine di una kasrah al posto di una ya, quando non ci si confonda tra ya e alif maksura alla fine di una parola.
E poi, all’interno della parola se si annida una 'ain non ascoltata bene, si è proprio sicuri che si tratta di questa lettera oppure di un’altra? Insomma, per non peccare in lucidità traduttiva è necessario dominare efficacemente il testo altrimenti sono guai. Ma come si acquisisce questa competenza? Il grande arabista russo Baranov era solito dire che “ci vogliono 15 anni per rendere lo studio della lingua araba un po’ meno difficile”. Egli aveva capito tutto, e con una sintesi mirabile era riuscito a condensare tutte le difficoltà di apprendimento di uno studente in un numero non proprio piccolo di anni di studi preparatori. " Diffidate delle imitazioni" si dice in genere quando non si ha fiducia in un prodotto complesso. Diffidate cioè di quei docenti che vi dicono che l’arabo è una lingua facile. Non è vero. Vi vogliono prendere in giro. Un esempio lo si trova nel titolo di manualetti presenti nelle librerie del tipo “L’arabo in 4 settimane” e simili. State sicuri che saranno soldi spesi male. Certo a vedere certi immigrati extraeuropei, soprattutto asiatici, i quali senza strumenti di studio adeguati riescono a imparare a parlare l’italiano dopo 4 settimane in modo più che adeguato c’è di che rimanere a dir poco esterrefatti.
Assodato, dunque, che la lingua araba non è una lingua di facile apprendimento, entriamo nei dettagli della faccenda. Detto in termini esatti: se l’arabo non è una lingua facile, perché è difficile? Alcuni motivi potrebbero essere i seguenti.
In primo luogo l’alfabeto, che non è nemmeno lontano parente del nostro. Può sembrare inutile dirlo, ma mi sento di affermare che per un europeo “quadratico medio” che ha sempre sentito la sua lingua essere al centro dell’universo, l’arabo e altre lingue asiatiche presentano delle difficoltà inaspettate e insospettate. Una di queste è “la morte” (!) del comodo, familiare e rassicurante alfabeto latino. Qui non si tratta di introdurre lettere più o meno strane, come una lettera accentata in italiano o un segno diacritico su di essa come accade con le lingue scandinave o dell’est europeo. No. Qui si tratta di un alfabeto non solo numericamente più consistente, ma soprattutto con segni e grafemi completamente sconosciuti che per giunta si scrivono da destra verso sinistra.
E’ necessario in primo luogo “elaborare il lutto” della perdita dell’alfabeto materno e reinventarsi tutta una strategia ortografica nuova per abituarsi alla novità. Per uno studente medio si tratta di un dramma. Aggiungete il pasticcio didattico di molti docenti di arabo che non solo complicano la vita degli studenti inserendo l’artificiosa e controproducente traslitterazione, ma aggiungono sadismi mirati come la questione della diglossia posta in forma ultimativa. In pratica dicono che “se non si conoscono almeno altri due dialetti arabi è meglio abbandonare l’arabo classico e darsi all’uncinetto” e capirete il perché. Il dramma della perdita delle certezze linguistiche basate sull’alfabeto comune a molte lingue europee non si supera facilmente.
Aggiungo altresì l’immensa quantità del lessico arabo. Questo è uno dei motivi fondanti delle difficoltà della lingua araba. Questo aspetto che dal triconsonantismo derivano tutti i significati possibili intorno a un’idea primitiva intrinseca alla radice di un verbo trilittero è tremenda.
Se (x,y,z) sono tre lettere della radice immaginate quante combinazioni si possono produrre per formare parole diverse modificando o l’ordine delle tre lettere o aggiungendo una o più lettere servili o entrambe contemporaneamente: (x,y,z); (x,z,y); (y,x,z); … ; (a,x,y,z); (x,a,y,z); (x,y,z,a); …. ; (b,x,y,z); … e via discorrendo, con a e b lettere servili aggiuntive alla radice trilittera sia come prefisso, infisso e suffisso. Questa abbondanza diventa ridondanza quando si considerano i sinonimi aventi radici differenti! Le difficoltà dello studio toccano il culmine quando si introducono i cosiddetti infiniti verbali (masdar) e fatto più importante quando si passa all’uso nei verbi delle lettere cosiddette deboli che sono tre ovvero waw, ya, alif. C’è da mettersi le mani nei capelli per affrontare uno studio della coniugazione di verbi di questo tipo, dove le irregolarità diventano la norma.
Ritornando al tema della traduzione iniziale di un testo arabo, l’analisi morfologica e grammaticale della frase assume una connotazione direi quasi esoterica, alla portata di pochi ferrati arabisti.
E’ anche evidente che ci sono delle tecniche precise che possono aiutare molto uno studente alle prese con la traduzione dall'arabo. Ma non c’è tecnica che tenga quando lo studente non possiede un lessico adeguato alla complessità del testo. È inimmaginabile uno studente che in una frase di 10 parole non conosca il significato almeno del 75% delle parole. L’inadeguatezza lessicale diventa un macigno che schiaccia il soggetto moltiplicando esponenzialmente le sue difficoltà di traduzione. L’aspetto più grave della faccenda è che dal punto di vista psicologico il digiuno lessicale produce calo precipitoso dell’entusiasmo e sottrazione considerevole dell’interesse per la lingua. E addio al suo studio, con buona pace delle intenzioni.
Attenzione perché finora ho accuratamente evitato di parlare dell’aspetto fonetico che è un ulteriore macigno sulla strada dello studio della lingua araba, spesso più pericoloso perché più sottovalutato degli altri già proposti. L’aspetto fonetico riguarda la pronuncia delle parole e, dunque, tutta la complessa attività mentale e muscolare che ruota intorno alla muscolatura della cavità della bocca per produrre i suoni giusti. Qui si tocca con mano gli aspetti più profondi della lingua araba che non riguardano solo la dimensione legata alla scrittura con il contorno di calligrammi variegati. Qui si muovono le acque più profonde del pozzo dell’arabismo orale, unico elemento in grado di discriminare l’autenticità del vero islamismo degli indigeni arabi dalle imitazioni più o meno riuscite dello stesso.
Didatticamente, del resto, i quattro famosi obiettivi dell’apprendimento com’è noto sono: “saper scrivere, saper tradurre, saper ascoltare e comprendere e, ultimo ma non di meno, saper parlare”. L’alfabeto arabo contiene un numero maggiore di lettere dell’alfabeto latino. Non solo perché alcune di queste lettere non esistono nella fonetica occidentale. Il che non solo significa che quindi esistono suoni sconosciuti agli occidentali, ma fatto più complesso è molto difficile è impararle a pronunciare correttamente, in quanto i muscoli addetti alla loro produzione non sono mai stati esercitati nell’intera vita degli europei. In altre parole non è per niente scontato che tutti riescano a saper far funzionare il muscolo interessato. Spesso nelle verifiche fonetiche si sentono alcune gutturali, altre fricative e altre enfatiche pronunciate in modo inaccettabile per non dire scandaloso che mostrano un approccio rozzo e primitivo allo studio della fonologia.
In conclusione, chi volesse insistere nello studio dell'arabo deve accettare con serenità e consapevolezza la massima baranoviana di dover studiare per 15 anni per poter avere il successivo studio “un po’ meno difficile”. Attenzione, un po’ meno difficile non significa facile. Lo si sappia e buon apprendimento a tutti della meravigliosa lingua araba.

martedì 21 febbraio 2017

Un paese inguaribile tra ingovernabilità, disordine e una magistratura ormai alla deriva.


Torino: processo per lo stupro a una bambina dura 20 anni e la prescrizione salva lo stupratore. Roma: fondi pubblici ministeriali ai locali del sesso gay tra le cui attività ci sarebbe anche quella di ospitare la prostituzione.
Ecco due delle peggiori notizie che non avremmo mai voluto leggere sui quotidiani. E invece oggi è successo. Poche parole di amare riflessioni sull’evento più che luttuoso in cui il deceduto, anzi la deceduta è la Repubblica Italiana che ha permesso il realizzarsi di una ingiustizia che più di così non potrebbe essere.
La riflessione che ci sentiamo di fare dopo aver letto le due notizie è che a questo punto non è più possibile salvare nulla. Sarà nichilismo, sarà pessimismo fatto sta che i fatti parlano da soli. Quando il potere politico e quello legislativo non sono in grado di correggere queste storpiature non ha più senso niente e nessuna giustificazione formale può cambiare il senso della storia di un paese ormai fallito non solo economicamente (si veda il buco nero del debito pubblico di 2300 miliardi di euro) ma soprattutto dal punto di vista dell’etica.
Attenzione qui non è questione di alcuni partiti che non sono all’altezza. No. Qui il problema riguarda tutti, istituzioni e cittadini, perché il fallimento di ideali e valori che la Repubblica aveva messo a fondamento nella Costituzione, proprio quella definita la più bella Costituzione del mondo è ormai una certezza.
Qui le polemiche progressismo della sinistra, populismo sovranista di forze politiche nuove e conservatorismo centrista da sempre al potere riguarda tutti, proprio tutti, nessuno escluso. A noi le polemiche tra l’inconsistenza renziana e la sfrontatezza della minoranza Pd, tra l’aetismo berlusconiano e il populismo leghista, tra il massimalismo comunista di accatto e il sovranismo meloniano lepenista non ci fanno cadere nella trappola urlata da maggioranza e opposizione che alcune forze politiche sono diverse dalle altre. In realtà tutte sono uguali ntra di loro e tutte perseguono disegni politici di potere per accontentare clan familiari e tribali.
Se avessero voluto modificare i codici penali e il funzionamento della giustizia per evitare casi come quelli di Torino lo avrebbero già fatto. Ma così non è stato. Dunque, i governi che si sono succeduti nei decenni e le maggioranze variegate sono state e sono complici di questo status quo. L’italianità è ormai sinonimo di peste. In Europa tutti i paesi fanno a gara per evitarci. Persino l’UE non ne può più della mancanza di correttezza dell’Italia che sfora parametri e impegni a ripetizione. Il popolo italiano non è mai esistito. Adesso non esiste più neanche lo Stato italiano. La prossima tappa sarà il ritorno al brigantaggio. Lì siamo ancora maestri di “cappa e di spada”. Che vergogna.

giovedì 16 febbraio 2017

Stracci straccetti e brandelli che volano in casa Pd.


La politica italiana è sempre più inaffidabile. Tutti i partiti hanno scheletri enormi nei loro armadi e tutti loro soffrono della stessa sindrome: la sindrome della ricerca ossessiva del potere. Apparentemente le polemiche che quotidianamente appaiono sembrano giuste e piene di significato. Ma viste da un’ottica europea o terza questi partiti o movimenti stanno sconquassando un’intero paese con lotte intestine al limite della democrazia.
Oggi lasciamo da parte tutti meno il Pd e ci interessiamo a questo partito perché vogliamo dire quattro paroline ai “signori democratici” che da anni polemizzano fra di loro trascinando in modo deplorevole non solo l’Italia ma anche la qualità della loro politica.
I fatti. C’è un segretario ex premier che ha fallito miseramente nella sua politica delle riforme. Aveva promesso mari e monti. Alla fine sono rimasti solo cunette e dossi. Un vero fiasco colossale non solo di politica nazionale, interna, ma soprattutto a livello di credibilità internazionale ormai ridotta al lumicino. Tuttavia questo segretario è ancora legittimamente il segretario del Pd. Vuole subito le elezioni per tentare di nuovo la scalata alla poltrona di Presidente del Consiglio. E’ legittimato a farlo? Noi, anche se siamo dell’idea che ha portato danni irrimediabili al paese, crediamo di si.
Renzi mette in calendario il congresso del Pd, che è l’assise più importante di un partito tradizionale. E i suoi avversari interni che fanno? Gridano allo scandalo! E’ normale tutto questo? No. Non è normale. Si vuole trasformare il momento più alto della democrazia interna di un partito in un insofferente atteggiamento di sfida da OK corral come nei film western.
Dicono che quello del segretario del Pd è un mero calcolo di potere. E’ molto probabile che sia così, e allora? Non si può gridare al lupo al lupo quando si offre democrazia. Per anni tutti hanno gridato allo scandalo del governo Renzi abusivo perchè non eletto. Adesso che si propone democrazia tutti a gridare allo scandalo. Ma che modo è questo di ragionare?
Noi crediamo che la richiesta della minoranza del Pd non è democrazia, è anarchia. Gruppi di deputati che si scontrano e altri che si contrappongono. Una gazzarra continua dalla mattina alla sera. Tutti i deputati coinvolti in risse, polemiche e atteggiamenti da polli e galli di un pollaio tra di loro. Questa non è democrazia, cari Signori. Questa è anarchia. Questo è tentativo di togliere agli Statuti dei partiti l’idea di democrazia. Dietro agli slogan di definire una politica di programma nuova e di maggiore collegialità si nascondono le lotte intestine e di potere di capicorrente e capibastone, di capi e capetti. No. Questa non è democrazia: è anarchia bella e buona cari Bersani, D’Alema & C. Siate seri.
Non possiamo, prima di concludere, non porci una domanda : ma perché queste polemiche sulle date di un congresso non si verificano all'estero? Perché in Europa tutti i partiti di tutte le nazioni non fanno mai questi discorsi? La classe politica del Pd, e ancora peggio quella degli altri partiti rimanenti, vi sembra affidabile con questi discorsi? Vi sembra seria? Vi sembra corretta? Vi sembra che entrambi stiano facendo gli interessi degli italiani? A noi come minimo ci sembra inadeguata, perché il vero problema italiano è l'irresponsabilità della sua classe politica. Te capì?

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