domenica 5 marzo 2017

Grammatica della lingua araba insegnata all’occidentale o alla maniera araba?


Il sottotitolo di questo post potrebbe benissimo essere il seguente: didattiche alternative dell’arabo possono coesistere o si escludono a vicenda in un curricolo di lingua araba? La risposta non è facile e non è per niente sicuro che esista. Lo dico subito senza avere alcun dubbio: le due modalità di approccio all'insegnamento della lingua araba sono spesso in disaccordo. Anzi, frequentemente non si intendono e varie volte si contrappongono come alternative escludentesi l’una con l’altra giudicandosi negativamente tra di loro. In queste brevi note cercherò sebbene in modo superficiale di affrontare la questione della modalità di insegnamento della grammatica vista da due occhi differenti che chiamerò “modalità occidentale” la prima e “modalità araba” la seconda.
È noto che i docenti che insegnano l’arabo nelle scuole italiane possono essere di madrelingua (spesso chiamati lettori ma adesso non più) o indigeni. Nel primo caso hanno una formazione di tipo arabo mentre nel secondo caso di tipo occidentale. In genere si tratta di specialisti, spesso ben preparati e credibili. Proprio per questo ci si aspetterebbe che essi nonostante tutto fossero sempre d’accordo nella loro didattica. In genere, su alcuni temi lo sono ma in altri divergono. È pertanto giusto parlarne perché su questa questione c’è troppa ipocrisia e indifferenza che nasconde i problemi invece di farli emergere, confrontarli per poi risolverli.
I due soggetti protagonisti dell’insegnamento hanno una formazione che si sviluppa secondo canoni molto differenti. E non è la sola geografia a dividerli. Un insegnante arabo può venire da uno del 22 paesi della Lega Araba che si sviluppa geograficamente dall’Oceano atlantico a quello persico e in senso più lato fino al Mar cinese mentre un insegnante occidentale può aver appreso l’arabo in uno dei paesi occidentali non solo dell’intera Europa ma anche dell’intero mondo. A proposito poi delle differenze di vedute tra arabi e occidentali c’è da dire che le diversità emergono in maniera vistosa perché quello che noi chiamiamo “Golfo persico” gli arabi lo chiamano “Golfo arabo”. Dunque le differenze ci sono ed è corretto aspettarsi visioni didattiche e culturali differenti.
Ma in cosa differiscono precisamente le due didattiche su alcuni temi? Certamente sul piano lessicale e semantico ci sono differenze conclamate, ma anche sul piano metodologico le differenze sono vistose. Voglio fare un semplice esempio per farne capire la portata ed uscire dal vago dei tecnicismi e della genericità: come si insegna il verbo arabo dalle due comunità di docenti?
Per primo è necessario dire subito che i docenti arabi non condividono la didattica occidentale e italiana in particolare laddove si usa la “traslitterazione”. In verità per un docente arabo essa è una sovrastruttura inutile e persino dannosa. Diciamo in tono scherzoso ma non tanto che alla diglossia normale (lingua classica e dialetto) si sovrappone una “triglossia” o “diglossia ingrossata” che è inefficace e inutile. Per la didattica occidentale invece dovrebbe essere il tentativo di rendere “più digeribile” la zuppa ortografica delle prime lezioni di arabo.
In secondo luogo i grammatici arabi partono dal verbo trilittero e lo suddividono in due tipologie: verbo sano e verbo malato. Dicono proprio così: “sano e malato” non forte e debole e neppure regolare e irregolare come preferiscono definirlo i grammatici occidentali. E non è solo questione di etichetta. Capite subito che c’è un problema di linguaggio che interferisce per la differenza di terminologia. Per esempio mi ha sempre colpito la l’uso dell’aggettivo “fratto” per i plurali irregolari che non sono “sani”. Al nostro orecchio una classificazione antitetica che si definisce sana o malata lascia una certa diffidenza nell’ascolto così come al contrario definire i verbi in regolari e irregolari per un docente arabo è una stranezza inverosimile. Lui con le sue certezze esasperate dovute all’influenza coranica della verità teologica sottesa nella lingua coranica non può capire come ci sia il rifiuto da parte della letteratura occidentale di fare la giusta partizione tra un sano e un malato che sono le due categorie certe della vita degli esseri umani.
Non parliamo poi del fatto che alcuni paradigmi grammaticali introducono termini completamente differenti. Gli arabi parlano di “porte” laddove si classificano verbi con vocalizzazioni lessicali differenti, mentre i docenti occidentali non considerano significativa questa ripartizione dell’uso delle “porte” (ابواب ) come sezioni del modello فعل. Non parliamo poi di soggetti che interagiscono nelle varie categorie della coniugazione quando i docenti occidentali parlano di “prima, seconda e terza persona” mentre i docenti arabi chiamano gli stessi con “il locutore, l’interlocutore e l’assente”.
Gli arabi poi invece di dire di un verbo trilittero regolare o sano che le tre radicali della radice sono la prima radicale, la seconda e la terza radicale dicono che le le tre lettere sono la ف del verbo, la ع e la ل del verbo. Il massimo poi è che i docenti occidentali classificano i verbi trilitteri in verbi di I forma e verbi di forme superiori alla prima che vanno dalla II alla X forma. Per gli arabi queste forme verbali che sono formate dall’aggiunta di lettere servili alle tre radicali del verbo trilittero sano non esistono. Ma non è finita. I docenti italiani considerano i verbi irregolari in sordi, hamzati e deboli. I docenti arabi invece considerano i verbi sordi e hamzati verbi regolarissimi tanto da essere considerati appartenere ai verbi sani. Viceversa, i verbi deboli sono per entrambi malati e/o irregolari. Si scontrano pertanto due mondi che vedono lo stesso fenomeno grammaticale della irregolarità verbale in modo differente, almeno dal punto di vista del proprio sguardo linguistico legato sempre alla tradizione della ricerca linguistica.
La ragione di una simile differenza di visione è spiegabile dicendo che per i grammatici italiani il verbo - se subisce delle flessioni verbali, cioè delle trasformazioni fonetiche e ortografiche oppure cambiamenti vocalici - può o meno essere considerato irregolare-malato invece di regolare-sano. Per i grammatici arabi invece le irregolarità non sono viste con la stessa lente ma in modo differente e molto più semplice perché per loro le lettere deboli che sono solo la و e la ي o sono sani o sono malati. Punto.
L’origine di questa “querelle” sta nel fatto che la hamza è una lettera alfabetica a tutti gli effetti mentre la alif è solo un sostegno della hamza e basta. Una delle conseguenze di questo fatto è l’incertezza del numero delle lettere dell’alfabeto che per alcuni è 28 lettere mentre per altri è 29. Non c’è nulla da scherzare su questo fatto perché tutto ciò si va a sommare alle tremende difficoltà che esistono per imparare la lingua araba, una lingua interessante e per molti aspetti coinvolgenti. Si può definirla anche bella ma il concetto di bellezza è di difficile interpretazione in questo caso soprattutto da parte di coloro che non posseggono gli strumenti culturali per apprezzarne bellezza e fascino. Per alcuni aspetti ci ricorda la bellezza della scienza quando essa si manifesta in tutto il suo splendore se proposta correttamente con l’uso obbligatorio della lingua matematica, difficile da comprendere ma proprio per questo perfetta nella sua compiutezza.

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