sabato 23 gennaio 2016

Abbondanza di leggi di scadente qualità.


Il Pd di Matteo Renzi? Un caos deterministico in pieno disordine che sforna leggi in quantità ma di qualità scadente. Renzi è riuscito ad emergere così bene nel panorama politico nazionale da mettere sotto gli occhi di tutti l’estrema povertà di politici affidabili dell’opposizione in grado di contrastarlo, a causa della loro inadeguatezza nell’informare i cittadini della scarsa qualità delle stesse leggi governative.
I suoi avversari sanno solo urlare e proporre ricette populiste inservibili. Nell’opposizione non si vede un solo uomo politico adeguato in circolazione in grado di essere sfidante appropriato di Renzi sul piano del confronto della qualità delle leggi approvate.
I suoi avversari sono tutti o massimalisti inadeguati di destra e di sinistra o mediocrità che non convincono. Nessuno, compreso Renzi, parla almeno una lingua straniera in modo fluido e convincente. Nessun politico dell’opposizione ha competenze di politica estera di buon livello. Sono al massimo esperti provinciali di politica locale. Non sono portatori di alcun progetto complessivo che possa chiamarsi tale nel quale possano emergere proposte legislative di qualità. Mostrano una miscela desolante di povertà di idee, di conformismo protestatario e un affollamento di demagogia e populismo nel loro cervello che appaiono solo battaglieri e basta.
Il Pd di Renzi sta diventando famoso per le contraddizioni che lo attanagliano. Vuole licenziare entro 48 ore uno statale fannullone che bara sulla sua presenza al lavoro ma nello stesso tempo inciampa nel reato di omicidio stradale regalando al partito di Berlusconi la conseguenza di salvare gli assassini da un arresto immediato.
Vuole approvare, e ci sta riuscendo, una modifica costituzionale per introdurre il monocameralismo ma non cancella totalmente il Senato e le Province. Accetta la logica del mondo del calcio con presidenti e dirigenti che fanno vergognare per le loro incapacità in tutto ma poi non cambia nulla nella politica dello sport. Propone nel testo base delle unioni civili tutto il ciarpame di idee e regole della legislazione danese e olandese per svuotare di senso la famiglia come l’abbiamo conosciuta da millenni ma poi si appella alla libertà di coscienza dei parlamentari per farla approvare.
Permette agli ingegneri di poter insegnare matematica in tutte le scuole superiori, consentendo alla lobby dei costruttori palazzinari di entrare nel mondo della scuola con conseguenze disastrose sulle basi della cultura scientifica dei giovani. Le fondamenta delle competenze matematiche nei giovani, lo ricordiamo con chiarezza, sono astrattezza e formalismo che mal si conciliano con l’empirismo ingegneristico nell’insegnamento della matematica. Il Ministro della P.I. e a maggior ragione il premier Renzi accettano di fatto i curricoli universitari attuali inadeguati attraverso i quali emerge che uno studente di un buon liceo scientifico “fa e sa” più matematica di uno studente universitario di ingegneria. Si può immaginare la debolezza della didattica di laureati in ingegneria di tal fatta che andrebbero a insegnare matematica essendo digiuni di merito e di metodo matematico.
Dopo che la Dc degli anni ’80 permise ai farmacisti di insegnare fisica negli istituti tecnici e agli avvocati di insegnare lingua francese alle scuole medie, rovinando le basi di tutti quei giovani che ebbero la sfortuna di trovarseli di fronte su una cattedra, assistiamo oggi impotenti a ulteriori disastri e confusione nel settore scolastico.
Per non parlare di elezioni comunali a Roma che fra pochi mesi dovrà eleggere il suo Sindaco dove il Pd è il principale responsabile della caduta dell’onestà e dell’etica nella capitale mentre il premier fa lo gnorri. E altro ancora. In un paese normale l’opposizione avrebbe dovuto approfittare di queste vistose incoerenze e proporre valide alternative riformiste e adeguate.
Salvini sarebbe un’alternativa adeguata? Ma ci facciano il piacere avrebbe detto Totò. Insomma, un disastro.
In questo deserto Renzi, campione di velocità nel produrre leggi ma inetto nell'infarcirle di qualità, appare come un gigante a dispetto dei suoi detrattori. Te capì?

giovedì 21 gennaio 2016

L'ottima Milano scende in campo!


Milano si è presentata ieri come modello di competizione elettorale nel primo confronto ufficiale tra i candidati alle primarie del centrosinistra per la carica di Sindaco della città. Quattro bei candidati che si sono scontrati con molto fair play e tanta educazione. Educazione politica, educazione civile, educazione di stile e di linguaggio, educazione progettuale sui contenuti, alcuni adeguati altri meno ma sempre all'altezza delle tradizioni della città. Insomma, una gran bella città che da l’esempio a tutte le città d’Italia che fra qualche mese rinnoveranno i loro Consigli comunali.
Mentre nella città dei Navigli ci si confronta con molto civismo e senso pratico Roma appare desolatamente disperata nel tentativo di far dimenticare i sui difetti, i piccoli giochi politici, il cabotaggio partitico, le aggressioni verbali, l’inaffidabilità della sua classe politica e la volgarità di certe iniziative di alcuni politici locali. Siamo curiosi di vedere questo duello a distanza tra la civile Milano e la grossolana Roma come andrà a finire. Finora non c’è storia: 1-0 per Milano. Vedremo alla fine il bilancio tra le due città. Te capì?

mercoledì 20 gennaio 2016

Un esempio concreto di applicazione delle forme derivate del verbo “spoglio”.


Introduzione

Com’è noto nella lingua araba il verbo فِعْ لٌ è uno dei tre cardini della grammatica. Insieme al nome اٌسٌْم e alla particella ٌ حَرْف costituisce le fondamenta dell’architettura della lingua araba. Il verbo è sicuramente la categoria linguistica di più difficile intendimento rispetto alle altre due. E’ pertanto necessario procedere con esempi e modelli وَزْنٌٌ di comprensione adeguati al suo ruolo per comprenderne la logica e farla propria.
Prima di studiare i verbi irregolari tuttavia è necessario imparare la base del senso del verbo in termini di radici e di conseguenza in termini di modifiche della radice stessa. Si inizia così con il verbo più semplice e regolare che si possa immaginare che chiamerò qui, alla maniera araba, “verbo spoglio” (in arabo الفعل اٌٌٌلمُجَرَّد mentre in italiano lo si chiama generalmente verbo di “I forma”).
Il secondo passo è quello di imparare a saper coniugare prima il passato e poi il presente dei verbi derivati in riferimento a quello spoglio. Gli arabi li chiamano “verbi aumentati” (in arabo الفعل اٌٌٌلمزَِيد ).
In totale si studiano dieci forme: la prima è quella spoglia nella forma più semplice e meno complessa, formata generalmente da tre lettere, da cui il nome di trilittero ( الفِعْلُ اٌلثُلا يِ ثٌ ), mentre le altre nove forme sono proprio quelle dichiaratamente aumentate.
Qui per verbi “aumentati” si intende che alle tre radicali del verbo spoglio si aggiungeranno una o più lettere servili (morfemi) a qualunque delle tre radicali dello spoglio (per esempio ا, ت, ن, س e il segno della shadda w) inserite o come prefisso o come infisso o con entrambe. In genere si segue uno schema che prevede come modello il verbo فعلٌ , in cui le tre radicali di riferimento R1, R2 ed R3 sono le consonanti ف, ع e ل.
E’ importante sapere che mentre il verbo spoglio فٌٌَعٌَلٌٌَ in italiano significa “ha fatto” o “fece”, tutte le altre forme non hanno alcun significato. Teniamolo sempre presente per evitare inconvenienti ed equivoci.

Esempio paradigmatico di applicazione.

Adesso presenterò l’esempio concreto di coniugazione di verbo regolare che nella forma spoglia è il verbo نظر (vocalizzato con il تشكيل in modo lessicale نظََرٌَ). Mi propongo di prendere confidenza con questa metodologia di studio della coniugazione della più semplice forma verbale فعل con lo scopo dichiarato di maturare esperienza e abitudine alla coniugazione, avendo un modello di riferimento sicuro che mi guidi nelle modalità di cambiamento morfologico che veicolano significati differenti delle forme derivate. Cominciamo dalla
I forma :
نظرٌ significa guardare. Come primo momento di presa d’atto posso coniugare facilmente i due tempi del passato e del presente di questo verbo regolare, che gli arabi chiamano “sano”, ovvero سٌَالٌِيم .
Passato: nazartu, nazarta, nazarti, nazara, nazarat, nazarnaa, nazartum, nazartunna, nazaruu, nazarna, nazartuma, nazaraa, nazarataa. نظٌََرْتٌُ , نظٌََرْتٌَ , نظٌََرْتٌِ , نٌظٌََرٌٌَ , نٌظٌََرَتٌْ , نٌظٌََرْنٌَ , نٌظٌََرْتٌٌُْ , نٌظٌَرْتُنٌَّ , نٌظٌََرُوا , نٌظٌََرْنٌَ , نٌظٌٌََرْتُمَا , نٌظٌََرَا , نظٌََرَتٌَ .
Presente: Anzuru, tanzuru, tanzuriina, yanzuru, tanzuru, nanzuru, tanzuuruna, tanzurna, yanzuuruna,yanzurna, tanzuraani, yanzuraani, tanzuraani. أَنْظٌُرٌُ , تنَْظٌُرٌُ , تنَْظٌُرِينٌَ , يٌَنْظٌُرٌُ , تٌنَْظٌُرٌُ , نٌنَْظٌُرٌُ , تنَْظٌُرُونٌَ , تنَْظٌُرْنٌَ , يَنْظٌُرُونٌَ , يَنْظٌُرْنٌَ , تنَْظٌُرَانٌِ , يَنْظٌُرَانٌِ , تنٌَْظٌُرَانٌِ .
Ho riportato in corsivo la traslitterazione di tutte le persone di entrambi i tempi, passato e presente, perché voglio essere completo ed evitare errori di trascrizione almeno nella forma base. Tutte le altre forme saranno coniugate solo nella lingua araba.
II forma:
نٌظََّرٌَ significa vendere a credito a qualcuno. Si distingue dalla prima forma per avere la seconda radicale con sopra il segno (shadda) del raddoppiamento della consonante. Come si nota non esiste un nesso preciso tra l’idea del guardare del verbo spoglio e l’idea di vendere a credito del verbo “aumentato”. Invece il nesso esiste ed è da cercare nel senso di “aspettare” e dunque di “vendere e aspettare intensamente” cioè “accredito”. Adesso lo coniugherò.
Passato: نظٌََّرْتٌُ , نظٌٌََّرٌْتٌَ , نظََّرْتٌِ , نظََّرٌَ , نظََّرَتٌْ , نظََّرْنٌَ , نظََّرْتٌُْ , نظََّرْتُنٌَّ , نظََّرُوا , نظََّرْنٌَ , نظََّرْتُمَا , نظََّرَا , نظََّرَتٌَ .
Presente: أُنظَِّرٌُ , تُنَظِّرٌُ , تُنَظِّرِينٌَ , يُنَظِّرٌُ , تُنَظِّرٌُ , نُنَظِّرٌُ , تُنَظِّرُونٌَ , تُنَظِّرْنٌَ , يُنَظِّرُونٌَ , يُنَظِّرْنٌَ , تُنَظِّرَانٌِ ,يُنَظِّرَانٌِ , تُنَظِّرَانٌِ .
Ebbene non ci crederete ma ho scritto le tredici forme delle varie persone senza fare alcuno sforzo di memoria perché ho incollato col mouse tutte le ventisei lettere del passato e del presente, dopodiché ho aggiunto, in maniera semplice e sistematica, qualche lettera servile a ogni persona necessaria per differenziare tutte le ventisei forme verbali. Da questo punto di vista l’arabo è una lingua semplicissima e allo stesso tempo rigorosa. Nulla a che fare con le difficoltà ragguardevoli dell’italiano che salta “di palo in frasca”, come nel presente del verbo andare in cui la prima persona singolare è io “vado” mentre la prima persona plurale è noi “andiamo”. Cambia praticamente tutto. Non c’è più alcun tema o radice in comune.
Che cosa hanno di simile “vado” e “andiamo”? In italiano sarebbe inconcepibile coniugare il verbo “andare” alla maniera araba in tutte le persone, modificando soltanto una sola consonante più o meno servile! E’ come se in arabo il verbo “andare” - coniugato correttamente al presente in “vado / vai / va / andiamo / andate / vanno” e al passato remoto in “andai / andasti / andò / andammo / andaste / andarono” - potesse dare direttive al verbo discendente da esso “vendere a credito” imponendogli la improbabile coniugazione al presente: «vaado / vaai / vaa / andiaamo / andaate / vaanno” e al passato “andaai / andaasti / andaò / andaammo / andaaste / andaarono», aggiungendo come si vede una semplicissima lettera servile «a» come infisso. In poche parole il nostro magnifico verbo “andare” è un verbo irregolare. Se fosse stato regolare, come lo sono tutti i verbi sani arabi la coniugazione del presente avrebbe dovuto essere la seguente: «io ando / tu andi / egli anda / noi andiamo / voi andate / essi andano». Ma così purtroppo non è, mentre in arabo si avrà sempre la stessa serie ripetuta alla medesima maniera, indipendentemente dalla tipologia di radice del verbo. Intrigante, no?
E questo è niente perché tutti i verbi “aumentati” delle altre sette forme rimanenti si coniugano alla stessa maniera cambiando la lettera servile o la sua posizione come infisso! Sorprendente, no?
III forma :
نظر significa dirigere. Si distingue dalla prima forma per avere la alif come infisso dopo la prima radicale. Come si può notare anche qui esiste un nesso tra l’idea del guardare del verbo spoglio e l’idea di dirigere della terza forma. Infatti il nesso è da ricercare nel senso di “guardare > vedere > supervisionare”. Adesso lo coniugherò.
Passato: نَظَرْتٌُ , نَظَرْتٌَ , نَظَرْتٌِ , نَظَرٌَ , نَظَرَتٌْ , نَظَرْنٌَ , نَظَرْتٌُْ , نَظَرْتُنٌَّ , نَظَرُوا , نَظَرْنٌَ , نَظَرْتُمَا , نَظَرَا , نَظَرٌَتٌَ .
Presente: أُنَظِرٌُ , تُنَاظِرٌُ , تٌُنَاظِرِينٌَ , يٌُنَاظِرٌُ , تُنَاظِرٌُ , نُنَاظِرٌُ , تُنَاظِرُونٌَ , تُنَاظِرْنٌَ , يُنَاظِرُونٌَ , يُنَاظِرْنٌَ , تُنَاظِرَانٌِ , يُنَاظِرَانٌِ , تُنَاظِرَانٌِ .
IV forma:
أَنْظَرٌَ significa concedere una dilazione a qualcuno. E’ diverso dalla forma spoglia perché ha come prefisso l’alif iniziale. Lo coniugo subito.
Passato: أَنْظَرْتٌُ , أَنْظَرْتٌَ , أَنْظَرْتٌِ , أَنْظَرٌَ , أَنْظَرَتٌْ , أَنْظَرْنٌَ , أَنْظَرْتٌُْ , أَنْظَرْتُنٌَّ , أَنْظَرُوا , أَنْظَرْنٌَ , أَنْظَرْتُمَا , أَنْظَرَا , أَنْظَرَتٌَ .
Presente: أُنْظِرٌُ , تُنْظِرٌُ , تُنْظِرِينٌَ , يُنْظِرٌُ , تُنْظِرٌُ , نُنْظِرٌُ , تُنْظِرُونٌَ , تُنْظِرْنٌَ , يُنْظِرُونٌَ , يُنْظِرْنٌَ , تُنْظِرَانٌِ , يُنْظِرَانٌِ , تُنْظِرَانٌِ .
V forma:
تنََظَّرٌَ significa aspettare il momento opportuno o anche “guardare con attenzione”. Si distingue dalla prima forma per avere la تٌ come prefisso e la seconda radicale con la shadda. Come si può notare anche qui esiste un nesso preciso tra l’idea del guardare del verbo spoglio e l’idea di aspettare il momento opportuno della V forma. Il nesso continua ad essere nel doppio nucleo della radice “guardare, aspettare”. Adesso lo coniugherò.
Passato: تنََظَّرْتٌُ , تنََظَّرْتٌَ , تنََظَّرْتٌِ , تنََظَّرٌَ , تنََظَّرَتٌْ , تنََظَّرْنٌَ , تنََظَّرْتٌُْ , تنََظَّرْتُنٌَّ , تنََظَّرُوا , تنََظَّرٌْنٌَ , تنََظَّرْتُمَا , تنََظَّرَا , تنََظَّرَتٌَ .
Presente: أَتنََظَّرٌُ , تتََنَظَّرٌُ , تتََنَظَّرِينٌَ , يَتَنَظَّرٌُ , تتََنَظَّرٌُ , نتََنَظَّرٌُ , تتََنَظَّرُونٌَ , تتََنَظَّرْنٌَ , يَتَنَظَّرُونٌَ , يَتَنَظَّرْنٌَ , تتََنَظَّرَانٌِ , يَتَنَظَّرَانٌِ , تتََنَظَّرَانٌِ .
VI forma:
significa stare di fronte. Si distingue dalla prima forma per avere anche questa la تٌ iniziale come prefisso. E poi ha la alif di prolungamento dopo la prima radicale. A conferma delle volte precedenti si può notare che anche qui esiste un nesso consistente tra l’idea del guardare del verbo spoglio e l’idea dello stare di fronte, di fronteggiarsi. Adesso lo coniugherò di seguito.
Passato: تنََاظَرْتٌُ , تنََاظَرْتٌَ , تنََاظَرْتٌِ , تنََاظَرٌَ , تنََاظَرَتٌْ , تنََاظَرْنٌَ , تنََاظَرْتٌُْ , تنََاظَرْتُنٌَّ , تنََاظَرُوا , تنََاظَرْنٌَ , تنََاظَرْتُمَا , تنََاظَرَا , تنََاظَرَتٌَ .
Presente: أَتنََاظَرٌُ , تتََنَاظَرٌُ , تتََنَاظَرِينٌَ , يَتَنَاظَرٌُ , تتََنَاظَرٌُ , نتََنَاظَرٌُ , تتََنَاظَرُونٌَ , تتََنَاظَرْنٌَ , يَتَنَاظَرُونٌَ , يَتَنَاظَرْنٌَ , تتََنَاظَرَانٌِ , يَتَنَاظَرَانٌِ , تٌتََنَاظَرَانٌِ .
VIII forma:
إنْتَظَرٌَ ٌ significa aspettare qualcuno. Si distingue dalla prima forma per avere la alif iniziale come prefisso con la kasra. Ha altresì come infisso, dopo la prima radicale, una تٌٌ . Qui c’è quasi una totale convergenza sull’idea dell’attesa. Il nesso preciso è che l’idea dell’attendere è precisata perché si aspetta qualcuno. Adesso lo coniugherò come al solito.
Passato: اِنْتَظَرْتٌُ , اِنْتَظَرْتٌَ , اِنْتَظَرْتٌِ , اِنْتَظَرٌَ , اِنْتَظَرَتٌْ , اِنْتَظَرْنٌَ , اِنْتَظَرْتٌُْ , اِنْتَظَرٌْتُنٌَّ , اِنْتَظَرُوا , اِنْتَظَرْنٌَ , اِنْتَظَرْتُمَا , اِنْتَظَرَا , اِنْتَظَرَتٌَ .
Presente: أَنْتَظِرٌُ , تنَْتَظِرٌُ , تنَْتَظِرِينٌَ , يَنْتَظِرٌُ , تنَْتَظِرٌُ , ننَْتَظِرٌُ , تنَْتَظِرُونٌَ , تنَْتَظِرْنٌَ , يَنْتَظِرُونٌَ , يَنْتَظِرْنٌَ , تنَْتَظِرَانٌِ , يَنْتَظِرَانٌِ , تٌنَْتَظِرَانٌِ .
X forma:
significa attendere, avere pazienza. La X forma è unica e molto peculiare perché c’è un solo consistente prefisso (ista) formato dalle tre lettere س إ e ت che precedono la prima radicale. Il nesso esiste in modo significativo perché l’attesa è ineludibile, forse condita con un pizzico di pazienza in più.
Passato: اِسْتَنْظَرْتٌُ , اِسْتَنْظَرْتٌَ , اِسْتَنْظَرْتٌِ , اِسْتَنْظَرٌَ , اِسْتَنْظَرَتٌْ , اِسْتَنْظَرْنٌَ , اِسْتَنْظَرْتٌُْ , اِسْتَنْظَرْتُنٌَّ , اِسْتَنْظَرُوا , اِسْتَنٌْظَرْنٌَ , اِسْتَنْظَرْتُمَا , اِسْتَنْظَرَا , اِسْتَنْظَرَتٌَ .
Presente: أَسْتَنْظِرٌُ , تسَْتَنْظِرٌُ , تسَْتَنْظِرِينٌَ , يسَْتَنْظِرٌُ , تسَْتَنْظِرٌُ , نسَْتَنْظِرٌُ , تسَْتَنْظِرُونٌَ , تسَْتَنْظِرْنٌَ , يسَْتَنْظِرُونٌَ ,يسَْتَنْظِرْنٌَ , تسَْتَنْظِرَانٌِ , يسَْتَنْظِرَانٌِ , تسَْتَنْظِرَانٌِ .

Osservazioni finali.

Come si può notare in tutto ci sono otto forme per la radice نظر . Mancano la settima e la nona. La nona è una forma che si incontra raramente, quindi non è difficile comprendere la sua mancanza. La settima forma manca probabilmente per motivi eufonici ai quali gli arabi sono sempre stati sensibili e interessati. Questa forma è del tipo اِنْفَعَلٌٌٌٌَ . La ragione è che probabilmente se esistesse ci si troverebbe a dover pronunciare un verbo di questo genere con il raddoppio della ن, dovuta sia alla نٌٌ della prima radicale e sia alla نٌ della settima forma. Solo nei verbi sordi e anche in VIII forma di prima debole ciò è possibile anche se c’è un prezzo da pagare per cui alcune “persone” raddoppiano la seconda radicale e altre no. Qui non sarebbe possibile. A margine del numero di forme in cui una radice può esistere non ho mai incontrato più di otto forme, come per l’appunto il verbo نظرٌ . Al di là delle varie connotazioni e diversità di significato rimane il dato oggettivo della scientificità dell’impianto verbale arabo delle diverse forme. La coniugazione di questi verbi ha un paradigma regolarissimo e rappresenta una delle caratteristiche principali della lingua araba. L’ultimo passo di queste brevi note riguarda le conseguenze delle varie forme. In un normale vocabolario arabo-italiano come il Tràini (si veda la bibliografia) dopo la presentazione delle varie forme e delle successive coniugazioni si trovano, aggettiviٌ صِفَةٌ , avverbi ظٌَرْفٌ , infiniti مٌَصْدَرٌ , nomi اٌس e tutto quell’universo lessicale che tenendo conto delle particelle حرف arricchisce questa sorprendente lingua. Vediamone qualcuno.

1) نظٌٌََ رٌاٌٌ che significa in vista di, in base a;
2) بِِلنَّظَرٌَ che significa attirare l’attenzione;
3) نظََرِ يٌٌ che significa visivo, ottico;
4) نِظٌَارَةٌ che significa supervisione, sovrintendenza;
5) نظََّارَةٌ che significa binocolo, cannocchiale, occhiali;
6) نظَِيرٌ che significa simile, analogo equivalente;
7) إنْتِظَارٌ che significa attesa, aspettazione;
8) نظَْرَة che significa sguardo, occhiata;
9) مُنْتَظَر che significa aspettato, atteso, previsto;
10) نَظِرُ مٌَحَطَّ ةٌ che significa addirittura capostazione;
11) النَّظِيرٌُ che significa nadir, cioè l’antipode dello zenit. Per gli amanti dell’astronomia è la «intersezione della verticale passante per il punto di osservazione orientata verso il centro della Terra con la sfera celeste»;
12) infine, نظرية اٌلنسبية cioè teoria della relatività.

Capite tutti che dalla radice نظر basta aggiungere una alif di prolungamento prima o dopo una radicale, o una ة solo in fine parola, o cambiare una vocale breve con una delle altre due che immediatamente cambia il significato della parola. Fatto più importante però è che tutte le parole sono legate dall’idea di fondo espressa dalla radice guardare e aspettare. In verità alcuni verbi non seguono questa idea generale. In genere sì. Dalla radice si possono ottenere nomi, aggettivi, avverbi, infiniti, participi e tanti altri elementi grammaticali. Per quanto riguarda invece la vocalizzazione grammaticale (ع اب ) nei confronti di un qualsiasi sostantivo, per esempio , scelgo le seguenti tre frasi verbali che evidenziano l’uso rispettivamente dell’accusativo (مَنْصُوب ), del caso obliquo ( مَجْرُورٌ ) e del nominativo (مَرْفوع ) : ا / فيِ اٌلبَيْتٌِ / نظََرْةٌٌٌُ الذي ا . Infine ricorderei a questo punto la regola del verbo al singolare con il soggetto al plurale tipica delle frasi verbali che inizino con il verbo secondo lo schema «v-s-o» adoperando il nostro verboٌٌ: نظََرَ اٌلمُسَافِرُونٌَ اٌلبَيْتٌَ . Il verbo نظر e tutti gli altri, a mio parere, possono rimanere decisamente più familiari se avremo il coraggio di seguire le direttive metodologiche evidenziate sopra :
1) struttura del verbo spoglio, 2) struttura del verbo aumentato, 3) coniugazione delle dieci forme, 4) ricerca di nomi, aggettivi, ecc., rendendolo un momento ludico di indagine lessicale nel vocabolario, in grado di permetterci di navigare nell’oceano del lessico arabo con incommensurabile soddisfazione. In ogni caso questo esempio potrà diventare utile se ci si vorrà cimentare come iniziazione a un percorso di studio che sia basato sulla esercitazione e sull’abitudine alla coniugazione. Risolvere esercizi, come quello sopra descritto, vorrà dire entrare in una pista di apprendimento sicura e propositiva che permetterà di far “toccare con mano” allo studente la ricchezza e la bellezza delle parole in relazione alle radici del verbo arabo.

Bibliografia

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33. Padre Alessio da Livorno, Elementi di Lingua araba, Gerusalemme, Tipografia dei PP: Minori Francescani, 1850;
34. Giuseppe Gabrieli, Manuale di arabo letterario, Roma, Casa editrice italiana, 1913;
35. Giuseppe Sapeto, Grammatica araba volgare, Firenze, Tip. e Lit. dei Fratelli Pellas, 1866;
36. Fathi Makboul, Impara l'arabo, Roma, Centro culturale arabo, 1985;
37. Rosaria Zanetel Katrib-Gihad Hassan Katrib, Parliamo l'arabo. Grammatica, Padova, Editore Zanetel Katrib, 1987;
38. Hisam Jamil Allawi-Rita Degli Alberi, Salaam. Primi passi verso la lingua araba, Formigine (MO), Infinito edizioni, 2015;
39. Martino Diez, Introduzione alla lingua araba. Origini, storia, attualità, Milano, Vita e Pensiero, 2012;
40. Michele Vallaro, Parliamo arabo? Profilo (dal vero) di uno spauracchio linguistico, Torino, Promolibri Magnanelli, 1997;
41. R. Baalabki, Al-Mawrid, Dizionario arabo-italiano, Beirut, Dar El-Ilm Lilmalayin, 2000;
42. Rosaria Zanetel Katrib-Gihad Hassan Katrib, Parliamo arabo Grammatica, Padova, La Garangola, 1988;
43. Lawendy Wahiba Aziz, Parlo arabo : manuale di conversazione con pronuncia figurata, Milano, A. Vallardi, 1996.

domenica 17 gennaio 2016

Alla ricerca del referendum confermativo perfetto (3° e ultima puntata).


Di male in peggio. Il nuovo editoriale domenicale di Eugenio Scalfari di oggi è un capolavoro del suo pensiero politico. Come temevamo la sua ossessione antirenziana raggiunge vette talmente oltranziste che lo costringe a commettere il solito errore di valutazione.
Abbiamo sottolineato nei due nostri post precedenti che Scalfari nella sua folle corsa a parlare male di Renzi ha perduto il controllo quantitativo dei numeri. Dopo lo svarione di oggi siamo costretti ad affermare che Scalfari ha problemi di matematica. Quando il nostro Eugenio è costretto a parlare di numeri e di aspetti quantitativi della realtà, in questo caso elettorale, entra in crisi perchè non domina il semplice pensiero matematico su cui si reggono i numeri nelle elezioni.
Ricordate la nostra polemica (affettuosa) sui possibili numeri degli elettori al referendum costituzionale del prossimo mese di ottobre? Prima aveva detto che avrebbero votato solo tre elettori. Avevamo capito che era una provocazione, ma sotto sotto c'era comunque la non accettazione del risultato che lui presume si verificherà come plebiscito pro-Renzi del paese. Poi aumentò i voti da 3 ad alcune centinaia di migliaia che noi interpretammo in 300 000 con un aumento di 5 ordini di grandezza, tanti quanti sono il numero degli zeri rispetto a una potenza di base dieci ed esponente zero.
Adesso la bomba. Secondo lui voteranno 40 milioni degli “aventi diritto” e Renzi avrà una maggioranza più che doppia dei suoi avversari (30 milioni contro 10 milioni). Intendeva dire che voteranno appena il 40%? Troppa grazia Signore. Adesso ha esagerato in senso contrario alle precedenti proponendo una cifra assurda in cui per confermarlo dovrebbero votare tutti gli italiani che ne hanno diritto. Dobbiamo supporre che nel prossimo articolo l’ennesima sua provocazione ipotizzerà che voteranno in 100 milioni, compresi gli svizzeri di lingua italiana, tutta S. Marino, mezza Slovenia e Croazia, tre quarti di Albania e Malta e tutti coloro che nel mondo hanno simpatia per la cultura italiana come si fa all’Eurofestival?
Dunque, abbiamo scoperto un vulnus scalfariano che non conoscevamo: la sua scarsa frequentazione con la matematica e le scienze formali, dove il linguaggio non è filosofico o teologico o letterario ma decisamente galileiano e ma-te-ma-ti-co.
Intendiamoci. Scalfari in Italia non è in solitudine in questo. Nel nostro paese c'è un esercito di ignoranti di matematica e di scienze. Basta chiedere in giro cosa dice il secondo principio della termodinamica e avrete contezza della sberla alla cultura scientifica che questi soloni della politica danno quotidianamente alla scienza. Il grande Vittorio Gassman in una intervista televisiva ebbe a dire che di matematica non capiva una sola acca ma di teatro era un maestro. Ed era vero. La cultura scientifica in Italia è sempre stata considerata di serie B.
A nostro parere questa concezione elitaria dell’asse umanistico è scandalosa oltre che inaccettabile. Se dipendesse da noi qualunque impiego retribuito dallo Stato dovrebbe prevedere, pena il licenziamento, una preparazione almeno sufficiente (voto almeno 6) di cultura scientifica, naturalmente con noi nella commissione d’esame e non da semplici spettatori di lavori di una commissione addomesticata come è spesso uso fare in Italia.
Non vorremo che gli attuali politici immorali che con i loro comportamenti avidi e interessati facciano la cresta nei loro sporchi intrallazzi con la criminalità più o meno mafiosa proprio perché digiuni di cultura scientifica e valoriale ma bravi solo in ragioneria, colpa di un deficit colossale di cultura etica del proprio ruolo.
Ricordiamo all'amico Scalfari che ha commesso un altro errore (di geografia o di ambiguità faccia lui) perchè ha citato tra i paesi dell’Unione Europea la Macedonia. Skopje non è ancora una capitale appartenente alla UE. Chiudiamo qui questa querelle. E tanti auguri per il quarantennale del suo ottimo giornale la Repubblica.

venerdì 15 gennaio 2016

Ricorrenze e ricordi.


Il 14 gennaio 1975 c’ero anch’io. Ricordo quella lontana mattina di quarant’anni fa in un freddo martedì d’inverno sondriese quando, da giovane docente di matematica e fisica in una scuola secondaria superiore del capoluogo valtellinese, comprai il primo numero de la Repubblica. Ricordo benissimo quella mattinata. Mi trovavo in Piazzale Bertacchi, davanti alla stazione ferroviaria della cittadina lombarda, in un assolato ma freddissimo mezzogiorno alpino con in mano appena comprato il primo numero all’edicola della stazione che conteneva una ventata di novità giornalistica di respiro nazionale. Ero tanto curioso che lo sfogliai velocemente con desiderio. Mi premeva leggerne titoli, sottotitoli e parti di contenuto.
Lo portavo in mano, orgoglioso della novità ma anche dell’emozione della prima volta. Non volevo sgualcirlo perché era tutto da scoprire. A quell’epoca non esisteva internet e, dunque, la lettura del giornale era un avvenimento importante della quotidianità della mia vita di giovane insegnante di discipline scientifiche. In più mi dava la sensazione di uscire dalle ristrettezze del piccolo centro lombardo dandomi la sensazione di essere trasportato, come in un racconto fantascientifico, nelle città che contano come Milano o Roma.
Conoscevo il nome del direttore Eugenio Scalfari e di alcuni membri del gruppo redazionale perché avevo seguito anni prima da studente l’esperienza scalfariana dell’Espresso. Quel settimanale, che io chiamavo il giornalone, a fogli grandi mi dava la consapevolezza di essere diventato subito un adulto, in quanto potevo dire che seguivo ”la politica”.
Ricordo quel giorno, anche per un altro motivo, perché nella stessa giornata la Gazzetta Ufficiale n.12 pubblicò le modifiche della legge 416 concernenti l’istituzione e il riordinamento di Organi Collegiali della scuola di ogni ordine e grado. Sono convinto che questa mia nota personale a molti potrà apparire superflua e inutile ma, per un insegnante di scuola media superiore che aveva preso sul serio la sua attività professionale di insegnamento della cultura scientifica, la cosa assumeva un’alta valenza culturale.
Come docente ero interessato a conoscere tutto ciò che potesse interessarmi in fatto di scuola e di educazione, perché avevo avuto in precedenza una nomina a tempo indeterminato e stavo per concludere il corso di abilitazione a Milano per l’insegnamento di matematica e fisica. In più, stavo per andare a Roma a svolgere la prova scritta del concorso a cattedre della classe XXXIII indetto con DM 5.5.73, ultimo concorso a carattere nazionale d’Italia che alla fine vinsi entrando nei ruoli ministeriali della docenza nazionale.
Questa lunga premessa è necessaria per dire che leggendo il primo numero e poi i successivi de la Repubblica notai questa coincidenza di data del primo numero del giornale di Scalfari e il riordino dei “doveri della scuola e del suo personale” nella società. Non si tratta di bruscolini ma di fatti politici importanti in un mondo, quello scolastico, che andava a braccetto con la cultura e la politica coinvolgendo l’intera mia personalità. Diedi una veloce scorsa ad alcune pagine perché prima del pranzo volevo fare una passeggiata. Avrei letto il giornale a casa, con calma, dopo aver pranzato.
Fu così che conobbi la Repubblica e i suoi contenuti. Da quel giorno diventai un convinto lettore. Fino a quel momento avevo letto con continuità il Corriere della Sera diretto per alcuni anni dal grande Giovanni Spadolini che mi piaceva per il tono giornalistico elevato che si avvicinava molto al quotidiano britannico The Times che compravo una sola volta la settimana la domenica (avevo pochi soldi) perché innamorato della cultura anglosassone e contemporaneamente per migliorare il mio inadeguato inglese.
La Repubblica mi piacque a metà. Apprezzai le scelte di politica estera. Trovavo notevoli convergenze in politica interna ed economica con il mio pensiero, intriso di modernità ma anche di tradizione, che mi portava a collocarmi politicamente a sinistra ma in una sinistra moderata e riformista non certamente massimalista. In più e finalmente trovavo un giornale che non parlava di calcio in modo ossessivo come facevano gli altri. Non sopportavo il calcio, le sue esagerazioni, i suoi eccessi e preferivo il rugby con le appassionanti telecronache del giornalista Paolo Rosi durante le partite del 5 Nazioni.
Con la Repubblica tuttavia trovai non solo consonanze ma anche discordanze e, soprattutto, divergenze su alcuni temi, come a mio parere la sua sconcertante e irritante adesione acritica e di sostegno alla ideologia della triplice sindacale che a mio parere stava distruggendo la scuola, oltre naturalmente ad altri fatti in cui si manifestava il mio pensiero di cittadino non influenzabile dalle linee di politica dei partiti.
Sono sempre stato un critico del comunismo sovietico e soprattutto italiano, al quale ho sempre rimproveravo la miopia politica di non aver aiutato il PSI a far diventare Craxi capo di un governo di centrosinistra. Trovavo la politica del Pci incomprensibile da questo versante, a maggior ragione preso atto della premessa che a mio avviso il nemico comune fosse la vecchia e avvilente DC piuttosto che il dinamico e rampante PSI. Certo nel mio modo di vedere c’era una certa ingenuità e una scarsa conoscenza del ruolo concreto e di potere che aveva la politica nella società. Ma io ero un giovane idealista e pensavo che il male venisse solo dal mondo conservatore democristiano, che manovrava nel buio della sottobosco politico rendendo lo sviluppo della nazione (a quel tempo era vietato parlare di Patria ma solo di paese, per giunta con la p minuscola) di difficile attuazione.
Dunque, le mie idee riformiste e moderate non coincidevano con quelle di Scalfari e non coincidono neanche adesso dopo quarant’anni di suo incessante e straordinario lavoro giornalistico. In poche parole ho capito che era necessario essere assai critico nei confronti di questo gruppo di filo “cigiellini” mascherati da innovatori che non potevo soffrire e che hanno accompagnato importanti campagne di stampa contro la caduta valoriale di morale ed etica della politica italiana. Certo ho aderito con entusiasmo alla sua linea politica antiberlusconiana ma, a quel punto, Scalfari non fu più il direttore della testata.
Orbene, con queste note critiche fuori del coro desidero concludere questo post ricordando che il giornale la Repubblica, comunque e in ogni caso, rimane una pietra miliare del giornalismo italiano che ha permesso agli italiani contrari al flauto magico berlusconiano di avere loro mostrato una linea politica rigorosa e profondamente etica in uno dei periodi più bui della lunga storia.
Grazie Eugenio Scalfari di averci accompagnato in questa quarantennale avventura. Mi dispiace, ma non ho collezionato alcun numero delle sue interessanti copie. Con stima.

lunedì 11 gennaio 2016

I dilettanti della politica di immigrazione.


Mai visti tanti dilettanti dell’informazione che coprono responsabilità politiche nel settore dell'immigrazione in Italia. A parole si mostrano esperti, competenti e preparati. Stucchevoli e, a seconda dello schieramento politico, moderati o radicali ripetono a memoria lo stesso ritornello che consiste nel dire molto e non fare nulla. In realtà sono degli improvvisatori coperti dal bollino doc dei partiti. In TV si ergono a paladini di competenze e straparlano fino all'inverosimile di politica dell'immigrazione come se fossero professori universitari.
Tra questi spiccano i “più competenti” ovvero i cosiddetti Responsabili della politica di immigrazione di tutti i partiti. In realtà questi “coordinatori delle chiacchiere” sono degli inutili e spesso dannosi demagoghi. I loro discorsi, spesso presentati più sul piano della filosofia e della morale dell'immigrazione che della concreta politica di immigrazione, sono tutti orientati a dare fiato e pubblicità all’opinione dei partiti. Niente proposte concrete. Nessun intervento per eliminare i disagi dei migranti e dei cittadini. Nulla che possa ridurre il divario culturale tra il ricco occidente cristiano e il bisognoso mondo musulmano.
Un folto gruppo di questi ciarlatani vanagloriosi recitano tutti la stessa poesiola imparata nelle sedi di partito. E cioè che da un lato è necessario accettare tutti i migranti e trovare loro la possibilità di rifarsi una vita e dall’altro non attendere un solo minuto e "buttarli a mare" tutti con respingimenti totali.
Tutti dimenticano due fattori. Il primo è il coordinamento dei processi di immigrazione con l'UE che è ineludibile e sul quale non spendiamo parola perché troppo conosciuto. L’altro è quello che ci interessa di più ed è la mancata formazione dei migranti.
Diciamo subito che il problema dell’immigrazione è culturale prima che politico. Questi migranti hanno la necessità assoluta di essere acculturati ai nostri valori e ai principi della nostra società laica. La separazione del potere religioso da quello dello Stato è per loro un buco nero conoscitivo che ignorano totalmente. Il loro problema è che non hanno la più pallida idea del senso e del ruolo che hanno le leggi di uno Stato laico nella vita della società. Sconoscono il significato dei nostri valori, non sanno che questi sono riconosciuti e tutelati costituzionalmente. In una sola parola non sanno nulla di come si dovrebbe vivere da noi. Ecco perchè urgono interventi formativi, scolastici di apprendimento immediati.
Due sono i settori in cui devono essere acculturati. Primo : devono imparare la lingua del paese in cui sono ospitati e intendono rimanere. Devono frequentare obbligatoriamente un corso almeno biennale di lingua e cultura italiana. Secondo: devono frequentare e superare dei corsi annuali di Educazione civica.
Solo dopo si potrà parlare di avviamento al lavoro. Solo imparando le maniere del vivere occidentale possono avere il via libera all'integrazione. Dov'è il ministro della PI che dovrebbe essere il perno centrale di questa politica? Dov'è il premier Renzi che parla solo di gufi? Che cosa sta facendo il governo a questo proposito? Dove sono le opposizioni che si oppongono a Renzi? Nulla. Assolutamente nulla. Tutti assenti. Ecco la ragione perchè i politici italiani sono assolutamente inadeguati al compito che la nuova società impone loro. In poche parole non sanno fare il loro mestiere. Te capì?

domenica 10 gennaio 2016

Alla ricerca del referendum confermativo perfetto (2° parte).


Siamo parzialmente soddisfatti. Non speravamo tanto. Ma “chi si accontenta gode” dice un problema. Conosciuto chi è responsabile della nostra parziale soddisfazione è già tanto che essa si sia potuta manifestare. Stiamo parlando di Eugenio Scalfari che nel suo articolo domenicale di oggi è ritornato sul referendum costituzionale “confermativo” cui Renzi ha legato il suo destino politico, compiendo notevoli progressi rispetto all'articolo precedente di domenica scorsa che noi abbiamo criticato.
Scalfari ha scritto oggi che la sua ipotesi, di un risultato elettorale che rischia di avere come protagonisti solo due elettori su tre, è che la maggioranza dei due che possono votare a favore di Renzi è “evidentemente” da considerare un’iperbole. In più ha cambiato opinione sull’ordine di grandezza, affermando che anche se il numero dei votanti sarà di “alcune centinaia di migliaia” su 40 milioni il problema persiste.
Dunque, almeno sul piano dell'ordine di grandezza, Scalfari ci ha dato ragione. Spostare la previsione da tre elettori a trecentomila (matematicamente individuabile da un numero approssimato esponenzialmente da 100 a 105) significa aver aumentato di ben cinque ordini di grandezza la previsione quantitativa precedente!
Ma noi siamo soddisfatti anche per un altro motivo e cioè per la tendenza ai numeri giusti che Scalfari ha introdotto con l’articolo di oggi, che sposta l'ipotesi da valori piccoli a valori considerevolmente più grandi. In questo modo Scalfari comincia a terremotare la sua idea disfattista di un referendum costituzionale “senza peso e senza senso”. Visto l'andazzo del suo pensiero siamo autorizzati a pensare che fra qualche domenica i numeri saranno ulteriormente aumentati a valori più consoni alla realtà, diciamo dai due votanti su tre iniziali a quindici milioni su quaranta milioni.
Ma quello che più ci irrita è un altro fatto. È come se questi numeri, comunque irrisori a suo parere, fossero ossessivamente anticostituzionali e non già per colpa della Costituzione che li prevede esplicitamente ma per colpa grave del Presidente del Consiglio! Insomma è colpa di Renzi se c’è la remota possibilità che a decidere potrebbero essere solo due voti su tre, pardon, di alcune centinaia di migliaia su 40 milioni.
Un seguace dello Stato di diritto come egli ha sempre dichiarato di essere non gli dà il diritto di prendersela con il suo avversario politico Renzi. È la Costituzione bellezza che dice questo.
Lo sappiamo che Scalfari non intende dire esplicitamente questo, ma lo lascia intendere, magari agli sprovveduti. Noi non lo siamo. E dunque la smetta di prendersela con Renzi. Se la prenda con la sua sinistra, quella della Ditta e, prima ancora, con quella di D’Alema e Prodi tanto per intenderci che per anni hanno gestito allegramente e furbescamente il Paese. Te capì?

martedì 5 gennaio 2016

Sunniti e sciiti: non è più possibile far finta di nulla.


L'infinita lotta dei musulmani sciiti con quelli sunniti, che si uccidono in nome dello stesso Dio, mostra che c'è qualcosa che non funziona nelle faccende religiose dei due. Noi non crediamo che il profeta Muhammad abbia voluto che finisse così subito dopo la sua morte. Dunque “c’è un problema”.
Ci chiediamo come sia possibile che musulmani che adorano la stessa divinità e che credono nello stesso libro sacro, chiamato Corano, devastano e incendiano le moschee dell'altro, che sono la casa del loro stesso Dio? Qui c'è qualcosa di incomprensibile e che gli stessi musulmani dovrebbero chiarire prima di tutto a se stessi e poi alla comunità mondiale. Non è possibile accettare che ci si uccida reciprocamente nel nome dello stesso Dio. Ai nostri occhi ciò non ci appare normale.
Siamo a conoscenza di come cominciò la storia appena dopo la morte del Profeta Muhamad. Ma la storia non può continuare così per sempre, perché tutto quest'odio fra gli stessi credenti del Corano introducono come minimo delle domande sulla correttezza e sulla opportunità della tesi dello scontro che si nutre di una rivalità religiosa. Non è possibile concepire questo scontro come se si trattasse di una cosa normale, perché normale non è.
Non facciamo i finti tonti, anche perché l'avvenuta globalizzazione non può accettare che si introducano violenza e terrore laddove invece è necessario avere pace e lavoro per tutti. Uno scontro tribale fra due fazioni religiose non può far subire al resto del mondo violenza, guerra e distruzione. E’ chiaro? Insomma, non è più tollerabile questa vicenda.
Senza entrare nei dettagli, è giunto il momento che si faccia intendere ‘a suocera e a nuora’ che nel 2016 non è più possibile continuare a fare la guerra per un motivo esclusivamente religioso. Certo, non è facile trovare ricette per risolvere la questione ma qualcuno deve intervenire. Non è possibile che una decina di Stati arabi, cinque sunniti e cinque sciiti, si possano permettere di creare guerre distruttive imponendo al resto della comunità mondiale dei 200 Stati aderenti all’ONU di subire le conseguenze. Ma l'ONU che ci sta a fare se non interviene? Non è ammissibile che cento milioni di musulmani sunniti litighino facendosi la guerra con altri cento milioni di musulmani sciiti mettendo in crisi il resto dell'umanità che è formata da circa sette miliardi di persone. L'ONU intervenga e metta intorno a un tavolo i capi di questi governi imponendo loro che queste questioni si possono e di devono risolvere in pace, col confronto delle idee, con calma, facendo uscire dalle loro dispute la violenza.
In Europa è stato fatto. Nessun cattolico o ortodosso che prega lo stesso Dio oggi metterebbe bombe in chiese o ambasciate per motivi religiosi. Ma stiamo scherzando? Non bastano quei pazzi e furiosi assassini del presunto califfato a uccidere gli innocenti e noi continuiamo a far finta di niente?

domenica 3 gennaio 2016

Alla ricerca del referendum confermativo perfetto.


Sapevamo da tempo che Eugenio Scalfari possiede una sua personalissima ricetta su tutto ciò che riguarda la politica. Ma l’ultima, che i referendum confermativi per valere devono ottenere almeno i 2/3 di partecipazione al voto dei cittadini, ci sembra una vera e propria presunzione. Da quando Berlusconi non è al potere Scalfari non sa più come passare a jurnata e si inventa proposte e idee appartenenti a una forma di Stato che esiste solo nella sua mente, in cui i referendum confermativi relativi a modifiche costituzionali per essere validi devono essere votati a suo giudizio da improbabili maggioranze bulgare.
Il fatto è che Scalfari vorrebbe una Repubblica Italiana in cui a votare sia almeno il 99% degli elettori a ogni competizione elettorale. Dimentica che questo ipotetico Stato, in cui ai referendum confermativi ci vogliono adesioni da regime teologico, dovrebbe prevedere per il cittadino l'obbligo di votare, pena l'ergastolo. E, soprattutto, dimentica che questo Stato, se esiste, si può chiamare solo dittatura.
Lui, liberal chic, innamorato della sua democrazia non riconosce al cittadino neanche il diritto di non andare a votare che è, lo si ricordi bene, identico e speculare a quello di andare a votare! Si sforzi di dimenticare, per qualche ora al giorno, l'idea che Berlusconi si sia camuffato da Renzi per continuare a governare con la solita “dittatura”. Si riposi ed eviti di essere ossessionato dall’idea che Renzi possa modificare la Costituzione con soli due voti su tre.
Prima di concludere una osservazione critica. Molti giornalisti di valore dei quotidiani nazionali stanno facendo a gara per dire la loro sull’idea di Renzi di dimettersi e mollare tutto se non vincerà il referendum confermativo di fine anno. L’aspetto buffo è che metà di queste penne pregiate dice che dimettersi dopo un eventuale fiasco al referendum è sbagliato. L’altra metà dice il contrario e cioè che deve dimettersi senza aspettare una sola ora dall’esito del referendum. Questo dimostra che Renzi qualunque cosa decida ci saranno almeno metà dei giornalisti contrari alla sua decisione, in-di-pen-den-te-men-te da tutto e da tutti.
Ma si può andare avanti in un paese così schizofrenico in cui non ci si mette d’accordo neanche sulla libertà di dimissioni di un premier? Ma fatela finita!

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