domenica 19 marzo 2017

Politica e società oggi in Italia.


Che ci sia in atto una rivolta popolare contro la classe politica dirigente è un dato di fatto appurato. Che poi questa rivolta abbia prodotto dei risultati questo è opinabile. Anzi. La realtà indica esattamente il contrario. La rivolta in atto che ha alcuni partiti populisti in testa, ma non solo quelli, non è purtroppo una rivoluzione ma un fenomeno di esclusivo marchio di potere. Lo dimostra il fatto che l'esigenza che muove questi “movimenti-non partiti” non è una forma di democrazia politica più adeguata che si muove nell'alveo della tradizione democratica europea ma solo lotta di potere e basta.
Ciò è confermato dal fatto che questi movimenti non intendono allearsi in Parlamento con nessuna forza politica esistente neanche sui temi valoriali. Nascendo dalla rabbia, spesso giustificata e comprovata, mancano di una base politica di pensiero politico organico basato sulla costruzione di un progetto politico sistematico e consolidato.
In verità i protagonisti populisti non hanno a cuore una proposta politica di democrazia moderna e rinvigorita, alla base della quale agganciare la loro “diversità”. Al contrario, la loro organizzazione mostra un pericoloso vuoto concettuale di metodo e di maniere democratiche. In più, ed è quello che preoccupa maggiormente, hanno accettato un modello di organizzazione che appare sempre più convincentemente di “tipo padronale” in cui gli adepti pensano e agiscono più per rabbia distruttiva che per ideali costruttivi.
Ormai è manifesta l’idea che a loro non interessa il confronto politico basato su critiche argomentate e condivise in grado di produrre cambiamenti positivi. Lo abbiamo visto in azione nell’attuale legislatura. Loro non accettano che si sia consapevoli che il modello democratico consolidato prevede critiche ma anche autocritiche, pratiche politiche di contrasto non solo direzionali, ovvero dall’opposizione alla maggioranza, ma “bidirezionali” alcune volte cioè di collaborazione su progetti di alto profilo istituzionale e politico e altre volte di contrasto. Qui emerge al contrario solo una furia distruttiva incontenibile, confermata non solo da idee al tempo stesso ingenue e pseudo-rivoluzionarie ma proprie di movimenti settari intransigenti e intolleranti accecati da un solo interesse concretizzato nell’idea di dover spazzare via tutto ciò che attualmente esiste come classe dirigente. Interessa fare cioè "terra bruciata" intorno all'esistente per poi passare alla fase successiva del governare.
Ecco dunque il vero pericolo: distruggere in profondità il terreno sociale, economico e istituzionale da tutto ciò che esiste in modo tradizionale per ricostruirlo in un secondo tempo senza averne attualmente cognizione.
E qui casca l'asino. Perchè se è giustificabile una prima fase di distruzione non è giustificabile una seconda fase di governo “al buio”, non scelto con chiarezza e razionalità. Allo stato attuale delle cose il tipo di governo che i populisti hanno in mente è un tabù mai chiarito, regolato da meccanismi incorreggibili e inaffidabili, come per fare un esempio la selezione in rete del personale di governo inteso come operatori ed operatrici dipendenti totalmente dal padrone, si veda per questo il caso Raggi contrario al caso Pizzarotti. Diciamo che la natura di questo stato di subalternità del candidato nei confronti del “principe machiavellico” è peggio di quello instaurato da Berlusconi nei suoi governi, confermato dalla peculiarità giuridica del contratto legale con cui l'eletto deve firmare e metterlo in pratica. L'alternativa è l'espulsione e addirittura il pagamento di una risarcitoria. Se non sono queste “cos’e pazzi” manca poco per esserlo.
I populisti non rispondono alla domanda di quale modello di società vogliono privilegiare e accentuano questo loro deficit ignorandolo. Se costretti come lo dicono? In modo ingenuo e spesso infantile, pensando che "la risposta sulla costruzione di un nuovo modo di vivere insieme, di una nuova società, di nuove istituzioni, verrà dopo. Adesso dobbiamo distruggere e quando tutto l’esistente sarà travolto allora si vedrà". Il virgolettato è di Eugenio Scalfari che scrive in poche ed efficaci parole sulla Repubblica di oggi una verità terrificante: siamo nelle mani di irresponsabili pericolosi per noi, per la società e in definitiva per il futuro dei nostri figli. Ironia della sorte tutto questo castello di farneticazioni è stato possibile produrlo e imporlo attraverso la fattiva collaborazione (oggi diremmo "a loro insaputa") delle forze politiche dell'”arco costituzionale” che ci hanno finora governato. Prodi, Berlusconi, Renzi e il resto della classe politica presente in Parlamento tutti sono stati solidali a produrre questo fenomeno mediatico da circo, complice una crisi economica potentissima che ha agevolato una reazione di rabbia e di scontento fortissima. Tutti i vari governi post crisi hanno messo in atto politiche sbagliate basate sul solo valore dei tagli, peraltro in maniera sbagliata, creando cittadini impoveriti pieni di rabbia e rancore. In sintesi il M5S urla che solo loro sono l'onestà personificata mentre chi governa e sostiene l'attuale sistema è tutto il male possibile. Solo i gonzi possono cascarci su questa dichiarazione. Il tentativo poi di dire che sono tutti uguali agevola loro il lavoro e permette di aumentare il solco tra chi crede nella democrazia e chi la camuffa col sostegno “a loro insaputa” dei partiti tradizionali. Te capì?

martedì 7 marzo 2017

Elezioni politiche e sfrontatezze dei partiti del voto subito.


Le cose sono messe così: molti partiti e partitini chiedono elezioni subito. Il governo e la sua maggioranza dicono no. Giustificano il loro no affermando che la continuazione della legislatura permetterebbe di cambiare la legge elettorale e risolvere il problema dell’incertezza del risultato. Quali sono i partiti che aderiscono a una delle due posizioni è ininfluente. Quello che è importante è un altro aspetto, dove si annidano le meschinità e le sfrontatezze dei politici del voto subito.
Noi siamo dell’avviso che se ci fosse una legge elettorale che permettesse di eleggere sicuramente un premier con la sua maggioranza saremmo d’accordo. Ma le cose non stanno così ed è qui che cade l’asino. Fuor di metafora Grillo e Salvini, Meloni e l’arcipelago della sinistra massimalista vogliono le elezioni ora e subito. Francamente non si capisce quale sia il limite dell’onestà intellettuale da quello del ragionamento politico. Che interesse può avere un partito che a costo di elezioni subito si ritroverà ad avere un Parlamento senza maggioranza?
Chiedere le elezioni è lecito ma c’è un limite che riguarda il fatto che se con l’attuale legge elettorale disorganica e rappezzata dalle sentenze della Corte Costituzionale non viene fuori una maggioranza che facciamo poi? Roteiamo i pollici copiando gli spagnoli? Oppure più correttamente e onestamente non è meglio costringere i partiti a chiarire la loro posizione prima delle elezioni?
Chiarire questa faccenda è fondamentale perché a nostro parere potrà emergere in tutta la sua forza dirompente la disonestà intellettuale di alcuni leader politici che si nascondono dietro alla cantilena delle "elezioni subito".
Ci viene da aggiungere poi che la stampa italiana non informa correttamente i cittadini. Abbiamo una stampa inadeguata che si interessa solo dei guai giudiziari dei leader politici e non incalza gli stessi a dire la loro su questo punto importante. La domanda è sempre la stessa: qualora il risultato elettorale impedisse la formazione di un governo con una maggioranza sicura ogni partito, prima delle elezioni, dovrebbe dire obbligatoriamente a quale delle coalizioni aderirà per la formazione di una maggioranza di governo.
Un esempio: ammettiamo che dopo le elezioni nessuno dei partiti raggiunge la maggioranza. A questo punto dovrebbe scattare un preaccordo che impone l’obbligo ai partiti di sostenere una delle possibili coalizioni che supera il 51%. Chi non lo fa perde un giro perché non potrà presentarsi alla prossima tornata elettorale.
Più chiaramente Grillo deve dire che se non raggiunge il 51% da solo a quale coalizione aderirà dopo le elezioni per formare il nuovo governo. Lo stesso dicasi per tutti gli altri leader da Renzi a Berlusconi, e via discorrendo. Nessun giornalista finora ha mai fatto queste domande ai politici. Colpa della insufficienza dei giornalisti o della sfrontatezza dei leader politici? C’è una terza soluzione: colpa di entrambi. Te capì?

domenica 5 marzo 2017

Grammatica della lingua araba insegnata all’occidentale o alla maniera araba?


Il sottotitolo di questo post potrebbe benissimo essere il seguente: didattiche alternative dell’arabo possono coesistere o si escludono a vicenda in un curricolo di lingua araba? La risposta non è facile e non è per niente sicuro che esista. Lo dico subito senza avere alcun dubbio: le due modalità di approccio all'insegnamento della lingua araba sono spesso in disaccordo. Anzi, frequentemente non si intendono e varie volte si contrappongono come alternative escludentesi l’una con l’altra giudicandosi negativamente tra di loro. In queste brevi note cercherò sebbene in modo superficiale di affrontare la questione della modalità di insegnamento della grammatica vista da due occhi differenti che chiamerò “modalità occidentale” la prima e “modalità araba” la seconda.
È noto che i docenti che insegnano l’arabo nelle scuole italiane possono essere di madrelingua (spesso chiamati lettori ma adesso non più) o indigeni. Nel primo caso hanno una formazione di tipo arabo mentre nel secondo caso di tipo occidentale. In genere si tratta di specialisti, spesso ben preparati e credibili. Proprio per questo ci si aspetterebbe che essi nonostante tutto fossero sempre d’accordo nella loro didattica. In genere, su alcuni temi lo sono ma in altri divergono. È pertanto giusto parlarne perché su questa questione c’è troppa ipocrisia e indifferenza che nasconde i problemi invece di farli emergere, confrontarli per poi risolverli.
I due soggetti protagonisti dell’insegnamento hanno una formazione che si sviluppa secondo canoni molto differenti. E non è la sola geografia a dividerli. Un insegnante arabo può venire da uno del 22 paesi della Lega Araba che si sviluppa geograficamente dall’Oceano atlantico a quello persico e in senso più lato fino al Mar cinese mentre un insegnante occidentale può aver appreso l’arabo in uno dei paesi occidentali non solo dell’intera Europa ma anche dell’intero mondo. A proposito poi delle differenze di vedute tra arabi e occidentali c’è da dire che le diversità emergono in maniera vistosa perché quello che noi chiamiamo “Golfo persico” gli arabi lo chiamano “Golfo arabo”. Dunque le differenze ci sono ed è corretto aspettarsi visioni didattiche e culturali differenti.
Ma in cosa differiscono precisamente le due didattiche su alcuni temi? Certamente sul piano lessicale e semantico ci sono differenze conclamate, ma anche sul piano metodologico le differenze sono vistose. Voglio fare un semplice esempio per farne capire la portata ed uscire dal vago dei tecnicismi e della genericità: come si insegna il verbo arabo dalle due comunità di docenti?
Per primo è necessario dire subito che i docenti arabi non condividono la didattica occidentale e italiana in particolare laddove si usa la “traslitterazione”. In verità per un docente arabo essa è una sovrastruttura inutile e persino dannosa. Diciamo in tono scherzoso ma non tanto che alla diglossia normale (lingua classica e dialetto) si sovrappone una “triglossia” o “diglossia ingrossata” che è inefficace e inutile. Per la didattica occidentale invece dovrebbe essere il tentativo di rendere “più digeribile” la zuppa ortografica delle prime lezioni di arabo.
In secondo luogo i grammatici arabi partono dal verbo trilittero e lo suddividono in due tipologie: verbo sano e verbo malato. Dicono proprio così: “sano e malato” non forte e debole e neppure regolare e irregolare come preferiscono definirlo i grammatici occidentali. E non è solo questione di etichetta. Capite subito che c’è un problema di linguaggio che interferisce per la differenza di terminologia. Per esempio mi ha sempre colpito la l’uso dell’aggettivo “fratto” per i plurali irregolari che non sono “sani”. Al nostro orecchio una classificazione antitetica che si definisce sana o malata lascia una certa diffidenza nell’ascolto così come al contrario definire i verbi in regolari e irregolari per un docente arabo è una stranezza inverosimile. Lui con le sue certezze esasperate dovute all’influenza coranica della verità teologica sottesa nella lingua coranica non può capire come ci sia il rifiuto da parte della letteratura occidentale di fare la giusta partizione tra un sano e un malato che sono le due categorie certe della vita degli esseri umani.
Non parliamo poi del fatto che alcuni paradigmi grammaticali introducono termini completamente differenti. Gli arabi parlano di “porte” laddove si classificano verbi con vocalizzazioni lessicali differenti, mentre i docenti occidentali non considerano significativa questa ripartizione dell’uso delle “porte” (ابواب ) come sezioni del modello فعل. Non parliamo poi di soggetti che interagiscono nelle varie categorie della coniugazione quando i docenti occidentali parlano di “prima, seconda e terza persona” mentre i docenti arabi chiamano gli stessi con “il locutore, l’interlocutore e l’assente”.
Gli arabi poi invece di dire di un verbo trilittero regolare o sano che le tre radicali della radice sono la prima radicale, la seconda e la terza radicale dicono che le le tre lettere sono la ف del verbo, la ع e la ل del verbo. Il massimo poi è che i docenti occidentali classificano i verbi trilitteri in verbi di I forma e verbi di forme superiori alla prima che vanno dalla II alla X forma. Per gli arabi queste forme verbali che sono formate dall’aggiunta di lettere servili alle tre radicali del verbo trilittero sano non esistono. Ma non è finita. I docenti italiani considerano i verbi irregolari in sordi, hamzati e deboli. I docenti arabi invece considerano i verbi sordi e hamzati verbi regolarissimi tanto da essere considerati appartenere ai verbi sani. Viceversa, i verbi deboli sono per entrambi malati e/o irregolari. Si scontrano pertanto due mondi che vedono lo stesso fenomeno grammaticale della irregolarità verbale in modo differente, almeno dal punto di vista del proprio sguardo linguistico legato sempre alla tradizione della ricerca linguistica.
La ragione di una simile differenza di visione è spiegabile dicendo che per i grammatici italiani il verbo - se subisce delle flessioni verbali, cioè delle trasformazioni fonetiche e ortografiche oppure cambiamenti vocalici - può o meno essere considerato irregolare-malato invece di regolare-sano. Per i grammatici arabi invece le irregolarità non sono viste con la stessa lente ma in modo differente e molto più semplice perché per loro le lettere deboli che sono solo la و e la ي o sono sani o sono malati. Punto.
L’origine di questa “querelle” sta nel fatto che la hamza è una lettera alfabetica a tutti gli effetti mentre la alif è solo un sostegno della hamza e basta. Una delle conseguenze di questo fatto è l’incertezza del numero delle lettere dell’alfabeto che per alcuni è 28 lettere mentre per altri è 29. Non c’è nulla da scherzare su questo fatto perché tutto ciò si va a sommare alle tremende difficoltà che esistono per imparare la lingua araba, una lingua interessante e per molti aspetti coinvolgenti. Si può definirla anche bella ma il concetto di bellezza è di difficile interpretazione in questo caso soprattutto da parte di coloro che non posseggono gli strumenti culturali per apprezzarne bellezza e fascino. Per alcuni aspetti ci ricorda la bellezza della scienza quando essa si manifesta in tutto il suo splendore se proposta correttamente con l’uso obbligatorio della lingua matematica, difficile da comprendere ma proprio per questo perfetta nella sua compiutezza.

venerdì 3 marzo 2017

Traduzioni dall’arabo e difficoltà incontrate nel suo studio.


Affrontare il tema della traduzione di un semplice testo arabo non è cosa facile per chi si accinge a percorrere i sentieri dello studio della lingua araba, irti di difficoltà oltre ogni dire. Molte sono le pietre d'inciampo che si incontrano in questo studio: irregolarità, diversità, abbondanza e ridondanze testuali ne sono alcune. Tutti questi aspetti complicano la vita e il lavoro dello “studente traduttore” fino alle estreme conseguenze di non riuscire ad ottenere la traduzione giusta. Viene fatto di chiedersi: perché un normale studente medio, dopo anni di studio, manca di quella capacità di dominare il testo al primo sguardo e di capire al volo senso e significato di una frase? Cerchiamo di mettere ordine in questa faccenda, sebbene in modo superficiale e poco sistematico.
Innanzitutto la grafia. Si potrebbe iniziare ponendo la domanda di come sia possibile che dopo anni di studio appaiono quasi sempre difficoltà ortografiche spesso di difficile soluzione. Scagli una pietra colui o colei che nello scrivere una parola in lingua araba non abbia mai avuto dubbi se una vocale fosse breve o lunga. E questo sia che si tratti di una alif al posto di una fatah, oppure di una waw al posto di una dammah e infine di una kasrah al posto di una ya, quando non ci si confonda tra ya e alif maksura alla fine di una parola.
E poi, all’interno della parola se si annida una 'ain non ascoltata bene, si è proprio sicuri che si tratta di questa lettera oppure di un’altra? Insomma, per non peccare in lucidità traduttiva è necessario dominare efficacemente il testo altrimenti sono guai. Ma come si acquisisce questa competenza? Il grande arabista russo Baranov era solito dire che “ci vogliono 15 anni per rendere lo studio della lingua araba un po’ meno difficile”. Egli aveva capito tutto, e con una sintesi mirabile era riuscito a condensare tutte le difficoltà di apprendimento di uno studente in un numero non proprio piccolo di anni di studi preparatori. " Diffidate delle imitazioni" si dice in genere quando non si ha fiducia in un prodotto complesso. Diffidate cioè di quei docenti che vi dicono che l’arabo è una lingua facile. Non è vero. Vi vogliono prendere in giro. Un esempio lo si trova nel titolo di manualetti presenti nelle librerie del tipo “L’arabo in 4 settimane” e simili. State sicuri che saranno soldi spesi male. Certo a vedere certi immigrati extraeuropei, soprattutto asiatici, i quali senza strumenti di studio adeguati riescono a imparare a parlare l’italiano dopo 4 settimane in modo più che adeguato c’è di che rimanere a dir poco esterrefatti.
Assodato, dunque, che la lingua araba non è una lingua di facile apprendimento, entriamo nei dettagli della faccenda. Detto in termini esatti: se l’arabo non è una lingua facile, perché è difficile? Alcuni motivi potrebbero essere i seguenti.
In primo luogo l’alfabeto, che non è nemmeno lontano parente del nostro. Può sembrare inutile dirlo, ma mi sento di affermare che per un europeo “quadratico medio” che ha sempre sentito la sua lingua essere al centro dell’universo, l’arabo e altre lingue asiatiche presentano delle difficoltà inaspettate e insospettate. Una di queste è “la morte” (!) del comodo, familiare e rassicurante alfabeto latino. Qui non si tratta di introdurre lettere più o meno strane, come una lettera accentata in italiano o un segno diacritico su di essa come accade con le lingue scandinave o dell’est europeo. No. Qui si tratta di un alfabeto non solo numericamente più consistente, ma soprattutto con segni e grafemi completamente sconosciuti che per giunta si scrivono da destra verso sinistra.
E’ necessario in primo luogo “elaborare il lutto” della perdita dell’alfabeto materno e reinventarsi tutta una strategia ortografica nuova per abituarsi alla novità. Per uno studente medio si tratta di un dramma. Aggiungete il pasticcio didattico di molti docenti di arabo che non solo complicano la vita degli studenti inserendo l’artificiosa e controproducente traslitterazione, ma aggiungono sadismi mirati come la questione della diglossia posta in forma ultimativa. In pratica dicono che “se non si conoscono almeno altri due dialetti arabi è meglio abbandonare l’arabo classico e darsi all’uncinetto” e capirete il perché. Il dramma della perdita delle certezze linguistiche basate sull’alfabeto comune a molte lingue europee non si supera facilmente.
Aggiungo altresì l’immensa quantità del lessico arabo. Questo è uno dei motivi fondanti delle difficoltà della lingua araba. Questo aspetto che dal triconsonantismo derivano tutti i significati possibili intorno a un’idea primitiva intrinseca alla radice di un verbo trilittero è tremenda.
Se (x,y,z) sono tre lettere della radice immaginate quante combinazioni si possono produrre per formare parole diverse modificando o l’ordine delle tre lettere o aggiungendo una o più lettere servili o entrambe contemporaneamente: (x,y,z); (x,z,y); (y,x,z); … ; (a,x,y,z); (x,a,y,z); (x,y,z,a); …. ; (b,x,y,z); … e via discorrendo, con a e b lettere servili aggiuntive alla radice trilittera sia come prefisso, infisso e suffisso. Questa abbondanza diventa ridondanza quando si considerano i sinonimi aventi radici differenti! Le difficoltà dello studio toccano il culmine quando si introducono i cosiddetti infiniti verbali (masdar) e fatto più importante quando si passa all’uso nei verbi delle lettere cosiddette deboli che sono tre ovvero waw, ya, alif. C’è da mettersi le mani nei capelli per affrontare uno studio della coniugazione di verbi di questo tipo, dove le irregolarità diventano la norma.
Ritornando al tema della traduzione iniziale di un testo arabo, l’analisi morfologica e grammaticale della frase assume una connotazione direi quasi esoterica, alla portata di pochi ferrati arabisti.
E’ anche evidente che ci sono delle tecniche precise che possono aiutare molto uno studente alle prese con la traduzione dall'arabo. Ma non c’è tecnica che tenga quando lo studente non possiede un lessico adeguato alla complessità del testo. È inimmaginabile uno studente che in una frase di 10 parole non conosca il significato almeno del 75% delle parole. L’inadeguatezza lessicale diventa un macigno che schiaccia il soggetto moltiplicando esponenzialmente le sue difficoltà di traduzione. L’aspetto più grave della faccenda è che dal punto di vista psicologico il digiuno lessicale produce calo precipitoso dell’entusiasmo e sottrazione considerevole dell’interesse per la lingua. E addio al suo studio, con buona pace delle intenzioni.
Attenzione perché finora ho accuratamente evitato di parlare dell’aspetto fonetico che è un ulteriore macigno sulla strada dello studio della lingua araba, spesso più pericoloso perché più sottovalutato degli altri già proposti. L’aspetto fonetico riguarda la pronuncia delle parole e, dunque, tutta la complessa attività mentale e muscolare che ruota intorno alla muscolatura della cavità della bocca per produrre i suoni giusti. Qui si tocca con mano gli aspetti più profondi della lingua araba che non riguardano solo la dimensione legata alla scrittura con il contorno di calligrammi variegati. Qui si muovono le acque più profonde del pozzo dell’arabismo orale, unico elemento in grado di discriminare l’autenticità del vero islamismo degli indigeni arabi dalle imitazioni più o meno riuscite dello stesso.
Didatticamente, del resto, i quattro famosi obiettivi dell’apprendimento com’è noto sono: “saper scrivere, saper tradurre, saper ascoltare e comprendere e, ultimo ma non di meno, saper parlare”. L’alfabeto arabo contiene un numero maggiore di lettere dell’alfabeto latino. Non solo perché alcune di queste lettere non esistono nella fonetica occidentale. Il che non solo significa che quindi esistono suoni sconosciuti agli occidentali, ma fatto più complesso è molto difficile è impararle a pronunciare correttamente, in quanto i muscoli addetti alla loro produzione non sono mai stati esercitati nell’intera vita degli europei. In altre parole non è per niente scontato che tutti riescano a saper far funzionare il muscolo interessato. Spesso nelle verifiche fonetiche si sentono alcune gutturali, altre fricative e altre enfatiche pronunciate in modo inaccettabile per non dire scandaloso che mostrano un approccio rozzo e primitivo allo studio della fonologia.
In conclusione, chi volesse insistere nello studio dell'arabo deve accettare con serenità e consapevolezza la massima baranoviana di dover studiare per 15 anni per poter avere il successivo studio “un po’ meno difficile”. Attenzione, un po’ meno difficile non significa facile. Lo si sappia e buon apprendimento a tutti della meravigliosa lingua araba.

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