venerdì 26 agosto 2016

Incapacità del “Sistema Italia” a produrre cultura come ponte fra Italia e Paesi del Nord Africa.


Com’è noto in Italia la lingua araba non ha mai avuto quell’interesse che invece è esistito con copioso successo in Francia, in Inghilterra, in Russia, in Germania e in Spagna. In poche parole se non fosse stato per uno sparuto gruppetto di arabisti italiani, tra i quali spicca nitido il nome di Laura Veccia Vaglieri, si potrebbe benissimo affermare che la lingua araba in Italia è stata ed è una perfetta sconosciuta. D’altronde un detto italiano è quello che di una persona che non si capisce cosa dica suona pressappoco così: “che parli arabo”?
L’aspetto più interessante, tuttavia, è il contrario. Nei paesi arabi alcune lingue come il francese e inglese sono talmente conosciute che in alcuni casi si verifica il paradosso che esse hanno sostituito la lingua madre. In Marocco e in Tunisia come anche in tanti altri paesi arabi questo stato di cose è ormai appurato. Lo spagnolo e il tedesco un po’ meno e comunque in forme più o meno adeguate. Per quanto riguarda l’Italia invece stiamo messi molto male perché l’interesse per l’italiano, dopo la caduta del colonialismo e con la nascita della Repubblica, è stato sempre debole ed è attualmente inesistente, nonostante molte università abbiano dipartimenti per la lingua araba e dispongano di finanziamenti.
E delle opere scritte da italiani in Italia e tradotte in arabo come va? Neanche qui va meglio. In teoria dovrebbe andare in modo migliore, in pratica si nota un vuoto linguistico che impedisce qualunque respiro letterario italiano nei paesi arabi. Parlare delle ragioni ci porterebbe lontano. Piuttosto diciamo che qualche indagine è stata fatta, non da italiani ma da arabi, in genere docenti di arabo in qualche università italiana. Dai pochi elementi conosciuti di questi studi è emerso che sono state tradotte in forme variegate di “minimo di adeguatezza linguistica” circa 200 opere letterarie. Sono molte? A noi sembra di no. Il perché è da ricercare nel fatto che di queste 200 opere circa un centinaio sono inadeguate per diversi motivi quali la non brillantezza della traduzione, la preferenza bizzarra e di difficile comprensione della scelta degli autori tradotti, la distribuzione carente nelle librerie delle città arabe, la mancanza di canali pubblicitari come Premi e Saloni riguardanti esplicitamente questo canale, per non parlare del fatto che la ricerca linguistica araba essendo iperdominata dai due colossi linguistici di Francia e Inghilterra relegano ed emarginano le traduzioni italiane, cosicché le nostre opere di italica bellezza sono come le belle statuine ridotte a rango di copie di qualità inferiore.
A chi dobbiamo, nonostante tutto, il piacere di avere fatto conoscere almeno un minimo accettabile il filone letterario italiano nei paesi arabi? Non certo a centinaia di traduttori. Si tratta di poche unità ai quali il Bel Paese dovrebbe mostrare gratitudine e riconoscenza. E invece nulla di tutto ciò. La letteratura italiana è purtroppo ai margini della cultura araba e come tale non credo che potrà cambiare molto nel futuro, a causa di una forma di inadeguatezza della politica estera culturale italiana.
Tutti i governi italiani di questi ultimi decenni non hanno fatto assolutamente nulla per permettere a studenti arabi di conoscere la nostra identità letteraria e pochissimo hanno fatto per gli studenti italiani, peccando di una atavica avarizia e penalizzando il rapporto diretto con il sistema scolastico arabo. Si tratta del solito andazzo superficiale ed effimero tipico dei mediocri politici italiani che non hanno contezza nemmeno dell’idea che l’Italia si trovi al centro del Mediterraneo dal quale si ha a due passi una fascia di paesi arabi che va dall’Oceano Atlantico a partire dalla Mauritania e dal Marocco fino all’Egitto escluso, passando dall’Algeria, dalla Tunisia e dalla Libia.
Una serie considerevole di errori di sottovalutazione dei governi e delle istituzioni hanno portato l’italiano ad essere emarginato nella realtà letteraria e culturale araba. Dobbiamo a due libici e a un giordano se tra quelle 200 opere letterarie circa esiste una specificità culturale che è possibile leggere nella lingua coranica. Chi sono stati questi signori da onorare? Presto detto: Khalifa Muhammad al-Tillisi e Hassan Osman della Libia e Issa al-Naouri della Giordania. Poco. Molto poco. Se si pensa che la Lega Araba (una specie di Unione Europea) conta 22 membri capirete subito che è troppo poco il fatto che due soli paesi abbaino espresso interesse per la traduzione. E poi di queste 200 opere ad essere veramente letti sono pochissimi autori del panorama letterario italiano: Pirandello, Verga, Calvino, Moravia, Eco, Pavese, Vittorini e qualcun altro. Nulla che possa eguagliare francesi e inglesi e anche tedeschi e spagnoli che spadroneggiano in qualità e quantità con i loro autori nelle librerie arabe.
Per colorire un po’ questo scritto ci viene da pensare che il sistema italiano spreca denaro della collettività nei trattamenti pensionistici di ex dirigenti andati in pensione, i quali con furbi accorgimenti da Azzeccagarbugli fra le pieghe della normativa esistente sono riusciti a trovare cavilli giuridici che hanno fatto loro percepire da decenni enormi risorse prelevati dai bilanci pubblici dell’Inps. Il danno è duplice: da una parte si tolgono risorse al paese e dall’altro non si possono finanziare attività linguistiche e progetti reciproci tra Italia e paesi arabi. Come vogliamo chiamare questi politici che accettano la politica del “fatto compiuto”? Capaci? Intelligenti? Brillanti? Fate voi.
Ci permettiamo per concludere facendo la scelta di un solo nome tra i tre traduttori arabi in grado di riassumere notevoli doti di umanità e grande cultura dello stesso. Si tratta del libico Khalifa Muhammad al-Tillisi uno dei più grandi scrittori, poeti e uomini di cultura della Libia moderna. In particolare fino a qualche anno fa il suo vocabolario italiano-arabo fu una delle opere di divulgazione più importanti fra le due lingue. Questo Signore fu uno dei pochi uomini che cercò sempre di salvaguardare il bene comune della letteratura dei due paesi: da una parte come protagonista di opere prime in arabo e dall’altra come ottimo traduttore dall’italiano all’arabo. Ai nostri governanti, ai nostri primi ministri, ai ministri della P.I. e ai più o meno magnifici Rettori delle nostre università vorremmo dire con chiarezza che a nostro giudizio essi non sono stati all’altezza del compito. Piuttosto, dovrebbero vergognarsi per la loro cecità e inerzia in un campo così delicato e importante come quello delle lingue e pertanto della comunicazione in una zona geografica strategica qual è quella del Mediterraneo.

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