mercoledì 22 dicembre 2004

Quando si dice che le cose vanno al rovescio.

Ivrea. Una fredda mattinata invernale. Una scuola superiore. Una professoressa entra in aula, vede un crocefisso appeso a una parete dell’aula e si arrabbia. Rifiuta il simbolo religioso, lo strappa dalla parete e lo sbatte sulla cattedra. Fin qui i fatti. Adesso i commenti. Inevitabili. Alla faccia della tolleranza! Gli atei, e lo dimostrano i fatti, quanto a discriminazione e intolleranza non scherzano. Essi sono quasi sempre più “clericali” dei religiosi. Nonostante il crocefisso sia stato appeso e voluto dagli studenti, l’insegnante non ha avuto né il coraggio, né l’intelligenza di accettare il desiderio profondo e sincero di una classe costituita da giovani che si sentivano bene con quel simbolo. Ah! Poveri noi! Quando entrano in funzione i giacobini laici, di discriminazione sono lastricate tutte le strade della loro vita. Che vergogna. Reagire in quella maniera scomposta e indegna di una professione come quella del maestro! Se io fossi un insegnante farei di tutto per accontentare i desideri profondi dei miei studenti. A una sola condizione: che studiassero seriamente e che trovassero nella cultura i segni della civiltà dell’uomo. Il fatto che al muro possa essere appeso o meno un crocefisso, a me come autore di una proposta culturale non interesserebbe. Non è un simbolo religioso quello che avrebbe o meno reso più significative ed efficaci le mie lezioni.

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