mercoledì 5 settembre 2007

Il Rugby come anticalcio? Ecco come la vediamo noi.


Ieri 4 Settembre 2007, nell'imminenza dell’inizio del campionato del mondo di Rugby che si svolgerà in Francia, il quotidiano «La Repubblica» ha presentato tre ottime pagine piene di interessanti riflessioni sul Rugby. Scelta felice e indovinata. Sono dell’avviso che questo genere di articoli sui giornali a larga diffusione nazionale sono molto positivi e possono fornire apprezzabili ricadute sul movimento di questo sport. Mi interesso qui di seguito a due dei tanti aspetti presentati nel lungo articolo di Giuseppe D’Avanzo, perché ritengo importante che alcune tematiche affrontate dal bravo giornalista vengano opportunamente sottolineate non solo per l’efficacia e la lodevole carica di senso ma, soprattutto, perché riescono a dare una connotazione antropologica, storica e, in generale, culturale alla pratica di questo sport.

Cominciamo dal primo. Si tratta di ribadire con D’Avanzo il senso più profondo del messaggio etico-sportivo che questo gioco è capace di proporre. Non mi sembra retorico ricordare che questo sport è portatore di valori. E quando parlo di valori non mi riferisco ai generici ed accademici richiami al fatto che lo sport sviluppa la parte migliore dell’uomo. Questi proclami indefiniti e spesso artificiosi sono ingenerosi per gli appassionati di rugby. Il Rugby prevede la concretezza delle azioni e dei fatti e rifiuta generici richiami idealistici che poi nella realtà sono quasi sempre disattesi. Sappiamo a questo proposito quanto possa essere nocivo il calcio che è, alcune volte, portatore di disvalori e di disgraziate conseguenze che si manifestano ripetutamente con violenza e risentimento da parte dei suoi tifosi. Qui si parla invece di "aspetti valoriali" nel senso più ricco di significato, cioè nel senso di bravura, di coraggio, di ideali, di principi, di rispetto. Dunque, è urgente e necessario che si chiariscono le ragioni di questa dimensione etica del rugby, meglio se in modo culturalmente significativo, perché è importante che i cittadini sappiano i perché il Rugby è portatore di valori. Facciamo un esempio concreto e parliamo di rugby come sport emblema di forza, lealtà e correttezza. Nell'articolo di D’Avanzo si è dell'avviso che l'Italia abbia bisogno del Rugby. Proprio così: il Paese ha la necessità di conoscere il Rugby, come sport e, soprattutto, come portatore di valori. Perché? L'Autore afferma che l'Italia ha bisogno di questo sport perché i principi del Rugby consentono di guardare meglio lo stato presente del costume degli italiani e che si è persuasi del fatto che questo gioco possa migliorare l'Italia. Ha scritto proprio così: questo sport, se conosciuto e praticato, sarebbe sicuramente l'unico modo di migliorare il Paese. Non ci credete? Leggetevi l'articolo e capirete che D'Avanzo non dice stupidaggini ma profonde verità. Per esempio, a un certo punto dell’articolo afferma che: "questo sport non è svago ma cardine di formazione morale. Se ogni ragazzo conosce la vittoria e la sconfitta rafforza la sua stabilità emotiva. Si prepara al servizio sociale perché si confronta con grande impegno in un quadro di regole reciprocamente accettate. Impara a rispettare l'avversario pur volendolo sconfiggere. Si educa ad accettare serenamente e senza alibi all'esito della competizione.[...] Offre la possibilità di dimostrare forza d'animo, coraggio, capacità di sopportazione, tempra morale, etica del fair play, ecc...". Insomma, il rugby è un “portatore sano” di belle e buone cose. Veicola buoni sentimenti e propone oneste emozioni. Sentite quest'altra: "quindici uomini contro quindici, separati con nettezza dalla linea immaginaria creata dalla palla, in gara per conquistare l'area di meta e schiacciarvi l'ovale. Si conquista insieme il terreno, spanna dopo spanna. Lo si difende insieme. Non esiste Io, esiste solo Noi." E continua: "Il rugby [...] mai scava nella cloaca degli istinti o nel gorgo emotivo. Al contrario, impone controllo. Dicono che educhi ma istruisce. Dicono che dia carattere invece accultura. Postula una placenta comunitaria; un pensiero ordinato; paradigmi condivisi senza gesuitismi o imposture. Nessun odio e per riflesso nessuna paura [...] Sottende una forza spirituale prima che fisica. Esclude la mossa furbesca, la sottomissione gregaria, l'arroganza del prepotente. Aborre ogni cinismo immoralistico perché è capace di essere schietto e leale nonostante la violenza e forse proprio per quella." Ultima estrapolazione che mi sento di proporre, ma ce ne sarebbero molte altre altrettanto interessanti e similmente piacevoli: "si può immaginare qualcosa di meno italiano? Ogni passo nel rugby (valori, pratiche, comportamenti, riti) è in scandalosa contraddizione con quella specificità italiana che glorifica l'ingegno talentuoso e non il metodo. La furbizia e non la lealtà. L'inventiva e mai la preparazione. L'individualità e mai il collettivo”. ecc.. ecc..
A scrivere articoli interessanti tuttavia non c’è solo D’Avanzo. Per esempio, fra gli scrittori che si sono interessati di rugby c’è anche Alessandro Baricco, che ha scritto alcuni articoli pubblicati anch’essi nel giornale “La Repubblica”. Ecco alcuni pezzettini tolti da un suo articolo del 2000 relativo alla partita di rugby Italia-Inghilterra del torneo Six Nations.
Cominciamo con l’inizio della partita. Dice Baricco: “Dentro la pancia del teatro Flaminio, Italia-Inghilterra di rugby, dieci minuti al fischio d’inizio. Il tunnel che dagli spogliatoi porta al campo è breve. una decina di metri e poi due scale di ferro che ti portano in superficie, dove tutto è erba, pali strani e tifosi ululanti al gusto di birra. Senti qualche porta sbattere e poi li vedi arrivare. Ventidue in maglia bianca, ventidue in maglia azzurra. Non ce n’è uno che ride, che parla, niente. Sguardi fissi davanti e facce che sembrano ordigni con la miccia corta. Accesa. Lentiggini e occhi chiari montati su fisici impressionanti, frigoriferi di forma umana, orecchie smangiate, mani ridisegnate da ortopedici pazzi.[…] Oggi suonano il rugby. Musica geometrica e violenta. Gli italiani la suonano a orecchio, gli inglesi ci ballano su da generazioni. E’ una musica che ha una sua logica quasi primitiva: guadagnare terreno, guerra pura. Far indietreggiare il nemico fino a schiacciarlo contro il muro che ha alle spalle. Quando gli rubi anche l’ultimo metro di terra è meta. Un goal o un canestro da tre, al confronto, sono acqua tiepida, un giochetto di bravura per abbonati alla manicure. Una meta è campo cancellato, è scomparsa totale dell’avversario, è alluvione che azzera. Ci puoi arrivare per due strade: o la forza o la velocità. Gli italiani scelgono la prima, cercando il muro contro muro, dove il cuore moltiplica i chili per due e il coraggio trova strade impensabili tra tibie, tacchetti, colli e culi. Gli inglesi per un po’ ci stanno, si trovano sotto sette a sei. Allora fanno mente locale, si ricordano di quanto è largo il campo e iniziano a ballare. Si aprono a ventaglio, piazzano un paio di frustate sulle ali, fanno girare il pallone come una saponetta tra mani di ghiaccio. Lo score del primo tempo dice ventitre a sette per loro. Dice che la musica è la stessa per tutti, solo che noi suoniamo, loro ballano”. Adesso Baricco si sofferma su un aspetto sconosciuto negli altri sport e cioè la capacità di organizzare il gioco da parte dei giocatori che stanno perdendo e che devono recuperare se vogliono fare bella figura; ma con una squadra come quella inglese, si sa, è un’opera difficilissima. E, dunque, il capitano della squadra italiana: ”appoggia un ginocchio sull’erba, e poi si mette a urlare uno strano rap battendosi la mano sul petto, e il rap dice “qui dentro ci deve essere solo la voglia di andare DI LA’, placcare DI LA’, solo questo, correre DI LA’, spingerli DI LA’, schiacciarli DI LA’, vaccalamiseria”. Di là è il campo inglese, of course. Ci passeranno 25 minuti su 40, nel secondo tempo, gli italiani, di là. Ma alle volte non basta. Gli inglesi prendono martellate e restituiscono veroniche, e il campo sembra in salita, noi scaliamo, loro scivolano. Su tutta questa geometrica esplosione di elegante battaglia, domina l’assurdità di quel pallone ovale, geniale trovata che sdrammatizza con i suoi rimbalzi picassiani tutta la faccenda, scherzando un po’ tutti, e riportando il generale clima vagamente militare ai toni di un gioco e nient’altro. Gli ultimi secondi ce li giochiamo a un soffio dalla linea di meta inglese, buttando dentro tutti i muscoli rimasti e folate di appannata fantasia”. E adesso la conclusione, straordinario viatico in cui Baricco mette bene in evidenza il senso più profondo di questo sport, cioè che si gioca per vincere ma si gioca anche per capire chi è il più forte perchè al più forte viene sempre riconosciuto il suo coraggio e la sua bravura nel perseguire con rigore la vittoria. Ecco le sue parole: “Non ci sono altri sport così. Voglio dire, sport in cui a trenta secondi dalla fine trovi gente disposta a buttarsi di testa in una rissa per perdere 17 a 59 invece che 12 a 59. Forse il pugilato. Ma un pazzo lo si trova sempre: quindici è più difficile. I nostri quindici escono dal campo con gli inglesi che li applaudono, e sono soddisfazioni. A seguire, il terzo tempo: di solito una bella sbornia al pub, tutti insieme, vincitori e sconfitti. Ma qui è il Sei Nazioni, una cosa solenne. Quindi cena in smoking. Ammesso che esistano smoking di quelle taglie”. Credetemi, dopo queste belle parole non saprei consigliare una lettura così veritiera e salutare. Leggetela per intero: ne rimarrete affascinati.

Il secondo punto che desidero esplorare riguarda la possibilità di poter approfondire le tematiche su accennate. In genere in questi casi l’interessato o gli interessati vanno alla ricerca di una proposta bibliografica la più completa possibile per permettere loro di scegliere per approfondire ulteriori conoscenze. Il piacere della lettura, della scoperta di cose nuove, di fatti, di idee è sempre uno degli aspetti più stimolanti e ricercati da coloro che hanno il gusto della lettura. Nell’approfondimento che “La Repubblica” presenta vi è una buona bibliografia che qui ripropongo, opportunamente migliorata, sia dal punto di vista quantitativo con qualche aggiunta, sia dal punto di vista della correttezza formale. Umberto Eco, nel suo bellissimo volumetto Come si fa una tesi di laurea, dà dei consigli su come presentare una bibliografia dignitosa e, soprattutto, insegna a fare citazioni corrette e non sbagliate. Ecco di seguito quella che io suggerisco.

Bibliografia in lingua italiana sul Rugby.

1. Spiro Zavos, L'arte del rugby, Torino, Einaudi, 2007;
2. Marco Pastonesi-Enrico Pessina, Il Sei nazioni, Milano, Zelig Editore, 2007;
3. Paolo Pacitti-Francesco Volpe, Rugby 2007, L'Aquila, Associazione Italiana Rugbisti, 2007;
4. Josè Ortega Y Gasset, L'origine sportiva dello Stato, Milano, SE, 2007;
5. Luca Messina, L’anima in mischia: storie, personaggi e cifre della coppa del mondo dal 1987 al 2007, Genova, Editrice Lo Sprint, 2007;
6. Luciano Ravagnani-Pierluigi Fadda, Rugby. Storia del rugby mondiale dalle origini ad oggi, Milano, SEP Editrice, 2007;
7. Marco Pastonesi-Enrico Pessina, Il Sei nazioni, Milano, Zelig Editore, 2007;
8. Paolo Cecinelli-Andrea Lo Cicero, Il Barone, Milano, Baldini Castoldi Dalai Editore, 2007;
9. Marco Tilesi-Manfredi Maria Giffone, Elogio del rugby, Roma, Castelvecchi, 2006;
10. Jonah Lomu-Warren Adler, La mia storia, Milano, Libreria dello Sport, 2006;
11. Francesca Battimani-Alfonso Borghi, Diario Italia rugby 2. Un anno di immagini, fuori e dentro i campi di rugby, Milano, Baldini Castoldi Dalai Editore, 2006;
12. Gregorio Catalano-Daniele Pacini, Il fango e l'orgoglio, Roma, Nutrimenti, 2005;
13. Marco Paolini, Gli album di Marco Paolini, Torino, Einaudi, 2005;
14. Flavio Pagano, Quelli che il rugby ... Un racconto ovale, Roma, Manifestolibri, 2005;
15. Lando Cosi, Piccolo grande rugby antico, 2005;
16. Alessandro Baricco, Barnum 2. Altre cronache dal grande show, Milano, Feltrinelli, 2004;
17. Franco Paludetto, Oltre la linea bianca: leggende del rugby, Milano, Libreria dello Sport, 2004;
18. Marco Pastonesi-Enrico Pessina, Il popolo del Rugby, Milano, Libreria dello Sport, 2004;
19. Marco Pastonesi, All Blacks. La storia, le partite e i campioni della squadra di rugby che tutti vogliono vedere e nessuno vuole incontrare, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2003;
20. Gaetano Paliotto-Ruggero Rizzi, Rugby please, Milano, Libreria dello Sport, 2002;
21. Eric Dunning-Norbert Elias, Sport e aggressività, Bologna, Il Mulino, 2001;
22. Resini Daniele-Catella Paolo-Ravagnani Luciano, Il tempo del rugby, Bologna, Vianello Libri, 2001;
23. Paolo Familiari, Un urlo oltre la meta, Asti, Ed. ScritturaPura, 2001;
24. Francesco Volpe-Valerio Vecchierelli, 2000 Italia in meta, Torino, GS Editrice, 2000;
25. Marco pastonesi-Enrico Pessina, Il terzo tempo, Milano, Libreria dello Sport, 1997;
26. Luigi Nespoli, Rugby, Napoli, Marotta, 1984;
27. Charles M. Schulz, Snoopy re del rugby, Milano, BUR, 1979;
28. Giuseppe Tognetti, I grandi del rugby, Bologna, Cappelli, 1976;
29. Vincenzo Fagiani-Nando Pensa, Il Rugby, Milano, De Vecchi, 1975;
30. David Storey, Il campione, Milano, Feltrinelli, 1966;
31. Armando Boscolo Anzoletti, Il rugby, Milano, Sperling & Kupfer, 1951.

Buona lettura! Ah, quasi dimenticavo. Se volete vedere la più bella meta della storia del rugby eccola di seguito. Buona visione!

Nessun commento:

Support independent publishing: buy this book on Lulu.