lunedì 2 marzo 2015

Il documento in italiano dello “Stato islamico”: brevi considerazioni di carattere linguistico.


Per curiosità abbiamo letto alcune pagine del famoso documento in italiano del Califfato islamico che dovrebbe servire ai militanti musulmani di propagandare le idee dello Stato islamico, in arabo chiamato الدولة الإسلامية con l'acronimo داعش, e fare proselitismo. Diciamo subito che non lo abbiamo letto tutto, anche perché 64 pagine sono troppe. Ci siamo fermati alla ottava-nona pagina e crediamo che possano bastare per avere un’idea di colui che le ha scritte. Noi non siamo studiosi di linguistica. Dunque, non ci riconosciamo le competenze tecniche specifiche necessarie per fare un’analisi lessicografica o glottologica completa del testo. Tuttavia abbiamo la capacità di comprendere quando un testo è scritto bene da uno che è scritto male. Vediamo pertanto di comunicare le nostre idee circa l’Autore del testo.
La prima cosa che ci viene in mente riguarda le caratteristiche tecniche di tipo informatico del documento. Esso è un file pdf di 64 pagine che occupa 7,48 MB di memoria, completo di tutti gli elementi di multimedialità. E’ stato creato recentemente, il 3 dicembre 2014 alle 17.50, ed è una versione pdf 1.5 (Acrobat 6.x) . Inoltre, non è protetto se non nei commenti, nella firma e nel montaggio. Segno questo che chi lo ha prodotto ne abbia voluto permettere intenzionalmente la diffusione e la manipolazione attraverso per esempio la stampa. Ultima nota tecnica è che sono presenti nel documento testi scritti con ben tredici font diversi, dal Times new Roman all’Andalus etc. e un uso eccessivo del colore del testo medesimo. Non è nulla di eccezionale sia chiaro, tuttavia è un prodotto informatico più che accettabile.
La seconda cosa che desideriamo mettere a fuoco è l’ottima conoscenza della lingua italiana di chi lo ha scritto o di chi lo ha revisionato. Molto probabilmente è stato tradotto dall’arabo ma non si hanno prove. Dunque, non possiamo escludere che sia stato scritto dall’Autore con molti errori che sono stati eliminati in seguito all’intervento di un correttore. Noi tuttavia ci siamo fatti l’idea che chi lo ha scritto e chi lo ha corretto sono verosimilmente la stessa persona. Possiamo sbagliare ma l’ipotesi è questa. Ritorneremo alla fine sulla personalità dell’Autore. Adesso ci preme presentare alcune osservazioni di carattere linguistico relative al testo che riteniamo importante comunicare.
Cominciamo dal titolo, che recita testualmente come segue: “Lo Stato Islamico, una realtà che ti vorrebbe comunicare”. Avete notato bene che non dà il lei ma il tu. Nello stesso tempo usa il verbo volere al condizionale. Dunque, lo Stato Islamico ha entrambe le iniziali con le lettere maiuscole e si rivolge al lettore con “ti vorrebbe” e non “le vorrebbe” comunicare. Forse la ragione di questa confidenzialità sta nel fatto che egli desidera comunicare con qualche giovane italiano parlandogli direttamente e informalmente col confidenziale tu piuttosto che col freddo e formale lei in modo tale da convincerlo a sposare la causa dello Stato islamico. In ogni caso adopera il modo condizionale presente. Cioè indica un’azione che avviene a patto che se ne verifichi un’altra.
Le quattro immagini iniziali hanno tutte lo stesso elemento cromatico fondante, che è il colore nero. Nera è la bandiera, nero è l’abbigliamento delle donne fortemente velate col niqab, nero è il logo della polizia e nera è di nuovo la bandiera questa volta svolazzante. Non dimentichiamo che il nero e il bianco nel simbolismo cromatico islamico sono due colori che hanno un significato contrario a quello occidentale: da noi il nero è lutto, da loro il lutto è il bianco.
Sempre nella prima pagina c’è subito l’indice che sembra un indicatore composto in maniera molto semplice, addirittura casalinga. Ci ricorda quello che viene proposto in modo standard nelle tesi di laurea delle università italiane: numero del paragrafo, titolo del paragrafo, una lunga serie di puntini e, alla fine della riga, il numero di pagina scritto in maiuscolo (Pag.1). L’aspetto strano è la sovrabbondanza del colore del testo. Nelle università occidentali si usa solo il colore nero, simbolo di neutralità e di convenzionalismo. Qui c’è di tutto. Sembra la palette di un artista del colore. In pratica ci sono tutti i colori dell’arcobaleno. Cosa vuol dire questo particolare? Semplice. Chi lo ha scritto è un perfezionista, meticoloso nella scelta degli aggettivi e rigoroso nella descrizione delle idee, che vuole comunicare a chi lo legge che è un entusiasta ottimista del Califfato e perciò lo propone all’attenzione comunicando emozioni date anche con la policromia.
A pag. 3 l’analisi entra nel testo vero e proprio e la lettura comincia a far emergere alcune caratteristiche personali interessanti dell’Autore. In primo luogo, da buon musulmano, egli inizia con la basmala, cioè con l’incipit della prima Sura Al-Fâtiha del Corano: “In Nome di Allah, il Compassionevole, il Misericordioso”. Immediatamente dopo presenta lo scopo del documento dicendo quali sono le sue intenzioni e perché è necessario leggere questo testo. In questa pagina iniziano a delinearsi alcuni particolari dello stile. Periodi lunghissimi. In una sola frase (da punto a punto) si notano un alto numero di parole (in un caso ben 73!) e di proposizioni legate tra di loro dalla sola virgola. Mai che la separazione fosse effettuata, come sarebbe giusto, dal punto fermo. Ci ricorda gli scritti arabi coranici del passato in cui non esiste il punto e neanche la virgola ma solo e soltanto la congiunzione “ua” che in italiano significa “e”. Noi non abbiamo visto il testo arabo, dunque l’analisi può essere proposta solo sul testo italiano.
Particolare interessante è che nella stessa pagina viene riportato il verbo avere alla terza persona plurale dell’indicativo presente, scrivendo “han” e non ”hanno”. Segno che lo scrivente ha una conoscenza libresca e molto probabilmente ha studiato su una grammatica desueta, vecchia di molti decenni fa.
Ancora a pag.3 si nota la presenza del pronome possessivo usato con la lettera maiuscola (Suo) perché è riferito a Dio (Allah). Segno che si tratta di un musulmano devoto quando si rivolge all’Onnipotente.
A pag. 4 c'è un particolare interessante che mostra una capacità linguistica non superficiale dello scrivente. Dice: "vengono sfruttati per supportare le spese militari e non". Dice proprio: spese militari e non. Quel troncare la frase dopo la negazione può avere il significato di far emergere aspetti pragmatici ai danni della perfezione stilistica perché è stringente la determinazione di colui che non ammette la possibilità di lasciare ambiguità. E poi c'è il verbo "supportare" che è un verbo stilisticamente rozzo e volgare. Manca poco che si incontra un "quant'altro" o un “nella misura in cui” e siamo a posto.
Sempre a pag.4 usa la lettera maiuscola quando parla dello Stato Islamico mentre adopera la lettera minuscola nei casi di stato generico. Segno che fa differenza rivolgersi al suo Stato e non a uno stato qualunque e indefinito. Certamente è un conoscitore della grammatica e non uno sprovveduto. Usa aggettivi qualificativi tipicamente di carattere musulmano fondamentalista, presenti nelle pagine del Corano, quali: “miscredenti, apostati, etc.”.
Usa la traslitterazione in forma corretta. Per esempio adopera il segno dell’apostrofo (‘) per rendere la hamza araba. Sottile è poi, sempre nella stessa pagina, la distinzione tra Fay’ (fa/ia/hamza) e Ghanima (gain/nun/mim) entrambi traduzione della parola italiana “bottino”, perché il primo è un bottino di guerra preso dai musulmani agli infedeli senza combattimento, ottenuto per esempio perché la popolazione è scappata, mentre il secondo è un bottino come preda di guerra ottenuto per conquista militare (si veda il Renato Tràini, Vocabolario arabo-italiano, Napoli, Istituto per l’Oriente). Segno che conosce la storia della islamizzazione dell’intero nord Africa, del medio Oriente e dell’estremo Oriente. Non ci stupiremmo se venissimo a conoscenza che ha letto il libro degli straordinari viaggi di Ibn Battuta.
A pag.6 usa il termine inglese coverage al posto di copertura. Questo inglesismo stona nella logica della traduzione italiana. Segno che l’influenza della lingua inglese fa sentire il suo effetto.
Sempre nella stessa pagina l’Autore mostra di conoscere molto bene l’arabo classico. Infatti, nel saluto di pace tipicamente religioso Assalamu ’alaikum warahmatullahi wabarakatuhu alla fine mette il pronome possessivo “hu” (Suo) attaccato nella parte finale alla parola BarakatuHu (come deve essere), con la lettera maiuscola e non minuscola. Usa tuttavia la vocale “o” al posto della “u” nella parola alaykom invece di alaykum, segno di una storpiatura dialettale. Nella stessa pagina si nota l’uso corretto del congiuntivo italiano. “Sappi che …, compiaccia …”.
Altro elemento caratteristico del testo è l'assenza totale del parlare figurato. Non ci sono espressioni retoriche più o meno colorite, nè modi di dire che rimandano a immagine e figure. Tanto per essere chiari non si trovano espressioni del tipo "non riesci a cavare un ragno dal buco". Un altro segno che aumenta la probabilità che l'Autore non sia di nazionalità italiana.
E veniamo alle conclusioni. Le continue e ricorrenti citazioni coraniche e la sistematica e pervasiva visione ottimistica della vita (il Bene vince sul male) che appare sullo sfondo della descrizione dell’organizzazione del Califfato islamico permettono di intravvedere nell’Autore le evidenti caratteristiche di uno studioso di teologia di stampo islamista. Dunque, la nostra ipotesi è quella che il testo è stato scritto da un teorico e non certo da un soldato guerrigliero, forse membro della scuola coranica di formazione degli Imam, con la collaborazione di qualche islamista di seconda generazione che ha frequentato qualche università italiana. Il fatto che non ci siano errori di ortografia (tranne uno) lascia trasparire che si tratta di persona che ha studiato l’italiano in Italia, in qualche facoltà di studi più letteraria che scientifica. Non ci meraviglieremmo se si venisse a conoscenza di un analogo documento di 64 pagine scritto anche in altre lingue straniere europee: faranzia, inglizia, isbania, etc. Se viceversa nei prossimi mesi non apparirà nulla dello stesso testo tradotto in altre lingue l’ipotesi della italianità sarà rafforzata. La mancanza poi di una prosa di luoghi comuni , di espressioni idiomatiche e di circonvoluzioni confermano la eccellente preparazione letteraria di chi ha scritto il testo. L’errore ortografico si riferisce a pag. 7 quando afferma che “Abbiamo invitato a parteciparci” invece di partecipare, prendere parte, intervenire, etc.
Un’ultima considerazione. Nel testo l’Autore non fa alcun riferimento alla ferocia dei video della morte delle vittime con la tuta arancione, né manifesta alcuna minaccia esplicita contro l’Italia. Questo, a nostro parere, conferma l’idea che chi ha scritto il documento non appartiene alla sezione militare del Califfato ma ha voluto presentare solo la pedagogia del movimento e dei suoi propositi tralasciando volutamente le tremende e agghiaccianti scene di morte insite nella realtà delle immagini. I suoi insistenti richiami a occupare Roma come ultimo baluardo della cristianità qui non sono né richiamati, né esaltati. Dunque, lo scopo non è quello di impaurire mediaticamente, ma solo quello di fare proselitismo invitando i giovani italiani a unirsi nel progetto di conquista islamista. Probabilmente i pochi italiani presenti laggiù come reclute sono in numero sparuto e al contrario dell’abbondanza di altri paesi europei “servono” sul piano dell’immagine.
Una osservazione finale. Quando pensiamo che internet è stato inventato per realizzare il progetto ARPANET, finanziato da un’agenzia dipendente dal Ministero della Difesa statunitense, con l'intenzione di collegare tutti i computer in una rete continentale per migliorare la comunicazione scientifica tra i vari centri di ricerca e poi vediamo che viene usata strumentalmente per fini ideologici antigalileiani ci rendiamo conto di come sia difficile coniugare religione e politica, separazione tra stato e chiesa, tolleranza tra le genti, le loro fedi, i loro credi e l’accettazione della separazione tra i due poteri politico e religioso.
Colpisce da ultimo l’assenza di qualunque frase o parola scritta con i caratteri della lingua araba. Tranne che un micro scritto di caratteri arabi a mo’ di immagine, seminascosto nel testo a pag.3, è totalmente esclusa la presenza dei simboli autentici della cultura araba.
La conclusione è amara. All’inizio di questo post avevamo detto che il documento non lo abbiamo letto interamente perchè troppo lungo. Nonostante tutto emerge clamorosamente un gigantesco iato tra il dire e il fare, tra i propositi di propaganda “buonista” presenti nel documento italiano e la terribile realtà della violenza degli sgozzamenti e dei roghi di innocenti. Delle due l’una: o la componente militarista se ne infischia dei dettami presenti nel documento italiano e uccide da terrorista degli innocenti che non hanno commesso alcun reato oppure è tutto un gigantesco imbroglio in cui si prendono in giro i lettori perché c’è una clamorosa combine tra la componente teologico-religiosa e l'ala militarista. In entrambi i casi non ne escono bene tutti coloro che sono eredi della grande civiltà musulmana irachena e siriana.

1 commento:

Giancarlo ha detto...

Sono, e mi ritengo, refrattario alla propaganda , in partivcolare quella a sfondo religioso, questo è per mia scelta, direi culturale, ma, ovviamente, non vuole assolutamente dire che sono contrario alla libertà religiosa. Questa premessa per dire,. sinteticamente, quanto mi sia lontano il tentativo di capire certi soggetti. La sua analisi però mi solletica, analisi che parte da uno scritto, tutto sommato quasi perfetto, significa che l'estensore ha approfittato della nostra cultura della integrazione, ma con qualche, evidente puntata che niente ha a che fare con il nostro modo di esprimerci, dimostrazione che vi è un inquinamento culturale di base, dovuto forse alla famiglia di origine dello stesso! Non ho certo letto, come lei ammirevolmente ha tentato di fare., il documento mi baso quindi sulle sue osservazioni che ho imparato ad accettare come dettate dal normale buon senso. E' altresì evidente la intenzione dell'estensore di catturare attraverso la suadente grafica l'attenzione di tutti coloro che abbiamo una qualche predisposizione all'avventura guerresca. Che la propaganda sia un'arma importante non lo scoprono loro, si dice che ferisce più la parola che la spada, quindi il tentativo , in parte riuscito, di catturare alla causa menti sperdute nel limbo della ricerca delle proprie identità culturali è evidente. Reso ancor più facile dal nostro sistema di libera circolazione delle idee. Non credo di avere delle risposte, anzi molto sinceramente non ne cerco, ma l'esame del problema è già un passo avanti alla sua soluzione, sempre che non ci si limiti alla semplice esposizione e non alla sua soluzione, che, diciamolo sinceramente è opportuno trovare. Non ci piacerebbe, credo, trovarci nella stessa condizione nella quale si trovò il Senato di Roma durante la guerra contro Cartagine, mentre a Roma si discute Sagunto cade !

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