venerdì 15 gennaio 2016

Ricorrenze e ricordi.


Il 14 gennaio 1975 c’ero anch’io. Ricordo quella lontana mattina di quarant’anni fa in un freddo martedì d’inverno sondriese quando, da giovane docente di matematica e fisica in una scuola secondaria superiore del capoluogo valtellinese, comprai il primo numero de la Repubblica. Ricordo benissimo quella mattinata. Mi trovavo in Piazzale Bertacchi, davanti alla stazione ferroviaria della cittadina lombarda, in un assolato ma freddissimo mezzogiorno alpino con in mano appena comprato il primo numero all’edicola della stazione che conteneva una ventata di novità giornalistica di respiro nazionale. Ero tanto curioso che lo sfogliai velocemente con desiderio. Mi premeva leggerne titoli, sottotitoli e parti di contenuto.
Lo portavo in mano, orgoglioso della novità ma anche dell’emozione della prima volta. Non volevo sgualcirlo perché era tutto da scoprire. A quell’epoca non esisteva internet e, dunque, la lettura del giornale era un avvenimento importante della quotidianità della mia vita di giovane insegnante di discipline scientifiche. In più mi dava la sensazione di uscire dalle ristrettezze del piccolo centro lombardo dandomi la sensazione di essere trasportato, come in un racconto fantascientifico, nelle città che contano come Milano o Roma.
Conoscevo il nome del direttore Eugenio Scalfari e di alcuni membri del gruppo redazionale perché avevo seguito anni prima da studente l’esperienza scalfariana dell’Espresso. Quel settimanale, che io chiamavo il giornalone, a fogli grandi mi dava la consapevolezza di essere diventato subito un adulto, in quanto potevo dire che seguivo ”la politica”.
Ricordo quel giorno, anche per un altro motivo, perché nella stessa giornata la Gazzetta Ufficiale n.12 pubblicò le modifiche della legge 416 concernenti l’istituzione e il riordinamento di Organi Collegiali della scuola di ogni ordine e grado. Sono convinto che questa mia nota personale a molti potrà apparire superflua e inutile ma, per un insegnante di scuola media superiore che aveva preso sul serio la sua attività professionale di insegnamento della cultura scientifica, la cosa assumeva un’alta valenza culturale.
Come docente ero interessato a conoscere tutto ciò che potesse interessarmi in fatto di scuola e di educazione, perché avevo avuto in precedenza una nomina a tempo indeterminato e stavo per concludere il corso di abilitazione a Milano per l’insegnamento di matematica e fisica. In più, stavo per andare a Roma a svolgere la prova scritta del concorso a cattedre della classe XXXIII indetto con DM 5.5.73, ultimo concorso a carattere nazionale d’Italia che alla fine vinsi entrando nei ruoli ministeriali della docenza nazionale.
Questa lunga premessa è necessaria per dire che leggendo il primo numero e poi i successivi de la Repubblica notai questa coincidenza di data del primo numero del giornale di Scalfari e il riordino dei “doveri della scuola e del suo personale” nella società. Non si tratta di bruscolini ma di fatti politici importanti in un mondo, quello scolastico, che andava a braccetto con la cultura e la politica coinvolgendo l’intera mia personalità. Diedi una veloce scorsa ad alcune pagine perché prima del pranzo volevo fare una passeggiata. Avrei letto il giornale a casa, con calma, dopo aver pranzato.
Fu così che conobbi la Repubblica e i suoi contenuti. Da quel giorno diventai un convinto lettore. Fino a quel momento avevo letto con continuità il Corriere della Sera diretto per alcuni anni dal grande Giovanni Spadolini che mi piaceva per il tono giornalistico elevato che si avvicinava molto al quotidiano britannico The Times che compravo una sola volta la settimana la domenica (avevo pochi soldi) perché innamorato della cultura anglosassone e contemporaneamente per migliorare il mio inadeguato inglese.
La Repubblica mi piacque a metà. Apprezzai le scelte di politica estera. Trovavo notevoli convergenze in politica interna ed economica con il mio pensiero, intriso di modernità ma anche di tradizione, che mi portava a collocarmi politicamente a sinistra ma in una sinistra moderata e riformista non certamente massimalista. In più e finalmente trovavo un giornale che non parlava di calcio in modo ossessivo come facevano gli altri. Non sopportavo il calcio, le sue esagerazioni, i suoi eccessi e preferivo il rugby con le appassionanti telecronache del giornalista Paolo Rosi durante le partite del 5 Nazioni.
Con la Repubblica tuttavia trovai non solo consonanze ma anche discordanze e, soprattutto, divergenze su alcuni temi, come a mio parere la sua sconcertante e irritante adesione acritica e di sostegno alla ideologia della triplice sindacale che a mio parere stava distruggendo la scuola, oltre naturalmente ad altri fatti in cui si manifestava il mio pensiero di cittadino non influenzabile dalle linee di politica dei partiti.
Sono sempre stato un critico del comunismo sovietico e soprattutto italiano, al quale ho sempre rimproveravo la miopia politica di non aver aiutato il PSI a far diventare Craxi capo di un governo di centrosinistra. Trovavo la politica del Pci incomprensibile da questo versante, a maggior ragione preso atto della premessa che a mio avviso il nemico comune fosse la vecchia e avvilente DC piuttosto che il dinamico e rampante PSI. Certo nel mio modo di vedere c’era una certa ingenuità e una scarsa conoscenza del ruolo concreto e di potere che aveva la politica nella società. Ma io ero un giovane idealista e pensavo che il male venisse solo dal mondo conservatore democristiano, che manovrava nel buio della sottobosco politico rendendo lo sviluppo della nazione (a quel tempo era vietato parlare di Patria ma solo di paese, per giunta con la p minuscola) di difficile attuazione.
Dunque, le mie idee riformiste e moderate non coincidevano con quelle di Scalfari e non coincidono neanche adesso dopo quarant’anni di suo incessante e straordinario lavoro giornalistico. In poche parole ho capito che era necessario essere assai critico nei confronti di questo gruppo di filo “cigiellini” mascherati da innovatori che non potevo soffrire e che hanno accompagnato importanti campagne di stampa contro la caduta valoriale di morale ed etica della politica italiana. Certo ho aderito con entusiasmo alla sua linea politica antiberlusconiana ma, a quel punto, Scalfari non fu più il direttore della testata.
Orbene, con queste note critiche fuori del coro desidero concludere questo post ricordando che il giornale la Repubblica, comunque e in ogni caso, rimane una pietra miliare del giornalismo italiano che ha permesso agli italiani contrari al flauto magico berlusconiano di avere loro mostrato una linea politica rigorosa e profondamente etica in uno dei periodi più bui della lunga storia.
Grazie Eugenio Scalfari di averci accompagnato in questa quarantennale avventura. Mi dispiace, ma non ho collezionato alcun numero delle sue interessanti copie. Con stima.

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