Premessa Il mio dodicesimo viaggio nei paesi dell'Unione Europea ha questa volta l'obiettivo di visitare l’armoniosa e incantevole Holmia, antico nome latino della bella capitale svedese, oggi chiamata Stockholm (in italiano Stoccolma), capitale del Konungariket Sverige (För Sverige i tiden), cioè del Regno di Svezia, informalmente chiamato in svedese soltanto Sverige e in italiano Svezia.
Nell'immaginario di ogni europeo interessato alle questioni della comunicazione letteraria di viaggio, Stockholm a mio parere rappresenta la sintesi di una nazione che si riconosce in una monarchia paradossalmente intesa come il massimo della democrazia e del welfare, cioè di quel sistema di tutele sociali e politiche che ogni cittadino del Regno di Svezia possiede dalla nascita fino alla sua morte. Ma essere svedesi significa anche andare oltre i caratteri della sicurezza sociale e dei diritti di libertà, perché la Svezia è quel paese nel quale esiste un senso di armonia della vita che sembra pervadere tutta l’esistenza dell’intero popolo. Si va dal senso profondo del concetto di civiltà che gli svedesi posseggono in pieno alla concezione quasi mistica del rispetto della natura. Ci si sposta dalla capacità di insegnare concretamente nella realtà a tutti i cittadini l'educazione sessuale nelle scuole alla consapevolezza di utilizzare sempre le norme per la sicurezza stradale. Si continua coniugando tecnologia sovrabbondante e spinte di vita naturiste. Ci si muove dalla convivenza tra correttezza e serietà da una parte alla semplicità e genuinità di comportamento dei cittadini. Si va dalla doppia idea di sintesi che riguarda la tradizione con il progresso alla coscienza ambientale dell'amore per lo Stato e per l'uguaglianza sociale. Per finire, realizza efficacemente due qualità culturalmente significative del pacifismo e delle libertà civili. Si tratta di una sorta di contraddizione nazionale che comunque permette di riuscire a coniugare fatti e comportamenti apparentemente in opposizione ma che nella realtà trovano una sintesi egregia nel DNA dei cittadini svedesi, i quali riescono a trovare il punto giusto di equilibrio nel pragmatismo sociale e nella purezza delle idee sottese.
E’ sorprendente come questo popolo abbia sempre inviato al mondo messaggi coerentemente significativi del suo stile di vita che da sempre ha costituito un modello di riferimento nell’intera Europa. E si potrebbe continuare per molte righe ancora nel solco di una tradizione che permette al popolo svedese di insegnare una qualità straordinaria del proprio carattere nazionale qual è quello che emerge leggendo il famoso motto svedese dell'Università di Uppsala, nel quale mi riconosco pienamente: «Tänka Fritt är Stort, men Tänka Rätt är Störr», che tradotto in italiano suona pressappoco così: «Pensare libero è grande, ma pensare retto lo è ancora di più». Tutta la Svezia è un territorio invidiato a livello mondiale per la capacità dei suoi politici di avere creato il miracolo del benessere economico e finanziario dei cittadini senza mai trascurare di aiutare i più svantaggiati. Stockholm, da questo punto di vista, è un esempio significativo di luogo di welfare di cui io sono testimone (un solo esempio per tutti: la "casa della cultura" ovvero kulturhuset che dà libertà di accedere gratuitamente all'emeroteca, leggendo gratuitamente tutti i giornali disponibili, guardando la tv, ecc..) perché è una città tranquilla ma anche attraente, nella quale si svolge una vita semplice ma tremendamente efficace nelle proposte culturali disponibili in città, contenuta ma libera, e via discorrendo.
Ci sono però altri motivi per cui Stockholm è una città molto desiderata e apprezzata. Prima di accennarli mi preme dire subito qui che il mio viaggio a Stoccolma, ma in generale tutti i miei viaggi, non riguardano soltanto il prendere un aereo, arrivare in albergo, pranzare in alcuni ristoranti caratteristici del luogo, assaggiando qualche pietanza caratteristica, con qualche visita a un museo più o meno sui generis. In realtà, io sono alla ricerca di emozioni. Mi interessano le suggestioni che producono in me la visione di luoghi che nel mio immaginario costituiscono la ragion d’essere dei miei viaggi. Questi ultimi sono per me viaggi di studio e di scoperta perchè sono interessato alla storia del paese che visito, ai suoi miti, ai valori e alle sensibilità della popolazione indigena che vive in quei luoghi da sempre. Insomma, sono fortemente interessato alla cultura della gente che vi abita, che è fatta di mille piccole abitudini e di minuscole grandi cose che per me hanno un valore enorme. Viaggiare, a mio giudizio, significa osservare, sforzarsi di comprendere, spesso con difficoltà, mai in maniera facile e, alcune volte lo riconosco, non riuscendovi. Significa studiare, leggere libri e manuali, opere e narrativa delle grandi figure del luogo, perchè il risultato di questo sforzo è crescere con la conoscenza dei popoli visitati, amare gli altri con l’abitudine alla diversità, partecipare ai mille usi della gente del luogo. In una parola vivere. Paul Morand, il grande narratore di viaggi che viaggiò in tutto il mondo nel secolo scorso, ha detto una bella frase che, se non ricordo male, afferma: «quando torniamo da un viaggio ci domandiamo se è la Terra che si è rimpicciolita o se siamo noi che siamo cresciuti». E visto che è impossibile che il nostro pianeta abbia cambiato dimensioni nel poco tempo necessario per il nostro viaggio è ovvio che siamo stati noi a essere cresciuti come conseguenza del viaggio. Spesso non ce ne accorgiamo ma dentro di noi avvengono cambiamenti, anche piccoli e impercettibili, ma avvengono e, prima o poi, si fanno sentire. Morand aveva ragione. In realtà i viaggi ci arricchiscono e ci fanno crescere. Mai ci derubano di qualcosa. Al contrario, ci regalano emozioni e risorse. E se qualcosa, a nostro parere, di negativo accade durante il nostro viaggio nonostante tutto si cresce e si impara lo stesso e forse meglio. E Carlo Goldoni, il grande commediografo veneziano, ha ribadito che «chi non ha mai viaggiato è pieno di pregiudizi». Sono d’accordo. Chi non ha mai viaggiato è una persona dall’orizzonte ristretto, chiuso, spesso inadeguato. Non capisce la realtà e i cambiamenti che avvengono nella vita di tutti noi e nella società, anno dopo anno. Esplorare una città, guardare attentamente gli elementi di cui essa è costituita, osservare i ritmi di vita, le strade più o meno affollate, i mercati oggi sostituiti dai centri commerciali, le apparenti stranezze della vita dei residenti, rappresentano pertanto una autentica filosofia di vita.
George Bernard Shaw soleva dire: I dislike feeling at home when I am abroad, cioè «non mi piace sentirmi a casa quando sono all'estero». Ecco la ragione per la quale non ho mai mangiato un solo piatto di spaghetti all’estero. Nei paesi stranieri in cui vado mi alimento con piatti rigorosamente del luogo. Al di fuori di un esempio metaforico di dietetica ho l'abitudine di presentarmi all'estero come un viaggiatore europeo, interessato ai fatti dell'Europa e di quel paese, offuscando volutamente la mia componente di italianità. Mi piace ricordare a me stesso prima che agli altri, che la concezione che ho del viaggio è fondamentalmente di crescita personale per mezzo della scoperta. Si, perché ogni viaggio è una scoperta ma anche un'avventura. Sono interessato a visitare i luoghi caratteristici delle città dove sono avvenuti eventi storici e politici importanti nella vita degli indigeni, che al turista distratto magari non esprimono nulla ma che per me sono una parte interessante del viaggio. Mi interessa osservare la gente normale nei luoghi più comuni e frequentati delle città (mercati, terminal di autobus, negozi, ecc..), le loro consuetudini e i loro stili di vita. Fuori dal cliché turistico mi piace immaginare la vita tra le mura della città rievocata da «frantumi di annali e di vecchie riviste illustrate, vecchie canzoni da fiera e leggende, immagini di poeti e pittori». Sono parole di Angelo Maria Ripellino che rendono bene l’immagine che ho io del viaggio. Mi piace prima documentarmi, per quel che è possibile, sulla narrativa, la letteratura, il cinema, la poesia, la musica, l’arte di quel paese che nei secoli ha sviluppato la sua caratteristica di vita e dato “senso” al modo di essere dei suoi abitanti. E se riesco a scoprire o comprendere con le mie sole forze alcuni fatti e aspetti, anche marginali, della vita della gente del luogo mi sento appagato.
La Svezia ha anche un valore aggiunto in più. Essa ha tantissimo da insegnare a me e a noi europei ed io ho molto da imparare da questo popolo da me mitizzato per decenni nella mia adolescenza e successivamente consapevolizzato ulteriormente. Per tornare a parlare dei motivi per cui Stoccolma è una città molto desiderata ed apprezzata dirò che spiccano ragioni di carattere storico, letterario e politico per la grandezza della nazione svedese manifestata nei secoli. Stoccolma vanta poi una storia e delle fondamenta culturali che la rendono una nazione veramente stimolante in Europa. Ricordo solo alcune grandi figure della cultura svedese: Alfred Nobel, Johan August Strindberg, Carl Linneus, Pär Lagerkvist, Carl Hammarskjöld, Gunnar Asplund, Selma Lagerlöf, Ingmar e Ingrid Bergman, Greta Garbo, Max von Sydow, Anita Ekberg, gli Abba, Astrid Lindgren, la regina Cristina di Svezia, Björn Borg e altri. Avremo modo di parlarne in seguito. Adesso è però importante riconoscere che la capitale svedese scritta in originale dal doppio costituente «Stock» e «holm» è un crogiolo di cultura, di arte, di architettura e di storia che oso definire magnifico. Il tutto condito con un'architettura moderna, sobria e bella da fare invidia ai modernismi beceri di certe città orribili.
Prima di parlare della Stoccolma che ho visto nei cinque giorni di permanenza nella città delle acque della baia di Riddarfjärden mi sembra opportuno spiegare le ragioni del perchè - dopo Roma, Amsterdam, Londra, Parigi, Vienna, Madrid, Berlino, Lisbona, Budapest, Varsavia e Praga - ho scelto la bella e accattivante capitale svedese come viaggio successivo e non un'altra. Diciamo che diversi sono i motivi del mio amore per la Svezia, della mia ammirazione per la sua società e per gli svedesi in generale. In primo luogo sentivo il bisogno urgente di toccare con mano il mito di una società che fin dai primi anni '60 del secolo scorso mi aveva preso e affascinato attraverso le notizie che filtravano sui giornali italiani a proposito dei film di quel genio della cinematografia svedese che è stato Bergman, della cerimonia di consegna del premio Nobel ai maggiori scienziati, letterati, economisti dell'intero pianeta, della musica degli altrettanto geniali cantanti e musicisti che sono stati gli Abba e, soprattutto, della leggenda del famoso welfare svedese che permette a tutti i cittadini di questo straordinario e quasi perfetto paese di non essere considerati sudditi venduti all'ammasso di una società ingiusta come quella italiana e di una religione cattolica bigotta ma cittadini con eguali diritti e parità di doveri anche dei più abbienti.
Non è poco. Anzi è molto. E' moltissimo, soprattutto per un giovane come me che nel periodo adolescenziale con le sue letture di narrativa inglese, francese e russa cominciava a comprendere non senza difficoltà che il meridione d'Italia e il paese tutto non offriva uno Stato giusto, equo e imparziale ai suoi cittadini ma pretendeva sacrifici solo dai più svantaggiati. Non è secondaria l'osservazione che era palese l'incapacità di cambiare le strutture dei rapporti tra Stato e cittadini perchè era palese e ineliminabile la contraddittorietà tra dichiarazioni di principio della politica e comportamenti pratici delle autorità. Era palesemente impossibili sradicare comportamenti aetici e immorali dalla vita pubblica e non solo. E poi le biondissime e disinibite ragazze svedesi che calavano dal profondo nord scandinavo al nostro assolato sud a usufruire del bellissimo sole e e del seducente mare incantato di località turistiche come l'accoppiata Taormina-Naxos o Tindari-Marinello. Ma la ragione più profonda è, come ho accennato prima, da ricercare nel fatto che avevo "contratto" un vecchio debito di riconoscenza con lo svedesissimo Ingmar Bergman, per essermi cibato al tavolo della sua cinematografia durante la mia prima adolescenza e che qui pubblicamente ringrazio per avermi aiutato a sostituire nella mia educazione un modello educativo di società moderna alternativo a quello siciliano nel quale avevo vissuto fino a quegli anni. E' stato orribile e difficile per me apprendere per esempio che l'adulazione non era il comportamento giusto e corretto da manifestare nei confronti del padroncino di turno e che la lusinga e l'adulazione non era un gesto di eleganza nei rapporti tra differenti ceti sociali. Avremo modo di ritornare su questo tema interessante della vita, della società e della cultura svedese. Quello che conta in questa premessa è chiarire le ragioni della visita che sono integrative e complementari alla scelta del mio entusiasmante europeismo. Qui in questo diario di viaggio sebbene in modo parziale e incompleto sono dell'avviso che vale la massima di un proverbio svedese o ritenuto tale che testualmente recita: «Varav hjärtat är fullt talar munnen», cioè La bocca parla di ciò di cui il cuore è pieno. E avete inteso bene se avete compreso che io sono pieno di stima e di amore per questo paese.
Primo giorno Lunedì 26 giugno. Iniziamo dal viaggio aereo che mi porta da Roma a Stoccolma. Intanto la novità assoluta del mio primo viaggio "multi-tratta", non diretto con scalo in un'altra città. Non avevo mai viaggiato fino ad ora facendo l'andata e il ritorno mediante quattro voli aerei differenti. La prenotazione di questo viaggio è stata una sofferenza. L'agenzia viaggi Der Viaggi, filiale estera della Der Deutsches Reisebüro di Piazza dell'Esquilino 28 a Roma, mi ha convocato almeno cinque volte prima di decidere quale proposta accettare. La più economica è stata quella della compagnia aerea ceca Csa Czech Airlines. Le altre o costavano molto di più o prevedevano strani e scomodissimi orari di partenza, di coincidenza e di arrivo.
E' stata una decisione sofferta ma necessaria. Raro esempio di sacrificio della comodità per privilegiare il prezzo. Non rifarò mai più una sciocchezza del genere. Il volo aereo fa parte integrante del viaggio e come tale deve essere goduto fino in fondo e non deve costituire una sofferenza come lo è stato per me in questa occasione. Ne parleremo dopo più approfonditamente. Per adesso la cronaca inizia col volo aereo, un Boeing 737-500, in partenza da Roma Fiumicino dal Terminal C alle 8,50 col volo OK 0727 e arrivo a Praga Ruzynĕ al terminal 2 alle 10.45. Due ore e un quarto di attesa nella capitale ceca che, ricordo, è stata la destinataria del mio precedente viaggio (l'undicesimo) e nuova partenza, un altro Boeing 737-500, dal Terminal 2 di Praga Ruzynĕ col volo OK 0490 alle 13.00 per Stockholm-Arlanda con arrivo a destinazione alle ore 15,00.
Ricordo che per arrivare a Roma Fiumicino in orario ho dovuto prendere il treno a Roma Ostiense alle 6,30 del mattino. E per essere a Roma Ostiense a quell'ora sono dovuto partire all'alba da casa con il primo bus alle ore 5,45. Una mattinata veramente movimentata, con un dispendio di energie esagerato. All'aeroporto romano di Fiumicino non sto nella pelle. E' la prima volta che mi avventuro in un viaggio così lontano per raggiungere una città scandinava. Finalmente vedrò direttamente con i miei occhi questo favoloso "mondo nordico", da me mitizzato fino all'inverosimile. Sono emozionato. Durante questo intervallo guardo nelle sale di attesa molti passeggeri biondi e spilungoni. "Devono essere svedesi che prendono come me lo stesso aereo per ritornare a casa" mi dico. Li osservo con interesse, come per dire loro che anch'io volerò per Stoccolma. Forse viaggeremo in entrambi i voli nei medesimi due aerei e magari seduti vicini. Chissà, anche se è molto improbabile. L'eccitazione del momento mi fa passare di mente che non arriverò direttamente a Stocccolma ma in una città intermedia e che sarà necessario ripartire una seconda volta per la destinazione finale. Non mi sento stanco per niente, tutt'altro; osservo tutto ciò che mi circonda.
Al check in, in una lunga fila di passeggeri, caso raro per non dire unico, incontro una mia collega di lavoro che va a Bruxelles a trovare la figlia. Sorrisi e saluti caratterizzano il mio stato d'animo. Finalmente si parte. L'hostess addetta al controllo degli imbarchi mi stacca il biglietto e dopo pochi minuti sono nell'aereo. In quel momento ricordo l'analogo viaggio aereo effettuato il 22 agosto dello scorso anno da Roma a Praga. Anche in questa occasione sfoglio la rivista presente nella tasca del sedile posto davanti a me ma, questa volta, la compagnia aerea è quella ceca e la bandiera non è tricolore ma bianca e rossa. Non solo, ma all'aeroporto di Stoccolma non prenderò l'autobus come a Praga ma il treno come a Roma. Stranezze di un viaggio che si profila impegnativo dal punto di vista degli spostamenti, accettare. Un treno speciale e velocissimo, l'Arlanda Express, mi trasporterà da Arlanda a Stoccolma centro. L'aereo è pilotato come da copione da un pilota molto bravo. Anche qui nè vuoti d'aria, nè turbolenze, sicuramente per la bravura del pilota. I piloti cechi di aerei commerciali provengono quasi tutti da una bravissima scuola aeronautica che prima della caduta del muro di Berlino faceva parte del novero dei paesi del comunismo dell'est. Ogni tanto l'aereo viene fatto planare con un certo angolo di rotazione per poi ristendersi di nuovo in orizzontale. Non so come si chiami tecnicamente questa manovra ma il messaggio che mi arriva in testa da parte del pilota è di quelli di tranquillità e di sicurezza. Dunque, un volo aereo senza alcuna preoccupazione. Il ritorno da Stoccolma avverrà fra quattro giorni, il 30 giugno, con le stesse formalità dell'andata e cioè doppio volo ceco, con la preoccupazione in più che a Praga la sosta purtroppo sarà più breve, appena quarantacinque minuti. Infatti partenza da Stoccolma Arlanda alle 15.45 col volo O726 al Terminal 5 e arrivo a Praga Ruzynĕ al terminal 2 alle 17.45 . Partenza da Praga Ruzynĕ alle 18.30 terminal 2 con il volo O0491 e arrivo a Roma Fiumicino alle 20,15. Dunque a Praga ci sono solo 45 minuti per prendere la coincidenza per Roma. Il che mi preoccupa un po' perchè, vista la ristrettezza dei tempi,corro seri rischi. Ma mi sollevo subito pensando che un volo Stoccolma-Praga offre maggiore sicurezza e garanzia di puntualità di un volo Roma-Palermo il quale, dicono le statistiche, è quasi certezza un ritardo di non poche decine di minuti. Il primo tratto dell'andata è tutto veloce. Il secondo un po' meno perchè sull'aereo partito da Praga siamo in tanti, silenziosi, ognuno immerso nei propri pensieri e per giunta fa anche freddo. Da questo punto di vista i pantaloni estivi permettono un raffreddamento delle gambe particolarmente significativo che mi fa avvertire qualche brivido di freddo. Anche perchè il mio abbigliamento non è invernale. Chiedo a una hostess ceca di poter avere una coperta da mettere sulle gambe ma la risposta è negativa perchè sembra che non ce ne siano. A Roma faceva un caldo insopportabile mentre qui la temperatura è molto più bassa.
All'arrivo a Stockholm-Arlanda non riesco a vedere nulla dell'aeroporto perchè l'aereo come contrariamente avviene spesso a Fiumicino non viene posteggiato in una piazzola di sosta distante dalla sala di sbarco. Infatti il portellone una volta aperto immette direttamente nella zona passeggeri dell'aeroporto. La prima novità che osservo con stupore è il pavimento, che è in legno. Non avevo mai visto prima d'ora un pavimento a parquet in un aeroporto. Mi colpisce la novità, ma comprendo che qui deve essere una cosa comune. La Svezia è piena di boschi e il design di oggettistica in legno è una specificità oserei dire culturale degli indigeni. Ci sono molte vetrate trasparenti nei corridoi fino a che non arrivo al rullo trasportatore dei bagagli. Passa pochissimo tempo ed entro in possesso della mia valigia. Tutto soddisfatto seguo il flusso dei viaggiatori che nel frattempo si è ridotto notevolmente. Non sono sicuro di essere nella fila giusta ma vedendo un cartello indicatore contenente l'iconcina di un treno che dice Arlanda Express mi sento sollevato e seguo il percorso del corridoio con maggiore celerità. All'improvviso una cella fotoelettrica mi apre automaticamente una doppia porta scorrevole ed io entro in un tunnel che immagino mi porterà alla fermata della stazione ferroviaria. Sento alle mie spalle che la porta attraverso la quale sono passato si rinchiude e da quel momento in poi la luminosità del tunnel si riduce notevolmente, tanto da mettermi in apprensione. Accanto a me non c'è nessuno. Penso che sia improbabile che tra più di centocinquanta persone quanti eravamo all'uscita dalla carlinga dell'aereo sia rimasto solo io a prendere il treno. Vedo in fondo una luce più intensa che illumina un binario e improvvisamente una preoccupazione mi prende : "ma io non ho ancora acquistato alcun biglietto del treno" mi dico.
La tentazione di ritornare indietro è forte ma ormai non è più possibile effettuare lo stesso percorso perchè in fondo la porta è chiusa. Mi innervosisco un po' e inizio a cercare qualche chiosco o macchinetta automatica che mi possa aiutare e invece, per la seconda volta, sono colto da una crisi di nervi perchè non ho in tasca nessuna moneta locale, suppongo in corone svedesi. Fortuna vuole che in quel momento mi ricordo che nei paesi scandinavi quasi tutti usano la carta di credito ed io ho in tasca la mia, che a quel punto per scaramanzia tocco con mano per farmi coraggio. Mi viene in mente un fatto che ho letto in un resoconto di viaggio svedese. Accadde qualche anno fa a un viaggiatore italiano che prenotò in internet un hotel di una cittadina svedese. Arrivato all'una di notte e scaricato in strada da un taxi trovò la porta dell'hotel chiusa, senza portiere. Dovette rimuginare qualcosa per almeno mezz'ora nel freddo di una notte invernale a -5 °C per ricordare che nella sua prenotazione c'era un codice numerico di cinque cifre che doveva essere digitato su un tastierino vicino alla porta di ingresso, affinché la porta si aprisse, come con la formula magica “Apriti Sesamo”, utilizzata in Persia nella fiaba di "Alì Babà e i quaranta ladroni" per accedere alla caverna del tesoro.
Qui il tesoro in ballo era chiaramente una camera d'albergo riscaldata nel mezzo di un ambiente ostile, freddo, implacabile e in perfetta solitudine. In un angolo vedo una specie di totem con uno schermo e vengo preso dall'ansia da prestazione digitale nella speranza che la macchinetta dei biglietti funzioni. Inserisco la mia carta di credito nell'apposita fessura nella speranza che gli svedesi siano più attenti di quelli italiani alle esigenze degli utenti, permettendomi di comprendere facilmente i messaggi sul monitor con un inglese facile e non come in Italia dove la vecchia e comprensibile "macchinetta" si chiama "obliteratrice". Invece qui è tutto facile. Premendo un pulsante si cambia lingua e si passa dallo svedese all'inglese. Dopo una schermata di benvenuto mi si invita a scegliere tra un biglietto di sola andata o di andate e ritorno. Scelgo questo secondo tipo per mettermi al sicuro da eventuali problemi analoghi durante il tragitto inverso di ritorno e dopo pochi minuti da una fessura esce la stampa del ticket di andata e ritorno al prezzo di 380 kr (1 € = 9 kr). "Ah! come amo questi svedesi!" mi dico e ritorno ad essere entusiasta del viaggio.
Pochi minuti dopo il treno Arlanda Express si ferma davanti a me. "E' proprio un vero treno e non un trenino da metro" mi dico. Neanche il tempo di sedermi vicino al finestrino che arriva il controllore che mi vidima il biglietto. "Da questo momento in poi nessuno mi disturberà più" mi dico nella mente e mi seggo. Nell'altra fila vedo una signora che legge un libro e non mi degna di uno sguardo. Sono un po' preoccupato perchè il mio maglioncino è insufficiente a coprirmi dal freddo che provo nella carrozza e non mi va di aprire la valigia, facendo spettacolo davanti ai pochi passeggeri della carrozza, per indossare il mio k-way impermeabilizzato. Così mi abbasso le maniche del maglioncino e mi rannicchio nel sedile, guardando il panorama fuori dal finestrino. Intorno a me da una parte e dall'altra della vettura vedo alberi di betulla, diritti e sottili che formano un bosco bellissimo senza soluzione di continuità.
Gli alberi e il sottobosco di colore grigio chiaro sembrano surreali, perchè è come se fossero stati curati e messi là per una scenografia di un film. Eppure quello che vedono i miei occhi è la pura realtà. Sembra un bosco finto per esigenze cinematografiche. Ogni tanto si vede un muretto di pietre disposte con cura una accanto all'altra, con grande ordine e simmetria. Il bosco continua per chilometri mentre il treno assume un'andatura costante. La sensazione che provo è straordinaria, di innamoramento, quasi come se il regno della foresta fosse la mia destinazione finale. Mi viene da pensare che gli operai della ferrovia quando sono intervenuti per sistemare i vari tratti di binario che sto percorrendo si sono sentiti talmente coinvolti nella loro opera professionale che hanno curato con impegno anche i bordi esterni del bosco limitanti la ferrovia. In giro non si vede nessuno. Sono al corrente che la Svezia è un paese poco popolato con una bassissima densità di popolazione per km2. Nonostante l'enorme estensione dei boschi nell'intero paese credo che qui non esistano delle figure fittizie o virtuali di guardie forestali come quelle siciliane o calabresi che i loro boschi non li curano mai nonostante siano decine di migliaia. Il pensiero che sto andando a Stoccolma mi rende felice anche se sono perplesso nel conciliare l'enorme quantità di magnifici e bellissimi alberi con una città che si struttura su isole e corsi d'acqua. Sono del parere che sarà uno spettacolo osservarla da vicino. Dicono che questo treno sia uno dei più veloci collegamenti esistenti tra l'aeroporto e il centro città di tutta Europa. Parte alle 15.35. Infatti, dopo solo venti minuti circa mi trovo nel binario esterno della Stockholm centralstation, cioè della Stazione centrale di Stoccolma.
Visto che l'aeroporto di Arlanda si trova a 45 km a nord di Stoccolma e il treno ha impiegato venti minuti vuol dire che è sfrecciato a una velocità media di 135 km/h. Ho detto «velocità media», perchè in realtà alcuni tratti dell'intera distanza sono stati percorsi a velocità inferiore ma altri a velocità superiore a quella media. Dunque, in alcuni tratti, si sarà sicuramente avvicinato ai 200 km/h. Sono le 15,55 quando scendo dal treno in un tranquillo, sereno ma freddo lunedì di fine giugno 2006. Nella Stockholm centralstation mi fermo solo pochi minuti a una Pressbyrån (edicola) per comperare un Förköpt Enkelbiljett, cioè un blocchetto di 10 biglietti singoli validi per tutta la rete per i trasporti di Stoccolma, al prezzo di 180 Sk. Il mio albergo si trova a pochi passi dalla stazione ferroviaria, a non più di cinquanta metri dall'uscita del binario principale d'arrivo! Nelle città italiane questo binario si chiama sempre binario 1 per indicare che è quello più vicino all'uscita.
Ho un grande desiderio di vedere la Centralstationen perchè mi ricorda un cortometraggio svedese che vidi alcuni decenni fa, di sera tardi in tv, su una storia di alienazione di un uomo che aveva perduto il senso della vita a causa di una crisi esistenziale. Il film metteva al centro l'arrivo di notte di quest'uomo in un'anonima stazione ferroviaria svedese. Costui sceso dal treno si trova solo a vagare prima nella stazione e poi nella città. Scene terribili di solitudine e di isolamento dalla società. Quelle immagini mi hanno segnato in modo terribile su questo tema relativo alla solitudine nelle moderne società scandinave. Ma ho premura di andare in hotel perchè il freddo e la fame mi inducono alla fretta. L'albergo si chiama Nordic Hotel, appartiene al gruppo Nordic Sea Hotel e si trova in Vasaplan 7, nel quartiere centrale della City, chiamato Norrmalm. Scendo dal treno e mi guardo intorno. L'atmosfera che si respira è la stessa di quella che si nota in qualunque stazione ferroviaria di una qualunque città d'Europa. Quante volte ho visto nella mia vita un assembramento di gente che dopo essere scesa da un treno al capolinea si muove verso l'uscita per prendere un mezzo di trasporto per arrivare a casa o in ufficio. Qui però noto una differenza e cioè che al termine dei binari c'è una grande hall piena zeppa di negozi, bar, chioschi di tutti i tipi, tavole calde, self service, banche e molte panchine di legno pulite, comode e invitanti a sedersi che non esistono nelle stazioni ferroviarie italiane. Tranne il solito piccolo e squallido bar e un'angusta edicola di giornali nelle città italiane c'è molto poco. Qui tutto è invitante. Non solo, ma all'interno non c'è freddo. Insomma una sala appetibile e interessante. "Ne terrò conto per i prossimi giorni" mi dissi. Intanto ne approfitto per rifornirmi di banconote locali che mi serviranno nei prossimi giorni. Il cambiavalute si chiama Forex. Consegno 100 € ottenendo 932 corone svedesi, al cambio di 1€=9,3Sk.
All'uscita della stazione, oltre ai treni c'è una fermata della metro, diverse linee di bus e un parcheggio di taxi in attesa. Anche qui una novità: il logo della metropolitana non è la solita M color rosso, più o meno vivo che si trova nelle città del sud Europa, iniziale della parola Metropolitana ma una anonima e ignota T in colore blu su sfondo bianco, iniziale della parola svedese Tunnelbana. L'uscita dalla stazione e il breve tratto per raggiungere l'albergo mi ricorda il mio primo giorno di lavoro in una cittadina italiana posta nel profondo nord tra le Alpi retiche e le Prealpi orobiche quando, arrivato di domenica, esattamente il 4 novembre 1973 in una fredda mattinata e con la neve sulle montagne, all'uscita della stazione ferroviaria vidi i tetti grigi delle case costituiti da grigissime e sottili lastre di copertura dei tetti in pietra di ardesia, ricca di carbonato di calcio in contrasto con le rosse tegole ondulate del profondo meridione d'Italia. Mi sembrò una cosa "fuori dal mondo" perchè per la prima volta osservavo direttamente con i miei occhi un fatto del genere che non era solo un fatto di colore ma di vita.
Il mio sbigottimento all’arrivo a Stoccolma è stato totale. Immaginare di trovarmi nella mitica capitale svedese, il cui immaginario di città scandinava l’ha dotata di un “essere luogo” fortemente desiderato da una vita, mi scatena una forte emozione in corpo. Osservare l’architettura e il colore dei palazzi molto diversi da quelli italiani produce in me la sensazione di dilatare il tempo, come se fosse un fenomeno relativistico di rallentamento della visione della realtà circostante. In verità quattro notti non basteranno per poter gustare appieno le meraviglie di questa bella e sorprendente città. Mi viene in mente che quattro giorni di visita a Stoccolma corrispondono ai primi quattro giorni di vita romana goduti da Cristina regina di Svezia convertitasi dal luteranesimo al cattolicesimo quando si trasferì a Roma nella capitale dello Stato Pontificio il 20 dicembre 1655. Ricordo che Galileo era morto tredici anni prima nel 1642 ed era papa Alessandro VII. Ho sempre avuto la buona abitudine di immaginare le emozioni che dovette provare la ex regina svedese nei primi quattro giorni della sua nuova vita romana. Le note storiche dicono che i suoi primi quattro giorni a Roma furono molto diversi dai miei a Stoccolma. A parte il fatto che i suoi furono un vero avvenimento storico, politico e sociale come poche volte si sia verificato, i miei rimarranno famosi solo in me per la mediocrità della vita sociale subita. Il rituale del suo arrivo all’Olgiata con schiere di trombettieri, carrozze e cavalli ad attenderla e scortarla per il primo incontro non ufficiale con il Papa, la prima notte trascorsa all’interno delle mura vaticane nella Torre dei Venti, i successivi tre giorni di possesso della sua nuova residenza a Villa Giulia in via Flaminia e il nuovo incontro, questa volta avvenuto in forma ufficiale con il Papa e la nobiltà cattolica furono veramente momenti di esaltante impressione e turbamento per colei che era diventata Regina di Svezia.
All'angolo della strada vedo il mio albergo. L'hotel è un quattro stelle. La facciata è moderna, realizzata in vetro con una grande pensilina anch'essa di vetro. Le strade non sono asfaltate di bitume come in Italia ma pavimentate con pietra in ardesia o porfido con superficie ruvida e antiscivolo, in pavé. All'entrata dell'albergo noto un'altra differenza costituita da un gigantesco acquario e un ambiente moderno dal'ottimo design decisamente differente da quello classico degli alberghi italiani. Alla reception una gentile impiegata dietro il suo computer dopo aver controllato il mio passaporto mi fornisce una card magnetica che costituirà per i prossimi quattro giorni la mia chiave personale della camera, numero 1307, e mi scrive il numero della stanza su di un piccolo porta tessere entro il quale viene alloggiata la card apri porta. Salgo su e trovo una camera singola di piccola superficie, essenziale e moderna, non certo "de luxe" o "superior" ma semplicemente standard con una piattaforma di formica scura sulla quale è posizionato un monitor che funge da televisore. La luce è diffusa, fredda, estranea, adeguata alo stile di un albergo funzionale e moderno. La finestra dà in un anonimo cortile interno che non permette di vedere alcunché delle strade adiacenti. Unica nota positiva è quella di avere una accettabile visibilità del cielo e la tenda grigio scura che è sovrapposta alla tendina bianca trasparente è abbastanza opaca da produrre, almeno lo spero, il necessario buio durante la notte.
Si sa che a queste latitudini, d'estate è quasi impossibile avere il buio in camera se non con una tenda opaca, perchè il sole cala all'orizzonte oltre le ventitré e rimane sempre un diffuso chiarore notturno fastidioso per chi vuole dormire. Anni fa, durante il mio secondo viaggio nelle capitali dell'UE, ad Amsterdam ho dovuto dormire con una tenda poco opaca e comunque insufficiente a impedire la troppa luce che invadeva la stanza. Sono tutto sommato soddisfatto della camera. Mi poteva accadere di peggio.
Il tempo di rinfrescarmi un po' e sono subito in strada perchè scopro di avere desiderio di qualcosa di caldo. Vero è che in aereo ho avuto la possibilità di bere un bicchiere di acqua minerale e di mangiare una minuscola porzione di pollo con riso, una insalatina, un micro-panino, una mini confezione di burro e un dessert - peraltro avente un gusto discutibile e poco allettante - ma proprio per questo avverto la necessità di bere una bevanda al tempo stesso tonica e rigenerante. Esco con il maglioncino addosso ma il freddo è pungente. Sono tentato di rientrare in hotel e prendere il mio k-way ma alla fine desisto perchè non ho intenzione di rimanere fuori per molto tempo. Mi chiudo il colletto col bottone della camicia e mi muovo velocemente per andare a deglutire una tazza di thè, il resto verrà con la cena. Non ho le idee chiare dove andare e così girovago per alcune strade vicino l'hotel senza trovare nessun locale di mio gradimento. Nel frattempo voglio vedere un pezzettino di città. Presa la decisione che a quell'ora è necessario "saltare" il pranzo, vorrà dire che anticiperò la cena, previo consumo immediato della bevanda calda accompagnata magari da un dolce. Dicono che a Stoccolma le torte ai mirtilli neri (sylt blåbär) sono gustosissime. La passeggiata mi porta a percorrere alcune strade della City che si trovano fuori di Gamla Stan (Città Vecchia), che è l'isola più grande della città vecchia dove si trovano il Palazzo Reale (Kungliga Slottet), la piazza di Gamla Stan (Stortorget) e la Cattedrale (Storkyrkan) che visiterò domani con un giro in autobus del tipo sightseeng. Penso a quanto siano strani questi nomi che contengono molti "costituenti" di parole composte (kung=re / stor=grande / slott=palazzo / gata=via / holm=leccio / hus=casa / torg o torget=piazza / ecc..) che si ripetono per luoghi differenti. Un classico di queste ripetizioni è l'esempio di alcuni quartieri della città che hanno tutte in comune la parte finale: Riddarholmen, Stadsholmen, Skeppsholmen, Kungsholmen.
Per una persona come me, che non ha molta memoria, riuscire a memorizzare esattamente la loro posizione nella geografia della città è una cosa non certo facile. Sono dell'idea che la ragione della stranezza di questi costituenti è la poca dimestichezza che noi italiani abbiamo con le lingue straniere in generale e con la lingua svedese in particolare, che ricordo essere di ceppo germanico. In poche parole sappiamo molto poco di "cose" svedesi perchè siamo un popolo provinciale, radicato solo a tutto ciò che è usuale e consueto (per esempio alcuni italiani studiano solo lingua inglese e spagnola, molto meno il francese, poco il tedesco e il portoghese, pochissimi lo svedese, il polacco e il russo). Eppure le ultime tre lingue sono molto più adoperate dell'italiano in tutta Europa. Risponde infatti al vero l'osservazione che in molte città europee del nostro continente ci sono cartelli, audio-guide e spiegazioni in svedese, polacco e russo ma non in italiano. Negli stessi alberghi nei quali ho soggiornato in tanti viaggi nessun impiegato di alcuna reception sapeva parlare una sola parola di italiano. La spiegazione ha a che fare col fatto che a noi italiani non interessano le lingue straniere, sono difficili da apprendere, prevedono sforzi e sacrifici costanti che non ci piace sostenere anche perchè frequentemente si scopre che addirittura non possediamo bene le basi linguistiche della nostra lingua tanto che parlare di grammatica, di morfologia e di sintassi equivale a parlare di cose ostrogote e per molti versi inutili. Tanto se qualche italiano va in vacanza all'estero va solo per il mare e non nutre alcun interesse di imparare un minimo di lessico della lingua indigena del luogo. In una sola parola siamo provinciali. Sfido chiunque a dire che cosa l'«italiano quadratico medio» conosce di letteratura, di storia, di politica, di musica, ecc.. di paesi comuni occidentali come il Canada o l'Australia, per non parlare della Nuova Zelanda o del Sud Africa. Quasi nulla. Se poi chiedessimo qualche informazione relativamente a paesi asiatici, peraltro molto importanti come Cina, India, Indonesia o dei paesi arabi del Golfo, la conoscenza da inadeguata diventerebbe zero tagliato.
D'altronde i nostri organi di informazione sono ancora più provinciali perchè le nostre radio, televisioni, giornali, settimanali, ecc.. non parlano mai di questi paesi. Scrivono e parlano solo di cose italiane, di cortile, e se si sforzano parlano solo di Londra, Parigi e Madrid. Siamo provinciali perchè l'informazione è provinciale e, ultimo ma non di meno, perchè la nostra classe politica è mediocre e provinciale. Volendo essere pungenti (critico lo sono per principio) c'è un'altra spiegazione vergognosa ma più efficace alla domanda, che riguarda il fatto che nei paesi scandinavi o dell'est europeo l'italiano non sa nulla e non si informa di niente, perchè in quelle capitali non ci sono squadre di calcio famose e ambite.
Ritornando al lessico svedese e alla sua morfologia dico tra me che devo abituarmi un po' a queste parole che non sono radici o temi ma "costituenti". Per dire la verità alcune paroline svedesi le ho imparate a memoria per tutte le evenienze. So cosa significano. Penso che mi basteranno. C'è da dire comunque che dal punto di vista grafico lo svedese è molto più semplice della lingua ceca relativa al mio ultimo viaggio, perchè i segni diacritici sono solo tre: å ö ä questo perchè l'alfabeto svedese, oltre alle venticinque normali lettere latine, contiene tre vocali in più messe alla fine dopo la zeta con segni diacritici sopra, come «Å», «Ä» e «Ö». La Å, cioè la A con il pallino vuoto, è una lettera che conosco bene perchè è l'iniziale del cognome Ångström e in metrologia esso rappresenta una unità di lunghezza piccolissima, cioè 1 Å = 10-10 m, cioè un decimo di miliardesimo di metro. Tra l'altro a un congresso di fisica in Italia ho conosciuto un insegnate norvegese che mi ha assicurato che questa lettera si legge come la O italiana. E, dunque, la lettura corretta del nome è "Ongstrom" e non "Angstrom". A proposito, nel Sistema Internazionale di misura i segni diacritici non sono ammessi. Perdonatemi ma ho sempre avuto il pallino della correttezza della pronuncia di un cognome secondo la lingua dell'interessato e non secondo quella italiana che spesso è fuorviante e ridicola. Per esempio, il cognome del fisico inglese James Prescott Joule non si legge "giaul" ma "giul", James Watt non si legge "vatt" ma "uòt", Isaac Newton non si legge "nevton" ma "niùton" e via discorrendo. Nel frattempo entro in un caffè che possiede una buona proposta di pasticceria e mangio una fetta di torta alla mandorla sovrastata da una "palude" di mirtilli. Una tazza di thè caldo al latte poi mi rinfranca notevolmente. Esco dal caffè per fare una passeggiata e prendere contatto con la città.
Il freddo continua a essere spietato con me senza pietà nonostante sia estate. Anzi, a un certo punto «una corrente d'aria fredda mi sferzò più volte il viso». Sono le parole del protagonista del romanzo Inferno, di August Strindberg, riportate a pag.6 del primo capitolo dell'edizione italiana Mondadori. Tra le tante cose, come monito, aggiunge: "quella notte di Natale dormii male". Ecco, quando si dice che esistono le coincidenze. E' la pura verità: Stoccolma mi ha fatto la stessa impressione che fece Parigi al protagonista di Enfer, cioè Inferno. L'unica differenza è che Strindberg ambienta l'evento a Parigi vicino al boulevard Saint-Michel mentre io lo localizzo nella sua città natale, nella Vasagaten, investito da correnti d'aria gelate. Questo clima polare mi rende nervoso perchè ho lasciato Roma con un caldo intenso. Qui sembra inverno, là ho lasciato l'estate. Lungo la strada alzo lo sguardo e vedo chiaramente non molto lontano da me la sagoma di una chiesa svettare orgogliosamente dietro i palazzi. E' la Klara Kyrka, cioè la chiesa di S. Clara, costruita in mattoni rossi e neri. Sarebbe da visitare ma in questo momento non me la sento perchè ho una grande curiosità di vedere tutto ciò che è possibile e subito in strada. Non credo che ritornerò di nuovo a Stockholm facilmente. Dunque, preferisco camminare nelle strade e osservare il panorama. Percorro la Vasagatan, la Olof Palmes gata, la Sveavägen e la Klarabergsgatan per ritornare nella Vasagaten. Questa sera non voglio allontanarmi dai pressi del mio albergo, anche perchè comincio ad avvertire la fatica di un doppio viaggio aereo. In una traversa vedo un piccolo ristorante arabo che mi ricorda che una possibile alternativa alla cucina svedese può essere, in circostanze di emergenza come quella che sto vivendo attualmente, un buon piatto di cuscus caldo di qualunque tipo, carne o vegetale, alternativo a tutto. Decido così di entrare e di mangiare qualcosa. All'uscita rientrerò immediatamente in albergo.
Dopo solo una decina di minuti di attesa mi trovo davanti un piatto caldo di cuscus alle verdure e un contorno di riso allo zafferano. Il piatto non è per niente squisito. Tutt'altro. Mi ricorda lo strano gusto dello spuntino in aereo, alla "plastica" tanto per essere più chiari. La cena è veloce e all'uscita vedo che sta piovendo. La pioggia, fastidiosa e fredda come poche, mi complica il rientro in hotel. Fortuna vuole che non sono distante dalla Vasaplan. In hotel la camera è fredda e il pigiama di cotone che ho portato da Roma non mi aiuta per niente a riscaldarmi. Tutt'altro. Nel letto c'è uno scomodo piumino che ostacola non poco il mio tentativo di addormentarmi, soprattutto nella prospettiva di una notte che non fa mai completamente buio. "Chissà", mi dico, "domani non è Natale ma probabilmente avrò una notte in cui dormirò male". E con la faringe probabilmente infiammata cerco di addormentarmi. Quello che posso augurarmi è che arrivi presto il giorno della partenza per ritornare a casa il più presto possibile. Il tempo qui scorre lentamente. Non riesco a prendere sonno. A ogni ora mi alzo per vedere una luce di vespro come se c'è un tramonto continuativo in atto. La stanchezza però ebbe il sopravvento e mi addormentai.
Secondo giorno Martedì 27 giugno. Nella mia prima mattinata di visita alla città sono pronto a vedere e "toccare con mano" alcune immagini di capolavori della magnifica Stoccolma. Sono le 9.30 di una fredda e di nuovo piovosa mattinata di fine giugno. Ho già fatto colazione in albergo a base di latte caldo con miele, panini imburrati con uno strano ma piacevole sapore di burro molto differente da quello italiano con su spalmata una squisita marmellata di mirtilli nerissimi e un buon caffè caldo. Oggi ho in calendario la visita della città con il tour su un autobus Sightseeing. Voglio vedere la parte più interessante della città comodamente seduto al di dentro, in un ambiente sicuramente meno freddo dell’esterno e, soprattutto, al riparo della fredda pioggia e dell’umidità che questa mattinata insalubre produce in ogni luogo della città. Mi trovo già al punto di ritrovo in anticipo di un quarto d’ora sull’orario previsto delle ore 10.20. Con il mio ombrello tascabile che mi ripara con difficoltà dalla pioggia battente sono in attesa muovendo le gambe infreddolite. Avverto un fastidioso senso di mal di gola, amplificato da una sensazione dolorosa nel momento della deglutizione. Sono dell'avviso che è senz’altro colpa del freddo e delle correnti d'aria gelide che ho preso ieri pomeriggio all'arrivo. Mi sento anche la fronte un po' calda. Non oso pensare alle conseguenze di una probabile infiammazione alla gola che potrebbe indurmi di rimanere a letto per giorni, per cui mi concentro nelle operazioni di attesa del bus. Accanto a me le solite coppie di turisti tedeschi, più o meno avanzate negli anni, ben coperti e soprattutto con un abbigliamento adeguato alle difficoltà climatiche. Li invidio per la loro precisione e tempestività nell'organizzare l'abbigliamento sempre in modo giusto e sicuro. Parlano tra loro a bassa voce. Non capisco quasi niente di quello che dicono ma penso che stiano parlando dell’imminente arrivo dell’autobus del tour Citysightseeing. Pochi minuti prima dell'orario di partenza si materializza all’improvviso l'autobus in maniera così veloce che sono colto di sorpresa e soprattutto sono costretto ad entrare in coda agli altri, perdendo il "diritto" a sedermi al primo posto in cui si ha la possibilità di avere l’intera visuale del percorso nelle migliori condizioni di visibilità. Nulla di male per carità, ma sono costretto a sedermi in un anonimo posto centrale con una visione purtroppo solo laterale della vista delle strade e dei palazzi. Pago il biglietto del tour al costo di 200 Sk all'addetto e ricevo in cambio una cuffietta per seguire l’audio-guida del giro turistico. Naturalmente il selettore delle lingue non comprende il numero al quale è associato il sonoro in italiano.
Le lingue disponibili sono sei e il giro turistico durerà 1 ora e 30 min. Sono costretto a scegliere il selettore della lingua inglese che mi farà perdere i dettagli della guida. Al solito, in queste sciagurate città europee l’italiano sembra essere una lingua sconosciuta, extraeuropea, da terzo mondo. Avrei tanto da dire e da polemizzare su questo fatto discriminante ma taccio per signorilità, anche perché non si possono incolpare decine di paesi europei se non inseriscono l’italiano nelle loro guide. Avranno avuto le loro ragioni. Ma è insopportabilmente inaccettabile. Il bus si mette in moto e inizia la corsa. Il mio finestrino non permette di vedere bene le strade con le loro ermetiche e incomprensibili insegne perché le numerose gocce d’acqua che scorrono sul vetro e la poca luce che filtra dai vetri producono uno svedesissimo senso di pessimismo cosmico e di distanza alienante fra me e la realtà circostante in grado di condizionarmi nella conoscenza del dove mi trovo e cosa c’è intorno. Senza quest’autobus non avrei mai potuto fare questo importante giro di conoscenza iniziale della città. Se smettesse di piovere e se non facesse così freddo e se io non avessi un così inadatto abbigliamento e se non avessi questo fastidioso mal di gola sicuramente avrei fatto questo percorso a piedi. Ma con i se non si va lontano e da nessuna parte. Quindi “godiamoci questo tour” mi dico con insincero ottimismo. Facendo buon viso a cattiva sorte penso a questa città che ogni minuto che passa mi sembra sempre più bella, affascinante e ordinata con un misto di gratitudine per le decine di cose interessanti che essa ha prodotto e per il sincero riconoscimento che faccio proprio alle grandi figure della cultura svedese. Partendo dalla fermata di Gustav Adolfs Torg del bus Sightseeing, vicinissima alla magnifica e imperiale Kungliga Svenska Operan (Teatro reale dell’Opera), scorrono poco dopo davanti a me le immagini delle seguenti meraviglie di Gamla Stan (Città vecchia): Kungliga slottet (Palazzo Reale, ovvero la residenza ufficiale del re), Storkyrkan (la Cattedrale di Stoccolma). A Sodermalm invece c'è Fjällgatan mentre successivamente a Norrmalm vedo Stortorget, Kungsträdgärden, Kulturhuset, Nibroplan, Gröna Lund & Skansen, Karlaplan e infine a Kungsholmen c'è il Rådhuset. L’ordine della visione se non ricordo male dovrebbe essere questo ma potrebbe essere anche differente ma le meraviglie e le vedute architettoniche sono quelle qui elencate, certe e sicure al 100%, e non temono alcuna smentita. Bella città Stoccolma, veramente bella. Mi piace. Dire che si presenta come una città "a misura d'uomo" è poco e comunque è un luogo comune che non permette di "misurare" la sua vera bellezza. In alcune fermate c’è la possibilità di abbandonare il bus e prendere il battello, che è anch’esso a tutti gli effetti un Citysightseeing. Naturalmente pagando di più, ma stavolta navigando nei vari tratti di mare come a Venezia col vaporetto. Peccato che la pioggia, non eccessiva ma continua e fastidiosa abbia rovinato un bel giro della città. Scendo di nuovo davanti al Kungliga Svenska Operan da dove sono partito. Ho a questo punto incassato una prima conoscenza della città che mi sarà utile nei successivi giorni di visita a piedi.
Adesso provo a trovare un ristorante dove mangiare qualcosa di caratteristico del luogo. Me lo merito e soprattutto mi è necessario. Sono in dubbio se scegliere nel menù kottbullar, cioè quelle famose polpettine di carne a forma di palline con salsina brunsås a mo' di besciamella con panna e noce moscata accompagnate dall'immancabile marmellata di mirtilli rossi o di ribes, oppure dei pezzi di gravlax, cioè salmone cucinato al forno o anche marinato in zucchero e sale servito con quel bellissimo contorno di verdure dai colori strani (carote non solo di colore arancione ma anche gialle e patate bollite) e una salsina bianca che manifesta sapori svedesissimi con il cardamomo. Prima di avviarmi però vedo sulla facciata del Teatro Reale dell'Opera Svedese, cioè del Kungliga Svenska Operan, che è affisso il Kalendarium, ovvero il programma delle rappresentazioni dell'anno in corso. Dico tra me che se c'è qualcosa di interessante verrò a vederla. Leggo velocemente
l'elenco con ansia e trovo che durante la mia permanenza non c'è nulla, assolutamente nulla da vedere e sentire, mentre successivamente nel mese di agosto ci sarà un appuntamento interessantissimo: August 2006 26 Sat Cavalleria Rusticana/I Pagliacci 7.30 p.m. Public Day; e in settembre 1 Fri Il trovatore 7.30 p.m. ! Fine della speranza di vedere un'opera di Mascagni o di Verdi nel profondo nord della Scandinavia. A proposito di musica c'è da dire che la Svezia non ha avuto grandi compositori se non Franz Adolf Berwald rimasto praticamente ignorato.
A due passi da dove mi trovo adesso c'è, nella City, la parte che preferisco di più frequentare per svariate ragioni. Da Sergels Torg a Kungsträdgarden si trova una delle parti più interessanti di Stoccolma perchè essa rappresenta l'anima commerciale e turistica per eccellenza. Poi nella Hamngatan, a due passi dalla Kulturhuset, c'è il NK Stockholm (dove NK sta per Nordiska Kompaniet) che è un ottimo centro commerciale nel quale trovare, oltre alle decine di negozi di abbigliamento e profumi, bar, self service e pasticcerie a volontà che mi possono salvare dal freddo delle strade per mettermi sotto un tetto a temperature decisamente maggiori di quelle esterne.
L'edificio è bellissimo. Classico ma anche moderno. Ha quattro piani (il quinto è solo una terrazza chiusa nel quale c'è un grande e spoglio self service). Ogni piano presenta una bella balconata dove lo sguardo può soffermarsi anche sui dettagli degli altri piani. Il piano terra presenta una scalinata superata la quale ci sono moltissimi negozi per la cura e la bellezza del corpo e della pelle. Io sono interessato, come è prevedibile, alla ristorazione perchè desidero assaggiare in loco una semplice pietanza di salmone con contorno di patate, verdure cotte e salsina variegata. Il pasto è frugale, ma intenso perchè la fame fa sentire i suoi morsi. Mi sposto al piano sottostante dove c'è una fornita e ricca pasticceria. Nel frattempo osservo un po' la gente e i negozi. Vedo molte donne, non proprio giovani, che sono sole ai tavoli. Mi ricordano alcuni personaggi femminili dei film di Ingmar Bergmann e credo di non sbagliare di molto se affermo che le rassomigliano abbastanza, anche fisicamente, nonostante sia passato mezzo secolo tra le due generazioni. Cito solo due film "Sinfonia d'autunno" e "Il silenzio" nei quali le caratteristiche somatiche delle attrici che recitano sono molto vicine a quelle che vedo adesso davanti e di lato a me. In entrambi i film le interpreti hanno rappresentato a quel tempo un prototipo ideale di donna svedese, dalla personalità complessa e dalla forte impronta libertaria. Saranno i loro volti, saranno le luci fredde e le tante modernissime vetrate dell'intero centro commerciale, saranno i caratteri delle insegne dei negozi nella bella lingua di Carl Strindberg, sarò io che mi sento esaltato nell'osservare direttamente i caratteri visivi della bella capitale svedese, fatto sta che tutto mi sembra una rappresentazione cinematografica, come se ciò che sto vedendo in questo momento davanti a me fosse il frutto di un film o di un documentario televisivo. Penso a me che mi trovo a duemila chilometri circa di distanza da casa in linea retta sullo stesso fuso orario di quello italiano, per cui l'ora locale coincide con quella del mio orologio in Italia.
A pensare queste cose mi aiuta l'abitudine a vedere la cartina geografica dell'Europa con al nord la Svezia e gli altri paesi scandinavi. La longitudine di Stoccolma (18° E) è maggiore di quella di Roma (12° E) di sei gradi circa, essendo spostata più a destra verso oriente dal meridiano, mentre la differenza di latitudine è molto maggiore. Adesso mi trovo a 59° 23' N. Il che significa che sono a 17° circa in più di quella di Roma. Capperi sono molto spostato verso i paesi delle aurore boreali. E' il punto più distante da Roma verso il polo nord in cui io sia mai stato. Un vero record di posizione geografica nel profondo nord d'Europa. Penso che sia giunto il momento di rientrare in hotel. All'entrata trovo una gentile impiegata che mi propone, per un prezzo scontato, di fare l'esperienza dell'icebar, che io chiamo con il suo vero nome di igloo di ghiaccio. Non capisco bene la proposta, tuttavia appena ho contezza dalle immagini del depliant che mi porge e capisco che mi si vuole far fare un'esperienza "di freddo" nell'attrezzato sottoscala dell'albergo taglio subito corto e rifiuto la proposta. Sembra che si abbia diritto di rimanere 45 minuti in un'avventura che prevede di trascorrere il tempo con altri clienti in un ambiente "cool", e per giunta pensate un po', con un nuovo design! "Questi sono matti", mi dico. Io ho la fronte calda, sento freddo, sono mezzo ammalato e secondo loro dovrei entrare in un igloo per peggiorare il mio stato di salute. Ma stiamo scherzando? Invece di entrare in un ambiente da frigorifero e bere un liquore alcolico a temperature polari, da loro definito fabulous drink, la Direzione dell'hotel se mi avesse voluto fare una cortesia avrebbe dovuto propormi una visita in ambulatorio con un otorinolaringoiatra magari a prezzo scontato. Altro che igloo!
Rientro in camera. La trovo come era prevedibile terribilmente fredda. La cameriera ha fatto finta di sistemare il letto. In realtà ha solo sistemato meglio il piumino e sistemato le lenzuola. Tra l'altro io non posso soffrire i piumini di qualunque forma e colore. Preferisco le coperte. Riflettendo sulla proposta scandalo dell'esperienza dell'icebar mi viene in mente un episodio raccontatomi da un mio amico. Si tratta di come, in momenti difficili della nostra esistenza in cui un nostro familiare corre pericolo di morte a causa di una malattia al cuore, si possono prendere decisioni imprevedibili e inconsuete. Dunque, il mio amico preoccupato delle conseguenze della malattia del fratello e avendo constatato che in Sicilia negli anni '70 era praticamente impossibile trovare un ospedale attrezzato per interventi al cuore, stufo di essere preso in giro da medici dai nomi altisonanti ma in realtà da affaristi congeniti incompetenti a cui interessavano solo parcelle salate, decide un piano diabolico. Prende un volo insieme al fratello su un aereo da Catania per Stoccolma. L'aereo era pieno di turisti svedesi che ritornavano al loro paese dopo una vacanza in Sicilia a Taormina e Naxos. Arrivati di sera in albergo dopo alcune ore ha fatto simulare al fratello un forte dolore al petto chiedendo alla reception dell'hotel un'autoambulanza per essere portato al pronto soccorso. La visita mostrò una forte sofferenza al cuore e nel giro di alcune ore viene operato d'urgenza da una equipe di medici che praticamente gli salvano la vita. Dunque, da quel momento ho sempre avuto grande considerazione della sanità svedese. Spero adesso che l'infreddatura presa mi consenta di poter partire venerdì per Roma e non viceversa di ricorrere anch'io ai servizi sanitari di Stoccolma.
Nel tardo pomeriggio esco dall'hotel per un motivo stringente che riguarda il mio abbigliamento. Ho deciso di comperare una maglietta di lana e un cappello per il freddo. A piedi fino alla fermata T-Centralen prendo il bus numero 2 e scendo in Hamngatan, dopo il ponte, nella quale c'è un grande magazzino H&M. In un camerino indosso la maglietta mista cotone-lana. I due acquisti mi galvanizzano un po' e decido di percorrere la strada a piedi con il cappellino. Mi ricordo a questo proposito un passo del dramma teatrale Danza di morte (Dödsdansen) di August Strindberg quando nel primo atto Alice, la moglie, definisce suo marito, il Capitano, un ammalato. Per tutta risposta il Capitano dice: «Io non sono stato malato. Solo indisposto, e una volta soltanto». Ebbene adesso dopo essere uscito da H&M mi sento come il Capitano, solo indisposto e non ammalato. Nel frattempo sono arrivato ai giardini di Kungsträdgården.
Questo parco è molto bello. Mi piace, tanto che è la seconda volta che lo visito. Si trova vicino alla Kungliga Operan, vicino al ponte Strömbron che collega la terraferma all'isola di Gamla Stan. Ma il freddo si fa sentire, eccome. Decido di prendere la Tunnelbana di Kungsträdgården e scendere alla prossima fermata T-Centralen. Alla stazione ferroviaria nell'ampia e bella hall che funge anche da centro commerciale si può passeggiare, sedersi in una panchina, osservare la vivacità del luogo e tanto altro. Trascorrerò qualche oretta e poi per cena andrò a mangiare la pizza in una pizzeria italiana. Le mie condizioni di salute non mi permettono di fare sciocchezze col cibo svedese, perchè non posso assolutamente permettermi una indigestione a base di pesce scandinavo. Di nuovo con la T-bana per arrivare nella Sveavägen al ristorante pizzeria "Da Pino". La pizzeria è gestita da un signore italiano. Ordino una pizza margherita all'italiana con ingredienti possibilmente italiani. Il titolare mi raggiunge al tavolo e dopo pochi minuti ci siamo messi a chiacchierare del suo ristorante e dell'olio e del pomodoro che lui importa dall'Italia. La serata si mette bene perchè alla fine mi saluta calorosamente e mi fa promettere che prima di partire ritornerò di nuovo per un'altra pizza speciale. Fuori «fa un freddo cane, questa sera» ed io precipito un'altra volta nello sconforto del mal di gola. L'asserzione tra virgolette angolari, così come l'ho proposta io, non è mia. Si trova nella terza scena del primo atto del dramma teatrale Il Padre (Fadren), di Carl Strindberg, quando il Pastore si congeda dal Capitano per uscire nelle strade di Stoccolma. Mai le parole scritte da Strindberg sono state più vere di così.
Rientro in albergo stanco con la fronte calda. Mi attende una notte sicuramente peggiore della precedente. Mi metto il pigiama di cotone e il pullover sopra la maglietta acquistata per migliorare la tenuta del calore corporeo e ridurre la leggerezza del pigiama. Domani dovrò comprare anche una sciarpa di lana. Trovo una coperta in un'anta dell'armadietto e la indosso sulle spalle per vedere un po' di televisione. Naturalmente non capisco una sola parola di quello che annunciatrici, lettori del telegiornale e conduttori di programmi dicono. E' normale. Intanto si è fatto tardi e cerco di addormentarmi ma due pensieri mi ritornano in mente. Il primo è, come ieri sera, il ricordo del passo dell'Inferno di Strindberg che anticipa una notte prevedibilmente dura. L'altro riguarda il famoso passo scritto da Alessandro Manzoni nei "Promessi Sposi" nel Capitolo XXXIII. Racconta della notte insonne passata da Don Rodrigo quando dopo essere rincasato e seguito dal Griso in camera da letto che teneva in mano un lume (Manzoni lo fa chiamare a Don Rodrigo "maledetto lume. Diavolo! che m’abbia a dar tanto fastidio!") cercò di addormentarsi come sto cercando di fare io qui nella fredda Stockholm: «ma le coperte gli parvero una montagna. Le buttò via, e si rannicchiò, per dormire; ché infatti moriva dal sonno. Ma, appena velato l’occhio, si svegliava con un riscossone, come se uno, per dispetto, fosse venuto a dargli una tentennata; e sentiva cresciuto il caldo, cresciuta la smania. Ricorreva col pensiero all’agosto, alla vernaccia, al disordine; avrebbe voluto poter dar loro tutta la colpa; ma a queste idee si sostituiva sempre da sé quella che allora era associata con tutte, ch’entrava, per dir così, da tutti i sensi, che s’era ficcata in tutti i discorsi dello stravizio, giacché era ancor più facile prenderla in ischerzo, che passarla sotto silenzio: la peste».
Certamente sono al corrente delle differenza che esiste tra la peste e una volgare faringite. Ma con questo freddo le sensazioni si ingigantiscono e possono fare brutti scherzi al sonno della notte. Devo anche dire che la faringite sarà anche volgare ma mi sta togliendo "'o suonno e a fantasia" direbbe un napoletano. Alle 23 mi alzo, scosto la tenda e osservo dalla finestra un chiarore che mi ricorda la luce zodiacale. Si tratta di una luce diffusa, inutile, che non permette di mettere a fuoco nulla del panorama ma che esiste e gioca il suo ruolo aumentando l'estraneità di una terra molto diversa da quella mediterranea. La serata di oggi è stata finora la peggiore. Di solito nei miei viaggi la sera in hotel mi svago piacevolmente vedendo la TV e cambiando canale spesso per farmi un'idea dell'offerta televisiva del paese. Ma questa sera è traumatica perchè il freddo, l'insufficiente mio abbigliamento e le mie condizioni di salute mi hanno prostrato più sul piano psicologico che su quello fisico. Stoccolma è la città dove nacque e visse Strindberg. Inferno (Enfer) e Danza di morte sono state le prime due opere che ho letto del Principe tra i vari scrittori letterari svedesi. E certamente avrei voluto ricordarlo in un contesto più piacevole dell'attuale. La notte è lunga e io alterno momenti di spossatezza che mi fanno sperare nell'addormentarmi da momenti di lucidità che mi fanno pensare ai vari protagonisti di Strindberg: la contessina Julie ed Edgar, Alice e Kurt, il Capitano, Laura e il Pastore, Tekla, Adolf e Gustav, e via discorrendo. Alla fine lo stress e le preoccupazioni sono vinte dalla stanchezza.
Terzo giorno Mercoledì 28 giugno. Oggi mi propongo di andare di nuovo a Gamla Stan questa volta a piedi per una visita più mirata e consapevole percorrendo alcune vie della City che ho già visto il primo giorno e altre nell'isola. Inizio dalla Vasagaten, quindi la Klarabergsgatan e arrivo a Sergels Torg e Kulturhuset. La fermata qui è d'obbligo. La piazza dell'obelisco è bellissima. L'enorme stele di Sergels Torg, chiamata in svedese Pinnen, cioè "Bastone", si erge maestosamente in alto all'interno di un'area riservata circolare che è da ammirare intensamente e con calma. L'intera area è ben tenuta e piacevole. La piazza ha due livelli: uno a livello stradale per il traffico delle auto e l'altro sottostante. Lungo il perimetro della piazza e nel piano sottopedonale c'è praticamente di tutto. Negozi, alberghi, banche, uffici, caffè, ristoranti e altro. C'è soprattutto un'idea di architettura prettamente svedese, moderna, nordica, distaccata e, se mi è permesso, anche funzionale come si dice qui, che fa respirare un'atmosfera autenticamente scandinava. Il grigio predomina su tutto ma è presente anche il marrone, con sfumature più o meno scure delle facciate di alcuni palazzi, comunque tutti in stile modernista. Frequente è la presenza di vetrate nei palazzi, soprattutto della Kulturhuset, cioè della Casa della cultura. Rimarrei qui seduto su una panchina per ore e ore al solo scopo di guardare. L'occhio qui vede cose completamente diverse da quelle che normalmente si vedono nelle piazze italiane o di qualche altra città mediterranea. A chi piace il moderno qui c'è da rimanere soddisfatti per un'intera vita. Invece mi inquieta la stele di Sergels Torg. Più che una colonna più o meno lavorata sembra di vedere uno di quei totem di forma vichinga che sembra essere una divinità da adorare. Tuttavia il colore grigio inganna perchè la stele non è di pietra ma è rivestita di vetro traslucido che di sera immagino si illumina mediante luci interne di diversi colori offrendo uno spettacolo veramente grandioso. Ovunque si vede il logo della banca SEB e di IKEA, mentre sul lato sud della piazza si vede la lunga facciata della Kulturhuset. Qui su questo palazzo di vetro ho da fare una riflessione personale. L'anno scorso in estate ho trascorso una vacanza al mare a Castiglione della Pescaia in Toscana. Nell'albergo ristorante nel quale ho alloggiato ho conosciuto una coppia anziana molto bizzarra, lei di Stoccolma e il marito siciliano. La cosa buffa era che lei parlava pochissimo e non perchè non capiva l'italiano ma perchè il marito, che parlava un italiano molto approssimativo e con fortissimo accento siciliano, praticamente era il leader di coppia esuberante e un po' spavaldo. Quando in un momento di socializzazione mi dissero che abitavano a Stoccolma feci loro presente che il prossimo anno sarei andato in visita nella loro città. Alla mia domanda di come un siciliano potesse trascorrere le lunghe giornate invernali mi rispose candidamente che ogni mattina frequentava Kulturhuset per leggere gratuitamente nell'emeroteca i giornali italiani. Venni a conoscenza dunque dell'eccezionale servizio che la Casa della cultura propone ai cittadini di Stoccolma. Con spirito di grande curiosità entro e mi lancio in una veloce visita dei tre piani del grande palazzo. Anche qui c'è di tutto. Si va dai negozi di design ai bar e self service, da una galleria a un auditorium, da un kindergarten con stanza da gioco a una biblioteca per bambini, da un cinema a un teatro, da una sala per l'ascolto della musica all'emeroteca e a sale di lettura, c'è persino una terrazza al quarto piano. Il caffè Access è un internet point in cui si può navigare in internet. Aveva ragione quel signore quando mi disse che trascorrere le fredde e grigie giornate d'inverno a Stockholm era proprio possibile e forse anche invidiabile. Riprendo il cammino per Gamla Stan con l'avvertenza però che adesso, invece di imboccare a sinistra la Sveävagen come ho fatto ieri per ritornare in hotel, dove c'è la rotonda di Sergelfontanen, prendo a destra in Malmtorgsgatan. Dopo aver superato Gustav Adolfs torg imbocco decisamente l'ampia Norrbro che mi fa arrivare a Gamla Stan. Questa isola com'è noto è il vecchio centro storico di Stoccolma con in più che qui c'è la residenza dei reali di Svezia. Io sono interessato alle stradine del centro storico. Al centro della Gustav Adolfs torg c'è la statua equestre del re Gustav II Adolf. Alla fine della piazza c'è un lungo ponte che porta a Slottskajen all'entrata di Gamla Stan.
I nomi delle vie e delle piazza hanno nomi così strani che mi fanno vedere il tutto come estremamente lontano dalla toponomastica mediterranea. E' ovvio che la lingua svedese sia poco familiare a un mediterraneo come me. Eppure è la lingua più diffusa nell'intera Scandinavia. Superato il ponte chiamato Norrbro eccomi nella parte più turistica di Stoccolma, da me visitata in autobus ieri mattina con un'incursione solitaria e insufficiente. Oggi voglio vederla con più calma sperando che il mal di gola che mi produce anche qualche colpo di tosse mi dia un po' di scampo al bruciore che si ostina a non cessare. Gamla Stan non è grande. Il quartiere, non considerando Riddarholmen, ha una superficie pressappoco come quella di un quadrato di lato di cinquecento metri, cioè duecentocinquantamila metri quadrati, cioè venticinque ettari. In fondo alla Slottskajen si vede la maestosa Riddarholmskyrkan che io, insieme all'isolotto fiancheggiante Gamla Stan, ho escluso nel calcolo della stima della superficie di Gamla Stan. Mi immetto nel dedalo delle stradine interne per guardare i piccoli negozi di artigianato. Brända Tomten, Mårten Trotzigs Gränd, le bellissime facciate dei palazzi di Stortorget sono alcuni dei posti bellissimi che vedo dinnanzi a me. Qui ci sono il Nobelmuseet e il Medeltimuseet che sarebbero da vedere ma il tempo è implacabile A due passi dalla Strömbron ci sono il National Museet e l'isola di Skeppholmen. Tuttavia mi rendo conto che Gamla Stan non è una città che ha un centro storico all'italiana, con strade molto strette, piazze piccole e negozietti artigianali che incuriosiscono. A parte Mårten Trotzigs Gränd che ha una larghezza di meno di un metro le altre strade non sono vere e proprie stradine. Nelle mie intenzioni c'era l'idea molto mediterranea che Gamla Stan percorsa a piedi nelle stradine, potesse mostrare negozietti che esponessero prodotti dell'artigianato del luogo. Insomma, da ingenuo credevo che potessi essere testimone di un percorso turistico come si vede a Taormina in Sicilia.
Qui le strade sono curatissime, con acciottolato di granito perfettamente disposto in maniera simmetrica e uniforme, ad arte, senza alcun elemento stradale e architettonico fuori posto. Le pareti delle abitazioni e dei palazzi sono molto curate e sfiorano la perfezione. In tutto questo si nota l'ambizione ad essere perfetti, forse perchè l'anima svedese è profondamente esigente e intransigente secondo un luteranesimo che non lascia alcuno spazio all'improvvisazione e alla casualità. Ammiro questo comportamento, tutto orientato a dare il meglio di se stessi producendo una società che non a torto chiamiamo "svedese" con tutti i connotati positivi inclusi nell'aggettivo qualificativo.
La mia non è delusione ma consapevolezza della diversità di modelli e stili di architettura non condivisi.
Decido adesso di vedere la Stockholm Domkyrkoförsamling. Si chiama così la Cattedrale di Stoccolma di rito protestante luterano. Si trova adiacente al Kungliga slotted, cioè al Palazzo reale ed ha una torre campanaria non molto alta con quattro campane. C'è poca gente che segue una messa rapida ed efficiente. Siamo in tutto sette persone, compreso me e il sacerdote che è poi una donna, vestita in completo abito talare color nero. Non so se sia un semplice pastore o qualcosa di più. Com'è noto nella religione protestante le donne hanno parità di diritti come gli uomini anche in questo settore della vita sociale. I fedeli che prendono la comunione sono esattamente cinque. Alla fine della messa riesco a vedere la pastora luterana che si ferma a discutere con i pochi fedeli presenti. Saluto con un cenno della testa ed esco. Non avevo mai partecipato, nè visto una funzione religiosa condotta da una donna. Non sono sorpreso, anzi. La reale parità di sesso qui è forse intesa più del vincolo del sacerdozio al maschile. E' come se ci fossero due aspetti che confliggono. Tra i due, nei paesi scandinavi e forse anche in altri paesi europei limitrofi, si accetta quello che si ritiene più importante nella vita della società. Il numero di fedeli nella cattedrale mi fa tornare alla mente il film svedese Nattvardsgästerna (il titolo italiano è "Luci d'inverno" ma la traduzione letterale è «i comunicandi») di Ingmar Bergman del 1963. All’inizio di questo film, nella chiesetta di un villaggio svedese, il pastore protestante luterano Tomas Ericsson mentre officia la messa dà a cinque fedeli inginocchiati alla balaustra dell'altare l’ostia della comunione esattamente come ha fatto qui oggi, cioè quarantatrè anni dopo l'uscita del film di Bergman, la pastora in una sorta di similitudine che mi colpisce più per le analogie che per le differenze.
La cosa che però mi preme di più sottolineare, e che a questo proposito considero con ironia, è che nel film alla fine della messa il pastore Tomas si ritira nella piccola sagrestia della chiesa e, tossendo di tanto in tanto, mette al corrente il sacrestano che ha un forte dolore di gola mentre la sua fronte scotta a causa della febbre. In pratica ha una faringite, causata da un raffreddore, esattamente come quella che ho preso io all'arrivo a Stoccolma alcuni giorni fa a causa del mio insufficiente abbigliamento. Sorrido piacevolmente. Tra l'altro e in coincidenza della mia visita alla Storkyrkan (la cattedrale, ma la traduzione è "grande chiesa") il mio mal di gola si è risvegliato facendomi tossire ripetutamente. Se penso alle domande che mi sto ponendo in questi giorni, soprattutto nel chiuso della mia camera d'albergo, circa la mia impossibilità a vagare per la città come avrei voluto, arrivo alla conclusione che sono se non identiche a quelle che si è posto il pastore Tomas almeno presentano una sintonia di emozioni convincentemente somiglianti. Certo le domande del pastore sono di tipo filosofico e fortemente angoscianti circa il perchè della morte della sua amata moglie e soprattutto per "i silenzi di Dio", mentre per me in perfetta solitudine - come e più di quella del pastore - mi sento non abbandonato da Dio ma semplicemente sfortunato a causa del fatto che la faringite non mi permette quella libertà che avrei voluto avere per visitare al meglio Stoccolma a mio piacimento.
In condizioni "normali" avrei preso il vaporetto, sarei andato nelle isole adiacenti, avrei visitato alcuni musei all'aperto, ecc.. Non dimentichiamo che tra una decina di giorni, esattamente il 10 luglio, partirò di nuovo da Roma Fiumicino per Copenhagen per effettuare il prossimo viaggio, il tredicesimo, nella capitale danese. Intanto si è fatto tardi e mi è venuta fame. Debbo ritornare nella City. Si ma senza correre. Non voglio che il mio corpo corra troppo perchè non vorrei che la mia anima rimanesse indietro. E' la frase che spesso ho sentito dire a mia madre quando non voleva che io da bambino corressi. Davanti al palazzo reale ci sono alcuni bus pieni di turisti che vanno e vengono. Li supero, questa volta dall'altra parte da dove sono venuto e lascio Gamla Stan imboccando la Norrbro e dopo poco mi trovo davanti alla Kungliga Operan. Adiacente al bar Opera, sulla Karl XII:s torg, c'è l'alternativa all'Opera Källaren il ristorante dell'alta cucine svedese. Si tratta di un ristorantino più abbordabile e meno pretenzioso del fratello maggiore ma sempre elegante col quale condivide probabilmente una parte della cucina. Non ho capito bene come si chiami ma non importa. Quello che è importante è che nonostante sia di piccole dimensioni c'è un'atmosfera più amichevole e nello stesso tempo mi permette di scegliere un menù che è contemporaneamente tradizionale ma anche di qualità. Manzo bollito con rafano grattugiato fresco, patate e carote bollite immerse in una salsina gustosa e una bottiglia di birra locale mi permettono di conciliare, stomaco, gola e palato. E adesso alla stazione centrale per prendere un caffè, al caldo del seminterrato pieno di luci e di colori. Prendo il bus e durante il breve tragitto penso a come sarebbe bello vivere qui a Stoccolma. Tutto funziona alla perfezione, la gente ha bandito l'esagerazione dai suoi costumi e vive bene.
Sarei uno sciocco se non volessi riconoscere che sono preso da ammirazione sconfinata per il modo in cui gli svedesi interagiscono nella loro società fra di loro e con lo Stato sebbene, come si suole dire sempre in questi casi, "non è oro ciò che luccica"! Leggendo i testi del teatro di Strindberg escono fuori delle tematiche terribili a proposito del rapporto tra i sessi in chiave di conflitto. Tuttavia, nonostante tutto e nonostante Strindberg mi viene da dire che i love Sweden. Dal mio limitato angolo visuale, per giustificare un po' la ragione della mia dipendenza da tutto ciò che suona come svedese introduco adesso alcuni nomi di personalità della cultura svedese che non hanno bisogno di presentazione ma che, per un motivo e l'altro, hanno rappresentato per me un modello di comportamento certamente importante. Si tratta di registi e attrici cinematografici come Ingmar Bergman, Greta Garbo e Ingrid Bergman; di marche automobilistiche come Volvo e Saab; di artisti del design e dell'arredo come Greger Paulsson, il Principe Sigvard Bernadotte, Pia Wallén, Estrid Ericson e gli architetti Gunnar Asplund e Sven Hermelin; del rispetto per l'ambiente come il medico ambientalista Karl-Henrik Robèrt; della neutralità politica e di uomini di governo come Dag Hammarskjöld, Olof Palmer e Raoul Wallenberg; del welfare e della legislazione familiare con il riconoscimento della parità assoluta di diritti tra i due sessi; di musica come quella degli Abba; di sport come Björn Borg, Ingemar Stenmark, Sven Utterström, Erik Larsson, Martin Lundström e Thomas Wassberg; di economia come Gunnar Myrdal; di premio Nobel; di arte come Carl Larsson; di scienza come Carlo Linneo, Anders Jonas Ångström, Anders Celsius, Jöns Jacob Berzelius e Johannes Rydberg; di scrittori come August Strindberg; di teatro svedese di nuovo con il grande Strindberg ma anche di Ingmar Bergman; di aziende commerciali come IKEA e H&M; di gastronomia e cucina svedese come Mathias Dahlgren, e altri ancora.
Ebbene, a questo proposito desidero raccontare un fatto personale della mia infanzia che coincide in maniera inverosimile con quello descritto da altri. Si tratta di un fatto vissuto personalmente in gioventù che mi permette di introdurre il concetto del perchè dire Svezia o svedese mi emoziona sempre. Il fatto ha a che fare con il mio vissuto personale di studente che mi ricorda il tempo della mia infanzia trascorsa in un paesino della Sicilia. Come nelle favole, "c'era una volta" in un paesino di montagna una stanzetta rivolta a nord verso le isole Eolie che fungeva da studio a me giovane studente. Nella stanzetta avevo una piccola scrivania, dalle linee semplici e lineari sulla quale si trovavano un completo da scrittoio in pelle per scrivere, un porta penna, un tagliacarte, un calendario a foglietti, una lampada, una sedia e, accanto, due piccole librerie, con ripiani sostenuti da asticciole metalliche. Sui ripiani trovavano posto l'enciclopedia il milione, il dizionario enciclopedico in due volumi di Giovanni Battista Melzi e tanti libri di narrativa, di storia, di filosofia, di letteratura italiana e di fisica.
Alla fine degli anni '50 questo genere di librerie si chiamavano "librerie svedesi", per la loro forma che coniugavano efficienza, semplicità e, non ci crederete, anche solidità. In quella stanzetta, da studente, facevo i compiti e sugli scaffali della libreria tenevo i libri dei miei studi, dalle medie all'università. I tre scaffali della libreria li aveva comprati mia madre da Postal Market, famosa azienda milanese di spedizioni - anticipatrice dell'attuale Amazon moderna società di vendite online - che li ricevette per posta in due scatoloni, poi montati da mio padre. Ogni giorno trascorrevo ore e ore a studiare nel freddo della stanza riscaldata con una stufetta a gas, uno scaldino elettrico per i piedi e una pesante giacca da camera come quelle di una volta. Valerio Griffa nel suo eccellente manuale italiano di viaggio, dal titolo "Svezia", nella sua interessante introduzione dedicata ad "Anita e Marcello", dice: "E quel colore chiaro, quelle linee che poco concedevano a estrosità mediterranee, mi sono entrati dentro. Come un'educazione estetica". Si. Proprio così. Una educazione e per giunta estetica. La libreria era per alcuni versi inadeguata. Nulla a che vedere con quella di Giacomo Leopardi nella sua casa gentilizia di Recanati. Quella libreria che guardavo ogni giorno e che ammiravo nella sua splendida forma piena di simmetria e di armonica bellezza era stata inventata, progettata e costruita nella lontana Svezia che io dopo molti ragionamenti elessi culla del design e matrice di equilibrio, eleganza e sobrietà. Da quelle lunghe osservazioni di forme, profili e configurazioni armoniche imparai ad associare alle cose belle il cinema di Ingmar Bergmann, la recitazione di Ingrid Bergman, la solidità e la essenzialità delle auto Volvo, la brillante atmosfera prodotta dalle canzoni degli Abba, l'interpretazione di Anita Ekberg con Marcello Mastroianni nel film "La dolce vita" di Federico Fellini e mille altri risvolti associati alle decine di nomi che ho riportato prima in tutti i campi del sapere. Come fu possibile tutto questo si può spiegare alla luce di un fatto personale che si verificò durante la mia infanzia.
Avevo tredici anni quando i miei genitori mi misero a pensione presso una famiglia del mio paese che aveva affittato una casa nel capoluogo di provincia, vicino all'orto botanico. Fui costretto ad abitare lontano da casa, a novanta chilometri, per continuare gli studi dopo le medie.
Fino ad allora avevo vissuto sempre in famiglia, in un piccolo paesino di montagna della Sicilia, "sotto la gonna" di mia madre. Nella pensione io ero, tra studenti e figli della titolare, il più piccolo di tutti e in quanto tale destinato a perdere e subire sempre. In quell'anno un cinema della città mise in programmazione la visione di alcuni film di Ingmar Bergman, vietati ai minori di sedici anni. I miei amici, trasgressori da sempre e alla ricerca spasmodica delle novità, soprattutto quando si trattava di film vietati, con la complicità dell'addetto al controllo dell'entrata degli spettatori, riuscirono a portarmi insieme a loro a vedere le pellicole in bianco e nero del regista svedese. Non capivo quasi niente della trama di quelle storie. Consideravo quei film noiosi, abituato com'ero a vedere i film del neorealismo italiani o i western statunitensi alla John Wayne che mi entusiasmavano di gran lunga di più. Tuttavia,i film di Bergman avevano qualcosa che mi colpivano, perchè mi facevano vedere un mondo completamente differente da quello che la realtà del mio piccolo paese bigotto e ristretto mi proponeva quotidianamente. Mi colpivano i dialoghi, lenti e snervanti dei protagonisti fra i quali notavo delle belle donne bionde, raro esempio di bellezza differente da quella siciliana. La visione di questi film fu per me da un lato un vero e proprio vento di novità che coinvolgeva il mondo delle relazioni umane e dall'altro un laboratorio di relazioni tra me e tutto ciò che le interpretazioni degli attori resero possibile fare vedere ai miei occhi. Non li avrei mai più dimenticati. E se oggi sono qua a godere la visione di questa bella città e dei suoi abitanti è perchè allora la mia curiosità, introdotta dai film di Bergman, si tramutò in desiderio di vedere la società che aveva prodotto un talento cinematografico come quello del regista svedese. In seguito, vidi quasi tutti i film di Bergman e mi interessai anche al teatro svedese di cui Strindberg e lo stesso Bergman sono considerati maestri e protagonisti.
Nel frattempo arrivo nella hall della Stockholm centralstation, nella quale c'è il solito movimento ma io non mi sento a mio agio. Adesso starnutisco frequentemente e accuso dei dolori muscolari alle gambe e in maniera diffusa all'intero corpo. Mi chiedo cosa faccio qui in mezzo a questa gente sconosciuta nelle mie condizioni di salute. In un bar prendo un thè caldo per rinfrancarmi. Presso il solito cambiavalute del Forex cambio del denaro. Ma l'idea di rientrare in camera si fa sempre più forte. In un minimarket acquisto un pacchetto di cracker, due banane e un pacchetto di caramelle e rientro in albergo. Uscirò dalla camera solo domani mattina.
Quarto giorno Giovedì 29 giugno. Oggi è l'ultimo giorno di permanenza a Stoccolma. Domani si parte per Roma. Dire che sono contento non è sbagliato perchè la partenza si avvicina e il ritorno a Roma è desiderato tanto. Il programma di oggi è semplice. Ho da vedere il museo Strindberg e tutto il suo contenuto. Il Museo Strindberg (Strindbergsmuseet) è il museo di Stoccolma dedicato allo scrittore August Strindberg e si trova nella sua ultima dimora, al numero 85 di Drottninggatan.
A me piace il teatro e Strindberg è un maestro del teatro. A me piacciono tutti gli autori di teatro e per me è piacevole vedere in teatro sia il dramma "Il Padre" di August Strindberg, sia "Natale in casa Cupiello" di Eduardo De Filippo, come di Shakespeare, Ibsen, Brecht o Pirandello & C. Qui sono a Stoccolma e parlerò solo di Strindberg. Dopo colazione mi avvio a piedi. Oggi mi sento un po' meglio di ieri e spero meno bene di domani. Sarà stata la colazione a base di latte bollente, miele, fette di pane imburrate con marmellata e caffè, sarà perchè si avvicina la partenza, sarà perchè sto andando a casa di uno dei miei autori teatrali preferiti, fatto sta che mi sento un po' meglio. Mi piace continuare a giocare a vedere i tratti della mia vita qui a Stoccolma con alcuni brani teatrali di Strindberg che segnalo per la loro estrema validità ed efficacia a rappresentare bene il dramma, in chiave ironica, del mio stato di salute.
A questo proposito mi viene in mente che all'inizio dell'unico atto della tragicommedia Creditori (Fordringsägare) di August Strindberg, Adolf risponde a Gustav dicendo: "la testa, già affaticata dalla febbre, andò riequilibrandosi, e i miei vecchi pensieri d'un tempo andarono risvegliandosi". Ecco, diciamo che mi sento come, in questa scena, un po' Adolf nel momento in cui non pensa a sua moglie Tekla. Arrivare alla casa museo è facile. Basta andare diritto per circa cento metri dalla Vasaplan, che è la brevissima strada dove c'è il mio albergo, fino a intersecare la Drottninggatan, ovvero "strada della regina". Qui svoltare a sinistra e dopo altri trecento metri circa in salita si arriva sul lato sinistro della strada al n. 85. Siamo proprio all'intersezione tra la Drottninggatan con la Tegnérgatan, nella parte nord della City chiamata Norrmalm. Qui intorno ci sono la Adolf Fredriks kyrka, lo Spokparken e l'altro parco delimitato da Tegnérlunden. Attenzione perchè la Adolf Fredriks kyrka è un chiesa importantissima, a causa del fatto che qui fu sepolto inizialmente nel 1650 il filosofo francese Descartes e, fatto più importante, qui è sepolto Olof Palme il primo ministro svedese in carica assassinato nel 1986. Qui visse August Strindberg per molti anni della sua vita quando non fu all'estero a Parigi, a Berna, in Austria, in Danimarca e in Germania. La prima volta in vita mia che sentii parlare di Strindberg fu in Sicilia. Ero studente e avevo avuto il piacere di essere stato invitato a cena in una pizzeria di Taormina perchè avevo fatto da arbitro a una partita a tennis a due miei amici che reciprocamente ed eufemisticamente non si amavano. Le condizioni della sfida erano: partita arbitrata da me, che godevo fiducia di entrambi, e chi dei due avesse perso avrebbe dovuto pagare la pizza per tutti e tre. La sera a cena ci servì un bel giovane dai capelli biondi. Era un ragazzone svedese che si pagava da vivere durante l'estate nella cittadina ionica facendo il cameriere nella pizzeria. Non avevo mai visto prima di allora uno svedese vis a vis. Si chiamava Edgar ed era gentile e premuroso. Fu uno dei commensali, più grande di me, il più intellettuale nonché colui che era più colto e informato di tutti, che fece notare che si chiamava come uno dei personaggi di Strindberg. E fu così che io sentii per la prima volta il nome del grande drammaturgo svedese.
Arrivo quasi subito al museo, varco il portoncino ed entro nella sala della reception che era una piccola stanza di ingresso dell'appartamento di Strindberg. Al tavolo una gentile e simpatica impiegata mi fa pagare l'entrata e mi indica le stanze aperte al pubblico. Non tutto ciò che si vede nella casa è originale e una buona parte è stata ricostruita fedelmente. Fa sensazione immaginare il grande August vivere in queste stanze, con questi mobili. Ingresso, camera da letto, sala da pranzo, studio e libreria sono veramente belli in stile primo novecento. Lo scrittoio e il letto sono veramente interessanti da osservare. Sembra tutto irreale. E non è facile immaginare che è passato più di un secolo da quando mise su casa. Eppure qui visse gli ultimi anni della sua vita, anni in cui probabilmente prese una faringite come nel mio caso. Un particolare mi attrae. C'è una specie di cannocchiale che mi ricorda alcuni brani di due drammi in cui Strindberg mette in bocca al Capitano che lui effettua osservazioni empiriche con strumenti fisici quali lo spettroscopio, il microscopio, il manometro, e soprattutto che si interessa allo studio dei fenomeni chimici di trasformazione della materia. E' strabiliante che nel teatro, ovvero in un ramo dell'arte e della conoscenza fortemente apparentato con la cultura umanistica e letteraria un autore, il poeta e linguista come Strindberg conoscesse a fondo alcune discipline scientifiche come la fisica e la chimica e inserisse parole e idee scientifiche. In Italia sarebbe inconcepibile pretendere che Eduardo de Filippo o Luigi Pirandello o altri ancora conoscessero la scienza e soprattutto ne mettessero un po' nel loro lavoro di autori teatrali. Alla fine della visita vedo in un angolo della reception in uno scaffale, dei libri in vendita. Sono libri di diverse lingue tutti su Strindberg. Con meraviglia ne vedo uno della casa editrice milanese Iperborea in italiano e lo compro.
Pubblico a fianco la foto della copertina del libro di Franco Perrelli, August Strindberg il teatro della vita, Iperborea, 2003, 10.50 €, per due ragioni. La prima perché è un buon libro, sicuramente da leggere per chi fosse interessato ad approfondire le conoscenze su Strindberg. La seconda riguarda una nota di colore personale dovuta al fatto che questo libro l’ho comprato proprio nella reception del museo. E’ pubblicato in lingua italiana dalla Iperborea, famosa casa editrice milanese che è specializzata nella pubblicazione di autori scandinavi. Alla cassa l'impiegata si mostra sorpresa dell'esistenza stessa del libro. Quello che mi colpisce è lo stupore della gentile commessa che deve fare un esercizio di alta acrobazia di cambio con una calcolatrice per il semplice motivo che deve cambiare il prezzo dagli euro alle korone svedesi. Più di una volta ho pensato che forse sarebbe stato il caso che io quel libro non lo avessi mai comprato. Il dubbio mi è venuto quando nello scaffale apposito delle pubblicazioni in vendita esposte nella sala d’entrata del museo scoprii che quel libro era il solo libro in lingua italiana presente tra i tanti. Riflettendo a posteriori su quella stranezza mi è venuto in mente che forse è stato inviato al museo dall’autore per essere messo a disposizione del pubblico e invece per errore è stato inserito nello scaffale delle vendite. La mia è evidentemente una ipotesi ma la stranezza dei fatti mi hanno fatto maturare questa convinzione. Esco dal museo e mi avvio a piedi verso sud. Voglio vedere di nuovo Sergels Torg e pranzare allo stesso ristorante presente nei grandi magazzini NK Stockholm in Hamngatan. Ho ancora desiderio di mangiare il salmone perchè da domani col mio ritorno a Roma non mi sarà possibile gustarlo di nuovo. Alla mia mente il viaggio di ritorno mi è ancora lontano. Comincerò a pensarci su in tarda serata dopo avere fatto visita alla pizzeria "Pino" per rientrare definitivamente in camera. Il clima di oggi è leggermente meno freddo ma sempre in un ambiente grigio, col cielo annuvolato. Praticamente non ho mai visto il sole.
Siamo in estate e le vacanze al mare sono alle porte. Proprio alcuni giorni fa gli svedesi hanno festeggiato il Midsommar, cioè la festa di mezza estate. Addobbi e decori di fiori in ogni villaggio e cibi speciali hanno caratterizzano questa festa. Il giorno è il 24 Giugno che è poi la giornata più lunga dell'anno o quasi. E noi sappiamo quanto sia importante la luce del sole per gli svedesi. Peccato che io sia arrivato a Stoccolma l'altro ieri il 26 giugno ed quindi l'ho perduta per soli due giorni. Stranamente quando ho effettuato la prenotazione non ci ho pensato. Mi consolo con l'idea che Stoccolma non è un piccolo e sperduto villaggio del nord della Svezia dove qui la festa è meno sentita che in un villaggio, nel quale i festeggiamenti sono preparati ed eseguiti con maggiore attenzione e cura. In verità, quando penso alle festività svedesi mi viene subito in mente non la festa di mezza estate ma quella di "mezzo inverno", cioè la festa di S. Lucia, che cade il 13 Dicembre. Coincidenza vuole che quel giorno sia il più corto di tutto l'anno o quasi. Qui si che si tratta di una vera festa, la cosiddetta Festa della Luce che tutti gli svedesi festeggiano in allegria. E qui ho qualcosa da dire visto che conosco benissimo la città di Siracusa nella quale vado in vacanza al mare quasi ogni anno. D'altronde Santa Lucia è di Siracusa e conosco bene i festeggiamenti che avvengono nella città siciliana del papiro per avervi partecipato direttamente. Se è vero come è vero che gli svedesi hanno in Santa Lucia una complice efficace nel festeggiare la luce e il suo splendore, con candele e luminarie varie, è altrettanto vero che a Siracusa fanno le cose veramente in grande. Qui in Svezia le ragazze si vestono di bianco e indossano una corona di candele accese in testa sfilando per strada o nella case o negli uffici offrendo caffè, biscotti alla cannella e glögg, una specie di vin brulé, cioè vino caldo aromatizzato. A Siracusa si esagera. Infatti nella città siciliana il 13 dicembre sono previste due processioni. La prima, ogni anno, con la statua d'argento che si trova nella cattedrale di Siracusa che viene portata in spalla e fatta sfilare per le strade della città aretusea alla presenza di una folla di persone enorme. Molte donne camminano scalze con una candela in mano e la processione dura dal pomeriggio fino a notte fonda. La seconda avviene ogni dieci anni in cui a Siracusa viene trasportato il corpo di S. Lucia che giace a Venezia. I festeggiamenti prevedono cibi a base di pesce e pasticceria alla mandorla con un dolce tipico regionale che è prodotto proprio in occasione della festa: si chiama cuccìa. Il dolce ha una base di grano bollito nel quale viene distribuita della ricotta di pecora lavorata a mano. Viene guarnito con zuccata, cannella e pezzetti di cioccolato. Purtroppo non ho mai assistito alla festa di S. Lucia in nessuna città svedese. So per certo però che durante la festa di S. Lucia a Siracusa spesso è presente una delegazione di autorità svedesi invitata dal Sindaco di Siracusa che si riconosce nei festeggiamenti della medesima patrona. Non dimentichiamo che la città di Siracusa è gemellata fin dal 1970 con Stoccolma proprio nel nome di S. Lucia, obiettivo comune delle autorità delle due città. Dopo il pranzo desidero fare una passeggiata prima di rientrare in albergo.
In Vasagatan 18 c'è, oltre la T-bana, una fermata del bus che si trova proprio davanti all'Hotel Terminus. A questa fermata, oltre alle linee 196 e 197 che mi servono per rientrare in albergo, c'è il servizio Ikea che consiste in un bus navetta gratuita con su scritto IKEA che a ogni ora della giornata porta i clienti al centro Ikea e ritorno. Sul fenomeno IKEA credo di poter dire che esso sia un elemento caratteristico del modo di fare svedese tanto da essere considerata una immagine sacrale della svedesità chiamata la "democrazia del mobile". Nonostante abbia pronunciato molte volte il nome IKEA ed essere stato in uno dei due negozi di Roma h oappreso da poco il significato dell'acronimo delle quattro lettere del nome. Le prime due IK sono le iniziali del proprietario, Ingvar Kamprad, che non credo si possa lamentare dei risultati raggiunti dalla sua azienda. Delle altre due lettere rimanenti la prima è l'iniziali del nome della fattoria di famiglia Emtaryd e la seconda è il nome del paese di nascita Agunnaryd. Dunque IKEA è l'acronimo di quattro lettere tutte relative all'anagrafica del suo proprietario. Per comprendere meglio il senso della parola Ikea mi voglio divertire un po' a immaginare se fossi stato io al posto di mister Kamprad che tipo di parola sarebbe uscita fuori al posto di IKEA? Seguendo la logica della costruzione "nome-cognome-quartiere-luogo di nascita" e applicando questo protocollo alla mia persona otterremmo l'orrendo acronimo VCSM. Solo che VCSM suona male per due ragioni. Una prima volta perchè è impronunciabile. Sembra più la radice di un verbo quadrilittero arabo con sole consonanti che un acronimo vero e proprio nel quale oltre alle consonanti è presente anche la giusta dose di vocali. E una seconda volta perché non essendo familiare come la parola Ikea, nè avendo nulla del "portato" della cultura svedese e del valore aggiunto della laboriosità di questo straordinario popolo, sarebbe destinato a un sicuro fallimento commerciale e finanziario. Devo dire altresì che sono un frequentatore abituale dell'Ikea di Roma. Ci vado più per gli aspetti relativi al cibo e all'alimentazione che per l'arredamento. Addirittura, alcune volte approfitto della mia presenza nel centro commerciale per pranzare velocemente al self service, quasi sempre scegliendo una portata di salmone con le gustosissime verdure cotte con salsina come contorno, dal sapore tipicamente svedese. Nel settore alimentare poi compro sempre con piacere alcuni prodotti che mi permettono a casa di preparare una specie di smörgåsbord alla romana, cioè un insieme di prodotti che copiano senza ritegno il famoso buffet svedese, spesso presente nelle occasioni di festività familiari come a natale, infarcito di alcuni prodotti alimentari laziali, come il pane e il vino di cui ne preferisco il gusto. Un esempio? Eccolo.
Innanzitutto aringhe marinate con cipolle Sill Inlagd, fettine di salmone affumicato Lax Kallrökt con burro piemontese (altra intrusione non indigena), cetrioli sottaceto a fette Gurka Inlagd, salsiccia di alce affumicata Vilt Korv, tranci di salmone al forno, polpette di carne Köttbullar, del formaggio erborinato Ost Blåmögel e qualche dessert con biscotti allo zenzero Pepparkakor e, più raramente, birra lager Öl Ljus Lager cosiddetta biologica. Certo non posso pretendere di trovare il gustoso ma indigeribile Janssons frestelse (pasticcio di patate, cipolle e sarde al forno) ma nel complesso il pasto può senz'altro certificare un alto tasso di sapori svedesi.
E a proposito di "svedesità" come non si può non ricordare la musica degli Abba. Penso che tutto il mondo conosce l'Ikea ma altrettanto si può dire di questo formidabile quartetto di cantanti svedesi che ha contribuito molto a fare la storia della musica europea. Nel 1974 la band svedese vinse l’Eurofestival, ed entrò nella leggenda. Dire che sono stati eccezionali autori e produttori di emozioni, di poesia, financo di incantesimi oltre che di divertimento è il minimo che si possa dire per chi come me ha vissuto il periodo aureo degli Abba. Sono stati in grado di produrre poetici e innocenti pensieri, di accompagnare la visione di intriganti immagini che hanno rappresentato in pieno il mondo della musica e delle icone della femminilità nelle sue migliori espressioni. La bionda svedesina e la bruna norvegese insieme ai due biondi vikinghi maschi sono stati la vetrina più significativa di una Scandinavia da amare per la loro semplicità, simpatia e spettacolare bellezza. Al pari dei Beatles, gli Abba hanno fatto conoscere il loro paese al mondo intero. Io li ricordo con molto piacere e spesso ascolto con interesse le loro canzoni.
Il rientro in albergo avviene con una breve corsa in autobus. La serata si conclude con una nuova visita alla pizzeria da Pino per un pasto caldo e un ultimo saluto al centro città. Mi rimane solo di fare la valigia e chiudere qui questa esperienza stoccolmese che ha visto chiari e scuri come poche volte mi sia successo nei miei viaggi.
Quinto e ultimo giorno Venerdì 30 giugno. Oggi si ritorna a casa. Il programma prevede specularmente la stessa tempistica di viaggio dell'andata, ma col percorso in senso inverso. C'è però una differenza che mi tiene in ansia. Il tempo di attesa a Praga, tra l'arrivo da Stoccolma e la partenza per Roma, mi sembra troppo breve. Appena quarantacinque minuti. Rischio pertanto a Praga di non prendere la coincidenza per Roma. Tuttavia, confido nella serietà della compagnia ceca da una parte e soprattutto del rispetto dei tempi di partenza dai servizi dell'aeroporto svedese di Arlanda.
Prima di venire a Stoccolma ho letto il breve istant book in lingua italiana di Peter Berlin, dal titolo che suscita curiosità: Svedesi. Se li conosci non li eviti, della casa editrice Sonda di Casale Monferrato, stampato nel 1994. Si garantisce che gli svedesi sono gente seria che all'occorrenza e se ben conosciuti si aprono un po' ma sempre rimanendo fedeli al loro Dna di scandinavi alla tedesca. L'aereo dovrebbe partire da Stoccolma in orario. Dunque, massima fiducia, sebbene io nutra qualche presentimento che mi tiene in ansia. La mattina alle 11.30 dopo colazione al check out della reception pago con carta di credito le spese del frigo-bar alla gentile impiegata della reception, di nome Clara, operatrice 34. Molto efficiente e gentile mi augura buon viaggio. La distanza dal mio hotel al Terminalen di Arlanda Express alla Centralstationen di Stoccolma è di alcune decine di metri, non di più. Mai scelta è stata così azzeccata come quella di prenotare l'albergo a Stoccolma presso il Nordic Hotel di via Vasaplan. In un battibaleno sono su una carrozza del treno speciale col biglietto già acquistato all'andata. Stesso percorso veloce, stessi pensieri sul paesaggio. Cambia solo il mio umore che non è proprio alle stelle. La gola mi brucia più del solito e il viaggio sarà faticoso. Dico a me stesso che non prenoterò mai più un viaggio aereo con scalo intermedio in un altro aeroporto. Alle 12.15 sono alla stazione Arlanda dell'aeroporto di Stoccolma. Mancano poco più di tre ore, ma non sono irrequieto per l'attesa. Al contrario, l'aeroporto di Arlanda è accogliente, ha un bel design, è comodo e interessante, è pieno di bella gente che fa piacere osservare. Il volo aereo, come ho anticipato prima, è su un Boeing 737-500 della Csa Czech Airlines, in partenza da Stockholm-Arlanda alle 15.45, volo OK 0726 e arrivo a Praga Ruzynĕ al Terminal 2 alle 17.45. Appena tre quarti d'ora di attesa nella capitale ceca e nuova partenza con un altro Boeing 737-500, dal Terminal 2 di Praga Ruzynĕ col volo OK 0491 alle 18:30 per Roma-Fiumicino con arrivo a destinazione alle ore 20,15. All'ora di pranzo mi seggo a un chiosco che propone una specie di baguette alla francese con un misto di formaggi brie, Saint-Marcellin e banon aop, un piattino di insalata verde e un buon bicchiere ballon di vino rosso. Seduto su uno sgabello mangio ed osservo il via vai dei viaggiatori.
Il tempo trascorre piacevolmente e alla fine dopo in check-in, al gate, vengo imbarcato sull'aereo. Stranamente la partenza avviene con ben venti minuti di ritardo! Sono nervosissimo. Vicino a me è seduta una coppia di giovani sposi turchi, forse in viaggio di nozze, che rientrano via Praga a Istambul. Vicino a me è seduto il marito il quale parla un accettabile italiano. Io non ho voglia di parlare ma lui chiacchiera in continuazione, solidarizzando con me sia per la coincidenza a Praga che sicuramente, afferma, prenderò con certezza, sia per la finale di calcio dei mondiali che l'Italia sicuramente farà. Sono veramente sorpreso dalla carica di simpatia che mostra questo giovine signore nei miei confronti. Mi parla di calcio, dei giocatori italiani molto famosi in Turchia, del fatto che la compagnia ceca è sempre puntuale ma io mi sento estraneo ai suoi discorsi anche perchè l'insistere sui nomi dei giocatori italiani di calcio mi irrita, perchè a me non piace il gioco del calcio. Sua moglie sta zitta per tutto il viaggio. Chiedo lumi a una hostess per il tragitto a piedi da compiere all'interno dell'aeroporto Ruzynĕ di Praga nel "percorso transiti" ma non ottengo risposte. All'uscita cerco di accelerare i tempi ma vengo bloccato dalla fila al controllo passaporti. Un ruvido doganiere nonostante cerchi di far capire che devo andare al "varco transiti" per la coincidenza mi guarda in modo provocatorio e, soprattutto, agisce con una lentezza esasperante, costringendomi a subire un controllo minuzioso e facendomi perdere tempo prezioso. Si rifiuta di indicarmi la via da seguire, come se ogni viaggiatore fosse messo alla prova con un test di conoscenza sulla topografia dell'aeroporto. Alla fine trovo la direzione giusta ma non vedo passeggeri al gate perchè sta chiudendo. E' una gara podistica vera e propria contro il tempo. Riesco con una corsa velocissima ad arrivare al cancello di imbarco ansimando e cogliendo di sorpresa le due addette. Tutti i passeggeri sono stati caricati sul bus di trasferimento. In un inglese rozzo e con una pronuncia antipatica mi dice praticamente che "voi italiani siete sempre in ritardo". Quasi a malincuore accetta di farmi passare telefonando all'autista del bus di aspettarmi alcuni secondi. Praticamente sarebbe bastato arrivare con 15 secondi di ritardo ed io avrei perduto l'aereo. In volo per Roma Fiumicino riprendo contezza delle mie condizioni di salute e, nonostante tutto, comincio a pensare al mio prossimo viaggio nella città della sirenetta di Copenhagen.
Elenco dei report di viaggio delle capitali europee già pubblicati.
INTRODUZIONE ALLA SEZIONE VIAGGI
AMSTERDAM Nederland
LONDRA Great Britain
PARIGI France
VIENNA Österreich
MADRID España
LISBONA Portugal
BERLINO Deutschland
PRAGAČeské Republika
DUBLINO Ireland Dublin
ATENE Ελλάς Αθήνα
STOCCOLMA Sverige
HELSINKI Suomi
LUBIANA Slovenija Ljubljana
NICOSIA Cyprus Lefkosia
LA VALLETTA Malta
SOFIA Бългaри София
BUCAREST Romania Bucureşti
BRATISLAVA Slovensko
BRUXELLES Belgio
BELGRADO Srbija Београд
OSLO Norge
ZAGABRIA Hrvatsk
TIRANA Shqipëri
MOSCAРоссийская Федерация
BIBLIOGRAFIA LETTERATURA DI VIAGGIO
Manuali e guide di viaggio adoperate.
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