giovedì 15 novembre 2007

Gli ultras tra commozione e vendetta: un percorso a zig zag.

C'è qualcosa che non ci convince nella faccenda del tifoso romano ucciso dal poliziotto. Le esequie lo hanno mostrato in modo evidente. Alcune contraddizioni nell'atteggiamento degli ultras ci danno gli elementi per essere perplessi sul desiderio sincero di chiudere questa penosa vicenda. Vediamo i fatti. Centinaia di giovani e meno giovani al funerale hanno partecipato al lutto della famiglia con una commozione talmente intensa da lasciare sbigottiti. Centinaia di forzuti giovanottoni, con fisico da picchiatori, hanno pianto a dirotto e si sono commossi come ragazzini. Abbiamo visto in televisione scene di commozione che neanche al funerale di un fratello o di una mamma si sarebbero viste. Segno che sotto sotto c'era qualcosa di più della commozione. Subito dopo, alla maniera degli ultras , si è ripetuto il rito delle urla da tifosi sui gradoni della Chiesa quando è uscito il feretro. Questi i fatti e passiamo alle opinioni.
Non c'è alcun dubbio che è stata stroncata la vita di un giovane in modo inaccettabile. Che il giovane fosse o meno un tifoso di calcio non cambia nulla. Rimane il fatto che si è verificata una tragedia umana ancor prima che sportiva. Ed è tutto qui il dubbio che ci attanaglia: si tratta di una tragedia che riguarda l'uomo, il ragazzo oppure alla vicenda si voglionio dare connotati diversi e creare il precedente facendolo diventare un esemplare nei rapporti tra polizia e tifo calcistico? Questa è la domanda che ci poniamo. Non è facile accettare la morte di un giovane ucciso da un poliziotto senza una ragione. La solidarietà è in questi casi il minimo che si possa dare, ma è anche il massimo quando si vuole caricare di significati che vanno oltre il fatto stesso. Abbiamo una perplessità che non ci convince e riguarda la commozione mostrata dagli ultras. Una commozione se è autentica, razionale, interpretabile come tale, sincera non può avere secondi fini, altri scopi. Invece qui, a nostro parere, sono spuntati subito fuori i soliti saluti romani, le grida di vendetta, i cori da stadio (a un funerale? mah!). Le approvazioni delle scelte sui muri che inneggiavano alla vendetta e dulcis in fundo l'inno nazionale, che di amor patrio in quell'occasione centrava come i cavoli a merenda. Conclusione. Temiamo che i facinorosi ultras abbiano perso un'occasione per tacere. Ai funerali si va con aria contrita e non bellicosa, con dolore e non con odio, con affetto e non con le grida di vendetta. Non si va a fare cori da stadio inneggiando alla "legittima vendetta". Temiamo che il diario delle violenze non sia finito. Tutt'altro. Quello che non ci piace in tutta questa vicenda è che decine di migliaia di giovani in tutta Italia, ultras per la polizia, che avrebbero tutti i numeri per partecipare alla crescita e allo sviluppo culturale e sportivo della società si chiamino fuori per fare la guerra allo Stato. Dov'è finita l'intelligenza?

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