sabato 9 maggio 2009

Decreto antifannulloni e crisi del sindacalismo.

Un decreto antifannulloni del Governo non si era mai visto. Ma è così. Si tratta di un decreto legislativo che entra il funzione immediatamente il giorno stesso della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. L’introduzione nel Pubblico Impiego della meritocrazia è una innovazione clamorosa, mai vista in precedenza nell’intera storia della Repubblica. Attenzione però! L’iniziativa non è né bizzarra, né sbagliata. Anzi, è giustissima, posto in essere che nel Pubblico Impiego si sono verificati casi inverosimili di “demotivazione” al lavoro, tanto da indurre la magistratura a mettere fine alla pessima abitudine di non lavorare e prendere contemporaneamente lo stipendio senza far niente. Qui non c’entra la fantozziana memoria del duo “Fantozzi-Filini", quando all’indomani del pensionamento, i due si presentarono all’ufficio postale per prendere la prima pensione e il rag. Filini ebbe a dire al rag. Fantozzi: “caro ragioniere, è incredibile quello che ci sta succedendo. Pensi che non solo non lavoriamo, ma addirittura ci pagano per non lavorare. Che meraviglia!”. Qui si tratta del fatto che l’indice di produttività degli statali è sempre stato basso, molto basso, al limite è stato così basso che sarebbe stato meglio chiudere tutti quegli uffici che si sono trovati nel tempo in quelle condizioni. L’unica critica che sentiamo di fare al provvedimento preso dal Consiglio dei Ministri è che avremmo desiderato che fosse stato il risultato di una decisione collegiale presa in sintonia con i sindacati. Invece, e qui sta l’innovazione, il decreto è imposto dal governo ai sindacati perchè questi ultimi sono stati e sono completamente contrari al provvedimento. Noi pensiamo che il principale responsabili della pessima produttività del lavoro degli impiegati statali nelle pubbliche amministrazioni è da ricercare nella colpevole irresponsabilità dei sindacati confederali, la cosiddetta ex-Triplice sindacale, che si è sempre opposta a qualsiasi possibilità di introdurre degli indici di meritocrazia nel lavoro pubblico. I veri responsabili della pessima burocrazia italiana, e di conseguenza di un apparato obsoleto e completamente fuori da qualunque significato di lavoro inteso come “servizio” è stata la decisione dei sindacati di dire sempre no, e soltanto no, a qualunque controllo della produttività degli impiegati pubblici e alla totale opposizione dell’introduzione di incentivi da dare solo ai più bravi e meritevoli. Per i sindacati l’introduzione della valutazione del merito sarebbe stata la pietra tombale dei loro iscritti e, dunque, si sono sempre opposti. Ragioni di bottega e non di ideali hanno fatto si che essi siano stati sempre avversari di qualunque innovazione su questo punto. La verità è che il sindacato pubblico in Italia è sempre stato guidato da mezze figure che hanno sempre considerato il ruolo sindacale come clava politica contro tutti i governi, minacciandoli di scioperi. Questi sindacati, a nostro parere, non hanno più alcuna funzione nel mondo contemporaneo. Essi sono sempre stati contrari al mercato, alle regole chiare, alla competizione e alla trasparenza. Sono sempre stati attenti alle forchette e poco disponibili a prendere decisioni a favore di interessi super partes. Sono stati feroci intransigenti al controllo della produttività, avversari non comuni dell’incentivazione del merito, abili nel ricattare i governi e le pubbliche amministrazioni con scioperi mirati, e hanno negato sempre il diritto alla valutazione dei lavoratori anche in casi eclatanti di lassismo e di assenteismo ripetuto. Si potrebbero citare molti casi in cui il sindacato si è mostrato ambiguo nell'accusa a quei “lavoratori” pubblici che sono stati arrestati dalla Guardia di Finanza perché scoperti con banconote frutto di tangenti intascate e nascoste nelle mutande. A Roma anni fa vi è stato il caso di un impiegato comunale arrestato in queste condizioni. A questo punto ben vengano notizie che impongono la logica della meritocrazia. Ai sindacati invece diciamo che “chi è causa del suo mal pianga se stesso”. La loro crisi di rappresentanza è la logica conseguenza di essere diventati nel tempo bottegai e difensori del proprio orticello. Che squallore!

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