L’ex Sindaco di Roma Valter Veltroni ha dichiarato in questi giorni che “solo il merito e le competenze possono battere le degenerazioni della politica”. Prendiamo atto della dichiarazione dell’On. Veltroni. Il fatto è che non vale a nulla riconoscere oggi la necessità di un provvedimento auspicabile del genere quando per tutta la vita si è operato contro il medesimo. Ci spieghiamo meglio. Com’è noto, il ’68 ha portato via dalla scuola, ma più ancora dalla società, il “merito” e le competenze. Al loro posto sono state individuate altre finalità (noi le chiamiamo più precisamente “controbiettivi”), che hanno avuto lo scopo di trasformare la scuola (e la società) da istituzione meritocratica a organismo permissivistico, in cui il merito è stato bandito dagli obiettivi generali e specifici perché contrario all’ideologia politica di sinistra allora dilagante. L’On. Veltroni e tutti coloro che la pensano come lui, adesso e solo adesso, si accorgono che la società italiana versa in condizioni pietose e per riprendersi dal baratro culturale e dal vuoto delle idee in cui è caduta ha bisogno del merito, quel “merito” che è stato vergognosamente spedito in soffitta ad ammuffire proprio dal suo partito di allora. Questa parolina, adesso tanto usata e abusata da politici di sinistra (e di destra), decenni fa, quando imperversava la stagione della violenza terroristica e del pan-sindacalismo della triplice sindacale, era diventata sinonimo di eresia e di conseguente scomunica per chi l’avesse proposta come valore. Il “merito” fu estromesso addirittura dal linguaggio corrente e non si vide mai un solo politico di quegli anni avere il coraggio di pronunciarlo. Noi che il “merito” lo abbiamo perseguito sempre e che lo abbiamo continuamente invocato come obiettivo didattico-educativo del nostro modo di operare nel mondo della scuola siamo stati tacciati di essere retrogradi e, addirittura, reazionari. A quel tempo tutti i politici e i sindacalisti di sinistra, responsabili in solido del sacco culturale, politico e sociale ai danni della scuola e del paese dal ’68 in poi, si sono sintonizzati sempre e sistematicamente su idee esattamente opposte al merito. Allora imperava il motto della trasgressione delle regole, della ribellione allo Stato che dettava norme meritocratiche da combattere, della contestazione al potere che si manifestava nella scuola nel rifiuto al voto di condotta e della richiesta, prontamente accettata da docenti e presidi di sinistra, del sei politico e della promozione garantita. Adesso leggiamo editoriali scandalizzati di direttori di giornali e di televisioni che propongono la necessità di perseguire il “merito”. Ma cosa dicevano gli stessi individui allora, quando si parlava di merito? Queste anime belle di oggi sono stati i principali responsabili della trasformazione in negativo dell’intera società italiana. Opporsi al “merito” allora è stato facile, perché l’obiettivo della sinistra settaria e massimalista fu la demolizione dei cardini della società del tempo. Vero è che quella società era una società arcaica che doveva essere riformata, ma la rivoluzione culturale sessantottina non ha trasformato la società italiana da conservatrice a progressista. No. Quella rivoluzione classista e autoritaria per realizzare l’obiettivo del cambiamento rivoluzionario l’ha demolita dalle fondamenta e adesso scuola e società non riescono più a svolgere neanche il minimo dei compiti per i quali ha senso parlare di servizio (scolastico e sociale). Chi ha prodotto questa gigantesca implosione dell’intero sistema? In primo luogo i partiti della sinistra italiana - tra i quali ci sono alcuni transfughi autorevoli ex-socialisti nel centrodestra di Berlusconi - che dal ’68 in poi hanno lavorato in sinergia col sistema sindacale (altro coimputato principale, i cui Segretari Generali hanno la responsabilità in prima persona della distruzione del tessuto politico e sociale italiano e, in fondo in fondo, del degrado attuale della politica) per ottenere un solo obiettivo: quello di distruggere il sistema scuola (e società) così come era stato concepito dal fascismo prima e dalla DC dopo. In secondo luogo tutte le forze politiche retrive che a chiacchiere hanno detto di volere il riformismo e con i fatti lo hanno ostacolato in mille modi, non ultimo con il metodo della sottrazione delle risorse attraverso saccheggi e imbrogli sistematici con la scusa del finanziamento ai partiti (ricordate i tesorieri dei maggiori partiti dell’”arco costituzionale” di allora?). Infine oggi, con la sottoscrizione di un patto politico becero e immorale tra berlusconismo, leghismo, cattolicesimo intransigente e intollerante, nonché forze retrive recuperate dal mondo della destra politica ispirata ai canoni di un neofascismo subdolo e servile, si è prodotta l’attuazione di una politica di protezionismo dei centri di interesse aziendale (vedi protezioni e favori alle imprese televisive private, ai palazzinari, alla finanza cosiddetta “creativa”, etc.) facenti riferimento all’attuale maggioranza di governo. Nessuno di questa accozzaglia di attori, vecchi e nuovi, ha avuto, ieri e oggi, il coraggio di rompere con gli schemi e i modelli prevaricatori e arroganti della protezione dei gruppi di potere che hanno continuato l’opera di distruzione della meritocrazia nella scuola e nella società. Nessuno dei vecchi e dei nuovi ha mai chiesto e ottenuto severità nei comportamenti dei politici (dediti spesso a rapporti con trans, ad assumere droghe e a partecipare a festini non proprio da Cappuccetto rosso), onestà intellettuale nelle grandi scelte della politica, rigore etico e morale nei modi di fare dei politici a tutti i livelli (nazionale, regionale e provinciale). Nessuno ha voluto prendere provvedimenti normativi contro il male italico del fare politica per interessi personali e i fatti che quotidianamente sono accaduti fino ad oggi lo dimostrano nella loro drammatica evidenza. Anzi, al contrario, si è proceduto tutti insieme e allegramente con condoni, indulti e amnistie varie. Il “merito” è stato sempre visto come l’avversario principale da combattere perché sinonimo di autonomia, di impegno, di serietà e di correttezza professionale. Politici di sinistra e di destra hanno sempre osteggiato la ricetta del merito perché “merito” voleva dire onestà e non condiscendenza e/o sottomissione che invece erano atteggiamenti desiderati e auspicati. A molti politici che hanno sempre sguazzato nell’acqua del dogmatismo ideologico di sinistra e a quelli corrispondenti dall’altra parte che hanno accettato di appartenere al sultanato berlusconiano, oggi rimane loro una sola cosa da fare: riconoscere di essere stati e di essere inutili e dannosi alla società e, conseguentemente, dimettersi da qualunque incarico più o meno lucroso e da qualsivoglia funzione politica e lasciare spazio agli onesti. Ma l’onestà intellettuale di riconoscere i propri errori non fa parte del DNA degli italiani. Essi se ne infischiano delle leggi morali. Essi non possono comprendere la grandezza di coloro che erano come Kant, il quale soleva dire: “sopra di me il cielo stellato, dentro di me la legge morale”. E, paradosso conclusivo, questi infedeli continuano purtroppo ad essere eletti. Te capì?
lunedì 15 febbraio 2010
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