martedì 23 febbraio 2010

Corruzione, politica e vizi nazionali.

Ernesto Galli Della Loggia ha scritto recentemente che la corruzione in Italia non ha radici solo nella politica ma è dovunque nel paese ed è ben radicata nell’intera società civile. Ha aggiunto anche che è vero che destra e sinistra politica usano la corruzione per fini politici e personali ma non corrisponde al vero l’idea che la società sia sana e la politica no. Questo, in estrema sintesi, il pensiero del giornalista. Adesso noi esprimiamo la nostra opinione al riguardo. Siamo soddisfatti che Della Loggia la pensi come noi. Sono ormai sette lunghi anni che su questo blog ripetiamo ossessivamente l’adagio che la corruzione italiana affonda in “radici solide e profonde nel corpo sociale del paese”. A nulla sono valsi i rari e vani tentativi di porvi rimedio. Della Loggia conferma quello che noi andiamo dicendo da anni. E cioè che non è l’Italia ad essere sotto accusa ma gli italiani. Fa differenza? Certo che fa differenza perché sebbene per pochi anni, dopo la fine della seconda guerra mondiale, l’Italia fu un paese affidabile e onesto, diverso da quello attuale. La ricostruzione, il senso della sconfitta immane del paese, l’interiorizzazione dell’idea che era necessario ricominciare da capo “rimboccandosi le maniche”, la presenza nel Parlamento di personalità oneste di specchiate virtù provenienti dal mondo della Resistenza (e da dove sennò), il ritorno del paese alla democrazia e nell’Europa, permisero, sebbene per pochi lustri, di mostrare al mondo che l’Italia poteva essere considerata un paese normale, come gli altri. I guai cominciarono dopo, col boom economico e con il denaro che cominciava a circolare in abbondanza per merito della politica. Come mai ad un certo punto tutto cambiò? L’analisi è complessa ma facendo delle consistenti semplificazioni possiamo dire che due furono i fattori politici principali che portarono al disastro attuale. In primo luogo la “solidarietà nazionale”. Fino a quando i due massimi partiti di riferimento del tempo, DC e PCI, mantennero saldo il timone della loro politica, distinguendosi uno dall’altro e controllandosi a vicenda, il paese tenne e la corruzione operò solo a livelli fisiologici. Certo il paese non aveva anticorpi democratici e di civiltà come nei paesi del nord Europa. Tuttavia, la vita sociale e politica si sviluppò secondo standard e modelli europei accettabili. I guai nacquero quando negli anni ’70, con la nascita dei terrorismi rosso e nero, fu giocoforza condividere la lotta contro gli estremismi. DC e PCI di allora fecero un patto di collaborazione. Fu un successo a breve ma un disastro sui tempi lunghi perché abituò gli italiani agli inciuci. Cominciò da quella innaturale collaborazione politica e sindacale di cattolici e comunisti l’adesione degli italiani alla corruzione. Appalti e spartizione di grandi lavori, ripartizione della RAI per canali politici, edilizia rampante dei palazzinari, finanziamenti che arrivavano nel meridione dall’Europa e che prendevano strade diverse da quelle programmate, collusioni fra politica e criminalità, magistratura gerontocratica assente e, nel migliore dei casi, interessata solo agli agi e agli onori e, buon ultimo, la fame di potere della nuova classe politica socialista trovarono il terreno fertile per permettere alla parte peggiore del paese di arricchirsi e macinare consenso (ricordate la “Milano da bere”?). Fu in questa situazione che gli italiani cominciarono a sviluppare la propria personalità all’insegna di una diseducazione che giustificava l’immoralità. Soldi facili guadagnati illegalmente e portati all’estero, vita spendacciona sostenuta da una criminalità sempre più presente nella scena politica ed economica, piccole a grandi mafie regionali che cominciarono a pensare in grande trasferendosi nel nord più sviluppato, scandali piccoli e grandi di tutti i colori, un sistema scolastico rivoluzionato dalle fondamenta da leggi e norme pseudo-progressiste che penalizzavano il merito, una sanità che macinava consenso e lottizzazione, dirigenti e classe intellettuale selezionata dalla DC e inviata nei posti chiave a dirigere il paese in modo indecente, produssero l’abitudine alla disonestà. La vita degli italiani divenne una continua attività di violazione delle norme di comportamento etiche e morali, con un crescendo rossiniano. Insomma, fu una epidemia che colpì una buona parte del sistema Italia a cui nessuno, per infamia o per interesse, si oppose. Per giustificare più approfonditamente questo cambiamento di marcia degli italiani dall’onestà alla corruzione è necessario però avvalersi del secondo motivo in grado di giustificare l’adesione convinta e consapevole degli italiani alla corruzione. Si tratta della presenza in Italia della Chiesa cattolica come istituzione debordante. Fatto più unico che raro nel mondo, l’Italia ha nella sua capitale la sede dell’altro potere temporale detenuto dal Papa. La Chiesa cattolica presenta sotto il profilo sociale e politico il dogma del perdono. In altre parole, il criminale che delinque, per i principi relativi all’ideologia cristiana, non viene visto dalla Chiesa come un nemico da combattere e da mettere in condizioni di non nuocere mai più ma come “pecorella smarrita” da reinserire nella società dopo essersi pentito. Non entriamo qui, ovviamente, sulla giustezza dei dogmi. Ci mancherebbe altro. Vogliamo fare soltanto un’analisi socio-politica delle ragioni, ovvero della cause più profonde della corruzione in Italia. Il perdono e la conseguente assoluzione del peccato, è noto, produce assuefazione e pertanto disposizione a nuovi delitti. Si produce cioè la giustificazione degli illeciti e una difesa delle ragioni del reo. Il paese, pertanto, sviluppatosi all’insegna di un cattolicesimo indulgente e “perdonista” non trovò di meglio che ancorarsi velocemente alla parte più retriva e subalterna della DC che aveva profondi legami con la Chiesa cattolica, fu il principale referente e lo sponsor unico del partito di maggioranza relativa del tempo. I valori cattolici vennero così ad assumere piena valenza politica e culturale, ma in una versione diremmo personale e utilitaristica. Chi poté non si lasciò sfuggire l’occasione. Gli italiani, svegli e attenti come sono in questo campo, compresero subito le potenzialità dell’adesione al credo democristiano e la conseguente possibilità di ottenere un tornaconto sostanzioso. Essi mostrarono la parte peggiore di se stessi perché aderendo in toto al credo religioso cattolico non solo impedirono alla parte più rigorosa ed esigente (ovvero calvinista) della popolazione di evitare la “rilassatezza” degli usi e dei costumi ma addirittura estromisero dalla società italiana la componente più inflessibile e severa (ovvero luterana) della cittadinanza attiva, con danni inimmaginabili. Il paese si ammalò. Fu una malattia acquisita dall’esperienza di vita vissuta in coabitazione quotidiana con modelli culturali e sociali in negativo, che abituarono gli italiani alla immoralità e alle ruberie sistematiche. Ogni giorno i giovani poterono osservare gli adulti mentre commettevano gravi violazioni alla morale e alla legge. Si diffuse la cultura dell’imbroglio, della raccomandazione e del privilegio che non ebbero pari nell’estromettere da incarichi pubblici e statali i pochi irriducibili e i più ostinati rigoristi. Si sviluppò a macchia d’olio l’abitudine alle tangenti fra gli amici di partito e di fede, ai concorsi truccati, alle graduatorie manipolate, all’illegalità diffusa a tutti i livelli, all’evasione fiscale, alla violazione di regolamenti, alla trasgressione di norme di tutti i tipi (basta vedere cosa succede nei condomini), alla corruzione generalizzata, alle assunzioni irregolari di furbi raccomandati da politici e sanate con leggi, leggine, commi di articoli di leggi inseriti improvvisamente e votate dal Parlamento nelle estati torride con gli italiani distratti da “pinne ed occhiali” al mare. Nel paese emersero solo le personalità della politica e delle istituzioni implicati in scandali e corruzione, vinsero i Congressi politici i leader di correnti dediti agli scambi di favori, alle dazioni più o meno forzate, alla tribalizzazione dei posti di lavoro e alle assunzioni clientelari negli enti statali e parastatali. Insomma fu un’orgia di imbrogli e truffe ai danni dei più deboli e degli onesti, ormai minoranza quasi in estinzione. Ce ne fu per tutti. E poi vennero “mani pulite”, con l’azzeramento della prima Repubblica e, successivamente, in modo più consistente, con Berlusconi: come dire “dalla padella alla brace”. In tutti questi anni non ci furono mai reazioni scandalizzate e severe a questo malcostume nazionale da parte di chicchessia. Nessuno, ripetiamo nessuno, di sinistra, di centro o di destra tentò di rompere questo cerchio di omertà e di connivenza. La stessa Chiesa Cattolica fu implicata nel giro della corruzione con lo IOR, la banca privata del Vaticano, a speculare e lucrare denaro poco pulito con la finanza mafiosa dei vari Sindona. Ci fermiamo qui. Questa è la nostra ricostruzione che può essere considerata semplicistica e superficiale, ma onesta. Può non piacere ma è un punto di vista che ha diritto di cittadinanza. Adesso, non ci resta che piangere e aspettare la nottata: che sarà più lunga della giornata precedente, perché a governare non c’è un sistema di persone severe, inflessibili, resistenti e rigorose, di specchiate virtù morali. No. C’è esattamente il contrario e i fatti lo dimostrano. Siamo un paese di marionette.

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