lunedì 27 dicembre 2010

L’involuzione linguistica dell’italiano nella società italiana.

La società italiana rischia il declino se non metterà in campo interventi correttivi a livello socio-linguistico. Com’è noto, una società arretra con certezza solo quando viene meno il collante principale, che è la lingua, in grado di permettere il superamento dei vari deficit che si presentano a cicli periodici. Distruggendo il tessuto socio-linguistico, manifestato quotidianamente dall’uso incondizionato e consapevole della lingua madre dei parlanti piuttosto che della miriade disordinata di dialetti, si distrugge la base comune dei cittadini che vivono in quella società. Quando la lingua madre non viene più percepita dai parlanti come segno di unità linguistica o, peggio, quando i valori nazionali vengono sistematicamente additati come usurpatori estranei, allora si creano dei meccanismi laceranti nella convivenza, con conseguente distruzione del tessuto socio-culturale. Purtroppo, la pochezza della politica nazionale e il nanismo dei due maggiori leader di maggioranza e di opposizione, Berlusconi e Bersani, stanno creando le premesse della decadenza della lingua italiana. Sempre di più si notano cittadini sprovvisti di competenze linguistiche adeguate e nella scuola il fenomeno dell’”analfabetismo reale” si evidenzia clamorosamente sempre di più nei vari test eseguiti sui nostri studenti. La mancanza di una corretta politica di sostegno alla lingua italiana e l’assenza di meccanismi di controllo che impegnino tutti i cittadini ad usare correttamente e adeguatamente la lingua madre sta creando spinte centrifughe che producono pericolose condizioni di incomprensione nei processi di comunicazione della società medesima. La società italiana nell’ultimo decennio è in continuo regresso e non solo perché si trova a fronteggiare una crisi economica. Qui vogliamo soffermarci sul regresso linguistico mostrato ormai in modo apprezzabile e indubitabile che è sicuramente più rischioso di quello economico e finanziario. Noi accusiamo esplicitamente i leader dei maggiori partiti italiani di essere troppo distratti nell’idea di federalismo “a tutti i costi” e crediamo che ci sia la malafede di molti, al governo come all’opposizione, che vogliono viceversa realizzare le condizioni di amplificazione e accelerazione di spinte centrifughe di carattere politico a sostegno di una malevola e ipocrita difesa del localismo. Berlusconi e Bersani non hanno compreso il pericolo grave che può produrre una politica che delega altri a mettere in atto lo scontro tra sostenitori ad oltranza del federalismo che difende il localismo e federalismo che sostiene una politica di mutua solidarietà nazionale. In questa prospettiva, lasciare troppa libertà allo sviluppo dei dialetti a scapito della lingua nazionale significa alimentare le tensioni e creare le premesse per impedire di intendersi anche sul piano culturale della comunicazione tra i vari cittadini di tutte le regioni. Non è un caso che la Lega Nord di Bossi ha criticato gli spot della RAI a favore della lingua italiana in occasione del 150° anniversario della creazione dell’Unità d’Italia. Ormai è diventato frequente incontrare amministratori locali che nei loro interventi ufficiali ricorrono al dialetto come provocazione, sia al nord e sia, specularmente, al sud per motivi di bieco interesse locale. Gli stessi dialetti si stanno imbarbarendo, perché nel riproporre ossessivamente il contrasto tra lingua nazionale e idioma regionale vengono amplificati con enfasi le inflessioni dialettali più esasperate che si allontanano di più dai canoni linguistici della lingua nazionale. E nel mentre la Lingua di Dante viene scalzata sempre di più nei vari campi della società il Capo del Governo col suo ineffabile Ministro della Pubblica Istruzione è totalmente assente nella politica di difesa della lingua madre. A quando si dovrà ricorrere agli interpreti tra persone che parlano due dialetti regionali differenti?

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