mercoledì 25 gennaio 2012

Vili, eroi e italianità spesso indifendibile.

E’ possibile che un cialtrone di comandante riesca a procurare l’affondamento di una nave da crociera, con 4200 turisti a bordo per motivi di stupidità umana e, quando si rende conto che l’affondamento è questione di ore, scappa e si mette in salvo prima di salvare tutti i passeggeri e l’equipaggio? Alla luce di quanto visto nel caso del naufragio della Costa Concordia la risposta è si, è possibile anche se inammissibile e inaccettabile. Su questa vicenda abbiamo assistito, dopo il dramma, alla solita commedia all’italiana in cui pochi si sono dichiarati offesi per l’assurda e insopportabile condotta del capitano codardo e, viceversa, molti hanno manifestato la loro comprensione a favore del pusillanime. Questa è l’Italia. Il fatto è che i fautori di questa opinione favorevole al comandante sono di giorno in giorno andati aumentando la dice lunga sul carattere poco coraggioso degli italiani. Molti di questi infatti sono stati tra coloro che hanno affermato che è tutto un imbroglio contro il Capitano. L’ultima dichiarazione è recentissima ed è di un signore che scrive una lettera pubblicata dal "Messaggero" di oggi in cui dice testualmente: “sul problema del naufragio della Costa Concordia, vorrei esprimere un mio parere personalissimo e fuori dal coro. Chiedo al Ministro della Difesa e/o alle supreme autorità militari di stigmatizzare con forza il comportamento del capitano De Falco della capitaneria di porto di Livorno, per il comportamento arrogante, volgare, sussiegoso ed al limite blasfemo tenuto nei confronti del comandante […]”. A questo punto è forse il caso di ricordare ai nostri lettori ma anche a personaggi tristi come questo signore che il problema in Italia di difendere gli indifendibili viene da lontano. Si aggiunga che la derisione straniera e gli articoli indigeribili contro il nostro paese nei confronti del capitano Schettino e della sua italianità - spesso generalizzata in senso negativo con processi induttivi sommari ma che hanno una loro logica nelle tradizioni dei popoli di altri paesi - sono giustificati dalla nota caratteristica italiana di essere un popolo che ha molta confidenza con la vigliaccheria. A parte il fatto che a scappare non è stato solo il comandante ma anche altri ufficiali che hanno lasciato al loro destino passeggeri e “ciurma” c’è da osservare che molti italiani del passato che occupavano posti di grande responsabilità hanno tradito in maniera spudorata i codici deontologici del comportamento di valore. Due esempi per tutti: a Caporetto durante la 1° guerra mondiale il Comandante Luigi Cadorna è stato il primo a scappare quando gli austriaci sfondarono le linee italiane e, il 9 settembre 1943 durante la 2° guerra mondiale, il Re d’Italia Vittorio Emanuele III Comandante Supremo se la diede a gambe levate (fuga e precipitoso abbandono della capitale). Tre comandanti italiani che avevano a che fare con gli “inchini” durante tre periodi differenti della nostra storia hanno assunto, guarda caso, lo stesso comportamento che qui sintetizziamo con i tre possibili verbi di 1°, 2° e 3° coniugazione : scappare, evadere, fuggire. Si può in questi casi tentare di estrapolare una regolarità di condotta che caratterizza in casi del genere l’italiano medio? Tenendo conto della legge dei grandi numeri, noi pensiamo di si, pensiamo cioè che questo è, salvo casi sporadici e infrequenti, l’atteggiamento di fondo dell’essere italiani: fregare gli altri e pensare esclusivamente al proprio tornaconto. I pochi italiani che hanno meritato di essere chiamati eroi, perché hanno dato la loro vita per gli ideali, sono stati i patrioti del Risorgimento che hanno considerato la loro vita come uno strumento valoriale al servizio della Nazione.

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