giovedì 2 giugno 2005


Ancora sulla vergognosa consuetudine della raccomandazione.

Questa rubrica si interessa di politica e società. Dunque, anche di costume. Oggi intendiamo parlare di questo genere di argomento. Curiosando tra gli articoli dei quotidiani abbiamo scoperto l’ennesima perla del malcostume italico. Intendiamo riferirci alla scorciatoia preferita dai furbi per arrivare primi nella corsa al posto, nei vari concorsi pubblici. In Italia, la letteratura della raccomandazione è lunga e ricca di episodi come quello denunciato qualche giorno fa da un medico genovese. Si tratta di un medico che è stato “sollecitato” dal suo superiore, un Dirigente di una azienda sanitaria medica, a far vincere il concorso a un suo raccomandato. Il Dirigente in questione ha fatto pressioni, non solo psicologiche, per agevolare il cammino del suo pupillo verso il posto da assegnare con il sistema della raccomandazione. Il medico in questione, presidente di una commissione medica, si è rifiutato di valutare positivamente l’interessato, opponendosi alla pratica, tutta italiana, di danneggiare i più bravi. Risultato? L’ha pagata cara, perché è stato rimosso dalla carica che occupava, rimanendone punito e retrocesso nella carriera. Questi i fatti. La nostra opinione è la seguente. Male ha fatto il medico, presidente della commissione che ha subito la ritorsione, ad aver reagito scompostamente, protestando vivacemente contro il suo Dirigente per non avere accettato la raccomandazione. Egli ha sbagliato tattica. Avrebbe potuto ottenere lo stesso risultato, ma in modo meno traumatico, cambiando metodo. Diciamo questo perché siamo al corrente di un analogo episodio accaduto qualche anno fa a un nostro amico, il quale è stato membro di una commissione regionale medica che doveva giudicare, analogamente al fatto genovese, chi tra i cento candidati avesse dovuto vincere il concorso riservato comprendente un posto di direttore in un centro regionale. Ecco i fatti. Alla fine della correzione degli elaborati della prova scritta e a qualche giorno dall’inizio del colloquio orale, il Presidente della commissione ricevette dal suo superiore una telefonata. In forme ipocrite e falsamente gentili, il Dirigente si informò di come stesse il suo subalterno gerarchico, di cosa stesse facendo di interessante in quel periodo di forzata assenza dal servizio e di cosa avesse di bisogno nel suo lavoro. “Come sta?”. “E’ un po’ che non ci sentiamo, vero?”. “Come stanno i suoi familiari? ” Ecc.. Improvvisamente il cambiamento di tono della voce. ”Dunque! Caro il mio dipendente! Il reale motivo della mia telefonata è un altro. La chiamo per informarla che il mio amico, tal Pinco Pallino, deve essere valutato da lei tra qualche giorno, in relazione al concorso regionale di cui lei è il presidente. Ebbene, posso stare sicuro che lei farà il suo dovere?”. Ecco le testuali parole dette dall’illustre Dirigente. La risposta non fu meno arguta. “Carissimo Dirigente. Ma certamente! Può stare tranquillo che il suo pupillo sarà trattato con tutti i riguardi”. E la telefonata finì li, con questa “assunzione di responsabilità”. Un piccolo particolare. Durante il colloquio, è vero che il candidato raccomandato fu trattato con tutti i riguardi. Si. Ma al contrario! Perché il presidente della commissione fece esattamente tutto il contrario di quello che aveva detto al suo superiore. E cioè, fece i salti mortali per mettere in difficoltà il candidato raccomandato e alla fine fece apparire che il non brillante posto in graduatoria acquisito dal raccomandato non gli consentì di fargli vincere il concorso. Naturalmente sia il candidato, sia il Dirigente avevano intuito che non era stato aiutato. Ma non avevano potuto dire nulla perché il Presidente della Commissione giurava di avere aiutato oltre misura il candidato. Conclusione. Il concorso alla fine risultò corretto, il candidato raccomandato non raggiunse lo scopo di vincere il concorso e il Dirigente, suo malgrado non potè retrocedere il suo dipendente che aveva esaminato il raccomadato. Certe volte, per vincere la guerra, è necessario perdere una battaglia. Il risultato fu comunque raggiunto. Ne valse la pena.

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