martedì 7 giugno 2005


Lingue straniere, traduzioni e … piccola Italia.

Estate. Straordinaria stagione dell’anno. Tempo di ferie, di vacanze, di viaggi all’estero. Si prenota, si paga, si va all’aeroporto e … bum, si arriva. Europa, America, Asia, Africa, Oceania. Le mete possono essere diversissime. Le città straordinariamente disuguali. Gli usi e i costumi fonti di meraviglia e di grande interesse. Tutto è bello e avvincente. Ma una sola cosa è sempre la stessa e, purtroppo, monotona. In un mondo costituito da paesi differenti, completamente dissimili tra loro, l’italiano in vacanza trova sempre la stessa difficoltà: la lingua per comprendere e comunicare. E’ incredibile come si possa verificare sempre la medesima situazione. In nessun paese del mondo si è facilitati a parlare italiano. Anzi! Sembrerebbe che tutti i paesi del mondo si fossero coalizzati in una grande associazione, l’ACCLIE, Associazione Contro la Comprensione Linguistica degli Italiani all’Estero, il cui unico scopo è quello di rendere difficile la vita al turista italiano, ostacolandolo nella comprensione dei fatti e degli eventi in quel luogo. Tutti d’accordo e uniti nell’impedire al turista italiano, di capire, di rendersi conto, di comunicare, di relazionare, di socializzare. Insomma, in una sola parola di comprendere cosa gli succede intorno. Usi e costumi, vita e cultura, storia e geografia, televisione e sport del luogo sono sempre cifrati, crittografati, incomprensibili. Non si capisce mai niente. Inglesi, francesi, tedeschi, spagnoli, portoghesi, olandesi e persino greci trovano sempre, nei paesi all’estero, fuori dal proprio, cartelli nelle loro lingue nazionali, facilitazioni e agevolazioni nella comprensione. Agli italiani no! Annunci fonici, segnaletica e macchinette traduttrici in tutte le lingue, meno che in italiano. Guide turistiche, programmi televisivi, avvisi e informazioni, menù nei ristoranti, guide nei musei e, persino, programmi di traduzione in internet, tutti rigorosamente in qualunque lingua, tranne l’italiano. Delle due l’una. O i soldi spesi dall’italiano all’estero non interessano, oppure sotto ci deve essere qualcosa di brutto. Come si dice in questi casi: gatta ci cova! Ora, nel mentre ci sembra difficile, se non impossibile, giustificare la discriminazione economica, affermando che i soldi degli italiani non sono buoni (l’euro vale lo stesso da qualunque parte si provenga e si vada), vuol dire che la risposta giusta è l’altra. Cioè, che sono gli italiani che non sono ben visti. Diciamo che se ne farebbe volentieri a meno. A parte la pizza, per gli italiani all’estero non c’è quasi niente che ricordi loro di essere “a casa”. In più sono mal visti per tutta una serie di questioni più o meno variegate. A cominciare dalla fortissima antipatia che produce il solo aggettivo italiano riferito alla nazionalità del premier Silvio Berlusconi, Presidente del Consiglio che, con il suo colossale conflitto di interessi, ha creato il caso. Questo antipatico miliardario televisivo lombardo, per gli italiani all’estero, è stato una disgrazia. Anche qui, il pirata di Arcore con la bandana, ha colpito ancora. Piove, governo ladro!

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