mercoledì 19 dicembre 2007

La crisi della cultura scientifica nella scuola secondaria italiana.

Questa lettera è un atto d’amore. Amore verso la scuola, amore verso la fisica, amore verso la scienza, amore verso la cultura. Nient’altro. Nello scrivere le poche righe che seguono non sono stato mosso né da intenti polemici verso chicchessia, né da implicazioni ideologiche. Si tratta solo dell’esigenza che ho avvertito in forma sempre più rilevante in questi ultimi anni di far conoscere il punto di vista di un insegnante di fisica che ha riflettuto non poco intorno alle ragioni che hanno portato l’insegnamento scientifico nella scuola italiana ad essere di così basso livello. Si tratta, pertanto, di un punto di vista personale, «internista», che proviene dal di dentro del sistema scolastico e che non ha altre pretese se non quella di far circolare delle idee critiche all’interno del variegato e complesso sistema relativo all’insegnamento delle discipline scientifiche.
I fatti sono noti. L’apprendimento scientifico degli studenti in Italia è di basso profilo. L’apprendimento della fisica in particolare, come sottoinsieme di quello più generale della scienza, è ancora più scadente. Come mai? Forse è arrivato il momento di dire qualcosa di diverso dalle solite «cose lunghe e noiose» che vengono dette normalmente in questi casi. Il giudizio negativo che riguarda l’insegnamento della fisica in Italia non viene dato sulla base di mie presunte sensazioni o antipatie, ma emerge costantemente da tutti gli studi e le statistiche che le istituzioni e gli organismi nazionali e internazionali preposte a questo scopo offrono nelle loro indagini specialistiche.
Non si può fare una analisi seria delle cause della crisi dell’insegnamento e, quindi, dell’apprendimento della fisica nella scuola secondaria superiore se non si parte da un semplice dato: in Italia si è finora proposto un modello di insegnamento della fisica di basso livello, sbagliato, inefficace e non in grado di assicurare neanche i livelli minimi di conoscenze, competenze e capacità che dovrebbero far parte del bagaglio culturale dei giovani. Chi non crede alle cose dette circa il penoso stato dei corsi di insegnamento della fisica impartiti nella maggioranza dei licei del paese, per favore vada a parlare con i docenti universitari degli atenei italiani che insegnano nelle facoltà scientifiche, soprattutto quelli che hanno a che vedere con la preparazione scientifica di fisica delle matricole universitarie. Ne sentirà di tutti i colori. Non per niente il Ministero della Ricerca scientifica, per la prima volta nella storia della Repubblica, ha avvertito la necessità di dare incentivi economici a tutti quegli studenti che si iscrivono a Fisica, Matematica e Chimica. Aggiungo, purtroppo, che più passa il tempo e più la situazione peggiora, nel senso che il panorama relativo alle conoscenze di base possedute da una matricola universitaria nel campo della fisica sono semplicemente pietose. Eppure il bilancio del Ministero della PI è stratosferico: si tratta di circa 40 miliardi di € all’anno. La ragione è che ci sono pochi studenti che si iscrivono alle facoltà scientifiche dell’Università all’altezza di seguire la professione dello scienziato. Affermo che la colpa di tutto questo è da ascrivere principalmente a due categorie di soggetti: i docenti della scuola secondaria e le Autorità scolastiche. Le ragioni per le quali metto al primo punto gli insegnanti riguardano il fatto che mentre per le Autorità scolastiche la responsabilità è indiretta e mediata e, comunque, riguarda la complessità e le inefficienze del sistema, per gli insegnanti si tratta di una loro specifica responsabilità personale. Non c’è dubbio che la categoria delle Autorità scolastiche a tutti i livelli (Governo, Ministro della P.I., Parlamento, Direttori generali e Ispettori ministeriali, Direttori regionali e Dirigenti scolastici) hanno grandi responsabilità. Molte sono le negligenze che si possono imputare a questi soggetti. Tuttavia, non è mia intenzione soffermarmi sui disastri che questa classe di personaggi hanno dato vita negli ultimi decenni. In ogni caso si tratta di soggetti che hanno responsabilità di tipo differente da quelle dei docenti. Dunque, non è oggetto di questa indagine parlarne. I docenti, viceversa, hanno una responsabilità personale, tipica delle colpe soggettive, afferente alla specificità professionale che attiene alla loro sfera culturale e professionale individuale. E questo è grave. Molto grave. Ma andiamo per gradi. Come funziona il sistema organizzativo scolastico? Semplice. All’inizio dell’anno, durante una riunione affrettata e superficiale, il Consiglio di classe espone per bocca dei vari insegnanti le linee guida della loro azione didattica ed educativa. Questo organo collegiale dovrebbe offrire una panoramica del piano di lavoro dell’intero anno scolastico che caratterizza la didattica di tutti i docenti nella classe. Purtroppo per motivi di tempo il Consiglio procede a una lettura affrettata della programmazione didattica ed educativa. Poche parole per mostrare i principi organizzativi di questo organo collegiale delicato nella vita scolastica. L’insegnante di fisica partecipa come gli altri ai lavori del Consiglio e nel migliore dei casi espone in forma più concisa degli altri alcuni aspetti del suo lavoro che in quel momento gli sembrano importanti. Non dimentichiamo che generalmente il docente di fisica è docente anche di matematica. E si sa che per ragioni che dovrebbero interessare più la psicologia del comportamento umano che l’organizzazione del lavoro, spende almeno il doppio del tempo per la matematica e metà per la fisica. Sarebbe difficile in appena un’ora far parlare tutti i membri del Consiglio (circa una decina), in modo completo e approfondito. Se da 60 minuti nominali togliamo dieci minuti per l’organizzazione dei lavori, rimangono al massimo circa 5 minuti a docente, naturalmente se non ci sono interventi degli altri e il segreterario verbalizzatore sappia fare bene il suo dovere di sintesi, altrimenti i minuti a disposizione risultano ancora meno. Dunque, nella migliore delle ipotesi il docente ha meno di 5 minuti per esporre tutto quello che farà nell’intero anno. Conclusi i lavori, potrà passare alla realizzazione del curricolo appena programmato. Da notare che nel Consiglio di Classe mancano i diretti interessati allo scopo della riunione, cioè sia gli studenti, sia i loro genitori. Entrambi saranno nominati almeno due o tre mesi dopo la riunione preliminare di cui sopra. Il perché di questa nomina che avviene ad anno abbondantemente iniziato è un mistero che non sono riuscito mai a capire e che comunque fa parte delle gravi colpe dell’Autorità scolastica di cui abbiamo parlato prima nella premessa. Si parla tanto di aprire la scuola alla società, rendendo più partecipi i genitori e poi si escludono i medesimi da una riunione così importante. Vero è che è prevista un’altra riunione di insediamento relativa alla presentazione dei nuovi eletti. Rimane il fatto che questo processo democratico di nomina avviene tardi. Per quanto riguarda i lavori di programmazione sia chiaro che non sto dicendo che in “tutti” i Consigli di Classe si opera come sopra, ma generalmente l’azione si svolge così, quando addirittura non si discute nulla perché si dà tutto per scontato! Cosa succede dopo? Il docente si mette al lavoro, prepara le lezioni, svolge in classe l’attività di proposizione dei contenuti, dà indirizzi di studio agli studenti, suggerisce le pratiche per apprendere meglio, ecc… Dovrebbe fare tutto questo. In genere non lo fa perché si richiama all’esperienza e non “perde” tempo. Dopo qualche settimana inizia a interrogare. Si tratta del primo momento di valutazione degli apprendimenti. Nella stragrande maggioranza dei casi queste interrogazioni sono uno dei pochi momenti di verifica del lavoro svolto. Se necessario, perché si hanno pochi voti nel registro personale del docente, si somministrano agli studenti schede di verifica a test, del tipo 20 domande a risposta chiusa. Il livello di difficoltà di questi test non viene calibrata su livelli nazionali, ma viene deciso dai docenti nella loro massima autonomia e libertà. In pratica un docente può scegliere un livello di difficoltà minimo e nessuno può contestarglielo. Così i suoi studenti possono essere etichettati come studenti bravi con voti decisamente ottimali. Per mettersi poi a posto con la propria coscienza professionale il docente di fisica, ovvero, il docente di matematica e fisica, organizza una o al massimo due sessioni di laboratorio nell’intero anno per realizzare qualche esperimento. In genere si tratta dello stesso esperimento che svolge ogni anno. Niente a che vedere con un lavoro di ricerca serio, di gruppo, programmato con dovizia di particolari e svolto dagli studenti con la redazione di una relazione finale, magari pubblicata in rete nel sito web della scuola. Viceversa, si tratta quasi sempre di esperimenti brevi, episodici, dimostrativi, alla cattedra, in genere svolti dall’assistente di laboratorio, se quel liceo ha la fortuna di averne uno. E poi basta. Fine. Tutto qua. Naturalmente può benissimo succedere che se un insegnante ha bisogno di tempo per completare un argomento di matematica o per fare una verifica scritta si appropri dell’ora del corso di fisica. Nessuno glielo contesterà mai. “Tanto la fisica è solo orale” è la ricorrente giustificazione addotta in queste circostanze e col programma di fisica “mi trovo a buon punto”. Le lezioni si svolgono generalmente con un breve riassunto del capitolo previsto dal manuale. Spesso, si trovano collegamenti più o meno artificiosi alla matematica per sfruttare la possibilità di far vedere come si procede in una dimostrazione deduttiva applicata alla fisica. Ecco il quadro della situazione che potrebbe essere preso a prestito per fare una istantanea molto generale delle condizioni didattiche e metodologiche dell’insegnamento della fisica in Italia. Quasi mai si propongono riflessioni storiche ed epistemologiche. Ma quello che più conta nell’economia di questo articolo quasi mai nessun insegnante risolve problemi di fisica programmati esplicitamente nel piano di lavoro annuale. Sembra che siano il diavolo in persona da evitare a tutti i costi. Il quadro di sintesi proposto prima può in alcuni casi essere diverso. Sono perfettamente convinto che molti docenti, non so quantificarli con consapevolezza ma certo non credo che si tratti della maggioranza, non si troveranno nelle condizioni sopra citate. Gliene dò atto. Per carità. Certamente ci sono docenti che sanno il “fatto loro”. Ma la loro presenza nelle scuole secondarie superiori non è dominante ma fortemente minoritaria e comunque non fanno testo. Si tratta di una ristretta èlite, che opera in modo discreto, quasi mai da suscitare interesse. Soprattutto perché nella scuola italiana non esistono strumenti di costrizione che possano imporre ai “meno interessati” eufemismo per etichettare docenti che vivono ai margini delle novità professionali, di uscire dalla loro condizione di dequalificazione e mettersi in una prospettiva propositiva per poter migliorare la loro didattica. Esistono docenti che in tutta la loro esistenza di lavoro non hanno mai fatto una sola lezione in una loro classe alla presenza di esterni (presidi, ispettori, altri colleghi, ecc…). E molti hanno partecipato a qualche corso di aggiornamento per ragioni qualche volta pittoresche, ovvero per ragioni estranee alla loro professionalità. Qualche anno fa, un insegnante di matematica partecipò a un corso di aggiornamento di yoga di 20 ore, approvato dal provveditorato della sua provincia, al solo fine di raggiungere il monte ore che le gli avrebbe consentito di ottenere un miglioramento economico sullo stipendio. Dunque, teniamo a mente che esistono bravi docenti che non lavorano nella maniera descritta sopra ma che, nell’economia del presente lavoro, non sono i destinatari della presente missiva.
E dal punto di vista dell’apprendimento? Cioè, dal punto di vista di coloro che debbono imparare la fisica come la mettiamo? Cosa dire di questi poveri sfortunati studenti? In genere uno studente brillante capisce subito come stanno le cose. E la sua reazione può essere o di rassegnazione, e accettare pertanto lo standard proposto dal docente, oppure di irritazione e di delegittimazione del docente ai suoi occhi. Ma non può fare nulla, perché non ha strumenti per costringere il docente ad uscire allo scoperto. In queste occasioni, quindi, il caso si spegne e si trascinerà stancamente per tutto l’anno scolastico con un atteggiamento di apatia da parte di entrambi i protagonisti docente e studente. Naturalmente per quest’ultimo c’è un aspetto positivo della vicenda. In genere il docente, a conoscenza delle sue non esaltanti doti professionali, premia gli studenti “alzando i voti”. In pratica regala la promozione anche a chi non la merita. E il gioco è fatto. Tutti contenti e felici. Un po’ meno lo è la società tutta che reclama, giustamente, che nella scuola italiana venga svolto un lavoro serio e responsabile. Ma questa è un’altra storia. Rimane il fatto che la scuola italiana e quella dell’insegnamento scientifico in particolare è una vergogna. Una straordinaria, eccezionale, speciale vergogna. D’altronde, siamo italiani, non è vero?
Un insegnante di fisica a disagio.

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