lunedì 1 luglio 2013

Margherita Hack dà l’addio alle stelle.


La notizia della morte di Margherita Hack (Firenze 1922 - 2013) l’ho appresa direttamente dal telegiornale. Me l’aspettavo e d'altronde, preso atto della sua decisione di non operarsi al cuore, era largamente prevedibile. Conoscendo la sua storia e la sua personalità, la sua morte non mi ha impressionato. La conoscevo molto bene. La prima volta che ebbi a che fare con lei fu nel 1969. Ero studente universitario, iscritto al 4° e ultimo anno del corso di laurea in Fisica. L’anno precedente avevo scelto l’indirizzo “particellare” che prevedeva, accanto alle tre discipline “complementari” di Istituzioni di Fisica Nucleare, di Chimica Fisica e di Calcolo delle Probabilità anche una quarta disciplina dal nome Astrofisica. Iniziai pertanto a seguire il corso con il prof. Salvatore Cristaldi, titolare della cattedra di Astrofisica nonché Direttore dell’Osservatorio Astrofisico presso l’Università di Catania. Il programma prevedeva come libro di testo le dispense di M. Hack, Elementi di Astrofisica, Trieste, 1965. La data di pubblicazione delle sue dispense coincideva con l’anno della mia immatricolazione all’Università. Mi chiesi più di una volta chi fosse «M. Hack». La emme puntata non faceva capire se fosse l’iniziale di un Mario o di una Maria. E poi, questo cognome «Hack» non l’avevo mai sentito prima. Tradiva origini straniere, poco conosciute. In verità mi disinteressai subito della faccenda, anche perché dopo qualche lezione il professore chiarì che l’autrice del libro si chiamava Margherita, era toscana e insegnava Astrofisica a Trieste. Mi misi subito a studiare, sorvolando su quel cognome singolare. Il libro non era un vero libro di testo ma delle dispense. Si trattava di più di 250 pagine ciclostilate e incollate alla buona con una copertina anonima di colore grigio che denotava un prodotto economico in cui ciò che interessava era il contenuto e non l’estetica del contenitore. Le lezioni erano impegnative perché il professore seguiva in modo molto personale e discontinuo le dispense della Hack. In più, venivano snocciolati quintali di nozioni e di tecnicismi veramente impegnativi e complessi di difficile apprendimento. Ma come sempre, io studiavo con regolarità e costanza ogni giorno e lentamente e faticosamente, alla fine del corso, avevo compreso il quadro generale e concettuale entro il quale la struttura dell’Astrofisica si delineava abbastanza chiaramente. Si parlava di tutta l’Astrofisica. Quindi di Astronomia sferica, di Geometria dello spazio, di Ottica, di Meccanica celeste, di Relatività, di Trigonometria, di Chimica stellare, di Cosmologia, di Modelli dell'Universo, di Fisica nucleare, di Termodinamica, di Geodesia, di Spettroscopia, etc. Insomma c’era di tutto e di più. Alla fine delle lezioni non consideravo più Margherita Hack l'anonima autrice del testo ma la mia vera insegnante. La lettura e lo studio delle dispense furono impegnativi e sebbene con difficoltà enormi ero riuscito a impadronirmi adeguatamente delle nozioni di base. Dieci anni dopo, laureato e avendo superato l'ultimo concorso nazionale a cattedre del 1973, ero diventato professore di ruolo ordinario di fisica in una scuola superiore lombarda e la incontrai a un congresso di insegnanti di fisica. Era stata invitata a tenere una conferenza sulla evoluzione dell’astrofisica negli ultimi decenni e sulle nuove esigenze della didattica da esplicitare nelle lezioni scolastiche. La ascoltai con emozione e alla fine mi presentai da lei informandola che la mia preparazione, il mio status e i miei interessi di astrofisica dipesero da lei perché avevo studiato sulle sue dispense universitarie. In perfetto fiorentino mi sorrise e mi disse che nel frattempo quelle vecchie dispense erano state sostituite da un nuovo libro di testo aggiornato. La incontrai di nuovo venticinque anni dopo, nel mio liceo a Roma, perché invitata a una conferenza sulle stelle per gli studenti maturandi del liceo scientifico. Era ormai già da molto tempo in pensione e mostrava accanto al decadimento fisico del suo corpo la solita straordinaria forza d’animo e capacità critica che tante volte aveva messo ben in evidenza. Anche qui, alla fine, le ricordai il particolare di venticinque anni fa ma lei non ricordava più nulla. Era circondata da una moltitudine di giovani che la incalzavano con domande assillanti e che l’adoravano. Lei, dopo la pensione, aveva trovato una seconda giovinezza buttandosi a capofitto nella divulgazione, soprattutto nelle scuole perché trovava nei giovani la giustificazione ideale della sua esistenza a continuare il suo lavoro di insegnare scienza e aiutare le menti dei giovani ad essere libere. Non diceva mai no, seguiva tutti gli studenti che le chiedevano incontri e mai una volta disse ad alcuno “non ho tempo”. Aiutava tutti. Era bravissima a far apparire semplice ciò che era complesso. Come Einstein, riusciva a nascondere i tecnicismi e le difficoltà dell’alta matematica con frasi ad effetto e luoghi comuni. In tal modo presentava, sebbene in modo poco rigoroso e spesso al limite della ortodossia, i concetti più difficili facendoli sembrare facili. E questo era il motivo principale del suo successo presso i giovani. Naturalmente aveva altre frecce nella sua faretra. Era un’ottimista inguaribile. Aveva sempre il sorriso sulle labbra. Quando lo riteneva necessario diceva anche qualche parolaccia che faceva presa sul pubblico dei giovani e la facevano apparire anticonformista proprio come lei desiderava. Ma il vero successo lo doveva alla sua onestà intellettuale di atea convinta. Aveva il raro pregio di dire, nella massima libertà e senza falsità e ipocrisie, come la pensava senza giri di parole e con chiarezza. Lei riusciva a creare le condizioni migliori per dire come la pensava veramente facendosi apprezzare anche nei passaggi meno piacevoli dei suoi ragionamenti. Il suo ateismo, il suo antifascismo e il suo anticonformismo la rendevano antipatica ai conservatori. Era invece amata dai giovani per il modo sbrigativo di dire subito le cose più importanti. Con quel suo accento toscano, usato e abusato in maniera totalizzante, Margherita Hack più che una docente universitaria sembrava una vecchia e simpatica zia di campagna, che rifiutava l’etichetta e i comportamenti raffinati, capace di rispondere alle domande più insidiose con semplicità e in grado di infondere ottimismo e allegria in chi l’ascoltava. Riusciva a trovare delle sintesi straordinarie andando direttamente al cuore dei problemi. Era il terrore degli astrologi. Li incalzava sistematicamente con l’accusa di essere antigalileiani, di prevedere l’imprevedibile senza metodologia scientifica ma con sole argomentazioni psicologiche e statistiche. Ma era anche pungente e sarcastica in politica, dove trovava sempre spunti intelligenti per criticare il sistema politico italiano che si disinteressava di etica e di scienza ma badava solo alla finanza e ai propri interessi. Negli ultimi decenni, spesso in collaborazione con studenti, aveva scritto tanti libri di divulgazione di astrofisica e non aveva mai disdegnato di chiarire come ella vedeva il mondo. Si va dai dialoghi tra lei atea e un prete cattolico ai racconti di astronomia; dal cosmo spiegato ai ragazzi ai suoi novant'anni laici e ribelli; dal sistema solare e dai confini dell’universo alla sua vita in bicicletta; dai suoi gatti e dalla sua dieta vegetariana ai suoi principi etici e ateistici; dalla sua autobiografia infarcita di “perché non lo so” ai dialoghi su scienza ed etica; dall'origine e fine dell’universo alle sue favole preferite di Pinocchio ed Harry Potter; dalle sue idee politiche anticonservatrici alla sua Firenze in riva all’Arno; dai suoi valori e le sue passioni alle idee per diventare un astrofisico; e potrei ancora continuare. Laica e ribelle Margherita Hack ha sempre mostrato il suo ateismo giustificandolo in chiave scientifica: "siamo fatti di atomi e come tali rimarremo dopo la morte". «Non credo a un Paradiso in versione condominiale per amici e nemici» soleva dire quando rifiutava la versione dantesca dell’Universo che prevede luoghi improbabili di amore e di punizione oltre le stelle. I media e l’informazione l’hanno scoperta tardi. Fino a che è stata una semplice scienziata, che si è interessata solo di astrofisica, l’hanno ignorata. Quando è diventata vecchia hanno capito che potevano sfruttare la sua immagine anticonformista (come la famosa foto di Einstein che fa la linguaccia) come fenomeno da esibire per tirare su gli ascolti allora l’hanno inseguita e invitata in televisione. Lei è stata al gioco perché il valore che ha sempre dato ai temi della scienza, dell’etica e dell’ateismo valevano molto più della berlina mediatica. Voglio ricordarla qui su questo blog con il messaggino di Lia Celi: “Morta Margherita #Hack. Così grande e simpatica che Dio farà finta di non esistere per non darle un dispiacere”. La saluto con deferenza e tanto rimpianto. Addio prof.ssa «M. Hack». Le stelle continueranno a brillare ogni notte per tenere illuminato il palcoscenico dell’Universo che lei ci hai aiutato a comprendere meglio con il suo straordinario lavoro di insegnante e divulgatrice.

4 commenti:

Giancarlo ha detto...

In Paesi normali questa donne ed altre che l'hanno preceduta sarebbero di diritto nel Pantheon dei Grandi di quel Popolo.
Ma...vi sono grandi e grandi lei lo era fastidiosamente, non certo per i suoi rari interventi pubblici ma per le sue posizioni e le sue idee politiche, il suo modo d'essere cittadina e perchè no il suo essere toscana !
Non aveva la "toga" che normalmente, in senso figurato, indossano gli scienziati, non aveva l'aura dell'intellettuale anzi aveva quella popolarità popolana che faceva di lei il bastian contrario alla "normale" ed inavvicinabile figura dello scienziato.
Nella società occidentale gli scienziati hanno dovuto , da sempre, misurare le parole e fare corrispondere alle sacre scritture quanto loro andavano scoprendo, lo fece Galileo, che fu il caso pubblico emblematico fino al traduttore dei geroglifici egiziani, accusato di voler mettere in dubbio il nuovo testamento, non poteva la storia dell'uomo essere più antica della data della creazione !
Ecco perchè non credo che Dio farà finta di non esistere per non dispiacerla, la frase è bella ma credo che lei non l'avrebbe sottoscritta.
A lei la fortuna di averla incontrata a noi quella di essere vissuti nel suo stesso tempo.

Bruno Costa ha detto...

Bel ricordo.
Non conosco molto l'opera di Margherita Hack come scienziata.Devo però dire che a me sono sempre sembrati in contraddizione l'invito, da una parte, a coltivare il dubbio e porsi domande e, dall'altra, le affermazioni perentorie a riguardo di un tema come l'esistenza o la non esistenza di un Dio.

Zeno ha detto...

Caro Costa,
intanto grazie del messaggio. Scienziato non è solo colui che vince il Premio Nobel. Scienziato è anche colui o colei che svolge un lavoro che ha a che fare con la scienza. Margherita Hack fu una scienziata. Il fatto che non sia stata famosa per scoperte eclatanti non significa che non abbia operato nel mondo della scienza o, peggio, che fosse una pessima scienziata. Mica tutti gli scienziati sono degli Albert Einstein! Pertanto non vedo contraddizioni tra "il coltivare il dubbio e porsi domande" da una parte e “proporre affermazioni perentorie a riguardo di un tema come l'esistenza o la non esistenza di un Dio" dall’altra. Il motivo è che la prima affermazione è di METODO e riguarda la metodologia scientifica, mentre la seconda è una affermazione di MERITO per giunta riguardante fatti extrascientifici relativi ad aspetti di fede. I due fatti non sono, come si dice nel mondo della metrologia, “omogenei”, cioè della stessa specie. Si può benissimo vivere senza dubbi ed essere atei, così come si può vivere con molti dubbi ed essere credenti. Il premio nobel pakistano Abdus Salam fu un grande scienziato musulmano che aveva spesso dubbi scientifici nel campo della "fisica delle particelle elementari". Diede un importante contributo alla teoria dell'interazione elettrodebole, in cui le interazioni elettromagnetiche e nucleare debole vengono descritte in modo unitario dopo una lunga catena di dubbi, di rielaborazioni e di problematici riadattamenti. Margherita Hack aveva la cultura del dubbio perchè nella scienza è fondamentale la critica alle asserzioni scientifiche. Karl Popper soleva dire che è più importante per uno scienziato avere dubbi e tentare di demolire (lui usava il verbo falsificare) una teoria che ha successo piuttosto che lodare acriticamente (senza dubbi) una teoria esistente. Insomma, niente adulini nella scienza ma sani e dubbiosi donne e uomini che non ne lasciano passare una. Lo stesso Andreotti a Roma fece proseliti prospettando una versione romana del dubbio hackiano: “a pensare male (cioè ad avere dubbi) spesso ci si azzecca (il dubbio sposa spesso il convincimento)”.

Bruno Costa ha detto...

Grazie per la risposta. Mi pare comunque abbastanza confermata la mia impressione che Margherita Hack alla fine sia diventata famosa forse più per la sua personalità che per i contributi scientifici in senso stretto. Così come mi sembrava di aver capito che l'esortazione ad essere persone che coltivano il dubbio si estendesse al di fuori dell'ambito puramente scientifico per investire il modo di atteggiarsi in generale di fronte ai problemi della vita,e in quel senso vedevo contraddizione. Ma non è che abbia seguito particolarmente la vita e il lavoro di Margherita Hack così da poter esprimere giudizi perentori, a mia volta.

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