venerdì 30 gennaio 2009

I piccoli partitini all’attacco: pretendono l’abbassamento dello sbarramento.

Eccoli di nuovo. Nonostante siano ormai fuori del Parlamento, perché non hanno superato lo sbarramento del 4% alle ultime elezioni nazionali, stanno tornando alla carica, più affamati di prima. Sono i piccoli partitini che affollano la variegata galassia dello schieramento politico italiano della sinistra. Sono il nulla della politica italiana, che non mollano. Testardi e ostinati, che hanno affossato il governo Prodi per la loro sete di protagonismo stupido e inconcludente, salottieri televisivi e non, che hanno portato il paese allo sconforto più totale regalando una maggioranza bulgara a Berlusconi, non rinunciano alla torta e si fanno avanti dichiarando di essere stati prima ingannati e adesso rischiano di essere anche truffati. Lo sbarramento al 4% li preoccupa perché corrono il pericolo di non superarlo. Né vogliono unirsi insieme perché bramano, come sempre, di essere l’ago della bilancia per ricattare e condizionare la politica dei grandi. Sono molti, sono socialisti, rifondaroli, comunisti scissionisti e non, socialisti di tutte le salse, verdi, mastelliani, radicali, repubblicani di non sappiamo più quale edera, liberali di qualunque bandiera tricolore, e altri, sempre numerosi e comunque attaccabrighe. Ecco alcune delle loro sigle: Ps, Prc, Verdi, Sd, Udeur, Radicali, Pri, Partito d'Azione, Pli, Liberaldemocratici, Psdi e Movimento dei 101. Ci ricordano la canzone di Rino Gaetano “Nun te reggae più...”, quando l’Autore diceva che si tratta di “onorevole eccellenza cavaliere senatore nobildonna eminenza monsignore” e i partiti allora erano: “pci psi pli pri dc dc dc dc”. Noi siamo dell’opinione che chi vuole partecipare al “banchetto” parlamentare deve mostrare di valere sul piano numerico qualcosina più dello “zero virgola qualcosa per cento”. Altrimenti a casa. Vadano a fare la calzetta coloro i quali sono stati nell'ultima legislatura dell'inetto Prodi degli arroganti mistificatori delle speranze dell’ambientalismo serio e della politica al di sopra delle parti. Questo paese merita di non trovarli mai più seduti sui banchi della Camera e del Senato della Repubblica. Francamente non se ne sente neanche il bisogno.

mercoledì 28 gennaio 2009

Annunci giusti e strategie sbagliate.

L’Italia è la terra dei campanilismi. Ogni città, ogni paese, addirittura ogni borgo ha sempre avuto un campanile, una bandiera da issare su di esso al quale fare riferimento primitivo per la propria identità. I comuni medievali sono un esempio tipico di campanilismo. Spesso il “campanile” fu, e continua ad essere, riferimento socio-religioso, ovvero luogo di rappresentanza, di socializzazione e di culto. Per certi versi al tempo il campanile fu un’esigenza giusta e necessaria. Peccato che a rovinare questa immagine idealistica ci sia il fatto che il “campanile” di una città è stato quasi sempre costruito con toni e modalità differenti da quello del paese vicino. E’ inevitabile dunque una domanda: qual è il più bello? “Naturalmente il mio. Il tuo non solo non è bello come il mio, ma è anche brutto”. Questo, in sintesi, il modello di risposta che si immagina potrebbe rispecchiare adeguatamente l’essenza del campanilismo. Si tratta, come è facile immaginare, della incapacità di far fronte comune, su aspetti della vita sociale e politica dei comuni italiani, per risolvere i problemi dell'intera società. Un esempio? L’ennesima lite, infinita e sgradevole, tra Milano e Roma, ovvero tra il Sindaco di Milano e quello di Roma. In queste due città, in verità i campanilismi si sviluppano più in grande, in modo più visibile e spesso in modo più violento che altrove tra due sindaci di borgate più piccole. Nel caso delle liti Milano-Roma si riesce a toccare il massimo della provocazione e dell’offesa perché si innestano contrapposizioni e polemiche dovute principalmente ai sostenitori della polemica, cioè a quei due mediocri sindaci che rispondono al nome di Letizia Moratti e Gianni Alemanno che alimentano il campanilismo e la competizione tra le due città anche quando non se ne vede l’esigenza. L’ultimo motivo del contendere fra i due è la proposta del Sindaco di Roma Alemanno di trasferire il Gran Premio automobilistico di formula uno da Monza a Roma. La reazione del maggior partito lombardo non si è fatta attendere molto. Tuoni e fulmini contro la città di Roma in cui si suggerisce di cambiare gara e fare l’unica corsa alla quale la capitale è brava, cioè alla corsa delle bighe. Al di là del folklore, qui preme sottolineare un aspetto che viene disatteso dai media nazionali. E cioè che il governo Berlusconi, ennesima bufala contro gli italiani come lo fu specularmene l’ultimo governo Prodi, non solo non è riuscito nell’intento di dare coerenza e affidabilità alla sua presuntuosa compagine governativa ma evita in ogni modo di riprendere i compari delle due parti Nord-Sud che litigano per i più svariati motivi. Ciò che noi pensiamo di questa ennesima lite tra galletti infuriati e anonimi è semplice. Entrambi i contendenti hanno più torto che ragioni, perché entrambi si pongono in competizione tra di loro, sviluppando con gli intenti peggiori una polemica che è dannosissima al paese. Parodiando qualche favola potremmo dire che i due hanno in testa un’idea sbagliata di contrapposizione e di disputa sul "grado di bellezza" del proprio campanile. In altre parole, ci ricordano la famosa strega nella favola di Biancaneve, quando davanti allo specchio diceva: “Chi è la più bella del reame”? Nel nostro caso: “chi ha il più bel campanile del reame”? La cosa che stupisce di più è che il manovratore, padrone del vapore e della vaporiera, non fa assolutamente nulla per risolvere la zuffa tra i contendenti. Ve la immaginate una famiglia in cui il capofamiglia, davanti alla ennesima lite tra i figli, rimane in silenzio senza reagire? Invece di riprendere entrambi i contendenti e far comprendere loro che l’interesse generale è quello dell’intero paese, per cui Milano e Roma dovrebbero giocare in sinergia collaborando tra di loro per rappresentare al meglio l’intera comunità nazionale, è affaccendato in tutt’altre faccende. Quali? L’Avvenire, ovvero il maggior quotidiano di ispirazione cattolica, e noi siamo d'accordo, dice che Berlusconi è attualmente molto interessato a Kakà e Fiorello e che i problemi reali che riguardano il paese saranno risolti a loro tempo perché la crisi, essendo generalizzata, non può essere risolta con qualche provvedimento tampone, quà e là. Nel frattempo Berlusconi guadagna sempre di più denaro e potere, aumentando sempre di più il suo conflitto di interesse, mentre il paese va sempre di più alla deriva. Altro che “Italia, rialzati”! Qui si tratta solo di “Italia: un disastro totale”.

martedì 27 gennaio 2009

Lentezza e velocità nel bere una tazzina di caffè a Roma.

Ripeto in questo post un commento che ho scritto nel blog donneconlavaligia in internet. Si tratta di un evento antipatico e poco piacevole che mi è accaduto in un bar di Roma. Lo riporto per ragioni legate alla pessima vivibilità che la capitale offre ai suoi abitanti e penso che un simile accadimento debba essere portato all’attenzione di chi segue questo blog non foss'altro per ricordargli che, purtroppo, questa città non è nè Parigi, nè Vienna. E’ domenica pomeriggio. Passeggio piacevolmente in compagnia in una strada consolare importante di Roma. Ad un certo punto entriamo in un bar rinomato della zona per bere un caffè. Non ci crederete: non c'era alcun tavolo e neanche delle sedie a sufficienza sulle quali sedersi. In quel momento mi ricordo di avere letto in internet nel sito di donnaconlavaligia un post sul piacere di "sedersi" in un caffè e gustare una consumazione trascorrendo un po' di tempo a leggere un buon libro. Non dico nulla agli altri dei miei pensieri e chiedo al banco dei pasticcini e alcune tazzine di caffè. Mi sento rispondere che devo fare prima lo scontrino alla cassa. Altro che locale fine dove ci si siede piacevolmente, si consuma conversando e poi, con garbo, si paga. Qui non hanno fiducia neanche in un cliente che desidera sorseggiare una semplice tazzina di caffè, mi dico. Bene. Anzi male. Pago e, in piedi con gli altri osservo l’ambiente. Arrivano i caffè. Io bevo quasi subito il mio, mentre uno dei miei interlocutori mangia lentamente un dolcino. Nel frattempo, per parlare con me, si distrae un po'. Quando si gira verso il banco per bere l’espresso .... la tazzina non c'è più. Sparita. Volatilizzata. Stupiti, ci chiediamo dove sia mai andata a finire. Io imbarazzato interpello il barista, il quale apparentemente meravigliato mi dice che lui non si è accorto di nulla. Sbalordito dagli eventi e conoscendo gli indigeni avanzo un’ipotesi: probabilmente il cameriere, per la fretta, ha tolto dal banco le tazzine dei miei amici mettendole nel mucchio, tra quelle sporche. Dopo una serie di domande sgradite al barista, comprendo come si sono svolti i fatti. In breve, l’addetto al banco abituato a un modello di cliente veloce e sempre in movimento, che va di fretta, non si è reso conto della lentezza dei miei amici ed ha equivocato l'apparente distacco dalla tazzina come piacere “già gustato”. Aveva scambiato i miei amici per “Flash Gordon” che è sicuramente il tipo di cliente da lui preferito. Milan Kundera nel suo libro La lentezza mette in evidenza il legame tra lentezza e memoria, tra velocità ed oblio. Ricordandolo mi convinco che fra i miei amici e il barista, secondo Kundera, avrebbero dovuto vincere i miei amici ma, alla fine, stravince il barman. Perché? Semplice. Secondo la matematica esistenziale di Kundera “il grado di velocità è direttamente proporzionale all’intensità dell’oblio”. Dunque, avendo i miei amici gustato lentamente il pasticcino, è minima l’intensità dell’oblio o, con altre parole, è massima l’intensità del ricordo del piacere provato nel mangiare il pasticcino e bere il caffè. Tutto questo, naturalmente, se la tazzina dello squisito nettare nero fosse stata disponibile al banco del bar, non quando sparisce. Morale della favola: a Roma è molto difficile gustare, in un luogo distinto e rilassante, una buona tazzina di caffè, non solo perché è raro trovare un locale che soddisfi i requisiti minimi di eleganza e di comodità, ma anche per la “velocità” della vita romana.

lunedì 26 gennaio 2009

I nodi da sciogliere nei provvedimenti pro-lefevriani di Papa Ratzinger.

Il Papa perdona i vescovi lefebvriani. Questa la notizia di oggi che adesso commenteremo. Dunque, il Papa ha perdonato. Si sa che il perdono è uno dei fondamenti della religione cattolica e, pertanto, la tradizione è stata rispettata e tutti sono stati d’accordo. Non c’è un solo cattolico che in questa occasione abbia criticato il Papa. Ma a quale prezzo? Le polemiche che si sono innestate non stanno tanto nel “come” ha perdonato ma “perché” ha perdonato. Perché il Papa ha tolto la scomunica del suo precedessore Woityla inferta ai quattro vescovi seguaci di Mons. Lefevre, il vescovo tradizionalista che contestava il Concilio Vaticano II di Giovanni XXIII? Ma, soprattutto, perché Papa Ratzinger ha perdonato anche il più tradizionalista dei quattro vescovi lefevriani, che addirittura nega l’Olocausto? Il provvedimento papale, accanto a tratti di carità e benevolenza per i quattro figlioli prodighi, implica anche quattro sonori schiaffi. Eccoli.
1)E’ uno schiaffo al suo predecessore, il grande Papa Woityla, che aveva scomunicato i quattro. Per Ratzinger il papa polacco conta così poco?
2)E’ uno schiaffo al sentimento ebraico che ha sofferto le pene dell’inferno nei lager nazisti. Possibile che Ratzinger non abbia capito che il suo provvedimento avrebbe premiato uno dei vescovi che nega consapevolmente l’Olocausto?
3)E’ uno schiaffo al dialogo interreligioso tra cattolicesimo ed ebraismo tanto auspicato e messo in atto dal precedente Papa Woityla. Conta così poco questo dialogo tanto da essere sacrificato sull’altare del recupero di soli quattro figlioli prodighi?
4)E’ uno schiaffo a Papa Giovanni XXIII che col Concilio Vaticano II aveva aperto alla società le questioni della Chiesa cattolica. Conta così poco l’apertura fatta da quel Concilio?
Come si vede ci sono ben quattro ragioni che invitano a pensare a una strategia d’attacco del nuovo papa che vuole demolire le grandi scelte fatte dai papi precedenti. L’intenzione di Ratzinger sembra essere pertanto quella di rompere con la tradizione dei papi “aperturisti”, di quei papi cioè che erano convinti che la chiesa non si dovesse arroccare su posizioni tradizionaliste e oltranziste ma che dovesse comprendere meglio i percorsi delle società per sintonizzarsi in modo più efficace sulle loro lunghezze d’onda onde vincere le loro resistenze con forme morbide di predicazione ed evangelizzazione. Ratzinger sembra, viceversa, rigettare questa idea e privilegiare quella dello scontro, richiamandosi a una concezione elitaria della chiesa cattolica che rifiuta qualsiasi contaminazione con la società e gli Stati. Rimane il fatto che la strategia del nuovo papa si basa su una miscela di rigorismo tedesco e di involuzione pre-conciliare che intende portare la Chiesa cattolica a ridurre il dialogo con la fede ebraica e concentrarsi solo sul confronto col mondo ortodosso e fors’anche musulmano. In fondo in fondo, nell’ottica cattolica, c’è anche un problema di numeri. Vista la enormità del numero dei musulmani nel mondo e quella meno consistente dei cristiani, i numeri dell’ebraismo sono molto più ridotti e non meritano attenzioni. E’ vero anche che i grandi numeri dell’evangelizzazione riguardano altri continenti, quali l’Africa, l’Asia e il Sudamerica. All’attuale papa le polemiche sulle scelte antiebraiche dovute ai suoi provvedimenti sembrano punture di spillo. Lo stesso vescovo inglese Williamson, negazionista fino all’inverosimile (noi aggiungiamo anche scorretto e perfido), se la cava con un silenzio assordante che lascia intendere il recupero tradizionalista della chiesa cattolica a favore delle scelte preconciliari. D’altronde, questo silenzio privilegia il dialogo con l’Islam perché equivale a una critica esplicita all’ebraismo. Se poi alcuni notano nel papa tedesco la sproporzione esistente tra il rigorismo sui temi bioetici (perseguito con una intransigenza diremmo savonarolesca nei confronti del povero padre di Eluana e del suo dolore) e l’ arrendevolezza del suo provvedimento a favore degli ex-scomunicati si è sempre in grado di dire Pater, remitte illis, quia nesciunt quid faciunt.

sabato 24 gennaio 2009

Il problema della decadenza della sinistra in Italia.

La sinistra italiana, è in crisi profonda. Si dibatte convulsamente tra lo stato comatoso e l’ansia di non poter guarire. La notizia peggiore, tuttavia, è un’altra e si riferisce al fatto che essa rischia di rimanere paralizzata per sempre. All’orizzonte non si vede nessuna nave in grado di poterle portare aiuto. Dunque, deve fare da sola perché non ha né amici, né avversari leali. Tutti invece la vogliono morta e sepolta. Dall’estrema sinistra al centro neo-democristiano vogliono una sinistra riformista che non abbia né la capacità di fare opposizione efficace, né i voti necessari per dare battaglia in Parlamento. E i suoi avversari stanno vincendo. Per noi è grave che in Italia non ci sia una sinistra riformista, una sinistra che sia un baluardo verso la regressione politica in cui è ormai avviata irreversibilmente la nostra società. Ci troviamo in un paese in cui c’è una minaccia concreta proveniente da più fronti, con una manovra a tenaglia realizzata dal “fondamentalismo cattolico”, dai “reazionari berlusconiani” e da una nascente “destra neo-fascista”. Omettiamo di citare l’estrema sinistra perché è rappresentativa solo del proprio nulla politico che si è sciolta all’indomani della sconfitta alle ultime elezioni come neve al sole. Questo coma in cui versa la sinistra è un fatto politicamente grave, soprattutto in un paese come l’Italia in cui c’è un “Signore degli Anelli” che ha una maggioranza bulgara in Parlamento ed è all’attacco su più fronti per ridurre questo paese a burla di nazione mettendosi l’etica sotto le scarpe. Una breve analisi del perché di questo stato comatoso potrebbe portarci a individuare almeno qualche ragione valida. Sulle colpe di questa inefficace sinistra il politologo Sartori dice che “essa antepone il problema della distribuzione della ricchezza al problema della creazione della ricchezza”. Efficacissima lezione quella del Sartori politologo. Effettivamente non si è mai vista una persona camminare con le gambe all’insù e le braccia all’ingiù. Questo è l’esempio che ci viene in mente per fotografare l’analisi politica di Sartori. Com’è possibile che si possano fare scioperi per rivendicazioni a sinistra se non si produce ricchezza? Ma perché la sinistra è così sbrindellata a tal punto da scegliere di camminare con la testa all’ingiù? Tutto dipende da una principale causa: il suo stretto rapporto mortale con il sindacato CGIL dei vari Cofferati prima ed Epifani adesso. La CGIL di Epifani è la vera e propria pietra tombale di questa sinistra riformista che le impedisce di essere se stessa e le impedisce, imbrigliandone la sua politica, di creare proposte e processi politici come è riuscito a fare negli USA la fucina di Barack Obama. La dipendenza del PD dalla CGIL di Epifani è mostrata bene dalle recidive dichiarazioni del Ministro ombra del Welfare, quel Letta, nipote del suo più famoso zio consigliere di Berlusconi, che ha detto: “Guglielmo non ha compreso la svolta del PD. Intesa con continuità con le nostre idee”. Tutto sta in quel tu che il Ministro ombra dà al Segretario Generale della CGIL che lascia trapelare una dipendenza dal sindacalismo cigiellino veramente stupefacente. In un altro paese, il Ministro ombra del partito di opposizione rivolgendosi al capo del massimo sindacato italiano lo avrebbe chiamato “il Segretario generale della CGIL”, oppure Epifani, col cognome, ma mai col nome. Invece no, in Italia ci si chiama confidenzialmente con il tu che è indicativo di un privilegio che viene dato a un interlocutore che detta e impone le sue idee. Un sindacato come la CGIL che fa prima gli interessi del sindacato, poi quello dei lavoratori anziani e mai gli interessi del paese e delle nuove generazioni, che dice sempre no, è un sindacato che vuole prima spartire le risorse (che non ci sono) e poi vuole creare la ricchezza. Proprio un bell’esempio di razionalità politica. Non c’è che dire. Ecco qual è la pietra al collo del riformismo della sinistra in Italia. E badate bene che non abbiamo parlato della difesa dei “fannulloni” nella pubblica amministrazione che la CGIL ha sempre fatto con le sue retrive ed opportunistiche attività sindacali e i sui ricattucci di sciopero. “Chi è causa del suo mal pianga se stesso”. Ecco, adesso la sinistra pianga, tanto non può fare altro.

giovedì 22 gennaio 2009

Il connubio calcio-bestemmia come sintomo dell’imbarbarimento della società italiana.

Il fatto di oggi riguarda la dichiarazione di un personaggio eccellente che ha detto che bestemmiare non deve essere condannato. L’Italia si sa è un paese provinciale. Qui per “provinciale” si intende un modo ristretto di vedere le cose e i problemi della vita, della società, della politica, del costume, etc. In senso etimologico, "provincialismo", secondo il dizionario di italiano De Felice, significa “cultura e mentalità, atteggiamenti e modi di provincia, da provinciali, e cioè arretrati, chiusi, limitati”. Domanda: qual è secondo voi la causa del provincialismo degli italiani? A nostro parere è il campanilismo eccessivo e sproporzionato di cui soffrono gli abitanti del Bel Paese. Questo campanilismo, che ha radici storiche antiche ed è radicato nelle coscienze degli italiani in modo vistoso e totalizzante, in realtà nasconde due aspetti deteriori e gravi della loro personalità: il razzismo e il regionalismo. Lasciamo da parte il primo dei due aspetti perché non è questo il momento di parlarne e soffermiamoci brevemente sul secondo. Prima però una precisazione. In genere gli italiani interrogati su questa circostanza fanno finta che la società italiana non sia in grado di provare sentimenti di odio verso gli altri e per dare ragione a questo loro convincimento errato, abusano del famoso luogo comune “italiani brava gente” che, detto fra noi, è una vera e propria menzogna storica. Dunque, che cos’è il regionalismo? Sempre secondo il De Felice è “un atteggiamento e comportamento caratterizzato da un interesse esclusivo o preminente per la propria regione, che può comportare una visone troppo particolaristica e ristretta dei problemi locali, staccati da un più ampio contesto internazionale o nazionale”. Con parole nostre il “regionalismo” è una forma esasperata di nazionalismo ristretto, che consiste nell’esaltare in maniera autoritaria solo e soltanto gli aspetti più approssimativi e popolari delle abitudini e delle prassi dei cittadini di un certo territorio. Si manifesta in tutti i settori della vita sociale e rappresenta il primo dei difetti di una persona provinciale. Il regionalismo si sviluppa in sintonia e in sinergia con le forme più disparate di autoesaltazione di pseudo-virtù di “qualità” possedute dagli abitanti della regione e di tutto ciò che è indigeno della regione di appartenenza. Sono esempi concreti di regionalismo l’uso del dialetto come manifestazione di appartenenza regionale, la cucina regionale, i prodotti regionali, gli usi e i costumi regionali, i proverbi regionali, i vini regionali, l’organizzazione della vita regionale, persino i difetti regionali, etc. Il regionalismo è, pertanto, uno stile di vita e rappresenta la difesa a tutti i costi di tutto ciò che è tipico della regione e nessuno si sognerà mai di criticarne nemmeno gli eccessi o le forzature. Un esempio? Il bestemmiare di molte persone di una regione, per esempio dei toscani. Naturalmente non di tutti i toscani, ma di molti di loro. E’ noto a tutti che molti abitanti della bella regione di Dante bestemmiano. E sin qui si potrebbe capire il fenomeno ma non giustificarne il difetto. Quello che è grave per molti toscani “che contano” è che la bestemmia viene difesa come “qualità” regionale che non fa male a nessuno. Nel nostro caso anche il potente e ascoltato Commissario della nazionale di calcio Marcello Lippi, di recente, l’ha difesa, affermando che “in Toscana la bestemmia è quasi un intercalare e non è astio verso Dio”. Noi non condividiamo nessuna parola di quelle dette dal Sig. Lippi, il quale avrebbe fatto bene a tacere e a mordersi la lingua piuttosto che fare affermazioni così sfrontate e fuori luogo. Questo signore, che viene lautamente pagato con cifre astronomiche per far tirare calci a un pallone, non si rende conto di essere uno dei principali responsabili di un atteggiamento provinciale non solo deplorevole e diseducativo verso la comunità e i giovani, ma soprattutto perché conferma il prodotto deteriore di una visione regionalistica che mortifica e offende la sensibilità dei cittadini e dei credenti dell’intera comunità nazionale. Che il sig. Lippi impari, per favore, l’educazione e le buone maniere. Se ne è capace.

martedì 20 gennaio 2009

Il contrasto apparenza-realtà è diventato un incubo per i cittadini onesti.

Mentre nella generale indifferenza le due detestabili aziende televisive RAI e Mediaset trasmettono a ritmo continuo programmi di intrattenimento fortemente antieducativi, nel paese si consuma la tragedia, tutta italiana, della dissennatezza più profonda che si manifesta in forme evidenti e riprovevoli nel caso esemplare della nomina a Presidente della Vigilanza RAI di un parlamentare trasformista. Un fatto che la dice lunga sulla folle corsa della politica italiana verso il proprio suicidio politico. L’Italia è diventato il paese che continua a sfornare eventi sgradevoli in molti settori della vita sociale, che giustificano la definizione di “società eticamente effimera”, impossibile da guarire. Due esempi per tutti per far comprendere lo sfacelo in cui versano due istituzioni importanti su cui si regge lo Stato repubblicano. In primo luogo la magistratura che, dopo i provvedimenti disciplinari presi dal CSM contro un procuratore capo e alcuni pubblici ministeri e magistrati, rimane un organo azzoppato e impossibilitato a svolgere la sua funzione rieducativa e purificatrice perché malata di protagonismo e sempre in lite con gli altri poteri dello Stato. In secondo luogo l’attuale governo che, dopo la presa in giro dei provvedimenti economici (vedi social card) a favore dei cittadini più deboli colpiti dalla crisi economico-finanziaria in atto, continua imperterrito a non fare nulla per riportare il paese alla normalità etica, relativamente ai comportamenti non virtuosi manifestati con continuità dagli uomini politici di tutti i partiti che agiscono in Parlamento. Quello che è inaccettabile è che la politica - e per essa i vari organi di governo regionali, provinciali e comunali - sia diventata ormai pressoché latitante, in quanto manca di “esempi, modelli e prototipi” di scelte politiche virtuose, educative ed euristiche in grado di dare fiducia ai cittadini e all’intero paese produttivo. Perché non si danno esempi di tagli alle spese improduttive e immorali? Due proposte. La prima riguarda l’impegno preso in campagna elettorale dall’attuale Presidente del Consiglio e accettato da molte forze politiche della eliminazione delle Province e delle conseguenze nefaste del sottobosco politico che in esse vi naviga. La seconda riguarda la creazione di un’Agenzia del lavoro, indipendente dalla politica, che gestisca dei fondi per creare occupazione giovanile nei comuni di tutta Italia. I fondi dovrebbero arrivare da due direzioni. In primo luogo dai risparmi della eliminazione delle Province e in secondo luogo dai sequestri dei beni di chi commette reati finanziari di tipo criminale e amministrativo, pubblico e privato. Le due fonti di finanziamento garantirebbero fondi a sufficienza. Basterebbe mettere in moto questo semplice meccanismo per dare un primo efficace e dirompente segnale di rottura col passato all’intera società italiana. Invece, assistiamo esattamente al comportamento opposto. Non solo il governo non fa nulla per creare occupazione, ma addirittura tutti i politici sono impegnati, con avidità, ad arraffare il più possibile posti di lavoro e prebende per i propri parenti ed affini. Le denunce pubbliche dei giornalisti Stella e Rizzo e di alcune trasmissioni televisive, come “Reporter” e “Striscia la notizia” tanto per fare alcuni esempi concreti, lo dimostrano. E’ tutto un imbroglio disgustoso.

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