lunedì 26 gennaio 2009

I nodi da sciogliere nei provvedimenti pro-lefevriani di Papa Ratzinger.

Il Papa perdona i vescovi lefebvriani. Questa la notizia di oggi che adesso commenteremo. Dunque, il Papa ha perdonato. Si sa che il perdono è uno dei fondamenti della religione cattolica e, pertanto, la tradizione è stata rispettata e tutti sono stati d’accordo. Non c’è un solo cattolico che in questa occasione abbia criticato il Papa. Ma a quale prezzo? Le polemiche che si sono innestate non stanno tanto nel “come” ha perdonato ma “perché” ha perdonato. Perché il Papa ha tolto la scomunica del suo precedessore Woityla inferta ai quattro vescovi seguaci di Mons. Lefevre, il vescovo tradizionalista che contestava il Concilio Vaticano II di Giovanni XXIII? Ma, soprattutto, perché Papa Ratzinger ha perdonato anche il più tradizionalista dei quattro vescovi lefevriani, che addirittura nega l’Olocausto? Il provvedimento papale, accanto a tratti di carità e benevolenza per i quattro figlioli prodighi, implica anche quattro sonori schiaffi. Eccoli.
1)E’ uno schiaffo al suo predecessore, il grande Papa Woityla, che aveva scomunicato i quattro. Per Ratzinger il papa polacco conta così poco?
2)E’ uno schiaffo al sentimento ebraico che ha sofferto le pene dell’inferno nei lager nazisti. Possibile che Ratzinger non abbia capito che il suo provvedimento avrebbe premiato uno dei vescovi che nega consapevolmente l’Olocausto?
3)E’ uno schiaffo al dialogo interreligioso tra cattolicesimo ed ebraismo tanto auspicato e messo in atto dal precedente Papa Woityla. Conta così poco questo dialogo tanto da essere sacrificato sull’altare del recupero di soli quattro figlioli prodighi?
4)E’ uno schiaffo a Papa Giovanni XXIII che col Concilio Vaticano II aveva aperto alla società le questioni della Chiesa cattolica. Conta così poco l’apertura fatta da quel Concilio?
Come si vede ci sono ben quattro ragioni che invitano a pensare a una strategia d’attacco del nuovo papa che vuole demolire le grandi scelte fatte dai papi precedenti. L’intenzione di Ratzinger sembra essere pertanto quella di rompere con la tradizione dei papi “aperturisti”, di quei papi cioè che erano convinti che la chiesa non si dovesse arroccare su posizioni tradizionaliste e oltranziste ma che dovesse comprendere meglio i percorsi delle società per sintonizzarsi in modo più efficace sulle loro lunghezze d’onda onde vincere le loro resistenze con forme morbide di predicazione ed evangelizzazione. Ratzinger sembra, viceversa, rigettare questa idea e privilegiare quella dello scontro, richiamandosi a una concezione elitaria della chiesa cattolica che rifiuta qualsiasi contaminazione con la società e gli Stati. Rimane il fatto che la strategia del nuovo papa si basa su una miscela di rigorismo tedesco e di involuzione pre-conciliare che intende portare la Chiesa cattolica a ridurre il dialogo con la fede ebraica e concentrarsi solo sul confronto col mondo ortodosso e fors’anche musulmano. In fondo in fondo, nell’ottica cattolica, c’è anche un problema di numeri. Vista la enormità del numero dei musulmani nel mondo e quella meno consistente dei cristiani, i numeri dell’ebraismo sono molto più ridotti e non meritano attenzioni. E’ vero anche che i grandi numeri dell’evangelizzazione riguardano altri continenti, quali l’Africa, l’Asia e il Sudamerica. All’attuale papa le polemiche sulle scelte antiebraiche dovute ai suoi provvedimenti sembrano punture di spillo. Lo stesso vescovo inglese Williamson, negazionista fino all’inverosimile (noi aggiungiamo anche scorretto e perfido), se la cava con un silenzio assordante che lascia intendere il recupero tradizionalista della chiesa cattolica a favore delle scelte preconciliari. D’altronde, questo silenzio privilegia il dialogo con l’Islam perché equivale a una critica esplicita all’ebraismo. Se poi alcuni notano nel papa tedesco la sproporzione esistente tra il rigorismo sui temi bioetici (perseguito con una intransigenza diremmo savonarolesca nei confronti del povero padre di Eluana e del suo dolore) e l’ arrendevolezza del suo provvedimento a favore degli ex-scomunicati si è sempre in grado di dire Pater, remitte illis, quia nesciunt quid faciunt.

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