mercoledì 29 agosto 2007

Dio è grande ma anche la scienza e la ragione lo sono.

«Dio è grande» è una famosa massima religiosa di una delle tre grandi religioni monoteiste mentre «Dio non è grande» è il titolo di un libro. La questione che viene affrontata in questo articolo è capire se le due affermazioni possono o meno coesistere alla luce delle categorie della religione e della scienza, ovvero secondo i punti di vista della fede e della ragione. Sebbene il tema sia uno di quelli che fanno tremare le vene dei polsi noi ci proveremo sicuri, come si dice nel libro, che “Se Dio dovesse tenere tutta la Verità racchiusa nella mano destra, e nella mano sinistra solo il costante e diligente percorso verso di essa […] e mi si offrisse di scegliere, con tutta umiltà opterei per la mano sinistra”. Non siamo pertanto sicuri del risultato ma ci interessa molto provarci. Lo faremo commentando alcuni aspetti del libro di Hitchens, l'autore del libro.
Per prima cosa esiste un sottotitolo al libro che è il seguente: “Come la religione avvelena ogni cosa”. Non ci sembra un'affermazione riuscita. La religione non avvelena nulla, è il fanatismo religioso che uccide la bellezza della religione, così come non è la religione che toglie validità alla scienza, è lo scientismo che toglie autorevolezza alla scienza. Dunque, sottotitoli come quello dato dall'autore non aiutano a comprendere bene il problema della coesistenza e della differenza tra fede e ragione.
L'autore è continuamente ossessionato dall'idea di far prevalere l'evoluzionismo darwiniano ai danni del creazionismo religioso. Il problema semplicemente non si pone perché l'evoluzionismo è una teoria scientifica (che può essere valida o meno ma sempre falsificabile) mentre la tesi che il mondo sia stato creato da Dio è un dogma di fede che non può essere messo in discussione (è esente da validazione). Dunque, non c’è contesa. In verità, se i credenti da una parte e i non credenti dall'altra fossero più attenti e misurati nelle loro considerazioni potrebbero convenire che vi è coerenza in entrambe le tesi non foss'altro perchè l'una non esclude l'altra e l'altra permette anche la prima. E’ da ingenui credere nella possibilità di poter conciliare gli estremi? In matematica ciò è possibile: basta sostituire a uno spazio unidimensionale di una retta quello unidimensionale della circonferenza. E' il fanatismo delle posizioni religiose e dell’ateismo praticante che eliminano a priori la possibilità di comprensione e di ammissione delle due tesi. Noi che non siamo né estremisti religiosi, né furenti anticlericali accettiamo la ragionevolezza dei due aspetti, naturalmente con modalità e quadro metodologico differenti che tengono conto che le due posizioni non possono e non devono entrare in collisione per il semplice fatto che operano in ambiti diversi. Non ci stancheremo mai di ricordare a noi stessi prima che agli altri che ciò che uccide la ragione non è il sonno ma la veglia delirante e ciò che sacrifica la bellezza della religione e della scienza sono la profonda incapacità di certi settori oltranzisti e intransigenti che vogliono a tutti i costi interpretare la vita umana come esclusiva conseguenza degli aspetti divini della religione, o degli aspetti materialistici di uno scientismo goffo e meschino. E’ difficile trovare qualcuno all’orizzonte in grado di fare lo sforzo di intendere che i due aspetti possono benissimo coesistere a condizione di individuare lo spazio della propria esistenza e la modalità della propria spiegazione. Galileo Galilei fu uno di questi. Sappiamo come andò a finire. Da una parte l’intransigenza e l’intolleranza religiosa imposero a Galileo di abiurare e di morire prima nell’anima e poi nel corpo, lui che fu credente e scienziato e, quindi, posto nelle migliori condizioni di capire la questione e le sue più profonde implicazioni. Dall’altra parte il radicalismo e l’ortodossia anticlericale chiudono, in maniera purtroppo integrale, la possibilità di comprendere l’esigenza della spiritualità nell’uomo. Diciamo che è destino dei popoli non trovare la capacità di dialogare, di comprendere e di accettare il non punto di vista dell’altro. Sappiamo che la religione nasce dalla profonda esigenza dell’animo umano di soddisfare un bisogno fondamentale della vita che è il bisogno della propria spiritualità di affrancarsi dalle necessità riduttive della vita animale. In questo senso Religione e Scienza non riusciranno mai a trovare una sintesi adeguata a entrambi se non paradossalmente a costo di spingere in modo più estremistico il senso del loro differente ruolo e della loro innata separatezza.
Da questo punto di vista non se ne esce. Per risolvere il problema c’è una sola modalità: accentuare sempre di più il senso del simbolismo della religione e della limitatezza della scienza onde separare la sfera della loro influenza reciproca e renderli credibili anche agli altri. Per esempio, nel caso del dogma dell’Assunzione di Maria in cielo l’evento non può essere considerato spiegabile alla luce di categorie assolute proprie e dipendenti dalla propria sfera d’azione. Da una parte c’è il fatto religioso, che è un atto di fede, dogmatico, teologico che indica la natura divina della carne di Maria che non può deteriorarsi come quella degli altri essere umani perché madre di Gesù ed esente dal peccato originale. Dunque, il dogma religioso impone di credere a un fatto extraterreno, ascientifico: la dipartita di Maria comprende la carne e l’anima e questo vale solo per Lei. Bene ha detto Tertulliano quando affermò che "credo quia absurdum" (credo perchè é assurdo), cioè si deve credere a un evento insolito in virtù della sua straordinaria irragionevolezza. Dall’altra parte c’è il fatto scientifico, che è un atto della ragione, dell’evento naturale morte di un essere biochimico che può solo essere umano, dunque corruttibile e, quindi, della impossibilità dell’evento. La scienza, giustamente, lo esclude e lo dichiara inammissibile alla luce dei canoni newtoniani e galileiani. E allora? Dove sta il problema? Se si separano i due fatti, giustificandoli e interpretandoli secondo due modalità differenti di interpretazione in modo tale da chiarire una volta per tutte che essi viaggiano lungo due universi paralleli che non si possono incontrare mai, il problema non esiste. Che i due universi siano inconciliabili lo conferma persino la banale osservazione della incapacità del linguaggio di essere veicolo di comprensione e di sintesi. Generalmente accade proprio il contrario, e cioè che la diversità di linguaggio nei due ambiti alimenta l'incomprensione e genera spinte centrifughe. Che la scienza debba essere vissuta con il trauma di essere nata da una costola filosofica che richiama aspetti teologici non deve preoccupare in quanto vivere la scienza in maniera personale è un credo di fondo degli scienziati. D'altronde vivere la fede in maniera personale è anch'esso un diritto del credente. Qui non vale l'equazione "chi ama non critica e chi critica non ama". Non è possibile cioè accettare l'idea che la religione tolga la libertà di ragionare con la propria testa. Fatti salvi gli assiomi della Religione si ragiona con la propria testa e non con quella degli altri. Dunque, su alcune questioni è doveroso non adeguarsi al pensiero della propria Chiesa così come non bisogna adeguarsi al conformismo della scienza. Altrimenti non se ne esce. Da questo punto di vista è possibile far coesistere la dimensione religiosa con quella scientifica nelle persone con un forte senso della comprensione del modo di ragionare dell’altro. Einstein risolse brillantemente il problema della diversità di moto “non inerziale” e con quello analogo “gravitazionale” inventando, nella relatività generale, la categoria dell’equivalenza, qui usata non nel senso di relativismo ma, al contrario, nel significato più pieno di sintesi e unificazione. La proposta è inadeguata? Discutiamone e forse ci capiremo meglio.

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