giovedì 23 gennaio 2014

Ancora vita.


Ci si può innamorare di un film? Si che si può. E’ successo tante volte. E poi i film sono prodotti con il non segreto desiderio di fare innamorare la gente. Dichiariamo pertanto che ci siamo innamorati del film di Uberto Pasolini dal titolo Still Life. Letteralmente il titolo significa “Ancora Vita”. In pratica lo possiamo tradurre come “Natura Morta” o “Una Vita Ferma”. Racconta la figura di un operatore comunale che accompagna amministrativamente al cimitero i cari estinti. La sinossi del film è breve ed efficace. Eccola.
Diligente e premuroso, il solitario John May è un impiegato del Comune incaricato di trovare il parente più prossimo di coloro che sono morti in solitudine. Quando il reparto viene ridimensionato a causa della crisi economica, John dedica tutti i suoi sforzi al suo ultimo caso, che lo porterà a compiere un viaggio liberatorio e gli permetterà di iniziare ad aprirsi alla vita.
Il film è dedicato a una figura reale, quella del funzionario comunale che si occupa delle esequie delle persone che non hanno familiari. Il regista ha affermato che “non è un film sulla morte, ma sulla vita". Siamo assolutamente d’accordo. Chi vede il film sappia che dopo non sarà più come prima. Il film obbliga a pensare alla morte con un’altra lente, più realistica e meno superficiale di quella che comunemente adoperiamo ogni giorno nella nostra quotidianetà. Il prezzo da pagare è che il “dopo” dà una comprensione amara della mortalità e della solitudine. Temi che sono più propri di un film drammatico che di un film poliziesco. Apparentemente il protagonista, l’ottimo Eddie Marsan, appare come una specie di investigatore privato. Non ha la durezza di carattere di un Philip Marlowe ma possiede la stessa determinazione a risolvere i casi più difficili. Il film ci è piaciuto per molte ragioni. Ci sono differenti piani di lettura del film, tutti interessanti. Si va dalla narrazione di una piccola storia effettuata con dolcezza e delicatezza da fare invidia agli spettatori romantici, all'elogio della categoria della lentezza che è uno strumento importante per interpretare correttamente il senso del film. Dalla capacità di guardare le relazioni umane nella vita a quelle che si riferiscono alla morte. Il protagonista sembra essere perennemente in bilico tra il ruolo di un investigatore e quello di un poeta. La sua maniacale ossessione della precisione diventa la strada maestra per comprendere il senso della sua vita, improntato alla massima solitudine ma allo stesso tempo consapevole di essere motivato per una giusta causa, che è poi quella della umanità, della pietà e della carità umana. Temi delicati questi in una società come la nostra nella quale la vita appare essere come una nave alla deriva, senza ideali ed entusiasmi, che si muove per inerzia. Il film ha anche un altro piano di lettura che descrive la dura realtà sociale del licenziamento del lento e scrupoloso impiegato dei servizi cimiteriali da parte del suo cinico superiore che ha lo scopo di tagliare “i rami secchi” del Comune. Tema drammatico e attuale questo dell'incertezza dei posti di lavoro. Colpisce l’impudente e sprezzante sguardo dell’impiegata, favorita del suo superiore, durante la comunicazione del licenziamento. La crisi economica e finanziaria attuale fa da sfondo a un film che prepara l’amarissima conclusione del film. Scene drammatiche e strazianti seguono questa ultima parte del film capolavoro di Pasolini che lo rendono emozionante e commovente fino alla massima spettacolarizzazione. Una menzione speciale va al sottofondo musicale creato dalla moglie del regista la bravissima compositrice al pianoforte Rachel Portman. La conclusione è che non si può prendere il domani come se fosse una cosa scontata. Qualcuno ha definito il film come il tentativo di dare senso e sostanza alle persone buone che rimangono celibi e senza amici, spesso le sole che contano nell'oceano nascosto della vera umanità. Chi non vuole provare simili sensazioni se la faccia alla larga da questo film e vada a vedere qualche soap opera. Si distrarrà di più e piacevolmente. Non tutti siamo uguali ad apprezzare i tragici momenti dell’arrivo della morte che in ogni caso arriverà per tutti. E sarà un guaio non averci pensato prima.

1 commento:

Giancarlo ha detto...

Una, forse la maggiore, ragione che portò il cristianesimo alla vittoria sul paganesimo fu proprio quello di aver fatto intravedere la possibilità che oltre la porta della morte vi sia una nuova vita .
Nessuno di noi conosce se vi sia questo, ma, credo, una parte preponderante lo spera.
Il cinico, l'egoista, l'arrampicatore, il corrotto, sono tutti coloro che "credono" di sconfiggere la nera signora ma...

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