Quattordicesima lezione. Questa è l’ultima lezione del corso introduttivo di “Lettura e Scrittura” di Grammatica della lingua araba, cosiddetta “normativa”, della Sig.ra Laura Veccia Vaglieri. Tema della lezione di oggi sono alcune considerazioni relative alla vocalizzazione delle parole arabe e la risoluzione di alcuni esercizi riassuntivi relativi a questo argomento. Al punto in cui ci troviamo adesso dello studio della lingua araba possiamo affermare che conosciamo tutte le 28 lettere dell’abagiada, أَبْجَدَ cioè dell’alfabeto arabo. In verità qualcuno, che dice di “saperla lunga”, aggiunge anche una ventinovesima lettera, e cioè la cosiddetta لا lam-alif, qualcun altro dice che è necessario non dimenticare che la prima lettera dell’abagiada non è l’alif ma la hamza. In verità a questo proposito devo dire che ho un po’ di confusione e spero che il mio maestro prima o poi mi aiuti a dissiparne una certa quantità. Ma animo e vediamo di concludere bene il lavoro iniziato mesi fa. Oggi dovrò parlare di segni vocalici diacritici extra-alfabetici, perché l’esercizio che devo svolgere li riguarda molto da vicino. In sintesi posso dire che in arabo si chiama َحَرَكاتْ harakat (cioè movimenti) il metodo di vocalizzare le parole mediante segni particolari, detti diacritici. Questi segni sono molti, quasi una ventina. Per primo ne introduciamo cinque: i più importanti. Il resto verrà successivamente. Eccoli: fatah, kasrah, dammah, sukun e shadda. Servono per vocalizzare le parole, cioè per associare le vocali alle loro consonanti e permettere di produrre suoni accessibili e differenti all’orecchio umano, altrimenti la lingua araba sarebbe incomprensibile sebbene per molti lo è comunque, cioè “a prescindere”. Infatti se si dovessero pronunciare le parole solo con i suoni consonantici avremmo un risultato molto probabilmente identico a quello dell’età della pietra, in cui i primi esemplari di esseri umani comunicavano tra di loro. Un esempio per tutti. In arabo il nome insegnante si dice muhallim. In questo sostantivo ci sono tutti e tre i suoni vocalici cosiddetti brevi: la u, la a e la i. Se non ci fossero queste tre vocali la parola muhallim si dovrebbe pronunciare mhlm. Capite che sarebbe praticamente impossibile parlare e intendersi in questi termini. In verità la lingua araba non ha fatto purtroppo uno sforzo adeguato quando i grammatici arabi di quel tempo decisero di dare solo i tre suoni brevi dell’esempio, che corrispondono alla a, alla i e alla u. Le altre due (la e e la o) - che usiamo noi europei – in arabo classico non esistono e la e e la o, per forza di cose, sono sostituite dalla i e dalla u. Così per esempio il nome Zeno in arabo suonerebbe Zinu e Vincenzo si pronuncerebbe pressappoco finscinzu. Dunque l’harakat è necessario, almeno all’inizio, e possiamo dire che esso si divide in due specie di vocalizzazione differenti: quella lessicale (tasckil) che diremmo “di struttura” e quella grammaticale (i’rab) che definiremmo “di declinazione”. Ripeto che non ho le idee chiare su questo tema per me, neofita alle prime armi, difficilissimo da intendere. Spero di non avere sbagliato nella comprensione. Gli altri segni sono i seguenti: Alif wikaia, Alif wasla, Alif difettiva, Alif mamdura, Alif prostetica, Alif maksura, Alif madda, Hamza e Ta marbuta che sono veri e propri grafemi. Poi ci sono anche i tre tanwin della fatah, della kasrah e della dammah che riguardano la vocalizzazione delle vocali finali nei casi indeterminati. Insomma, come si suol dire in questi casi, c’è “da pedalare” parecchio per imparare tutte queste “stranezze” che mi preoccupano molto per una improbabile e difficile memorizzazione nella mia mente. Chi a questo punto e spudoratamente mi dice che l’arabo è una lingua facile gli tiro un cazzotto. Una curiosità che mi sento di aggiungere durante il commento alla lezione finale di oggi sono dei giochi di parole a forma di acronimi, cioè delle frasi mnemoniche, che aiutano a individuare delle lettere servili in grado di formare parole derivate ed estrarre facilmente radici dalle parole date. Eccone tre: ANTAMUSA (tu sei Mosè), SALTUMUNIHA (voi avete chiesto a lei), AMANUATASHIL (pace e facilità) e ANAITU. Se mi chiedete a cosa servono non ve lo so dire, ma il mio maestro sono sicuro saprà tutto di queste bizzarrie perché mi ha anticipato che è meglio memorizzarle subito. Certo a lui viene tutto facile perché conosce l’arabo. Lo stesso non posso dire io. L’esercizio che mi rimane da proporre è il quattordicesimo e si trova alle pagg. 48 e 49 del testo. Eccolo risolto da me con la speranza di non avere commesso troppi errori. A tutti un ringraziamento per l’attenzione prestata a questa iniziativa personale di semplice tentativo di “autodidattica” dell’apprendimento dell’arabo classico alfusha. Un caloroso ringraziamento al mio maestro che ha avuto la pazienza di continuare a seguirmi con i suoi preziosi consigli senza i quali qualunque mia iniziativa non avrebbe mai avuto successo. Grazie maestro!
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