sabato 3 settembre 2005


Esami di stato: commedia italiana o farsa?

E’ un dubbio che mi porto appresso da qualche anno. Non riesco a rispondere a questa domanda che inevitabilmente sono costretto a propormi a ogni inizio di anno scolastico, a causa del fatto che devo partecipare a tutta una serie di incombenze che si sintetizzano nella produzione del cosiddetto “documento” relativo agli esami di stato di fine anno. Una serie di lunghe descrizioni da produrre in modo prescrittivo su programmi, linee metodologiche, profilo della classe e tante altre assillanti quanto inutili questioni e implicazioni pedagogiche che ineriscono alla classe quinta di liceo. Sono opportuni? A cosa servono se il 98% degli studenti “supera” gli esami? Tanto vale non fare nulla, e dedicare le energie che vengono assorbite da questo mostro burocratico per destinarle più produttivamente alla didattica. Cercherò di rispondere molto brevemente alla domanda e proporre una serie di considerazioni personali. Sul piano teorico il lavoro di costruzione del documento del 15 maggio ha indubbiamente una valenza pedagogica notevole. Esso si basa sulla descrizione accurata e puntuale delle caratteristiche pedagogiche della classe. Storia della classe, vissuto quinquennale, dati sulla metodologia di lavoro relativa agli apprendimenti, tipologie di verifiche, ecc.. sono informazioni preziose per chi non conosce la classe. Ma per l’intera commissione, che è la fotocopia concentrata del consiglio di classe che ha già valutato i giovani maturandi, da ben tre anni o più, che senso ha fare un lavoro così capillare e approfondito in modo autoreferenziale? Sul piano pratico, il documento è assolutamente inutile. Non ha senso. Non viene letto da nessuno e rimane la, nella polvere di un archivio, per alcuni anni. Dopodiché, al macero. E allora? Che senso ha perdere tempo e fatica? Perché questo eccesso di formalismo inutile quanto donchisciottesco? Parte da qui l’esigenza di affrontare la cosiddetta “madre di tutte le domande”. Eccola. Esiste o meno nella scuola italiana un mostro di burocrazia, il burocrantosauro, che toglie vigore agli insegnanti, distraendoli dal loro lavoro istituzionale, che è e rimane l’insegnamento disciplinare? Ma partiamo dall’inizio. L’esame di stato, ex maturità, è una consuetudine che ormai sopravvive solo in virtù di un articolo costituzionale. Attualmente, nell’anno 2005, non solo rappresenta una inutile e banale presa in giro, ma ha assunto anche aspetti preoccupanti e inquietanti. In primo luogo è inutile, nel senso etimologico della parola, perché non certifica alcuna competenza e promuove praticamente tutti i candidati (quasi il 98%), compresi gli asini. Il 2% rimanente esiste perché ci sono candidati che non si presentano alle prove, oppure che tentano assurdi passaggi e salti di classe. In caso contrario i promossi sfiorerebbero il 100%. In secondo luogo è scontato perché di anno in anno, in maniera subdola e ingannevole, il rito si è trasformato da un esame vero e proprio a una commedia in cui i protagonisti, sei insegnanti della classe e tutti gli studenti, recitano un copione che prevede la simulazione di un esame e nient’altro. E’ una presa in giro perché appena un mese prima la stessa commissione, questa volta in veste di consiglio di classe, con i medesimi insegnanti, ha proceduto ad ammettere tutti allo pseudo-esame. Non si capisce perché gli stessi insegnanti, che appena qualche settimana prima hanno promosso tutti dovrebbero, dopo una ventina di giorni circa, bocciarne qualcuno (pardon, si dice ipocritamente “non promosso”). In terzo luogo è allarmante perché si susseguono notizie confermate da dichiarazioni di tutti i protagonisti (insegnanti e studenti) che le prove sono inquinate dal fatto che sono gli stessi insegnanti, spesso in modo fraudolento, ad aiutare gli studenti, compromettendo in modo irreversibile la serietà dell’esame stesso. Ma, infine, è pericoloso e pernicioso perché gli studenti, da questa commedia farsesca, traggono una morale: la mancanza di serietà degli insegnanti e della scuola che non svolgono correttamente il loro lavoro e tradiscono il loro ruolo di valutatori seri e oggettivi. Infine, gli studenti traggono una sola morale: è inutile che ci si dimena tanto, alla fine, le cose “si aggiustano”. Ecco un caso lampante che mi è successo personalmente. Tre anni fa il mio dirigente mi nomina in una classe di terzo scientifico. I primi giorni inizio un lavoro diagnostico per comprendere quali sono le condizioni di ingresso degli studenti. Mi accorgo che il livello d’entrata è variegato ed eterogeneo. Mi colpiscono due studenti, i peggiori, che non sanno scrivere in corretto italiano.
Faccio un giro orale di chiacchierate e la tesi della irresponsabile loro promozione acquista ulteriore conferma perché entrambi non sanno né organizzare un discorso, né articolare oralmente un minimo di rielaborazione corretta sintatticamente. Faccio loro leggere mezza paginetta del libro e mi rendo conto non solo che non sanno leggere, ma addirittura che non capiscono quello che leggono. Siamo al limite della decenza. Insomma una frana. Mi rimbocco le maniche, organizzo un corso di recupero per dare loro un rinforzo alle lezioni antimeridiane. In poche parole seguo il loro sviluppo nell’intero triennio. Sono promossi sempre con debito ogni anno (lasciano solo Matematica e Fisica con tre). Incredibile ma vero sono giudicati positivamente in tutte le altre materie, dico tutte le altre, compreso l’italiano. I due studenti in questo triennio ne combinano di tutti i colori. Note disciplinari a ripetizione sul registro, comportamento inaccettabile con alcuni docenti, assenze strategiche e programmate che sfiorano il 30% dell’intero monte annuale, totale impreparazione e atteggiamento provocatorio per tutto il triennio. Esami di stato superati col minimo, ma superati. Vorrei subito sgombrare il campo dalla mordacità dicendo subito che è possibile che in molte scuole del territorio della Repubblica l’esame è serio. Quello che non mi sento di dire è che in tutte le scuole il lavoro delle commissioni è adeguato e corretto. Questo lo escludo categoricamente perché ogni scuola è un universo a sé, pieno di furbi (la maggior parte) e di persone serie ed oneste (poche). Com’è noto, questa situazione si protrae dal ‘97, con l’allora ministro Berlinguer, che ha introdotto per primo la novità della ammissione per tutti agli esami e della certificazione delle competenze senza la riforma dei curricoli (quindi senza sapere quali siano le competenze da certificare) e la modificazione della commissione in metà interna. Successivamente, la riforma Moratti che, per esclusive ragioni economiche, ha completato il fallimento confermando la composizione tutta interna della commissione, con il solo presidente esterno (inutile).
E' inquietante, infine, perché il combinato dei nuovi diritti delle scuole paritarie (a cui non è seguito nessun controllo) e della commissione tutta interna, ha prodotto un aumento esponenziale della “compra-vendita” dei diplomi. Siamo oggi in presenza di tre eventi: 1) l’enorme aumento del numero dei privatisti che si presenta a sostenere l’esame nelle scuole paritarie, e ottiene il diploma; 2) la forte e costante crescita del numero dei candidati che “saltano” l’ultimo anno, usufruendo della norma che autorizza questo “rito abbreviato” agli studenti che hanno la media dell’otto nel penultimo anno, media ottenuta con “allegra disinvoltura” nelle scuole paritarie; 3) l’enorme disparità dei voti fra i candidati che svolgono l’esame nelle scuole paritarie e quelli che lo svolgono nelle scuole statali (ad esempio il voto massimo finale, 100/100, che dovrebbe essere raro, è conseguito in percentuale più che doppia nelle scuole paritarie). Di fronte a questa situazione, prima ancora di attuare la pessima riforma Moratti che accentua questi aspetti negativi, non è meglio abolire il valore legale del titolo di studio? Ma soprattutto, ha ancora senso affaticarsi nel mese di maggio per costruire questo documento costituzionale della classe in una simile situazione di degrado? Lascio ai navigatori un loro giudizio.

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