giovedì 15 settembre 2005

Il viaggio: una gita turistica o qualcosa di più?


Ho letto nel web un resoconto di viaggio relativo alla città di Stoccolma. Ho avvertito subito il desiderio di ringraziare l’autrice per le belle parole scritte e per le gradevoli descrizioni che offre al lettore interessato. Le definirei degli straordinari colpi di pennello in un quadro che mostra un paesaggio artistico in grado di provocare intense emozioni.
Queste poche e semplici righe che le ho scritto vogliono pertanto essere il ringraziamento di una persona interessata a seguire il suo stesso percorso di viaggio nella capitale svedese, non foss’altro che per i numerosi consigli che si riescono a dedurre dalla sua interessante narrazione, peraltro fluida e piacevole. Numerosi sono i motivi che mi inducono a dare un giudizio lusinghiero dei fatti da lei narrati con rara perizia. La principale ragione è che la sua iniziativa mi aiuterà (e forse aiuterà anche altri potenziali viaggiatori) a organizzare, tra qualche mese, il viaggio a Stoccolma con maggiore serenità, consapevole di avere la fortuna di seguire un itinerario già sperimentato da altri. Questo mi dà sicurezza. Al contrario di lei, e con un po' di temerarietà, io viaggio sempre da solo, peraltro con un vocabolario limitato di parole della lingua del luogo e con una conoscenza scolastica dell'inglese. Dunque, sono costretto a programmare i miei viaggi con molto scrupolo e precisione per non commettere errori imperdonabili di cui in seguito potrei pentirmene.

Tra l’altro, ho programmato da molto tempo la visita a Stoccolma, perché ho deciso di visitare tutte le capitali dei venticinque paesi dell’Unione Europea. Scontate quelle di Parigi, Londra, Vienna, Berlino, Madrid e Lisbona effettuate da tempo, da cinque anni programmo la visita di almeno due capitali all’anno. Ho appena concluso il piccolo tour delle metropoli dell’est europeo (Budapest, Praga, Varsavia, Bratislava) ed ho deciso che è venuto il momento di affrontare il magnifico blocco scandinavo (Stoccolma, Copenhagen ed Helsinki). Oslo e Reykjavik sono stati da me attualmente ignorati per ragioni politiche, in quanto non appartengono all'Unione Europea. So che la mia decisione è opinabile e molti non sarebbero d’accordo con il mio modo di ragionare. Ma ho stabilito queste priorità perché le mie decisioni sono il frutto di un vissuto personale all’insegna di un’idea di Europa che per anni ho avuto in mente come il risultato di un legame profondo fra i suoi popoli, dovuto a cultura, politica condivisa, storia, tradizioni e amore per ciò che di bello questo continente è riuscito a produrre nel corso della sua storia.
Si sarà capito, pertanto, che il viaggio che sto programmando non riguarda soltanto il prendere un aereo, arrivare in albergo e pranzare in alcuni ristoranti caratteristici del luogo, assaggiando qualche pietanza locale, con qualche visita a un museo sui generis. In realtà, io sono alla ricerca di emozioni. Mi interessano le suggestioni che producono in me la visione di luoghi che nel mio immaginario costituiscono la ragion d’essere dei miei viaggi. Nelle mie vacanze di studio sono interessato alla storia del paese, ai miti, ai valori, alle sensibilità della popolazione autoctona che vive in quei luoghi da sempre. Insomma, alla cultura della gente che vi abita, che è fatta di mille piccole abitudini e di minuscole grandi cose che per me hanno un valore enorme. Viaggiare, a mio giudizio, significa osservare, sforzarsi di comprendere, spesso con difficoltà, mai in maniera facile e, alcune volte, non riuscendovi. Significa studiare, leggere libri e manuali, crescere con la conoscenza dei popoli visitati, amare gli altri con l’abitudine alla diversità, partecipare ai mille usi della gente del luogo, in una parola vivere. Paul Morand, il grande narratore di viaggi che viaggiò in tutto il mondo nel secolo scorso, ha detto una bella frase, e se non ricordo male afferma che: “quando torniamo da un viaggio ci domandiamo se è la Terra che si è rimpicciolita o se siamo noi che siamo cresciuti”. E visto che è impossibile che il nostro pianeta abbia cambiato dimensioni nel poco tempo necessario per il nostro viaggio è ovvio che siamo stati noi ad essere cresciuti come conseguenza del viaggio. Spesso non ce ne accorgiamo ma dentro di noi avvengono cambiamenti, anche piccoli e impercettibili, ma avvengono e, prima o poi, si faranno sentire. Morand aveva ragione. In realtà i viaggi ci arricchiscono e ci fanno crescere. E Carlo Goldoni, il grande commediografo veneziano, ha ribattuto: “chi non ha mai viaggiato è pieno di pregiudizi”. Sono d’accordo. Chi non ha mai viaggiato è una persona dall’orizzonte ristretto, chiuso, inadeguato. Non capisce la realtà e i cambiamenti che avvengono nella vita di tutti noi, anno dopo anno. Il viaggio permette di riposizionare i nostri canali di apprendimento e di conoscenza all’interno di un orizzonte d’incontro e di crescita individuale che è conseguenza dell’allargamento della nostra visuale dovuto al viaggio. Esplorare una città, guardare attentamente gli elementi di cui essa è costituita, osservare i ritmi di vita, le strade più o meno affollate, le stranezze della loro vita, rappresenta pertanto una autentica filosofia di vita. Oscar Wilde soleva ripetere che "c'è solo una cosa peggiore del viaggiare, ed è il non viaggiare affatto". George Bernard Shaw, invece, soleva dire: I dislike feeling at home when I am abroad, cioè “non mi piace sentirmi a casa quando sono all'estero”. Ecco la ragione per la quale non ho mai mangiato un solo piatto di spaghetti all’estero. Nei paesi stranieri in cui vado mi alimento con piatti rigorosamente del luogo. E in esse, in quel momento, mi identifico. Mi piace ricordare a me stesso prima, che agli altri, che la concezione che ho del viaggio è fondamentalmente di crescita personale per mezzo dell’avventura. Si, perché ogni viaggio è un’avventura. E’, in altre parole, un tentativo di esplorazione di ambienti, culture e panorami di senso a noi prima sconosciuti, mai sperimentati. La distinzione tra il banale turista e l'intrepido viaggiatore, che è vecchia di secoli, sta tutta qui. Decidendo di viaggiare, stabiliamo da noi e secondo la nostra visuale, i nostri vissuti. E a partire da quel momento andremo incontro a cambiamenti, perché questo è il viaggio, almeno nelle mie intenzioni. Un assoluto bisogno di diversità, che di per sé ha il significato di sviluppare una disposizione preventiva a un atteggiamento critico nei confronti del proprio modello di vita, e dunque la possibilità che il viaggio e gli incontri che faremo, ci modifichi.
Sono interessato a visitare i luoghi caratteristici delle città dove sono avvenuti eventi storici e politici importanti nella vita degli indigeni, che al turista distratto magari non esprimono nulla ma che per me sono la parte più interessante del viaggio. Mi interessa osservare la gente normale nei luoghi più comuni e frequentati delle città (mercati, autobus, negozi alimentari, ecc..), le loro consuetudini e i loro stili di vita. Fuori dal cliché turistico mi piace immaginare la vita tra le mura della città rievocata da “frantumi di annali e di vecchie riviste illustrate, vecchie canzoni da fiera e leggende, immagini di poeti e pittori”. Sono parole di Angelo Maria Ripellino che rendono bene l’immagine che ho io del viaggio. Mi piace prima documentarmi, per quel che è possibile, sulla narrativa, la letteratura, il cinema, la poesia, la musica, l’arte di quel paese che nei secoli ha sviluppato la sua caratteristica di vita e dato “senso” al modo di essere dei suoi abitanti. E se riesco a scoprire o comprendere con le mie sole forze alcuni fatti e aspetti, anche marginali, della vita della gente del luogo mi sento appagato. Mi piace pianificare il viaggio, documentandomi il più possibile sulla destinazione e, se possibile, per eliminare gli imprevisti, intesi qui non come avventura ma come pericolo, conoscere quasi tutto prima di effettuare il viaggio. Sono del parere che è meglio, un viaggio all’insegna del “meno” perché “meglio”, poche cose ma fatte bene, piuttosto che il contrario. Mi interessa riuscire a trasformare il viaggio in un’esperienza di crescita oltre che di divertimento. Spesso ci riesco, alcune volte no. Ma è raro che ritorni deluso. Certo, se ho anche la fortuna di trovare qualche autore italiano di un certo livello che ha pubblicato qualche “diario di viaggio” in grado di suscitare emozioni per il modo di comunicare il modo di vivere di quella città allora mi scopro piacevolmente interessato ad approfondire. L’esempio migliore che posso fare in questo senso è lo straordinario libro di Angelo Maria Ripellino su Praga, il famoso Praga magica. Penso che sia un libro ineguagliabile.

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