venerdì 11 luglio 2008

E' giusto o no disattivare il sondino che tiene in vita una persona alimentata artificialmente?

Il fatto. La Corte d'Appello civile di Milano ha autorizzato il padre di Eluana, una giovane che a causa di un incidente stradale è in stato vegetativo permanente dal lontano gennaio 1992, ad interrompere il trattamento di idratazione ed alimentazione forzato che da sedici anni tiene in vita la figlia. Il padre della ragazza ha chiesto dal 1999 la sospensione del trattamento. I commenti a caldo, com'era prevedibile, dicono tutto e il contrario di tutto. Il padre della ragazza ha dichiarato che ha vinto lo stato di diritto, mentre le gerarchie cattoliche hanno protestato affermando che si sta procedendo a un caso di inequivocabile eutanasia, che è vietata da Dio prima che dagli uomini. Ecco in sintesi il tema caldo, caldissimo di oggi. Come affrontare a viso aperto una discussione così complessa e difficile? Appena si tocca un aspetto che ha a che vedere con l'Etica le due posizioni che condizionano il dibattito, la “religiosa” e la “secolare”, si armano l’uno contro l’altro diventando entrambe inconciliabili e dogmatiche. In più, i loro sostenitori diventano sempre più aggressivi e intolleranti nei confronti sia della parte avversaria, sia di terze posizioni. Insomma, non c’è spazio per posizioni differenti. O l’una, o l’altra. Da un lato c'è la posizione dogmatica del "chi siamo noi per giudicare se una persona è meritevole o no di vivere", cioè “chi ci dà il diritto di togliere la vita a un’altra persona” e, soprattutto, l’”eutanasia è vietata da Dio perchè è chiaramente scritto nel Vangelo”. Stop. Dall'altra parte c'è la posizione utilitaristica del tipo "la vita è mia e ne faccio ciò che voglio", oppure “non permetterò mai a nessuno di decidere il contrario di quello che voglio io”. Ricordate l'analoga questione del divorzio e poi dell'aborto? I temi sono approssimativamente simili e le posizioni le medesime. Da una parte c'è la guerra di religione, dall'altra c'è la battaglia laicista in nome di una visione edonistica della vita. Che fare? Ma, soprattutto, che fare visto che siamo in Italia? Attenzione perchè le due domande possono benissimo dare risposte diverse. Basta spostare la discussione, per esempio, dalla laica Olanda alla cattolica Polonia che le risposte sarebbero scontate ed opposte. Il problema è come uscire da una situazione di arroccamento del genere. Non è facile. Noi ci proviamo con un compromesso. Basterebbe che gli oneri economici e organizzativi necessari per far rimanere in vita la giovane sfortunata fossero a carico dei sostenitori della vita “a tutti i costi” e il problema sarebbe parzialmente risolto. Tutto gira intorno alla patata bollente che “i corpi che non si muovono”, cioè gli sfortunati malati terminali, incapaci di qualunque possibilità di vita così come la intendiamo normalmente noi, hanno il diritto di essere mantenuti in vita solo se c’è una organizzazione in grado di sostenerli. E per sostenere per decenni una persona che è costretta a vivere in quelle circostanze è necessario del denaro, molto denaro. Non è facile per una famiglia normale aggiungere alla disgrazia la difficoltà di trovare il denaro necessario per il sostentamento. Orbene, basterebbe che una piccola parte dell’otto per mille della Chiesa Cattolica fosse destinata a quelle strutture religiose in grado di sgravare il peso del carico del sostentamento in vita alle famiglie e il problema sarebbe risolto. Ci rendiamo conto che la questione di principio non può essere aggirata e che la soluzione è un espediente che ha il sapore del compromesso, ma almeno così si potrebbero limitare i danni e le polemiche. D’altronde, sarebbe troppo comodo per la Chiesa cattolica imporre agli altri il proprio punto di vista lavandosene le mani dal punto di vista economico. Sarebbe un aggiungere al danno la beffa. A queste condizioni la Chiesa ha il diritto di avanzare la richiesta di mantenimento in vita dei malati fino alla fine naturale anche se il coma irreversibile durasse cinquant’anni. In caso contrario no. Così è se vi pare, naturalmente a nostro parere.

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