martedì 1 luglio 2008

E’ possibile che l’Italia risorga dal lazzaretto in cui i politici l’hanno fatta cadere?

Com’è stato possibile, ci chiediamo, che il Bel Paese sia precipitato così in basso? Fino agli anni ’70 l’Italia è stata una nazione in salute, in grado di rivaleggiare con i maggiori paesi europei in tutti i campi. Godeva di stima generale ed era trattata da pari. L’Italia nella cultura, nell’arte, nel turismo, nella musica, nello sport, nella cucina, nella moda, nella TV, nelle autostrade, faceva tendenza e il successo italiano era riconosciuto come il successo di un popolo mediterraneo, solare, aperto, ricco di inventiva. La stessa icona del maschio latino, il famoso latin lover, fu italiana. L’Italia fu un cantiere continuo e un laboratorio sociale da Palermo a Bolzano per tutti gli anni del boom economico. Certo non mancarono le contraddizioni ma il paese crebbe, e bene, in economia come in altri campi. Adesso, negli anni 2000, tutto è cambiato in peggio e siamo diventati gli ultimi. Tutti gli altri paesi hanno fatto progressi enormi mentre noi siamo regrediti, andando indietro in tutti i settori. Ci troviamo di nuovo a inseguire come negli anni successivi alla ricostruzione con l’aggravante di non avere più gli uomini giusti nei posti giusti in grado di traghettare il paese verso il successo, come sta facendo da diversi anni la Spagna. In poche parole siamo nei guai, guai seri. Da dove vengono queste disgrazie? Proponiamo una ipotesi convincente. La classe politica e dirigenziale del paese è la responsabile di tutto lo sfascio nazionale. La ragione sta in due parole: dilettantismo (ovvero incapacità) e malcostume (ovvero immoralità) delle classi dirigenti del paese. Cattolici, comunisti, laici, uomini al massimo del loro successo sono stati tutti imbroglioni. Abbiamo regalato le cariche politiche ed economiche più importanti ai dei tornacontisti che hanno adoperato il potere per il proprio profitto personale. Uomini gretti, usi a costruire la propria fortuna in modo cinico e spregiudicato quando non in modo delinquenziale, si sono spolpati il malloppo. Basta guardare le trasmissioni del programma televisivo Report della brava giornalista Milena Gabanelli per avere il quadro preciso dello stupro che il paese ha dovuto subire da politici corrotti. Che fare a questo punto? Ci rimane una sola soluzione: ricominciare tutto da capo. Ripensare in modo totale la politica, ribaltare le prassi e soprattutto, copiare gli altri, i migliori. La prima cosa da copiare in assoluto è quella di sostituire in tutto e per tutto i contenuti e i metodi della televisione di stato. La RAI deve assolutamente essere trasformata in una televisione a contenuti culturali e basta. Le trasmissioni con le veline le facciano i privati. Non ci interessano. Col canone si deve vedere solo una televisione di informazione libera, telegiornali liberi e cultura, cultura, ancora cultura a sazietà. Chi vuole le veline cambi canale. Stop! Licenziare tutti i direttori di rete, i direttori dei telegiornali, delle strutture, delle redazioni. Sono inutili. Stabiliscono informazioni e programmi inutili, controproducenti, sbagliati, diseducativi. Insomma non servono. Copiare i programmi delle televisioni europee è invece necessario per il semplice motivo che è indispensabile un lungo periodo di disintossicazione. Il nostro consiglio è copiare la televisione della Svizzera italiana. Si, proprio loro. I nostri “sottostimati” cuginastri svizzeri che parlano e scrivono in italiano. A nostro giudizio sono dei veri maestri dell’informazione imparziale e della correttezza giornalistica. La serietà di questa televisione è mille volte quella di tutte le televisioni italiane messe insieme. E’ necessario disintossicare gli italiani dalla droga delle tv generaliste, dove spettacolini da veline, giornalismo di infimo ordine alla Fede, programmi di intrattenimento in cui l’unico interesse dei conduttori è la polemica sono stati la norma, rendendo gli italiani dei deficienti sia nella logica, sia nel costume, sia nella lingua, sia soprattutto nella mentalità critica. Chi prima inizia è a metà dell’opera.

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