lunedì 14 luglio 2008

La pseudo-pedagogia della sinistra del '68 che ha rovinato la scuola italiana.

Dopo più di trenta anni di insuccessi crescenti appare confermata l'ipotesi che a rovinare la qualità della scuola italiana è stata la sinistra sessantottina. Questa è la tesi che vogliamo sviluppare brevemente oggi. Sappiamo bene che il tema è spigoloso e delicato e poco si presta a frettolose e approssimative semplificazioni. La scuola è legata alla cultura. E cultura è sinonimo di politica, di filosofia, di associazionismo partitico, di impegno e di schieramento. Dunque, parlare male della scuola vuol dire toccare i gangli sensibili di coloro che l'hanno governata, e rovinata, dal '68 ad oggi. Tutti ne sono corresponsabili. Una volta la scuola italiana e, soprattutto, l’ordinamento del suo liceo classico, erano rispettati e circondati di attenzioni. Al liceo classico veniva riconosciuto uno standard formativo e culturale, un curricolo e un metodo di studio e di apprendimento che non avevano eguali nel mondo. Non per nulla i più grandi intellettuali del secondo Novecento sono usciti tutti dai banchi di quel liceo. Poi venne il ’68 e tutto cambiò. Lentamente ma inesorabilmente, anno dopo anno, abbiamo assistito impotenti allo sgretolamento dell’architettura scolastica nazionale. L’insegnante stesso modificò metodi e contenuti del suo insegnamento adattandosi alle nuove richieste psico-pedagogiche che provenivano dal mondo della politica e dal microcosmo sindacale. Con le sperimentazioni selvagge e i Decreti Delegati del ’74 la scuola divenne più americana. Accanto alla scuola di massa si sviluppò il cosiddetto “insegnante di massa”, una rara specie animale che si cibava solo di cultura marxista, leggeva soltanto la stampa comunista e partecipava esclusivamente ai dibattiti nei cineforum culturali della sinistra, spesso chiamati Circolo “F.Rosselli”. Nella scuola questa specie zoologica singolare veniva coccolata e vezzeggiata dai partiti di sinistra e dai sindacati confederali. Alla nuova specie biologica, cooptata nei ruoli da leggine ad hoc votate in parlamento prevalentemente nei mesi estivi, furono aperti gli organici di ruolo senza selezione alcuna, fino allora terreno di pochi eletti vincitori di concorso. L’americanismo educativo imperò. Il permissivismo all’italiana dilagò. In questa autentica sbornia pedagogista l’insegnante non fu più considerato professore e docente ma divenne “il prof“, cioè l’amico e compagno consigliere e l’uso del tu entrò nella prassi scolastica. Si trattò di una figura nuova nella scuola, una specie di tutor personale dello studente, che non pretendeva lo studio rigoroso della sua disciplina, che non era esigente nell’uso corretto del metodo, che, infine, non gli interessava alcun tipo di approfondimento delle nozioni. A lui importava molto essere considerato una guida premurosa e amorevole durante le attività scolastiche, soprattutto quelle ludiche piuttosto che quelle noiose di tipo cognitivo. Insomma, lo studente fu lasciato solo, senza una guida forte e autorevole nelle idee e nei metodi, senza poter essere reindirizzato quando sbagliava, ma solo aiutato a conseguire la sufficienza che non venne più considerata uno spartiacque tra l’ignoranza e la conoscenza ma sfumata in gradi di giudizio evanescenti e inconcludenti. Contemporaneamente, il potere esecutivo del tempo, complice un’idea di pan-sindacalismo onnicomprensivo, cooptativo ed elitario, completò l’opera di distruzione togliendo potere e prestigio agli organi ispettivi e di controllo. Ai presidi venne tolta la possibilità di giudicare l’operato annuale dei docenti che fino ad allora era stato uno degli strumenti più efficaci di verifica (la cosiddetta “qualifica”), che aveva incidenza nello sviluppo della carriera. Le ulteriori immissioni in ruolo senza selezione e la progressiva dequalificazione sociale, culturale ed economica dei docenti, perseguita con ostinazione dai sindacati confederali con le famose gabbie sindacali, con le quali si equipararono gli stipendi dei docenti con i salari degli operai, produssero una selezione darwiniana in cui venne isolato un docente, che vogliamo chiamare OGM, talmente “modificato” da essere una lontana copia sbiadita del professore di una volta. La scuola di oggi, tranne qualche rara isola felice, vive come in uno stagno, chiusa in se stessa e autoreferenziale. In questa scuola i progetti sono diventati più importanti dei curricoli, agli esami più che interrogare lo studente ci si limita ad ascoltare le sue scopiazzate e superficialissime tesine “pluri-multi-interdisciplinari” e, dulcis in fundo, lo studente è protetto da una serie di sotterfugi che permettono ai loro insegnanti di certificarne la sufficienza anche quando manca il minimo di preparazione. La conclusione è amara. Abbiamo perduto tutti e sconteremo in futuro gli errori commessi. La scuola odierna non è più in grado di sostenere l’onere di preparare future generazioni in cui possono emergere personalità complete e significative come quelle di una volta. Gli accordi politici sulla scuola tra PCI e DC prima, e quelli relativi alla cosiddetta seconda Repubblica dopo, hanno trascinato il paese in una deriva berlusconiana in cui il proprietario di Mediaset è un esempio lampante di come si possano commettere errori gravissimi nella conduzione della politica scolastica nazionale. Dunque, vecchio e nuovo insieme hanno trascinato la scuola italiana in una palude di mediocrità. Non siamo noi a dirlo ma indagini approfondite di istituti internazionali. Questa è la tesi che noi abbiamo fatto nostra. A voi le critiche, se ne siete capaci.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Come si può non essere d'accordo con te, Zeno?
Ciao Lucia

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