A proposito delle difficoltà della Fiat sul mercato automobilistico vogliamo dire qualche parolina. La Fiat è stata ed è una grande azienda automobilistica, con un prestigio da difendere e una tradizione da confermare. Purtroppo, l’azienda torinese degli Agnelli è di nuovo giù. Non vende come dovrebbe e come auspicava e il suo titolo in borsa va sempre peggio. La diminuzione delle vendite di auto è costante e la prestigiosa industria del Lingotto si sta avvicinando sempre di più al punto di non ritorno. Gli ultimi dati confermano una ulteriore flessione delle vendite, sia in termini assoluti (numero totale di auto vendute nell’ultimo anno), sia in termini relativi rispetto alle altre aziende, tutte straniere, presenti sul mercato nazionale. Va da sé che il calo c’è, ed è vistoso, anche sui mercati internazionali. Questi i fatti. E passiamo alle opinioni. Come mai la Fabbrica Italiana di Automobili di Torino, nonostante le cure da cavallo effettuate in questi ultimi anni, non riesce a sollevarsi? La risposta è semplice e ce la dà un proverbio: “chi semina vento, raccoglie tempesta”. Cosa vuol dire? Significa che la Fiat è ormai condannata a pagare scelte sbagliate e ad uscire dai mercati per due ragioni. Da un lato è finito il periodo della iper-protezione statale che i vari governi della Repubblica avevano gentilmente donato alla famiglia Agnelli in cambio di sostegno politico. Aiuti diretti e indiretti, palesi e occulti avevano minimizzato le perdite. Adesso le cose sono cambiate. L’Unione Europea, l’euro, le nuove norme della concorrenza non possono più essere utilizzate per aiutare questa o quella industria. Adesso le industrie automobilistiche devono andare avanti e contare solo sulle proprie forze. Gli elementi che possono dare slancio alle vendite sono la creatività, la competenza tecnologica, ovvero il know how, la competitività, il costo del lavoro, le strategie di marketing, gli accordi di partneriato con altre industrie straniere, ecc.. La Fiat da questo punto di vista è zero tagliato. La Fiat non ha saputo proporre alcun modello innovativo nuovo, in grado di poter competere con i modelli prodotti dalle altre industrie automobilistiche del mondo ma, soprattutto, non ha voluto o saputo trovare tra le altre case produttrici di auto partner strategici duraturi per fruttuose collaborazioni. Ma, più di ogni altra cosa, il maggior avversario dell’industria italiana è la mancanza di fiducia dei suoi clienti. In tanti anni di vacche grasse la FIAT ha voluto fare il furbo e invece di coltivare un rapporto di stima e di apprezzamento con i suoi clienti ha spesso venduto modelli difettosi, di pessima qualità che hanno costretto i clienti a sborsare fior di quattrini, con una rete di assistenza dequalificata e dai costosi ricambi. E nel frattempo l’azienda torinese metteva in cassaforte i guadagni, senza reinvestirli nella ricerca e nella innovazione, comprando titoli pubblici (BOT), azioni bancarie, catene di supermercati e magazzini, negozi, e facendo investimenti finanziari sbagliati. Come volete chiamarla un’azienda del genere? Intelligente? Astuta? In gamba? No! Sarebbe da chiamare stupida, perché solo la stupidità poteva portare una grande azienda automobilistica mondiale ad autorovinarsi. E “chi è causa del suo mal, pianga se stesso”, afferma un altro proverbio. Proviamo a prevedere cosa potrebbe succedere in un futuro non troppo lontano. Dunque, tra sei mesi la Fiat dovrà bloccare la produzione di qualche suo stabilimento mettendo in cassa integrazione molte migliaia di lavoratori. Successivamente dovrà chiudere qualche altro reparto perché la domanda è diventata inferiore di molto alla produzione. Così facendo dovrà mettere in mobilità altri lavoratori. Il mercato percepisce queste difficoltà e il titolo Fiat va giù ancora di più e in queste condizioni non potrà più accedere ai crediti agevolati e il denaro gli costerà più di quello delle industrie concorrenti. Le azioni vanno giù ulteriormente fino alla decisione finale di sospendere la produzione e di smantellare il tutto. Finish. Una grande industria che sparisce completamente. Noi ci auguriamo che questo scenario drammatico non si verifichi, ma l’industria torinese sappia che se si verificherà la colpa è stata tutta sua e di nessun altro.
lunedì 18 aprile 2005
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