venerdì 5 settembre 2008

La CEI ha o non ha il diritto di fare politica?

Ogni essere umano, in base alla propria esperienza educativa ricevuta e al proprio vissuto concretizzato negli anni, possiede degli schemi mentali prestabiliti che si sono sviluppati nel tempo, sedimentando una metodologia di indagine della realtà che è unica e personale. In base a questi schemi noi siamo portati a interpretare il mondo con risposte spesso automatiche e, comunque, senza una vera e propria attività raziocinante. Possiamo riconoscere due modalità di questi schematismi a cui è sovente soggetta la nostra mente. La prima, che chiameremo “ideologica”, è la più frequente e la seconda che chiameremo “del dubbio”, la meno facile da incontrare. Facciamo un esempio. Il Cardinale Bagnasco dichiara alla stampa che “la CEI in Italia ha il diritto di fare politica”. Come reagiamo noi a questa dichiarazione? Se apparteniamo alla prima modalità, quella cosiddetta ideologica, nel caso in cui siamo dei sostenitori di Bagnasco confermiamo la dichiarazione, che consideriamo ovvia, e nel caso in cui non siamo dei sostenitori di Bagnasco la contestiamo, come altrettanto ovvia. Se, invece, noi ci sentiamo più vicini allo schema mentale che abbiamo chiamato del dubbio il minimo che in questi casi ci può capitare è di rimanere perplessi. La sostenibilità o l'insostenibilità della tesi di Bagnasco viene pertanto sottoposta a un processo di indagine raziocinante che è la cosa più indovinata di questo schematismo e che ci caratterizza sul piano del ragionamento. Chi crede nella laicità dello Stato e nella autonomia della Chiesa (libera Chiesa in libero Stato) non può non rimanere disorientato dalla dichiarazione di Bagnasco e chiedersi il perché di questo modo forte e invasivo di porre il problema. Il disorientamento nasce dal fatto che è inammissibile accettare la contemporanea funzione politica di due soggetti così diversi, come Stato e Chiesa, nelle faccende della politica nazionale di casa nostra cioè di un paese libero e non sottoposto a tutela. Vorrebbe dire mischiare “il sacro col profano”. E questo non è consentito. E si badi bene che ciò non è consentito nè al Vaticano come soggetto straniero, nè a maggior ragione a subdoli e capziosi atteggiamenti di adulazione nei confronti del Papa da parte di qualsiasi governo della Repubblica. Inaccettabile sarebbe altresì il produrre commistione e confusione in un settore costituzionalmente tutelato come è quello che riguarda la separazione tra Stato e Chiesa. Il pericolo è che in questi casi si possano sovrapporre due prospettive politiche in antitesi tra loro, svuotando di contenuto e merito il Parlamento della Repubblica. La Chiesa Cattolica, e per essa il suo autorevole Papa Benedetto XVI, più volte citato in senso ironico da qualche buontempone come Ottone II, non può pretendere di sgretolare l'impianto costituzionale uscito dal cambiamento ottenuto con la nascita della Repubblica. Non conviene a nessuno modificare una delle norme più efficaci del rapporto tra Stato e Chiesa in Italia. Dunque, il Card. Bagnasco non crei pericolosi precedenti. Se invece il progetto del Vaticano è quello di intravvedere nella crisi generale della politica italiana la possibilità di fare politica influenzando e condizionando pesantemente l'attività parlamentare, allora sarebbe possibile spiegare molti perché del modo invasivo di fare dichiarazioni politiche della CEI. D'altronde la politica nazionale sta cambiando rapidamente i termini del discorso relativo al tipo di società che è immaginabile prevedere in un futuro non molto lontano. L'insterilirsi della politica della sinistra, la scomparsa dalle aule parlamentari della sinistra massimalista, l'incapacità a consolidare uno schieramento moderato riformista, i comportamenti degli italiani vieppiù delinquenziali e lontanissimi da un'etica e una morale forte, la berlusconizzazione del centro-destra, l'aumento di influenza del leghismo, sono tutti elementi che producono spinte centrifughe in grado di portare acqua al mulino del Vaticano permettendo alla CEI di pensare a un progetto politico centrato sul ritorno alla frantumazione dell’attuale Stato repubblicano in macroregioni federaliste che lascerebbero spazio di influenza notevole all'unico soggetto in grado di calamitare consensi e potere, e cioè alla Chiesa cattolica. Dio non voglia che noi abbiamo visto giusto.

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