sabato 27 settembre 2008

Abitanti del Bel Paese e italianità perduta.

Oggi vogliamo parlare dell'italiano vero. No. Non vogliamo parlare del cantante Toto Cotugno che dice "lasciatemi cantare con la chitarra in mano", nè vogliamo parlare di Luciano Pavarotti autore del più famoso "vincerò". No. Dopo molto tempo, finalmente abbiamo incontrato degli italiani veri. Noi viviamo a Roma da più di venticinque anni ma nella capitale è difficile incontrare italiani. Ci sono romani, ciociari, laziali, meridionali, settentrionali, cittadini di diverse regioni che vivono secondo le usanze del proprio territorio, stranieri naturalizzati, immigrati, ma non italiani, almeno non nel senso sociologico del termine che considera l'italianità un "modo di essere e di vivere" la vita. Non si possono chiamare "italiani" gente che da un lato è totalmente scoperta di codici di comportamento etici ed educativi e dall'altro considera l'italianità un male assoluto perchè sostenitori di una visione centralista in cui il "Campanile" deve venire prima di tutto il resto. In piccolo, è lo stesso tema che vede l'europeismo simile all'italianità. Tutti contro l'Europa Unita e, viceversa, tutti a favore del più bieco nazionalismo. Ecco perchè oggi siamo stupiti e sorpresi della novità. Non ce l'aspettavamo. L'occasione dell'incontro con gli alieni è una conferenza sulla Letteratura di viaggio. Gli italiani di cui parliamo e a cui questo post fa riferimento sono venuti per la maggior parte da fuori città, da altre regioni. Ci sono anche romani, ma non hanno nulla a che vedere con i concittadini di Trilussa. Sono fiorentini, bergamaschi, catanesi, etc., che si presentano come italiani e mostrano di avere tutti i requisiti di quella che ci permettiamo di chiamare l'"italianità perduta". Non ha importanza la latitudine: sono importanti le sensibilità e i modi di essere. Non poteva essere diversamente. Questi italiani sono persone qualunque, donne, uomini, giovani, anziani, credenti e laici, di destra e di sinistra. Non è il sesso o l'età o l'appartenenza politica che li distingue e li diversifica dagli indigeni delle variegate municipalità. No. E' lo stile (fine e curato), l'abbigliamento (sobrio e non appariscente), il tono della voce (moderato e non chiassoso), la lingua che adoperano (semplice nella sintassi e varia e completa nel lessico), i modi con i quali interagiscono (con simpatia e modestia). Tutto ciò li rende per l'appunto alieni, diversi dagli altri loro connazionali che, invece, mostrano caratteristiche socio-psicologiche opposte: parlano ad alta voce, sono scostanti e arrabbiati, sono vestiti in modo esagerato, non sanno esprimersi correttamente nella lingua di Dante, eccedono nell'uso di frasi tradotte dal dialetto, sono arroganti e spesso attaccabrighe. Insomma, ci ricordano uno di quei personaggi villaneschi arricchiti di Carlo Verdone nei suoi film. Le persone che ho etichettato come "veri italiani" mostrano invece di avere il senso della misura e sono gradevoli da ascoltare e vedere perchè dicono cose molto interessanti. In particolare, mostrano tratti caratteristici della gente positiva, che hanno la facilità di relazionare con gli altri e si notano subito differenziandosi dal magma del provincialismo e della maleducazione. Usano spesso il "mi scusi", lodano gli altri. E, soprattutto, è gente che sorride, sorride, sorride. Ecco perchè questa mattina siamo rimasti come folgorati nell'aver visto insieme a discutere dopo tanto tempo un bel po' di italiani che credevamo non esistessero più. E' un vero peccato che siano così pochi. Forse è perchè viaggiano molto e sono sempre all'estero. Speriamo che ritornino e aumentino.

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