Sabato, 2 febbraio 2008, alle ore 14.00, al Croke Park di Dublino, vicino alla stazione ferroviaria di Drumcondra, in Irlanda, siamo stati testimoni di un evento sportivo piacevole e indimenticabile. Nel bel verde del rettangolo di gioco, in sintonia con lo stesso colore della campagna irlandese e delle maglie e dei berretti dei colori nazionali dei gaelici del trifoglio, abbiamo visto una partita di rugby tra le due nazionali dell'Irlanda e dell'Italia, all'interno del Torneo europeo del Six Nations. Erano presenti 76000 persone, in uno stadio di 83600 posti a sedere. Ben 10000 spettatori erano italiani, tra cui noi. Quale è stata la ragione di un simile interesse e perché Dublino? Non è facile giustificare i motivi di questa partecipazione. Sicuramente la scelta della città di James Joyce ha a che vedere con il nostro giro turistico-culturale delle capitali dei ventisette paesi dell’Unione Europea. Dublino è una tappa importante di questo tour. La città di Oscar Wilde, di Samuel Beckett, di George Bernard Shaw, di Richard Laurence Millington Synge, del Trinity College, con il suo Book of Kells, delle pinte di birra scura Guinness e dei suoi eroi anti-britannici non poteva non essere interessante sotto il profilo di una visita cultural-turistica di alcuni giorni. D’altronde, parlare di Guinness senza associarla alla tradizione rugbistica internazionale avrebbe voluto dire essere sordi davanti a un concerto dei Beatles. Ma anche curiosità, hobby, attrazione per uno sport diverso da quelli normalmente visti dagli italiani, piacere nel vedere uno sport che alcuni definiscono diverso dal calcio tanto da proporre una definizione antropologica e ironica come quella che “il calcio somiglia all’Italia, mentre il rugby allo sport”, forse è un tentativo di spiegare "il perché" del rugby. Oscar Wilde, a proposito di questo sport, ebbe a dire che “il rugby è una buona occasione per tenere lontani trenta energumeni dal centro della città”. Molto probabilmente aveva ragione. A quei tempi gli energumeni era meglio fossero tenuti lontano dai centri abitati. Tuttavia, rimane il fatto che questo sport è uno dei pochi sport di squadra che suscitano nelle folle sentimenti e valori lontani nel tempo, come ai tempi dei gladiatori romani. Forza, contatto fisico rude, spinte collettive nelle mischie e tanta, tanta velocità d’insieme. Non è facile rimanere indifferenti. Rimane il fatto che mai uno sport aveva fatto presa su di noi come in questo caso tanto da indurci a programmare un viaggio non certo facile e in un periodo dell’anno difficile come quello invernale in un paese dai notevoli valori dell'umidità e dai bassi valori della temperatura. Noi non sappiamo se sia vero che “il rugby è lo sport dell’amicizia”. Sappiamo bene invece che il rugby è uno sport che sicuramente unisce e permette l’amicizia meglio di altri. La speranza è che ancora per molti anni si tenga fuori dagli incontri truccati, dalle scommesse e dagli ormoni facili poco edificanti di altri sport.
mercoledì 6 febbraio 2008
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